L’accoglienza dei profughi nelle parrocchie romane 4/ Risate internazionali. Accoglienza nella parrocchia romana di San Saturnino in risposta all’invito del Papa, di Marco Valenti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 08 /05 /2016 - 14:28 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 17/12/2015 un articolo scritto da Marco Valenti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio. Vedi anche gli altri articoli già pubblicati:

Il Centro culturale Gli scritti (8/5/2016)

«Se Cristo domani, busserà alla vostra porta, lo riconoscerete? Sarà come una volta, un uomo povero, certamente un uomo solo. Sarà forse un profugo, uno dei milioni dei profughi con il passaporto dell’Onu. Uno di coloro che nessuno vuole e che vagano, vagano in questo deserto che è diventato il mondo».

Le celebri parole che Raul Follerau scriveva nel 1954 sono tornate vive alla memoria quando Papa Francesco all’Angelus del 6 settembre scorso invitava le comunità cristiane di tutta Europa ad aprirsi all’accoglienza dei profughi che fuggono dai loro Paesi in cerca di pace, libertà e serenità.

La parrocchia di san Saturnino in Roma ha accolto subito quell’appello e si è mossa con grande motivazione e risoluzione nell’offrire un segno tangibile di prossimità. Superava in tal modo quel senso di impotenza e di smarrimento che ci coglie inevitabilmente di fronte alla tragedia degli esuli perché se non sappiamo che cosa fare neppure sappiamo né vogliamo rimanere indifferenti.

Per prima cosa ci si è organizzati per realizzare un piccolo appartamento di due camere utilizzando dei vecchi locali che Carlo Iavazzo, un nostro parrocchiano, affetto da grave handicap motorio, a 22 anni — nel 1976 — aveva scelto come sede di un’associazione, in seguito a lui intestata: l’intento di Carlo era quello di promuovere e sostenere progetti e iniziative a favore di persone con difficoltà nel tentativo di incoraggiare l’integrazione di coloro che come lui venivano esclusi dalla partecipazione alla vita comunitaria perché diversi.

Nel 1985 Carlo ci lasciava, ma i suoi amici non hanno abbandonato la sua opera e oggi in quei locali ripuliti e rimessi a nuovo è nata la Casa della Carità Carlo Iavazzo che porta appunto il nome di quel giovane coraggioso.

Ristrutturato l’appartamento a opera di una prima cerchia di volontari, il raggio dei collaboratori si è via via allargato e in tanti hanno risposto con generosità ed entusiasmo offrendo, mobili, arredi, contributi economici, ma anche consulenze e tanta disponibilità. E la nostra parrocchia è diventata un luogo di accoglienza, non privo di ansiosa aspettativa.

L’arrivo degli ospiti, infatti, è stato più volte annunciato e poi rinviato. Finalmente l’11 novembre sono giunti tre giovanissimi africani in attesa di ottenere lo status di rifugiati: Salif, un diciannovenne del Mali e due ventenni del Senegal, Babakar e Mountaga. Li abbiamo incontrati verso le due del pomeriggio nel cortile parrocchiale, erano tesi e un po’ spaventati. Sono arrivati nella nostra parrocchia dopo aver trascorso circa un anno e mezzo in vari centri di accoglienza e hanno trovato a loro disposizione un ambiente tranquillo, ben attrezzato e, come hanno avuto modo di scoprire, ben organizzato.

Dopo un primo momento di confusione, i tre ospiti si sono rasserenati e hanno preso possesso della casa che hanno subito imparato a tener in ordine: sarà il loro appartamento per tutto il tempo che resteranno con noi. Il fatto che parlino un po’ di italiano e vogliano impararlo bene facilita la comunicazione, la scoperta e l’esplorazione dei nostri mondi che giorno dopo giorno si avvicinano sempre di più. In questo senso di fondamentale importanza è nella nostra comunità la presenza di don Pascal, prete senegalese collaboratore parrocchiale, studente presso la Gregoriana come immediato “mediatore culturale”. Un aiuto prezioso a vincere gli inevitabili pregiudizi legati alle diverse culture e religioni.

I tre ragazzi sono pure seguiti da un tutor della Caritas diocesana, l’istituzione che si interfaccia con la Prefettura di Roma e si occupa dei loro problemi. La Caritas offre loro anche l’abbonamento mensile Metrebus e una diaria di euro 2,50. Inoltre vaglia e autorizza le attività pomeridiane per intrattenere gli ospiti e aiutarli a inserirsi più facilmente nella nostra società.

La giornata inizia con la colazione e il riassetto della casa. Quindi i ragazzi si recano presso la parrocchia Santa Maria ai Monti dove la Caritas diocesana ha organizzato per i richiedenti asilo una scuola di italiano. Terminate le lezioni si uniscono ad altri gruppi per consumare il pranzo presso la mensa della Caritas di Colle Oppio. Nel pomeriggio incontrano i loro amici, cercano lavoro o seguono delle attività proposte per loro ancora dalla Caritas diocesana (corsi per avviamento al lavoro, scuola guida e così via) o dalla parrocchia (rinforzo di italiano e di informatica). Il momento più ricco di autentica condivisione è quello della cena, intorno alle 19, offerta, secondo una turnazione, da volontari della parrocchia. Chi porta da casa le pietanze preparate si incontra con un componente del Movimento adulti scout cattolici italiani (Masci) che ha il compito delle presentazioni e dell’apparecchiatura della tavola. Superato il primo impatto la serata scorre piacevolmente e anche allegramente: è il momento delle risate internazionali.

Pieni di sogni e di speranze, spinti dal desiderio di costruirsi una vita migliore di quella che hanno lasciato, alle prese con la conoscenza di un mondo, il “nostro mondo”, tanto diverso dal loro, i ragazzi ci stanno dando un’immagine di serietà e scrupolosità: ci dimostrano che anche loro, come noi, amano lavorare, vogliono assimilare nozioni utili per la loro integrazione nel nostro Paese e portano avanti con le loro energie e la loro determinazione ciò in cui credono, il sogno di tutti gli stranieri che vogliono essere regolari in Italia, lavorare e “crescere” qui le loro famiglie.

E tuttavia in questa faticosa avventura qualche domanda ci è posta. Per esempio: perché non lasciare che siano le istituzioni a occuparsi dell’integrazione; perché la parrocchia si deve occupare di questi temi? Oppure: non può esserci il pericolo che ci dimentichiamo degli italiani bisognosi e in difficoltà o senza lavoro? In effetti l’argomento è fortemente articolato e spesso siamo pressati da una sensazione di incapacità di fronte a una realtà così grande e difficile. Ma siamo coscienti che mettere un piccolo segnale di ospitalità significa dare consistenza al Vangelo. Nessuno mette in dubbio che stiamo attraversando un tempo di crisi, ma ciò non può essere una giustificazione. Seguitiamo a essere a fianco di ogni persona qualunque sia l’origine della difficoltà in cui si dibatte. Abbiamo fiducia che da questo frangente possano venire a galla nuove energie, forze e occasioni di collaborazione.

Il cammino che abbiamo iniziato solo un mese fa avrà una lunga durata. Altre persone verranno a cercare rifugio presso di noi; stiamo ponendo le basi di questa struttura e non è compito da poco. Ne siamo consapevoli: forze, disponibilità e impegno da parte nostra e della comunità non basteranno, ma la provvidenza, nella quale confidiamo e alla quale ci affidiamo, supplirà alla nostra debolezza. Ci siamo preparati. Ora non possiamo dimenticare che il percorso dell’accoglienza continua con l’informazione, finalizzata a conoscere chi è in cammino e arriva da noi e con la formazione, volta a preparare i volontari parrocchiali non solo sugli aspetti amministrativi, ma anche su quelli culturali e pastorali con attenzione anche alle cause dell’immigrazione forzata. Così, d’accordo con la Caritas diocesana, organizzeremo in parrocchia nel prossimo mese di febbraio un itinerario di approfondimento di sei incontri (accoglienza identità della Chiesa, cause delle migrazioni nel mondo, senso e difficoltà dell’essere stranieri oggi in Italia, testimonianze di vita e di fede, leggi sull’immigrazione in Italia).

Per la nostra comunità parrocchiale di San Saturnino il fenomeno delle migrazioni forzate che stanno attraversando il mondo e interessa anche l’Italia è un appello alla generosità per rendere fatto di vita reale il giubileo della misericordia. Il gesto concreto dell’accoglienza di «coloro che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame e sono in cammino verso una speranza di vita» — come dice Papa Francesco — testimonia come sia «determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia». Allora vogliamo raccogliere l’invito del Papa a «fare nostra la misericordia del Samaritano».