Cristiani in terra d'Islam, di Camille Eid

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /09 /2015 - 21:48 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito del Centro Culturale di Milano il testo una relazione di Camille Eid pronunciata il 18/12/2000. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti vedi la sotto-sezione Islam nella sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni ed, in particolare, l'articolo Il califfo Omar, quello della Moschea di Gerusalemme, quello che impose ai cristiani il Patto di sottomissione che li condizionò per secoli, di Andrea Lonardo.

Il Centro culturale Gli scritti (27/9/2015)

Il Santo Sepolcro con le due moschee costruite per 
controllarlo a destra e a sinistra, riconoscibili dai loro minareti

Del miliardo e 200 milioni di musulmani del mondo, 900 milioni sono concentrati in quel che si chiama il mondo islamico, dal quale risultano esclusi i musulmani dell'India, della Cina, dell'Europa, dell'Etiopia e di altre nazioni africane. In questo mondo islamico vivono circa 90 milioni di cristiani: 11 milioni nei Paesi arabi (Sudan escluso), 3 nel Sudan, 40 in Nigeria, 20 in Indonesia, 3 nel Pakistan, e altri milioni in Ciad, Malesia, Asia Centrale, ecc. che rappresentano il 9% del totale della popolazione[1].

Questa presenza non è tuttavia omogenea. Ci sono Paesi dove la percentuale dei cristiani è consistente, e altri dove è appena percepibile: 40-45% in Libano; 35% in Nigeria e Ciad; 8-10% in Egitto, Indonesia, Sudan; tra l'1 e il 3% in Pakistan, Iraq; e meno dell'1% per Turchia, Iran e l'Africa del Nord.

Questo vasto mondo offre inoltre diverse tipologie che danno vita a una vasta gamma di situazioni differenti: abbiamo anzitutto, da una parte, le zone che risultavano completamente o parzialmente cristianizzate all'avvento dell'islam, come il mondo arabo e l'attuale Turchia e, dall'altra, quelle toccate molto dopo dal cristianesimo come l'Estremo Oriente e l'Africa nera.

Ci sono poi Paesi dove il cristianesimo è considerato autoctono (l'Egitto e i Paesi del Mashreq), mentre in altri risulta costituito da comunità straniere (i Paesi del Maghreb e quelli del Golfo).

Ci sono, infine, Paesi dove viene applicata la Shari'a (Arabia saudita, Sudan, Afghanistan), altri dove l'islam è dichiarato religione di Stato (molti Paesi arabi), ed altri ancora che si dichiarano laici (la Turchia).

Il Cristianesimo ai tempi di Maometto

L'incontro tra islam e cristianesimo avviene nella stessa Arabia. È nota la diffusione della fede cristiana tra gli arabi, dallo Yemen dove era nato uno Stato cristiano fino ai confini settentrionali dell'Arabia, tra le tribù dei Ghassanidi[2] e dei Lakhmidi – rispettivamente monofisiti e nestoriani.

Lo stesso Maometto ha avuto contatti con gli ambienti cristiani della Mecca e di Medina[3]. Numerose sono le referenze nel Corano che testimoniano di una certa conoscenza del messaggio evangelico, di certi episodi che riguardano la vita della comunità locale. Malgrado ciò, il giudizio dell'islam è generalmente severo: i cristiani partecipano alla verità islamica ma in maniera frammentaria.

"Credenti! Credenti! Non fatevi amici né gli Ebrei né i Cristiani (essi sono amici tra di loro!). Chi di voi li prende come amici vuol dire che è uno della loro parte. Il Dio non guida un popolo ingiusto". (Corano 5/51); "Combattete contro quelli che non credono in Dio, né nel giorno estremo, e non considerano proibito quel che proibisce Dio e il suo apostolo, e che non professano la religione della verità, ossia coloro ai quali è stato dato il Libro, finché non paghino la gizya (il tributo) alla mano (individualmente), con umiliazione". (9/29)

Nell'anno 631 (anno 10 dell'Egira) Maometto ebbe un incontro con la delegazione (giacobita) di Najran. Questo primo "patto" tra musulmani e cristiani prevedeva il pagamento da parte dei cristiani di questa parte dell'Arabia meridionale del tributo in cambio del mantenimento del proprio culto[4].

L'avvio della conquista delle regioni cristiane del Medio Oriente comincia già con Maometto con la campagna - fallita - del 629 contro i Ghassanidi. Dopo la morte del profeta, la Siria cade in tre anni (633-36), seguita dall'Egitto (639-642). Al termine della tempestiva avanzata, nel VIII secolo, tutte le comunità cristiane del Medio Oriente (a parte l'Asia Minore) con i relativi patriarcati storici si ritrovano sotto il controllo dell'islam.

Sul perché di questa debole resistenza da parte cristiana esistono molte ipotesi. Probabilmente, per molti cristiani mediorientali, l'islam era quasi una setta cristiana, e l'arrivo degli arabi era visto come una liberazione "provvidenziale" dal giogo bizantino. Anche per questo, assistiamo talvolta a un deliberato appoggio ai musulmani, come nel caso dei Ghassanidi che disertano le armate bizantine durante la battaglia decisiva di Yarmuk (636), oppure del melchita che apre una delle porte di Damasco agli arabi[5], o anche del patriarca Sofronio che negozia la resa di Aelia-Gerusalemme[6], ecc.

Si può quindi parlare di un'accoglienza favorevole? Di sicuro, c'è un'esagerazione da parte degli storici sul tema. Possiamo perlopiù supporre una certa passività dei cristiani locali, molto indicativa della loro profonda delusione dai bizantini. Un motivo di questo disinteresse è l'esiguo numero dei conquistatori. Gli arabi, per i cristiani locali, sarebbero presto tornati al nomadismo e alle loro solite razzie in terre lontane, e sarebbero incapaci di occupare definitivamente la regione. Gli stessi musulmani, consci della loro inferiorità numerica, hanno cercato di guadagnare l'adesione delle popolazioni conquistate badando bene a non imporre misure troppo oppressive. Non sono quindi avuti in questo periodo né massacri sistematici né tentativi di assimilazione.

Il "Patto di Omar" e la condizione di dhimmi

Quali sono allora le modalità con cui l'islam ha regolato i rapporti con i cristiani delle regioni conquistate? All'inizio, non esisteva una vera codificazione dello statuto dei cristiani. Ciò non significa che è stato messo in atto un sistema di uguaglianza tra musulmani e non. I "trattati di protezione" assicuravano, infatti, all'ombra del potere islamico, la sicurezza delle persone e dei beni e la libertà di culto. Molti trattati di diritto si riferiscono a un certo "Patto di Omar"[7], ma la volontà di umiliare in esso contemplata fa pensare a una data posteriore a quella del secondo califfo morto nel 644. Di solito, questo regime giuridico mescolava segni di inferiorità a garanzie di protezione: in cambio del riconoscimento e dell'accettazione del potere islamico e della superiorità sociale dell'islam, i cristiani potevano continuare a vivere nell'ambito politico musulmano mantenendo la propria religione. Questi si costituiscono quindi in comunità distinte e autogovernate, anche sul piano civile secondo la prassi musulmana, dai propri patriarchi. In cambio della protezione, i dhimmi (protetti) devono inoltre versare la gizya, la tassa di capitazione, offrire asilo ai musulmani e fare prova di lealtà al potere musulmano.

Molte disposizioni hanno reso possibile nel tempo la graduale islamizzazione dei Paesi conquistati. Abbiamo anzitutto i divieti di natura religiosa, come le restrizioni alla pratica pubblica del culto (suono delle campane, processioni nelle strade, esposizione di simboli cristiani), il divieto di costruire nuove chiese o di restaurare quelle rovinate, di apostolato tra i musulmani, e il divieto di opporsi alla conversione all'islam di un cristiano. Ci sono poi divieti di natura sociale, quali l'esercizio del potere politico e militare, il matrimonio con donne musulmane (il contrario è permesso), e la testimonianza davanti al tribunale.

Il sistema di dhimmi è presto vissuto come un'insopportabile dominazione. I cristiani potevano conseguire un successo professionale, ma la loro "inferiorità" è fondamentale agli occhi dei musulmani. Il loro successo appare in tal modo illegittimo, e l'esercizio di un qualsiasi forma di potere contrario ai precetti coranici. Nella vita quotidiana i cristiani devono perciò accettare le umiliazioni distillate che intendono ricordare loro questa condizione. Nei momenti di crisi, è su di loro che si concentrano i rancori e servono perciò di capro espiatorio al potere. Nelle guerre sono sospettati di connivenza con il nemico. La loro esistenza è precaria: vivono nell'attesa di un'esplosione di violenze confessionali.

Il dominio dell'islam porta poi a una certa sclerosi del cristianesimo orientale. Cessano le divergenze cristologiche tra le varie comunità ed escono all'aperto quelle prima perseguitate dai bizantini, ma i cristiani si chiudono nel loro passato glorioso e sono tagliati dal resto della cristianità. Le preoccupazioni dei capi delle Chiese, investiti da un potere civile e politico, diventano piuttosto di ordine temporale. Possiamo perciò perfettamente immaginare come fossero favoriti dal potere alle alte cariche religiose le persone mediocri, corrotte e sottomesse.

I cristiani sotto gli Omayyadi (661-750)

Sotto i primi quattro califfi, detti i "ben guidati" (632-661), il dominio era, dicevamo, poco sentito e la stessa amministrazione lasciata dai bizantini era rimasta intatta. I primi cambiamenti avvengono con l'avvento della dinastia omayyade e il trasferimento della capitale dell'Impero a Damasco, già sede dell'ex governatore della Siria Moawiya, capostipite della dinastia.

I primi califfi omayyadi sono all'inizio combattuti tra la solidarietà etnica e quella religiosa. Le rivalità politiche tra gli stessi musulmani erano ancora tante (secessione di Abdallah ibn Zubair in Arabia, rivolta sciita) e Moawiya si appoggia presto ai cristiani di Siria. Il suo successore Yazid è figlio di una cristiana. Lo Stato non incoraggia le conversioni di massa; perderebbe buona parte degli introiti fiscali[8].

Sotto gli Omayyadi, i cristiani traggono vantaggio dalla loro condizione: allontanati dal potere politico, emergono nelle attività economiche e finanziarie. Durante i primi anni della dinastia, troviamo alla corte omayyade di Damasco moltissimi cristiani in veste di segretari, medici, poeti, educatori, contabili e addirittura ministri. Tra questi ultimi spicca Mansour bin Sargiun, più conosciuto come san Giovanni Damasceno (morto nel 749), noto oratore, filosofo e difensore del culto delle immagini, proclamato Dottore della Chiesa nel 1890[9]. Uno storico arabo ci ha elencato molti membri dell'aristocrazia le cui madri sono morte fedeli alla religione cristiana, alcune delle quali esibivano senza vergogna, al palazzo del califfo, la croce sul petto.

Non c'è comunque da meravigliarsi. La stragrande maggioranza della popolazione era ancora cristiana (3,8 milioni sui 4 milioni che contava la Siria nel 722) e i nuovi conquistatori erano poco esperti in questioni amministrative. Il ricorso ai cristiani locali, possiamo dire, era anche dettato dalla necessità dato che, oltre alle loro doti professionali, parlavano correntemente greco, siriaco e arabo[10].

Il deterioramento della situazione inizia sotto il califfo Omar II (717-20) che dà ordine di licenziare i funzionari cristiani. Misura che risulta ripetuta dai suoi successori, il che lascia pensare a un'applicazione approssimativa. Il suo successore Yazid II (720-24) impone ai cristiani di portare vestiti distinti.

Le prime conversioni all'islam tradiscono la volontà di sfuggire alla tassazione. Per compensare la diminuzione dell'introito, il potere limita le esenzioni applicate ai musulmani e ai convertiti che devono comunque pagare una tassa sui terreni, ma aumenta anche la tassa pro capite aggravando la pressione fiscale sui cristiani. L'appartenenza al Cristianesimo è poi considerata un ostacolo alla promozione sociale e politica. Convertendosi, i cristiani affermavano la loro identità araba, cosa che i non arabi non potevano ottenere e che spiega in parte il loro passaggio all'islam non ortodosso (come quello sciita dei persiani). Il processo di arabizzazione è in pieno sviluppo. Si traducono in arabo - ad opera dei cristiani - le opere letterarie e anche religiose siriache e greche, cosa che risparmia a questa lingua la chiusura nella condizione di "lingua dei musulmani".

I cristiani sotto gli Abbassidi (750-1258)

Con la vittoria della rivolta abbasside, favorita dagli elementi persiani dell'impero, l'accento è nuovamente posto sulla dimensione religiosa dei primi tempi dell'islam. È preconizzata, insomma, l'uguaglianza tra tutti i credenti musulmani, arabi e non, e l'inferiorità degli altri. Si aprono le persecuzioni, dalla distruzione delle chiese, alle razzie e all'estorsione fiscale. I califfi al-Mahdi e al-Mutawakkil[11] risuscitano l'antico statuto di discriminazione. Nuovi trattati illustrano in dettaglio i divieti imposti in materia di esercizio del culto e della vita domestica, le costrizioni nell'abbigliamento, i segnali di rispetto e di sottomissione dovuti ai musulmani[12].

Durante una visita ad Aleppo nel 779, al-Mahdi è accolto dai cavalieri della tribù dei Tannukh con tutti gli onori, ma non appena il califfo viene a sapere che quegli arabi "puro sangue" erano rimasti cristiani, la sua ira si scatena e li costringe ad abbracciare l'islam. "Si convertirono 5 mila uomini", dice il cronista.

Queste severe pratiche non sono comunque uniformi, anche a causa della grande estensione dell'Impero. Ci furono poi accomodamenti con i funzionari incaricati di far rispettare le prescrizioni e perciò le persecuzioni aperte sono limitate ai soli periodi di guerre e di crisi interne. Nelle città si cominciano a formarsi dei quartieri distinti, separati per appartenenza religiosa. I rapporti rimangono ugualmente frequenti tra i due gruppi: il ruolo dei cristiani è ancora indispensabile (medici, traduttori nestoriani)[13], mentre i cristiani della classe media iniziano a specializzarsi nel piccolo commercio e nell'artigianato.

L'islamizzazione guadagnava intanto sempre di più gli strati rurali e molte chiese vengono trasformate in moschee. Inoltre, gli eserciti arabi cominciavano, dopo le loro prime vittorie, a subire alterne vicende. Dopo ogni sconfitta, la plebaglia si scatenava contro le comunità cristiane accusate di connivenza con il nemico.

La reazione dei cristiani è stata a volte violenta. Nel 759, una ribellione dei cristiani di Mnaitra, in Libano, porta alla dispersione di decine di villaggi. Ma a difendere i civili è un saggio musulmano, l'imam Ouzai, di Baalbek, che rimprovera il governatore per gli abusi commessi contro gli innocenti. Nel 855 è la volta di Homs (Emesa), in Siria. I capi della rivolta vengono crocifissi alle porte della città, mentre i civili cristiani sono dispersi e le chiese distrutte.

Queste pressioni portano alla scomparsa totale del Cristianesimo dal Maghreb[14] e alla progressiva diminuzione dei cristiani nel Medio Oriente. Al-Ghazali, denominato la Prova dell'islam (Hujjat al-islam, morto nel 1111) afferma che "certo non è bene che si eserciti una pressione in materia di religione, ma bisogna riconoscere che la spada o la frusta sono talvolta più utili della filosofia o della convinzione. E, se la prima generazione non aderisce all'islam che con la lingua, la seconda aderirà anche con il cuore e la terza si considererà come musulmana da sempre".

L'invasione mongola e la caduta di Baghdad (1258) sanziona la fine della dinastia. I cristiani sono risparmiati dai nuovi invasori[15] che autorizzano il catholicos nestoriano a rimanere a Baghdad. Ma la distensione fu di breve durata. La conversione del khan mongolo all'islam nel 1296 ripristina, infatti, il progressivo calo della presenza dei cristiani in Iraq. Nel secolo XIV, le nuove avversità abbinate alle incursioni dei curdi riducono la loro percentuale a quella attualmente mantenuta, ossia il 2-3 per cento della popolazione[16].

I cristiani nell'epoca dei Crociati (1095-1291)

Ancor prima della caduta di Baghdad, molti regioni si erano distaccate dall'impero abbasside. Tra queste, l'Egitto caduto sotto il controllo della dinastia fatimide. Qui la persecuzione raggiunge livelli mai visti in precedenza sotto lo stravagante califfo al-Hakim che si dichiara, all'inizio del XI secolo, l'incarnazione di Dio sulla terra[17]. Al-Hakim moltiplica in Egitto e in Palestina le profanazioni di conventi, di cimiteri e di chiese che vengono trasformate in moschee[18]. I beni religiosi sono confiscati, i funzionari cristiani licenziati, incarcerati o uccisi. La politica del terrore raggiunge il colmo nel 1009 quando il califfo procede alla distruzione del Santo Sepolcro, provocando un'emozione nel mondo cristiano tale da gettare il germe dell'idea delle Crociate.

I due secoli di epopea crociata non hanno comunque facilitato la
vita ai cristiani locali. Molti, come i giacobiti di Siria, oscillavano a seconda delle vicende belliche tra le zone controllate dai franchi e quelle degli atabeg turchi. Tutti i poteri che lottano contro i crociati alimentano verso i cristiani un profondo sospetto. Dai selgiucidi agli ayyubidi ai mamelucchi, peraltro tutti di stirpe non-araba
. Nel 1124, la cattedrale di Aleppo, rimasta in mano ai cristiani sin dalla conquista araba, viene trasformata in moschea. Nel 1146, dopo un fallito tentativo crociato di riprendere Edessa, tutti gli armeni della città sono massacrati, mentre i siriaci sono espulsi. Nel 1260, un altro episodio compromette ulteriormente i cristiani. Approfittando dell'avanzata dei mongoli, alcuni franchi uniscono le loro forze agli invasori e occupano Aleppo e Damasco dove restituiscono le chiese ai cristiani. La vendetta dei mamelucchi sarà tremenda. Ormai, la confusione tra franchi e cristiani locali è totale[19].

La difficile emancipazione

Come stranieri, gli ambiziosi mamelucchi avevano solo il mezzo della religione per farsi accettare dalla maggioranza della popolazione. Si ergono così a difensori dell'ortodossia sunnita e conducono delle repressioni contro l'islam eterodosso (ismailiti, nusairi, ed altri). Ibn Taimiyya (1263-1328), l'autore cui fanno riferimento oggi i fondamentalisti egiziani e i wahhabiti d'Arabia, illustra bene il fanatismo dominante in quell'epoca che porterà a un'ulteriore erosione della presenza cristiana attraverso le conversioni forzate e la distruzione di decine di chiese. Questi i titoli di alcuni suoi scritti: Il Libro della replica ai cristiani, Il Problema delle chiese, La Vera risposta a colui che cambiò la religione di Cristo, La Vergogna della gente del Vangelo, Allontanarsi dai popoli della Gehenna.

I successivi buoni rapporti tra mamelucchi e mercanti europei permettono un leggero miglioramento della situazione. Di questo clima approfittano i maroniti del Libano che riescono a ristabilire i loro legami con la Cristianità occidentale. La fedeltà a Roma pur nelle tribolazioni vale alla piccola comunità arroccata nelle montagne l'appellativo datole da papa Leone X di "un giglio in mezzo alle spine".

La conquista ottomana di Selim I, che aveva trasformato tutte le chiese di Costantinopoli in moschee, non poteva apportare sostanziali mutamenti alla situazione. È solo più tardi, con lo sviluppo del regime delle Capitolazioni, che Istanbul istituzionalizza lo statuto previsto nel Corano per i non musulmani riconoscendo le singole comunità come millet (nazioni) con proprie leggi e tribunali. Tra le millet riconosciute, quella degli ortodossi, dei giacobiti e degli armeni[20] i cui capi religiosi assumono la responsabilità dinanzi al sultano, rappresentante del potere musulmano sunnita[21].

Arrogandosi una missione di protezione dei cristiani, le potenze europee se ne sono approfittate a lungo per ingerirsi negli affari dell'impero ottomano con l'obiettivo, appena celato, di metterlo sotto tutela o di spartirselo. La Francia si fa protettrice dei maroniti e dei cattolici in generale, l'Inghilterra dei protestanti (ma anche dei drusi), la Russia degli ortodossi e degli armeni, l'Austria dei melchiti. I cristiani sono percepiti da questi Paesi come "carte" utili per premere sull'«uomo malato» e ogni loro intervento produce alla fine un ripiegamento dei governatori musulmani.

Le Tanzimat (riorganizzazione)

Le pressioni ma anche la volontà di rinnovamento spingono a tentare la riorganizzazione interna dell'impero ottomano. Gli editti, noti con il nome di Tanzimat, sono principalmente due. Il primo è lo Khatti Sherif, Editto nobile, del 1839 del sultano Abdul-Megid che, contrariamente ai principi dell'islam, proclamava l'uguaglianza civile tra i sudditi dell'Impero, a qualsiasi religione appartenessero, e prometteva la garanzia della loro vita, dei loro beni e un sistema più razionale nelle imposte, il reclutamento dei soldati e l'amministrazione della giustizia.

Il secondo è lo Khatti Humayun (Editto sovrano), del 1856 che presentava alcune contraddizioni. Consacrava, ad esempio, l'uguaglianza civile e politica tra i sudditi dell'Impero pur mantenendo per i cristiani i propri statuti. L'articolo 8 recita: ogni distinzione o appellativo che tende a rendere una classe qualsiasi tra i sudditi del mio Impero inferiore a un'altra classe, per motivo del culto, della lingua o della razza, sarà per sempre cancellata dal protocollo amministrativo. Le leggi si eleveranno contro l'uso, tra privati o da parte delle autorità, di ogni qualifica oltraggiosa o insolente.

Questi editti non hanno tuttavia alcun effetto pratico. I funzionari imperiali li ignorano, mentre i cristiani li guardano con sospetto anche perché miravano a rafforzare il potere centrale. In questo contesto, le "garanzie" strappate all'impero ottomano dalle potenze europee per migliorare lo statuto dei cristiani sono parse, agli occhi dei musulmani, come dei diktat e non come il prodotto di una maturazione degli spiriti. Già incline, a torto, a vedere nei cristiani un corpo estraneo, la popolazione musulmana si è convinta che essi fossero quasi dei traditori, comunque un avamposto dell'Occidente.

Ricompaiono i tempi duri. Con la complicità dei turchi e su istigazione dell'Inghilterra, impegnata a contrastare il ruolo di protettrice dei cattolici che la Francia si era assunta, i drusi lanciano nel 1860 dei veri massacri a danno dei cristiani del Monte Libano. Il bilancio di due mesi di attacchi è tremendo: 22 mila morti, 75 mila profughi e centinaia di villaggi e chiese distrutti. La carneficina si estende anche a Damasco dove solo la magnanimità di Abdel-Qader, un emiro algerino esiliato dai francesi (salva ben 12mila cristiani), riesce a evitare ai cristiani damasceni lo sterminio.

Di maggiori proporzioni poi il genocidio degli armeni nel 1915, tuttora negato dalle autorità turche che, invece, accusano gli armeni di connivenza con il nemico russo durante la Prima guerra mondiale: almeno 700mila vittime senza contare i deportati nel deserto siriano. A questa tragedia si è aggiunta, a conflitto terminato, lo scambio tra popolazioni “greche” e “turche” (un milione e 344mila cristiani ortodossi ricondotti in Grecia contro 464mila musulmani rinviati in Turchia) sancito dal Trattato di Losanna. Episodi che hanno sradicato quasi completamente le due maggiori comunità cristiane da tutta l’Asia Minore.

La situazione attuale

La situazione attuale dei cristiani che vivono nel "Dar al-islam", la terra dell'islam, varia da Paese a Paese e dipende in larga misura – come dicevamo all'inizio - dal contesto storico, politico, culturale e nazionale locale.

Nei Paesi in cui la presenza cristiana è ridotta, o quasi, a comunità straniere, troviamo tre categorie. Della prima fanno parte quei Paesi dove nessuna libertà, di fede o di culto, è permessa. È il caso dell'Arabia Saudita, dove i 600 mila lavoratori stranieri di fede cristiana (un decimo della popolazione straniera) non possono celebrare il culto neanche in forma privata[22]. La partecipazione a riunioni di preghiera, come pure il possesso di materiale non islamico (Bibbie, rosari, croci, immagini sacre) portano dritto all'arresto e all'espulsione, quando non alla morte.

Della seconda categoria fanno parte i Paesi che concedono limitate libertà di culto e di organizzazione ecclesiastica. È il caso di quasi tutti gli altri Stati del Golfo. Negli Emirati arabi uniti, Oman e Kuwait, le autorità permettono la costruzione di chiese, ma le comunità locali devono astenersi da ogni apostolato tra i musulmani.

Della terza e ultima categoria fanno parte quei Paesi in cui i cristiani risultano organizzati in diocesi e godono di una libertà di culto, ma devono attenersi ad una certa discrezione per motivi storici. È il caso dei Paesi del Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia e Libia) dove la Chiesa è arrivata (o meglio, ritornata) in un contesto coloniale (francese o italiano).

Oggi, grazie a vescovi e preti eminenti, queste Chiese locali vivono la loro fedeltà in uno spirito di rispetto verso i credenti dell'islam.

Anche i Paesi musulmani dove la popolazione cristiana è composta da cittadini autoctoni si possono distinguere in tre categorie. Nella prima, la repressione è sancita o condotta a livello dello Stato. Nel Sudan, il governo chiama il grave conflitto etnico-culturale che impervia nel Sud "Jihad", guerra santa, e favorisce le conversioni forzate all'islam nei campi profughi. Inoltre, leggi discriminatorie contrastano le attività religiose non musulmane nel Paese. In misura minore, è anche il caso del Pakistan dove i cristiani continuano a chiedere il ritiro della Legge sulla blasfemia e dell'emendamento che vuole porre la Shari'a alla base dello Stato.

Della seconda categoria, fanno parte molti Stati in cui si assiste ad un graduale peggioramento della situazione. È il caso dell'Indonesia, il Paese musulmano più popolato del mondo, dove da almeno sette anni dei gruppi integralisti organizzano sommosse anti-cristiane durante le quali sono abitualmente incendiate le chiese. Altrettanto preoccupante la situazione nei Paesi dove la convivenza tra i fedeli delle due religioni è sempre stata debitrice di una certa parità numerica, come nell'Africa occidentale. La proclamazione della Shari'a in alcuni Stati della federazione nigeriana ha scatenato nel 2000 violenti scontri all'interno del Paese. Una tensione si è anche registrata negli ultimi anni in alcuni Paesi confinanti con il mondo islamico, come la Tanzania, dove i musulmani costituiscono il 30 per cento dei 34 milioni di abitanti. L'influenza dei gruppi integralisti vi è andata crescendo tanto da spingere i vescovi locali a prendere posizione pubblicamente contro "aperti e deliberati oltraggi, calunnie e bestemmie contro il cristianesimo", denunciando "discorsi pubblici, videocassette e alcuni giornali che presentano costantemente contenuti insultanti e denigratori".

La terza categoria comprende molti Paesi del Medio Oriente (Siria, Iraq, Giordania, Iran) dove, pur con qualche restrizione (specialmente in Egitto), viene tutelata la partecipazione dei cristiani alla vita sociale, culturale e talvolta politica dello Stato. Le immancabili tensioni sono qui riconducibili a fattori culturali, alla situazione regionale tesa (Israele, Iraq) o alla crescita del fenomeno integralista. In Libano, soprattutto, è sancito dalla Costituzione un ruolo determinante dei cristiani nei vari settori della vita nazionale e la parità nella rappresentanza parlamentare. In Turchia, infine, la laicità dello Stato non impedisce purtroppo discriminazioni di fatto da parte della società.

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Note al testo

[1] A titolo di confronto, i musulmani in Europa occidentale sono al massimo il 3% dei 380 milioni di abitanti.

[2] Il loro capo al-Harith ottiene nel 529 da Giustiniano il titolo di filarca e patrizio.

[3] Waraqa bin Nawfal, zio o cugino di Khadiga, moglie del profeta, sarebbe il capo della comunità meccana. Avrebbe celebrato di persona il matrimonio di Maometto.

[4] Questi cristiani saranno espulsi nel 640 verso l'Iraq meridionale in base a un noto hadith (detto) di Maometto pronunciato sul letto di morte secondo cui "in Arabia non c'è posto per due religioni". Gli storici parlano tuttavia di un corpo di polizia di 200 cristiani a Medina, e di un cimitero per gli "infedeli" alla Mecca ai tempi del califfo Moawiya.

[5] Da qui la divisione della chiesa di san Giovanni Battista in due parti, una moschea e una chiesa.

[6] Omar promette la salvaguardia delle persone, delle chiese, delle croci e del culto in generale. Nessuna costrizione in materia di religione ma pagamento della Gizya. Cfr Courbage-Fargues, p. 15.

[7] O meglio "Le condizioni di Omar", in arabo ash-Shurut al-umariyya.

[8] Introiti indicativi del numero dei cristiani e dei passaggi all'islam. In Iraq ci fu un calo da 100-120 milioni di dirham sotto Omar a 40 milioni sotto Abdel-Malik.

[9] Autore peraltro di numerosi scritti contro "l'eresia" musulmana.

[10] L'arabo diventa lingua lingua ufficiale solo 60 anni dopo la conquista.

[11] Governano rispettivamente nel 775-785 e nel 847-861.

[12] Viene proibito ai cristiani di portare certi copricapi, certi mantelli e certe scarpe che venivano adoperate dai musulmani. Proibito costruire nuove chiese e, semmai ne costruissero, le facciate e i campanili devono essere bassi. A un solo piano. Il codice di comportamento vieta al cristiano di cavalcare un cavallo, e deve scendere dal marciapiede su cui sta camminando un musulmano...

[13] Il califfo al-Mu'tasim nomina addirittura due ministri cristiani (prima metà IX sec), ma ciò rimane un caso isolato.

[14] Si contavano nel Maghreb 470 vescovi nel VII secolo. Al tempo della conquista (650 circa) c'erano 1,5 milioni di cristiani su 2 milioni di abitanti. Le ultime menzioni di un Cristianesimo autoctono sono l'anno 1049 per la Libia, 1091 Tunisia (fine della conquista normanna della Sicilia), 1150 Algeria e 1300 Marocco. Nel 1159 gli Almohadi (in arabo al-Muwahhidun) costringono gli ultimi cristiani all'esilio o all'apostasia.

[15] La moglie del loro capo Hulagu era di fede cristiana.

[16] Nell'anno 700 i cristiani in Iraq erano ancora 3 sui 9 milioni di abitanti.

[17] A lui si deve la nascita della setta drusa.

[18] Secondo la testimonianza - esagerata ma indicativa - degli storici arabi 30.000 chiese sarebbero state distrutte tra il 1014 e il 1016.

[19] Molti maroniti del Libano preferiscono fuggire a Cipro, allora proprietà dei Lusignan, e il loro patriarca Gabriele muore sul rogo a Tripoli nel 1367.

[20] Sotto Luigi XIV, la Francia intraprende un'azione politica e religiosa in direzione dei cristiani orientali che porta alla nascita delle Chiese uniati (cristiani ritornati al cattolicesimo) successivamente riconosciute come nuove millet.

[21] Di tutti i capi cristiani, il patriarca maronita è l'unico a non sollecitare dalla Sublime Porta un firman d'investitura.

[22] Nonostante le recenti aperture al "culto privato" di alcuni responsabili sauditi.