Chiesa e Risorgimento, di Carlo Badalà

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 24 /10 /2016 - 09:45 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito, per gentile concessione, la traccia di una relazione tenuta da Carlo Badalà presso la parrocchia S. Ambrogio il 23/3/2011. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti su Risorgimento, cfr. la sezione Storia e filosofia.

N.B. Il testo è una traccia dell'intervento stesso ben più articolato, scritta per permettere agli ascoltatori di seguire meglio la relazione. L'intervento stesso aveva il suo contesto nel 150esimo dell'Unità d'Italia e intendeva in chiave divulgativa aiutare l'uditorio a gettare un primo sguardo sulla questione.

Il Centro culturale Gli scritti (24/10/2016)

Il 17 marzo scorso il presidente della Repubblica ha celebrato il 150° dell’unificazione italiana anche partecipando a una Messa con Te Deum celebrata dal presidente dei vescovi italiani. Chi avrebbe potuto immaginarlo, 150 o anche 100 anni fa? (E chi avrebbe potuto immaginare un presidente che, per la prima volta da quando l’Italia è una repubblica, rende omaggio alla tomba di un re di casa Savoia?).

I.

Punto di partenza: mi sono chiesto cosa sapete di “questa storia”. Per capirlo, visto che molti di voi hanno concluso da pochissimi anni la scuola superiore, ho dato uno sguardo a due dei principali manuali di storia in uso attualmente nei licei. Giardina-Sabbatucci-Vidotto parla di “crociata ideologica” del mondo cattolico, guidata da Pio IX e di “battaglia puramente negativa contro la civiltà del tempo”. E riguardo al fronte opposto, quello che agiva “contro” la Chiesa, scrive che nel 1850 le leggi Siccardi “posero fine agli anacronistici privilegi di cui il clero ancora godeva” (ma il testo tace sulla confisca e l’incameramento dei beni ecclesiastici). Anche Gaeta-Villani si esprime con entusiasmo circa le leggi Siccardi: “liberarono il Piemonte da alcuni privilegi ecclesiastici”; Cavour “riuscì a ridurre il numero dei religiosi negli stati sardi, a incamerare i beni di quelli soppressi, a togliere alle congregazioni religiose la personalità giuridica”; “venne soppressa una gran quantità di enti religiosi e i loro beni vennero posti in vendita”. Sembra che aver ridotto il numero di suore e frati, aver soppresso enti religiosi e averne preso i beni (senza alcun rispetto per il diritto di proprietà, pure molto venerato dalla borghesia liberale come da quella conservatrice) sia stata un’opera benefica e meritoria…

È fondata la presentazione che, sia pur concisamente, offrono i manuali citati, soprattutto riguardo alla battaglia di retroguardia della Chiesa contro la cultura del tempo, lo Zeitgeist? Sostanzialmente sì, ma è incompleta e omette alcuni profili importanti. Vediamo anzitutto perché è fondata. Mi limito a due aspetti, che mi sembrano sufficientemente illustrativi ed efficaci:

1) L’atteggiamento della Chiesa verso i libri: si possono citare G. G. Belli, sonetto 1120 (Er mercato de piazza Navona): Che predicava alla missione er prete? / “Li libbri nun zo robba da cristiano / Fiji, pe carità, nu li leggete”, e il vescovo di Saluzzo, mons. Gianotti, che in una pastorale del 1850 scrisse: “Prima di leggere un libro, un almanacco, uno scritto qualunque che non conosciate, consultate il vostro pastore, un dotto e pio sacerdote, e non vi fidate di appressare incauti le labbra alla tazza velenosa”.

2) Il Sillabo, allegato a un’enciclica di Pio IX del 1864. Tra le affermazioni condannate nel Sillabo si trovano le seguenti:

XV. Ciascun uomo è libero di abbracciare e professare quella religione, che con la scorta del lume della ragione avrà reputato essere vera.

XVII. Almeno si deve ben sperare dell’eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.

LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.

LXXVI. L’abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.

LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l’unica religione dello Stato.

LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.

Dunque, una Chiesa retriva e oscurantista contro civiltà, progresso e libertà, un peso frenante rispetto all’avanzare della storia. Così appariva anche ad alcuni contemporanei, ad esempio al disegnatore di una vignetta del 1862, ingenua e rozza, ma a suo modo efficace: la figura sgradevole e segaligna di un prete che tenta invano di opporsi all’inarrestabile marcia del “progresso”, simboleggiato da una delle grandi innovazioni tecniche dell’Ottocento, la ferrovia; è chiaramente destinato ad essere travolto e non si rende conto di essersi messo contro una forza che presto lo spazzerà via.

II.           

Fin qui, tutto pare confermare le affermazioni dei manuali scolastici. Tuttavia, manca qualcosa: manca il tentativo di capire il perché di un tale atteggiamento del mondo ecclesiastico. O si ammette che fossero quasi tutti (papa, cardinali, vescovi, teologi ecc.) straordinariamente ottusi e dotati di formidabili e robustissimi paraocchi mentali che impedivano loro di vedere la realtà del tempo nel quale vivevano, oppure dobbiamo cercare di approfondire e comprendere meglio.

Per provare a capire, pensiamo a cosa avevano visto e sperimentato i prelati della generazione di Pio IX (cioè persone nate alla fine del Settecento): la rivoluzione francese arrivata a Roma, l’albero della libertà eretto in Campidoglio, la repubblica romana, violenze anticlericali, seminari e conventi requisiti, chiese e case religiose spogliate di opere d’arte e di arredi sacri per poter pagare la somma imposta dai francesi (i triregni dei papi, come i calici e le pissidi delle chiese di Roma, fusi in lingotti); il papa, per la prima volta da secoli, preso prigioniero, allontanato da Roma, portato in Francia e lì morto in esilio (Pio VI nel 1799): l’ultimo papa, secondo l’auspicio di alcuni. Il conclave, per la prima volta da quasi quattro secoli, non si può tenere a Roma e si svolge a Venezia (nel monastero benedettino dell’isola di San Giorgio, 1800). Il nuovo papa dopo qualche anno subisce la stessa sorte del predecessore, con Roma annessa all’Impero francese, Pio VII prigioniero (1809) e portato a Savona, dove rimane isolato per alcuni anni, mentre i cardinali a lui più vicini sono imprigionati Certo, poi giunge la Restaurazione; ma quante novità, avvertite come insidie e minacce, affiorano e si impongono: moti rivoluzionari, sette massoniche, il pensiero liberale che si diffonde e in varie nazioni diventa politica di governo: la società non è più ufficialmente cristiana, non è più confessionale, anche quando (art. 1 dello Statuto albertino) il cattolicesimo è proclamato religione di stato. Vengono approvate in alcune nazioni nuove leggi, che tolgono alla Chiesa privilegi (diritto d’asilo, giurisdizione separata), ma anche diritti (di proprietà, di fondazione, di continuare a vivere come religiosi o religiose nell’ordine che si è scelto). Nel 1849, di nuovo una repubblica romana, col papa costretto a fuggire fuori dei suoi stati e vari episodi di violenza anticlericale. Intanto, nel regno di Sardegna, che si candida a guidare il processo unitario italiano, negli anni Cinquanta dell’Ottocento si susseguono leggi e provvedimenti avversi alla Chiesa (le leggi Siccardi menzionate all’inizio, fortemente sostenute da Cavour, con ordini religiosi soppressi, conventi espropriati, beni confiscati); tali leggi verranno estese e rafforzate dopo l’unificazione nazionale: le confische riguarderanno anche molti edifici di pregio storico e artistico (monasteri e conventi, rapidamente trasformati in caserme, scuole, tribunali, sedi di uffici statali, …) biblioteche ecclesiastiche, opere d’arte contenute negli edifici confiscati, boschi secolari posseduti da abbazie e diocesi (subito messi all’asta e dai nuovi proprietari abbattuti per realizzare un immediato guadagno vendendo il legname) ecc.

Era quindi quasi inevitabile che molti uomini di Chiesa, salvo rare e illuminate eccezioni, si sentissero in una cittadella assediata, col “nemico” che guadagnava continuamente terreno. Il Sillabo mostra chiaramente una simile mentalità: è un elenco di errori, ma in fondo è anche un catalogo delle paure. Parole e concetti che per altri significavano progresso e avanzamento civile, culturale e politico (libertà di opinione e di stampa, libertà di culto, eguaglianza di doveri e diritti) per quei prelati e teologi significavano sovvertimento dell’ordine (il loro ordine mentale, l’ordine sociale stabilito e perfino, nella loro visione, l’ordine “architettonico” impresso al mondo dal Creatore): ai loro occhi i diritti della verità e dell’errore venivano equiparati, causando grave rischio per la salvezza delle anime! Le parole fondamentali del lessico “liberale” e unitario evocavano per la Chiesa del tempo individualismo esasperato, nazionalismo bellicoso ed elevato quasi a “religione della patria”, minacce alla libertà della Chiesa, memorie di papi catturati e maltrattati, di cardinali imprigionati, di beni sequestrati. Tutti segni collegati alla “rivoluzione”: infatti Pio IX definisce il demonio come “il primo rivoluzionario” (rischiando così di renderlo simpatico: uno spirito libero che si ribella contro un potere assoluto…).

Il potere temporale, in tale contesto, appare al papa e a gran parte del clero come una garanzia per l’indipendenza della S. Sede, ancor più necessaria nel clima di difesa contro gli “assalti” che sembravano provenire da ogni parte; del resto, la storia aveva spesso mostrato che un’autorità religiosa senza indipendenza politica veniva facilmente asservita dai sovrani e dai governi. Il dogma dell’infallibilità pontificia (1870) assume allora il valore di una sorta di “arma finale” della quale il papa, nella situazione di assedio culturale e politico in cui si sente, ritiene necessario dotarsi.

Alcune citazioni:

- “La Civiltà Cattolica”, 1861: La morte del conte di Cavour fu un castigo di Dio e un avviso ai suoi complici. […] Sventura proceduta da Dio irato giustamente per tanti delitti […] Se vi è morte che porti seco chiaramente l’impronta di una vendetta celeste, questa è la morte del conte di Cavour.

- “L’Osservatore Romano”, primo numero (1° luglio 1861): L’Italia è ormai divisa in due campi contrari, ognuno dei quali avendo francamente innalzata la propria bandiera, tutti coloro che parteggiano per uno dei combattenti, sono di necessità in un’opposizione irreconciliabile rispetto all’altro.

- Per Pio IX (dichiarato beato nel 2000), che ripete in questo caso le parole del predecessore Gregorio XVI, sostenere che la libertà di coscienza e di culto è un diritto proprio di ciascun uomo è un delirio. E lo stesso Pio IX, qualche tempo dopo la conquista di Roma da parte delle truppe italiane, si compiace di elencare una serie di disastri: Si aumenta sensibilmente il numero dei flagelli, ai quali, dopo la funesta breccia di Porta Pia, sembra che Iddio abbia permesso libero corso, quasi direi a significare che, strappata Roma ai pontefici, cresca e si dilati il regno della desolazione e della morte. Cominciò il Tevere con le sue inondazioni, e queste furono seguite da altre più gravi in moltissimi punti della penisola. Il fuoco vulcanico cagionò attorno a sé gravi danni nel mezzogiorno d’Italia. Una malattia si è presentata sterminatrice della tenera età e ha mietuto vittime innumerevoli, forse perché Iddio ha voluto preservare dai mali morali un numero grande di fanciulli, ne malitia mutaret intellectum eorum, accrescendo così il numero dei beati comprensori del paradiso. (Prosegue poi con le grandini devastatrici e il morbo asiatico…).

III.

Alla visione “difensiva” della Chiesa corrispondeva tra gli artefici dell’unificazione una mentalità secondo la quale il processo unitario doveva essere condotto anche perseguendo una politica anticlericale, che per alcuni talvolta assumeva le espressioni di un aperto anticattolicesimo. Non si trattava solo di applicare i principi liberali, ma si andava molto oltre; lo slogan era “libera Chiesa in libero stato”, ma di fatto si cercava di assoggettare la sfera religiosa alle leggi statali (con residui di giurisdizionalismo settecentesco), tentando di ridurre la Chiesa “nelle sagrestie” e senza ruolo pubblico. Ad esempio, la diffusione del Sillabo fu proibita in Italia e i preti non poterono leggerlo nelle chiese; il vescovo di Mondovì, che trasgredì il divieto, fu condannato a tre mesi e mezzo di carcere; poi, dopo un mese, il governo ci ripensò e permise la diffusione del documento pontificio. Altri esempi numerosi e diversi: arresti, processi e condanne di vescovi perché non allineati con nuovo regno unitario (alcuni vescovi erano stati allontanati dalle loro diocesi già prima dell’unità italiana: gli arcivescovi di Torino e di Cagliari erano stati condannati all’esilio perpetuo dal regno di Sardegna), magari soltanto perché si erano rifiutati di cantare il Te Deum il giorno della festa dello Statuto; beni espropriati, abolizione di ordini, conventi forzatamente svuotati, divieto a vescovi e clero di comunicare con la S. Sede, vescovi ai quali non si concede il passaporto per andare nello Stato Pontificio, obbligo mantenuto di richiedere l’exequatur e il placet (cioè atti di controllo e potere statale su elementi interni alla vita della Chiesa, come nomine e atti relativi alle proprietà), giuramenti di fedeltà d’Italia richiesti ai vescovi. Nel 1865 erano già oltre 100 le diocesi italiane vacanti, o per allontanamento imposto ad alcuni vescovi o perché ai vescovi di nuova nomina non veniva consentito di prendere possesso della diocesi se non riconoscevano il regno d’Italia. Vi furono perfino grotteschi casi di perquisizioni, come avvenne nelle stanze di don Bosco, cercando una presunta corrispondenza segreta con la S. Sede.

Per un’idea del clima culturale possiamo ricordare Carducci che scrive l’Inno a Satana (1863) e In una chiesa gotica, dalla quale sono tratti i versi seguenti:

Non io le angeliche glorie né i démoni, / io veggo un fievole baglior che tremola / per l’umid’aere: freddo crepuscolo / fascia di tedio l’anima. / Addio, semitico nume! Continua / ne’ tuoi misterii la morte domina. / O inaccessibile re de gli spiriti, / tuoi templi il sole escludono. / Cruciato màrtire tu cruci gli uomini, / tu di tristizia l’aër contamini: / ma i cieli splendono, ma i campi ridono, / ma d’amore lampeggiano / gli occhi di Lidia.

Dopo aver “fatto l’Italia” occorreva, secondo gli artefici dell’unificazione, “fare gli italiani” (secondo la famosissima frase di Massimo d’Azeglio), in clamorosa contraddizione con l’idea che aveva motivato tutte le aspirazioni unitarie: cioè che gli italiani esistevano già da secoli e mancava solo la loro unificazione politica. Ma in realtà quella frase significava che occorreva “rifare” gli italiani su un nuovo stampo.       

La Chiesa era considerata responsabile di aver tenuto lontana la massa della popolazione dal progresso e dalla modernità: quindi occorreva liberare le masse dall’influenza “clericale”. Lo stato liberale lottava con la Chiesa non solo per conquistare territori, ma anche per conquistare le coscienze.

Alcune citazioni:

- Cavour, 1855: Gettate uno sguardo intorno a voi, e paragonate le condizioni economiche e civili dei vari Stati d’Europa, e riconoscerete che il progresso da esse compiuto in questi ultimi tre secoli è in ragione inversa dei frati che si sono in essa mantenuti.

-  Garibaldi, 1873: I preti sono nocivi al nostro paese più che i lupi e gli assassini.

- Garibaldi nel suo romanzo I Mille: Quando le scritture - che gli stupidi ed i furbi chiamano sante o sacre - collocarono allato della coppia primitiva il serpente per tentare la prima debole donna, esse avrebbero dovuto a tante invenzioni aggiungere l'invenzione d'un prete invece del rettile, essendo il prete il vero rappresentante della malizia e della menzogna - più atto assai alla corruzione e al tradimento che non lo schifoso e strisciante abitatore delle paludi. (Nei romanzi di Garibaldi c’è quasi sempre un prete – ipocrita, malvagio e ripugnante – che attenta alla virtù di un’ingenua fanciulla).

- Garibaldi, testamento: Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d'un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in particolare.

IV.

Le posizioni più estreme (dei clericali e degli anticlericali) si rafforzavano a vicenda, in un certo senso, poiché l’esistenza e le azioni (o anche solo gli eccessi verbali) degli uni giustificavano quelle degli altri.

Pochi spiriti illuminati, in campo cattolico, cercavano di cogliere le potenzialità della nuova situazione, di vedere la libertà come possibilità positiva e non come errore e minaccia, ma avevano vita difficile (penso a Rosmini, dichiarato beato nel 2007) e dovevano camminare su un sentiero molto stretto, tra diffidenze di entrambe le parti. Un difficile destino, il loro, in vita, e apparentemente una posizione rivelatasi quasi fallimentare nell’immediatezza: ma la loro intuizione è stata valorizzata molti anni dopo e ci consente di guardare al cattolicesimo dell’epoca con meno disagio.

In generale, mancò la capacità, nella Chiesa, di discernere cosa era caduco (privilegi, religione di Stato, integrità del dominio temporale) e cosa era giusto difendere perché essenziale (diritti delle comunità religiose, indipendenza della Chiesa, dignità della fede contro facile anticlericalismo o anticristianesimo, universalità contro nazionalismo).

Per la Chiesa vi furono anche effetti positivi, comunque: vi fu un serrare le fila che la rese più unita e il legame dei cattolici con la S. Sede si rafforzò molto. Inoltre, apparve una fioritura di attività e iniziative pratiche: dai Salesiani di san Giovanni Bosco a centinaia di nuove congregazioni religiose (molte femminili, in grande e rapida evoluzione) fondate in quegli anni, spesso indirizzate ad attività caritative o assistenziali (poveri, orfani, scuole, ospedali…); associazioni laicali in vari ambiti; nascita e diffusione della stampa periodica cattolica destinata a un pubblico esteso. Alla perdita di prestigio, alla laicizzazione dello stato, delle leggi e delle istituzioni pubbliche, cioè alla perdita di influenza “dall’alto” nella società, si reagì moltiplicando le iniziative e la presenza attiva “dal basso”.