La vera storia delle Gallerie dell'Accademia di Venezia per capire la vera storia d'Italia all'arrivo dei rivoluzionari francesi (II parte), di Andrea Lonardo 5/ I teleri con le Storie delle reliquie della Croce depredati alla Scuola di San Giovanni Evangelista 6/ I teleri di Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto depredati alla Scuola Grande di San Marco 7/ L’istituzione laica delle Scuole di Venezia 8/ Un elenco delle opere depredate alle chiese di Venezia all’arrivo dei rivoluzionari francesi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /11 /2016 - 22:10 pm | Permalink | Homepage
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N.B. Ripresentiamo su nostro sito la II parte di uno studio di Andrea Lonardo. La I parte è on-line al link La vera storia delle Gallerie dell'Accademia di Venezia per capire la vera storia d'Italia all'arrivo dei rivoluzionari francesi. Per la I parte, vai a Le Gallerie dell'Accademia di Venezia. Guida per la visita (I parte), di Andrea Lonardo.

Il Centro culturale Gli scritti (27/11/2016)  

5/ I teleri con le Storie delle reliquie della Croce depredati alla Scuola di San Giovanni Evangelista (Vittore Carpaccio, Gentile Bellini, Lazzaro Bastiani, Giovanni Mansueti e Benedetto Rusconi)

Gli otto teleri oggi nella Sala 20, ornavano originariamente la Sala dell'Albergo (o della Croce) della Scuola di San Giovanni Evangelista[1]. Narrano ciascuno un miracoli attribuito alla reliquia della Vera Croce, regalata alla confraternita della Scuola e divenuta subito oggetto di venerazione.

Sono i teleri “rubati” dalla Sala dell’Albergo o della Croce della Scuola di San Giovanni Evangelista. La Scuola, infatti, possiede dal 1369 una reliquia della Croce del Signore, donata da Filippo di Mezièrs gran cancelliere dell’isola di Cipro. La Scuola venne soppressa nel 1806 ed i teleri vennero consegnati alle Gallerie nel 1820 per essere esposti insieme solo a partire dal 1947.

Essi rappresentano tutti miracoli attribuiti alla Santa Croce e alla sua reliquia, proprio a motivo del fatto che nella Scuola era venerata tale reliquia della passione del Signore.

Il ciclo pittorico risale alla fine del XV secolo, esattamente tra il 1494 e il 1501, come si evince dalle date apposte sui dipinti stessi come da altre fonti, in particolare un opuscolo del 1590, Miracoli della Croce. Quest’ultima fonte ricorda anche i nomi degli autori.

Poiché il ciclo rappresenta diversi miracoli non vi è un procedere narrativo dell’iconografia da un telero all’altro, bensì ognuno racconta un diverso episodio indipendente, legato solo dalla fede nell’importanza della Santa Croce del Signore: la reliquia, infatti, rimanda al potere salvifico della Croce di Cristo, segno del suo amore. È tale amore che è apportatore di bene, anche se il miracolo avviene grazie alla reliquia stessa.

Vittore Carpaccio, Miracolo della reliquia della Croce al Ponte Rialto

L’opera racconta la guarigione di un ossesso da parte del patriarca di Grado, Francesco Querini, tramite la reliquia della Croce. Sulla destra si vede la processione che si sta recando dall’ossesso e attraversa il Ponte di Rialto che è ancora in legno e mobile, per permettere il passaggio delle navi con le alberature più alte.

A sinistra in basso si vede il patriarca che sta per entrare nella casa dove si trova l’ossesso.

A sinistra in alto si vede l’ostensione della reliquia e l’avvenuto miracolo di guarigione. Per la fede cristiana la liberazione di un ossesso è giustamente un miracolo: Cristo è più forte del Maligno e dove egli arriva il male fugge.

Il telero è dipinto con tale realismo che gli storici dell’arte vi riconoscono a destra antichi edifici come il Fondaco dei tedeschi, (distrutto poi nell’incendio del 1505 e successivamente ricostruito), i campanili delle chiese di San Giovanni Crisostomo e dei Santi Apostoli, il porticato di Ca’ da Mosto tuttora esistente. A sinistra è visibile, invece, l’insegna dell’Albergo dello Storione e la loggia, ritrovo dei frequentatori del mercato.

Il telero venne tagliato nella parte bassa per la realizzazione dei una porta e poi nuovamente reintegrato in maniera arbitraria.

Gentile Bellini, Processione in piazza San Marco e miracolo della guarigione del figlio di Jacopo de’ Salis

È forse il telero più famoso del ciclo, perché mostra lo stato di piazza San Marco al tempo. Ricorda il miracolo avvenuto il 25 aprile 1444 quando il figlio del mercante Jacopo de’ Salis venne guarito dopo che il padre ebbe invocato l’aiuto del Signore nel corso della processione della reliquia della Santa Croce. Il fatto, però, non è descritto, mentre si mostra l’intera Scuola in processione con al centro il baldacchino sotto il quale è portata la reliquia.

Fa da maestoso sfondo alla processione la piazza di San Marco come era nel l’anno 1496 (la data e la firma dell’autore sono esattamente al centro, in basso.

Il pavimento della piazza è ancora quello antico rosato in mattone. La facciata di San Marco mostra gli antichi mosaici (oggi è sopravvissuto solo quello a sinistra), la Porta della Carta è ancora ricca di policromia. Sulla destra si vede l’antico campanile e l’Ospizio Orseolo che venne poi demolito nella risistemazione sansoviniana della piazza. 

Il telero ha due integrazioni ai due lati in basso: probabilmente era prima posto sul lato opposto all’altare e dotato di due accessi e venne poi spostato sul lato a finestre.

Gentile Bellini, Miracolo della reliquia della Croce al Ponte di San Lorenzo

Secondo la tradizione la reliquia della Santa Croce cadde in acqua in una data imprecisata tra il 1370 e il 1382 durante una processione nel momento in cui si era vicini alla chiesa di San Lorenzo e sul ponte omonimo. Nessuno fu in grado di riportarla sula terra fino a che lo stesso guardiano della Scuola Grande, Andrea Vendramin guardian grande, scese in acqua per recuperarla.

A sinistra si vede Caterina Cornaro con le sue dame, mentre a destra sono cinque uomini inginocchiati, probabilmente membri della Scuola.

Al centro la firma e la data del 1500.

Gentile Bellini, Miracolosa guarigione di Pietro de’ Ludovici

Vi si narra di come Pietro de’ Ludovici fosse stato guarito dalla febbre quartana quando gli venne portata una candela che aveva bruciato dinanzi alla reliquia della Santa Croce. Il dipinto è del 1501, probabilmente iniziato da Jacopo Bellini e terminato da Gentile. La parte in basso è una integrazione.

Benedetto Rusconi detto Benedetto Diana, Miracolo della reliquia della Santa Croce

Il telero racconta della prodigiosa guarigione, il 10 marzo 1480, di un bambino caduto da un solaio, il figlio di ser Alvise Finetti. L’opera si data entro il 1510.

Giovanni Mansueti, Miracolosa guarigione della figlia di Benvegnudo da San Polo

L’opera mostra la guarigione di una ragazza che era paralizzata fin dalla nascita, la figlia di Benvegnudo. La giovane guarì, secondo la tradizione, quando le furono portate tre candele che avevano bruciato dinanzi alla reliquia della Croce.

L’opera viene datata al 1502.

Giovanni Mansueti, Miracolo della reliquia della Croce in campo San Lio

Il dipinto narra del fatto che, in occasione del funerale, nel 1474, di un confratello della Scuola troppo poco devoto, la reliquia divenne talmente pesante da essere intrasportabile, finché non la prese il parroco della chiesa di San Lio. Un personaggio a sinistra che porta la mano al berretto tiene un cartiglio con il nome dell’autore della tela, che si definisce discepolo del Bellini. A destra un altro cartiglio recita “Casa da fitar ducati 5 “

Lazzaro Bastiani, Offerta della reliquia della Croce ai confratelli della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista

Raffigura l’offerta, fatta nel 1369, della reliquia stessa di cui trattano tutti gli altri teleri, del frammento della Croce del Signore da parte di Filippo di Mezièrs gran cancelliere dell’isola di Cipro, alla Scuola Grande di San Givanni Evangelista. Nel telero la chiesa ha ancora il portico che venne poi demolito.

6/ I teleri di Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto depredati alla Scuola Grande di San Marco

Nella sala 10 sono riuniti oggi i teleri che Jacopo Tintoretto aveva dipinto per la Sala Capitolare della Scuola di San Marco (la sala contiene anche altre opere importanti, come quelle del Veronese, molte delle quali similmente depredate con le soppressioni).

Si è già detto nella I parte (cfr. Le Gallerie dell’Accademia di Venezia. Guida per la visita, prima parte, di Andrea Lonardo 1/ La vera storia delle Gallerie dell’Accademia di Venezia: per capire la storia d’Italia all’arrivo dei rivoluzionari francesi 2/ I dipinti superstiti della chiesa di Santa Maria della Carità e i teleri depredati alla Sala dell’albergo della Scuola grande di San Marco, presenti nella sala 23 3/ I teleri di Vittore Carpaccio con le storie di Sant’Orsola e delle undicimila vergini depredati alla Scuola di Sant’Orsola 4/ Storia della chiesa di Santa Maria della carità (oggi sala delle Gallerie dell’Accademia di Venezia)) che le Gallerie dell’Accademia raccolgono le opere depredate alla Scuola dalla Sala dell’Albergo (nella Scuola odierna nella Sala dell’Albergo sono oggi solo riproduzioni originali delle opere un tempo in situ e oggi alle Gallerie).

Le opere raccolte nella Sala 10 erano pertinenti, invece, alla più grande Sala Capitolare, il salone cui si accedeva dagli Scaloni del Codussi, anch’essi distrutti nell’ottocento con le Soppressioni quando la Scuola fu trasformata in Ospedale, e poi ricostruiti nel novecento.

Nella Sala capitolare sono visibili oggi solo 5 delle opere un tempo lì presenti e precisamente la pala d’altare di Palma il Giovane con Cristo in gloria con San Marco, Pietro e Paolo, realizzata nel 1614, e 4 teleri con San Marco benedice le isole di Venezia, il Trasporto del corpo di San Marco sulla nave, l’Arrivo della nave con il corpo di San Marco a Venezia, e l’Apparizione delle spoglie di San Marco.

L’Apparizione delle spoglie di San Marco venne iniziato da Andrea Schiavone per raccontare l’episodio che la leggenda data all’8 ottobre 1094 (il corpo era stato nascosto per paura di saccheggi e nessuno sapeva più dove si trovasse e in quel giorno San Marco stesso si manifestò indicando il luogo). Alla sua morte nel 1563, l’opera venne completato da Jacopo e Domenico Tintoretto (padre e figlio), i quali realizzarono poi anche i successivi teleri del ciclo. Nel San Marco benedice le isole di Venezia si vede l’evangelista inviato secondo la tradizione da san Pietro in laguna che benedice le capanne dei veneziani del I secolo. Negli altri due teleri si narra della traslatio del corpo di san Marco da Alessandria d’Egitto a Venezia nell’anno 828/829.

Il ritrovamento del corpo di San Marco, sempre del Tintoretto, è invece finito dopo le Soppressioni, nella Pinacoteca di Brera.

Altri quattro teleri del ciclo sono invece, appunto, alle Gallerie dell’Accademia dove vi giunsero alla Soppressione della Scuola trasformata in Ospedale civile.

P.S. A riprova del silenzio che circonda la storia della soppressione delle Scuole e il “furto” delle loro opere, si può vedere questo video didattico dell’Ospedale di Venezia che occupa le sedi dell’antica Scuola dove i rari accenni al fatto sono riferiti con parole del tipo “nei primi dell’ottocento si ebbero trasformazioni”, “gli scaloni del Codussi vennero distrutti agli inizi dell’ottocento per essere poi ricostruiti”, ecc. Non un solo accenno esplicito viene fatto a quel terribile e devastante periodo: https://www.youtube.com/watch?v=ZCVe7ZU9BC0

San Marco libera uno schiavo

L’opera racconta la storia di uno schiavo che ad Alessandria d’Egitto, essendosi recato contro la legge a venerare le reliquie di San Marco, venne condannato ad essere accecato e ad avere gli arti spezzati. San Marco appare dal cielo e salva lo sventurato.

L’opera è la prima realizzata dal Tintoretto (Jacopo Robusti) per la Scuola Grande di San Marco nel 1548.

Trafugamento del corpo di San Marco

L’opera mostra la vicenda avvenuta nell’828/829 quando due mercanti veneziani, Bon da Malamocco e Rustego da Torcello, sottrassero ad Alessandria d’Egitto le spoglie di San Marco. Tintoretto la dipinse tra il 1562 e il 1566. 

San Marco salva un saraceno

Il telero mostra il salvataggio miracoloso da parte di San Marco di un musulmano che aveva invocato il santo durante la tempesta che stava per far affondare la nave su cui si trovava. Il santo lo salva mentre il vascello viene distrutto. L’opera venne realizzata fra il 1562 e il 1566.

Sogno di San Marco

Nell’opera l’angelo appare all’evangelista Marco che è in laguna per predicare. L’angelo gli annunzia che sarà in quel luogo che infine il suo corpo troverà riposo. L’opera è del 1585, nell’anno in cui il Tintoretto chiese che il figlio Domenico, il genero e due amici fossero accolti nella confraternita stessa della Scuola. A Domenico è attribuito l’angelo del telero.

7/ L’istituzione laica delle Scuole di Venezia

L’istituzione delle Scuole a Venezia, dal Medioevo fino alla dissoluzione della Repubblica nel 1797 non può essere compresa in altro modo che a partire da quel principio di sussidiarietà che la Chiesa ha sempre proposto e difeso, anche se il termine è più recente[2]. Con tale concetto si vuole intendere che lo Stato, in questo caso la Repubblica Veneta, non ha un potere assoluto bensì è “sussidiario” - e deve esserlo -  di quegli organismi intermedi fra il cittadino e lo Stato che i cittadini stessi creano naturalmente o a motivo della loro inventiva.

Lo Stato, solo per fornire un esempio, non ha un potere sulla famiglia, bensì la serve ed è sussidiario ad essa, cioè la aiuta. Non è lo Stato a formare la famiglia, bensì la famiglia precede lo stato ed è più costitutiva nella società dello Stato stesso. Similmente le corporazioni, i sindacati, le associazioni, le parrocchie e la Chiesa, le sinagoghe, i partiti, ecc. precedono lo Stato ed è quest’ultimo ad essere loro “sussidiario”; ad avere cioè il compito di promuoverli e sostenerli perché senza di essi la società non potrebbe vivere. Ogni stato dittatoriale, invece, smette di sostenere il libero associazionismo dei cittadini e avoca a sé tutto ciò che esso precedentemente realizzava.

Le Scuole di Venezia erano – e sono - libere associazioni di cittadini che si riuniscono per compiere opere pubbliche, ad esempio per realizzare la cura dei malati e l’accoglienza, e la repubblica è loro sussidiaria, cioè non ha il diritto di abrogarle, bensì il dovere di promuoverle e sostenerle perché dal benessere delle libere associazioni dei cittadini dipende il benessere dello Stato stesso.  

Così scrive Gullino in merito:

«A Venezia non ci fu mai un Monte di Pietà (al tempo della Serenissima, s'intende), né una struttura ospedaliera statale permanente, in grado di offrire ricetto a poveri e ammalati, e recuperarli alla società avviandoli al lavoro, secondo l'esempio olandese tanto ammirato da parte dei nostri ambasciatori seicenteschi, come un Giorgio Giustinian nel 1608 o un Girolamo Trevisan nel 1620. Ho detto statale, escludendo dunque istituzioni private o semiprivate di origine tardo medioevale sorte grazie a lasciti di singoli testatori laici, come la Ca' di Dio o l'ospedale della Pietà, oppure quelle cinquecentesche degli Incurabili, dei Mendicanti o delle Zitelle; e così per tutta la seconda metà del Settecento si discusse in Senato l'istituzione di un "Albergo dei poveri", ma non se ne fece nulla. Eppure Venezia era un porto frequentato da varia umanità che proveniva da ogni luogo del Mediterraneo e dell'Europa: era una città di 140.000 anime, c'erano ebrei, greci, turchi, francesi, inglesi, tedeschi che producevano ricchezza, ma anche sacche di povertà ed emarginazione. Perché dunque Venezia, nei secoli XVII e XVIII, non imitò l'Olanda, non seguì l'esempio dei paesi più avanzati?

Io credo che una possibile risposta consista nel fatto che la città disponeva, da tempo, di una valida rete di ammortizzatori sociali, se così possiamo chiamarli. In altri termini, […] Venezia disponeva già di una vasta rete assistenziale, sedimentata nella città attraverso i secoli e risalente al Medioevo. Insomma: queste strutture qui in laguna esistevano già da un pezzo e si erano, per così dire, incarnate nello stesso tessuto urbano, nell'economia e nella psicologia della società veneziana.

Ed erano una miriade, prime fra tutte le Scuole che però, si badi, solitamente non si occupavano di vagabondi, disadattati o malati gravi o delinquenti e prostitute, ma di persone rispettabili e di provata devozione. Secondo la definizione di Brian Pullan, la Scuola a Venezia era "un'associazione religiosa governata da funzionari laici elettivi", istituita per la devozione e il culto di un santo, nonché per la mutua assistenza dei confratelli e la loro sepoltura religiosa". Gli aderenti erano legati tra loro da vincoli che nascevano con la prestazione del giuramento di osservare lo statuto (mariegola), vincoli simili a quelli che legavano tra loro i componenti della famiglia, sicché la Scuola era in qualche modo l'equivalente di una "famiglia artificiale".

Esse si dividevano in due grandi categorie, anche se i loro limiti non erano sempre nettamente distinguibili: le Scuole Piccole e le Grandi. Le Piccole tendevano soprattutto a raggruppare appartenenti alla stessa corporazione di mestiere (le Arti) o (ma eccezionalmente e per periodi limitati) minorati fisici, come le Scuole dei "orbi" a Sant'Angelo e quella dei "zotti" a San Samuele; le Grandi invece riunivano soggetti impegnati in mestieri diversi, per cui rivestivano un più spiccato carattere devozionale.

Qui ci occupiamo delle sei Scuole Grandi, che erano quella di Santa Maria della Carità, San Giovanni Evangelista, Santa Maria della Misericordia, San Marco, San Rocco e San Teodoro, quest'ultima teoricamente la più giovane, visto che fu dichiarata "Grande" solo nel 1552, ma in realtà esistente già da secoli, laddove le più antiche sono ricollegabili al movimento dei flagellanti, guidati da Ranieri Fasani, che tra il 1260 e il 1261 percorse l'Italia centro-settentrionale praticando la flagellazione, appunto, come atto supremo di devozione»[3].

Le Scuole appartenevano così essenzialmente alla vera e libera democrazia che si viveva, sia pure con modalità del tempo, in Venezia: si potrebbe di re che nella Repubblica di Venezia restan o vivi nel tempo, più che in altri luoghi,  quei valori dell’istituzione del libero Comune medioevale che generò tanta cultura nell’Italia del tempo: esso non solo proteggeva, ma anzi incentivava la libera organizzazione dei cittadini, come contraltare dei poteri politici:

«Erano un elemento di quella sorta di autogoverno con cui la classe patrizia frazionava il suo potere politico, delegandone taluni aspetti alle varie componenti sociali della città; v'erano così le corporazioni di mestiere, gli arsenalotti, i “nicolotti", le congregazioni del clero, le parrocchie dove i fedeli eleggevano il piovano, gli ospedali, i monasteri, le Scuole. Questa parcellizzazione del potere dava ai veneziani l'idea di una certa libertà, quasi un'eredità dell'antica democrazia del Comune medioevale in forme autogestite, e contribuiva grandemente a smussare frizioni altrimenti intollerabili.

Si spiega così, anche così, la tranquillità civile, la pace sociale goduta dai nostri avi per molte generazioni, senza, per dire, le dure contese che nel resto dell'Italia avevano contrapposto guelfi e ghibellini, bianchi e neri, Montecchi e Capuleti nei secoli ferrei del Medioevo; il tutto in nome dell'onnipresente protettore san Marco e dell'orgoglio di sentirsi veneziani»[4].

Ovviamente quando vennero impedite le libertà democratiche con l’arrivo dei rivoluzionari francesi vennero contestualmente soppresse anche le Scuole e il loro ruolo. Tutto doveva essere nelle mani dello Stato e solo di esso: 

«Come l’intera città, anche le nostre Scuole, infatti, patirono le conseguenze delle depredazioni, che seguirono la caduta della Repubblica nel 1797, ossia del saccheggio napoleonico. Fino ad allora, possiamo dire, esse erano state, assieme al Palazzo Ducale, il più ricco scrigno di cicli pittorici narrativi monumentali, un genere artistico tipicamente veneziano; poi furono lacrime. Solo la sede della confraternita di san Rocco riuscì a salvarsi dalla spoliazione, e l'evento appare per molti aspetti inspiegabile, a meno che non si voglia ipotizzare una non meno provvida, che tempestiva, intercessione del francese san Rocco presso il compatriota Eugenio Beauharnais»[5].

Le Scuole si dettero nei secoli strutture anche architettoniche funzionali al tipo di impegno che si assumevano liberamente nel copro sociale e venne coniata una forma tipica degli edifici a questo scopo: 

«Quanto alla struttura architettonica, alla fin, del XV secolo tutti gli edifici delle Scuole presentavano una pianta simile, distribuita su due livelli. Al piano nobile erano situate le due stanze principali: la "capitolare", chiamata anche sala maggiore o di riunione, e l"'albergo". La capitolare era generalmente dotata di un altare; nell'albergo, più piccolo e raccolto, usualmente il primo ad essere decorato, i sedici della Banca sbrigavano le incombenze amministrative e organizzavano le cerimonie devozionali. Il piano terra consisteva invece in un ampio salone a colonne a scopo funzionale, più un deposito dove conservare le reliquie per le processioni e lo spogliatoio ove indossare le "cappe".

Ovviamente, le confraternite si facevano carico di tutelare la moralità, e ancora nel XVI secolo le Scuole Grandi tenevano viva la pratica della flagellazione pubblica, come testimonianza di pentimento; ma a questo proposito bisogna fare attenzione, perché allora la percezione dei doveri, la sensibilità spirituale erano diversi dal nostro comune sentire. Non era infrequente, ad esempio, che un membro del Consiglio dei Dieci, il quale non si sarebbe mai sognato di mancare ai riti con cui i confratelli accompagnavano a morire sul patibolo qualche condannato; quello stesso senatore, dicevo, magari si era scordato di far liberare un galeotto che egli aveva fatto incarcerare e che aveva da un pezzo terminato di scontare la sua pena: in questo caso, evidentemente, la pietà prevaleva sul dovere, il sentimento religioso sull'esercizio del diritto.

Occasioni di moralità diventavano anche le processioni, che - come è noto - erano in realtà cerimonie pubbliche volte a esibire la ricchezza e la devozione della città; si pensi alla grande tela dipinta nel 1496 da Gentile Bellini, originariamente dedicata alla decorazione della Scuola di San Giovanni Evangelista e ora alle Gallerie dell'Accademia, lunga quasi sette metri e mezzo e intitolata "Processione a San Marco", in cui si vede il lungo corteo di tutte le confraternite uscire dalla Porta della Carta di Palazzo Ducale e snodarsi a contornare la Piazza»[6].

La Scuola Grande di San Giovanni Evangelista

Merita soffermarsi sulla storia delle diverse Scuole veneziane, per comprendere ancora di più l’origine, la funzione e l’organizzazione interna. Per quel che riguarda la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista Simeone ricorda:

«Mi capita spesso di parlare delle Scuole veneziane e a me piace citare le quattro Grandi più antiche, quelle dei Battuti o flagellanti costituitesi tra il 1260-1261, perché subito dopo, con un certo orgoglio di appartenenza posso affermare che l'unica ancora in attività è quella di San Giovanni Evangelista.

Infatti, Santa Maria Valverde alla Misericordia è chiusa, Santa Maria della Carità è diventata le Gallerie dell'Accademia e San Marco è l'attuale Ospedale Civile.

Sicché i nostri antenati appartenenti a questa "fraternitade de disciplina" e che originariamente si riunivano presso un altare nella chiesa di San Aponal,nel 1301 si trasferiscono in alcuni locali di fronte alla chiesa di San Giovanni Evangelista, concessi dalla ricchissima famiglia dei Badoer, in quel tempo proprietaria di quasi tutto ciò che si estendeva tra San Polo e l'attuale Piazzale Roma.

La testimonianza dei primi lavori di costruzione, eseguiti nel 1349, è data dal rilievo murato sulla parete esterna della Scuola, verso il campiello dove si legge "MCCCXLVIIII fo fato questo lavorier...".

Gli scopi e l'organizzazione della Scuola

Ma, chi erano i confratelli della Scuola, che cosa si proponevano e come erano organizzati?

Sfogliando l'elenco degli iscritti alla Scuola di quel tempo ecco che troviamo i nomi di artigiani e commercianti o anche semplici cittadini, residenti nelle diverse zone della città, come ad esempio:

ser Antonio Taiapiera de Sen Agnolo
ser Girardo Piliçer de Sen Pantalon
ser Bortolomio Sartor de Sen Aponal
ser Lunardo Orexe
ser Mafio Engegnier
ser Piero murer
ser Piero bancher.

Per vedere poi cosa si proponevano queste persone, andiamo a consultare le pagine della Mariegola, la madre regola, cioè lo statuto, in cui troviamo in primis la dichiarazione di devozione a nostro signore Gesù Cristo, alla Madonna e naturalmente a San Giovanni Evangelista.

Subito dopo è solennemente dichiarata l'assoluta fedeltà al Doge e al "Comun de Veniexia".

Di seguito troviamo i doveri di solidarietà, o meglio di carità, nei riguardi dei confratelli: si tratta di aiutare moralmente e materialmente i confratelli che si trovassero in difficoltà, di far visita all'ammalato, di vegliare il defunto e partecipare ai suoi funerali, di aiutare con i propri mezzi, poi si sarà rimborsati dalla Scuola, il confratello incontrato fuori Venezia con problemi economici.

Si arriva anche a prevedere dei letti all'interno della Scuola, dove poter dare assistenza a chi ne avesse bisogno, attraverso le prestazioni di medici appartenenti alla Scuola.

C'è inoltre da far fronte alle spese per il matrimonio delle figlie dei confratelli nel bisogno.

Per quanto riguarda il governo della Scuola, si provvede ogni anno all'elezione di un Guardian Grando,un Guardian da Matin,uno Scrivan e dodici Degani (decani), due per sestiere, con la possibilità di essere rieletti soltanto dopo due anni di contumacia. Le cariche non potevano essere rifiutate, pena l'espulsione dalla Scuola.

I preti, le donne, i nobili

Ma le donne, i nobili, i preti potevano o non iscriversi alla Scuola? Procediamo con ordine.

I sacerdoti, i preti, potevano essere iscritti alla Scuola, ma non ricoprire cariche di governo; la Scuola però aveva alle sue dirette dipendenze ben 30 preti (a quel tempo i religiosi non scarseggiavano come ora) che dovevano celebrare le sante messe di sei in sei a rotazione e se qualcuno di loro si fosse comportato male, la Scuola aveva facoltà di licenziarlo.

Per quanto riguarda le donne, anni fa ebbi occasione di chiedere alla dottoressa Maria Francesca Tiepolo: "Dottoressa, come mai non troviamo negli antichi elenchi donne iscritte alle nostre Scuole Grandi, quando proprio Lei ci ha insegnato, e i documenti di archivio ce lo confermano, che le donne veneziane, forse le uniche nell'Europa di allora, avevano addirittura la facoltà di stipulare contratti di compravendita e di disporre di tanti altri diritti?" La risposta fu: "Perché non ce n'era bisogno! Le donne godevano dei diritti propri delle Scuole tramite il genitore, il marito, il figlio". Mi convinsi della risposta, soprattutto pensando che a San Giovanni il numero degli iscritti era limitato a 550 e quindi, si poteva "accontentare" un maggior numero di famiglie.

Infine i patrizi, gli uomini del Gran Consiglio, potevano invece iscriversi alla Scuola "al so bon piaxer" senza sottostare ad alcuna "façion",vale a dire senza alcun obbligo finanziario (a meno che non lo facessero di loro spontanea iniziativa), di disciplina e di governo (fatto questo molto importante come a dire: voi nobili partecipate al governo della Città, noi borghesi gestiamo la Scuola in autonomia)»[7].

Campostrini così parla della soppressione rivoluzionaria della Scuola stessa:

«La Scuola San Giovanni Evangelista, come altre, è stata soppressa - com'è del resto a tutti ben noto - nel 1806 dagli occupanti francesi entrati in Venezia alla caduta della Serenissima Repubblica, i quali, ben imitati successivamente dagli amministratori locali dell'Imperial Regio Governo di Sua Maestà Cattolica di Vienna, fecero della sua splendida sede monumentale un magazzino di deposito. Le opere di maggior valore che adornavano il magnifico edificio furono espropriate; dal 1820 i preziosi quattrocenteschi teleri di Gentile Bellini, di Vittore Carpaccio, di Giovanni Mansueti e di Benedetto Rusconi si trovano però fortunatamente, riuniti in un'unica splendida sala, alle Gallerie dell'Accademia.

Per preservarlo da certa completa rovina (imputabile all'insipienza e all'insensibilità degli occupanti francesi e - soprattutto - austriaci), tale storico illustre edificio fu acquistato per 30.000 lire austriache dal demanio del Lombardo-Veneto nel 1855 da 83 illuminati e generosi veneziani, riuniti nella "Pia Società per l'Acquisto della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista". Le stesse persone nel 1856 fondarono la "Corporazione delle Arti Edificatorie di Mutuo Soccorso" con sede nella Scuola da poco acquisita, così da conservare non solo pietre che di per se stesse illustravano, come continuano a illustrare, pagine non di secondaria importanza della storia veneziana, ma anche nel proseguire a dare testimonianza di tradizioni di straordinaria rilevanza»[8].

La Scuola Grande di San Rocco

Riflettendo sulla Scuola Grande di San Rocco ulteriori elementi arricchiscono la comprensione di quelle realtà cittadine libere e socialmente rilevanti. Così ne scrive Tonon:

«Fra queste Scuole del Duecento non c'era però quella di San Rocco, che nacque e si sviluppò molto più tardi, non - come le altre - nel clima di una nuova epoca, ma in seguito ad una serie di eventi traumatici, cioè i periodici ritorni della peste, malattia incurabile che sembrava scomparsa da secoli, e che invece dal 1348 ricomparve terribile in Europa (ne conosciamo tutti la descrizione fatta dal Boccaccio nel Decamerone), falcidiando in quell'anno quasi un terzo della popolazione europea, per ritornare poi ad ondate successive, spesso micidiali. Secondo la fonte che in questa relazione viene seguita da vicino, la Vita de sancto Rocho del veneziano Antonio Diedo, databile al 1478 o 1479 - testo attendibile nelle sue linee principali, anche se recenti studiosi hanno accertato la mancanza di riscontri oggettivi a molti punti di esso - nel 1414 la peste si abbatté anche a Costanza, dove era stato convocato il XVI Concilio Ecumenico, e minacciò di impedirne l'effettuazione. Perché il morbo cessasse si dovette ricorrere con preghiere e processioni all'intercessione di un pellegrino vissuto nel secolo precedente, ritenuto capace di operare il prodigio. Il miracolo effettivamente avvenne: la peste cessò e il Concilio poté essere celebrato. Data anche l'eccezionalità della circostanza in cui l'episodio si verificò - un Concilio Ecumenico - la notizia della cessazione del morbo ottenuta in seguito ad un intervento così autorevole si diffuse rapidamente e fece nascere in varie città d'Italia, fra cui Venezia, confraternite di battuti intitolate a quel pellegrino. Secondo il Diedo, quel pellegrino, di nobile e potente famiglia, era nato a Montpellier verso il 1295 e fin dalla giovinezza si era privato delle sue ricchezze per mettersi a servizio dei bisognosi. Recatosi in pellegrinaggio a Roma in un periodo di forte pestilenza, nel cammino si prodigò per alleviare le sofferenze di quanti erano colpiti dalla malattia, portandone molti alla guarigione. Infermatosi al ritorno, e ritiratosi in eremitaggio per non esser di peso a nessuno, venne misteriosamente assistito dal cane di un signore del luogo, che gli portava ogni giorno del pane. Al rientro in patria non venne riconosciuto, ma anzi - giudicato come spia dal governatore del luogo, che non sapeva di essere suo zio - venne rinchiuso in prigione, dove morì cinque anni dopo, non avendo voluto ottenere una sicura libertà rivelando la propria nobile origine. Solo una croce vermiglia scoperta nel suo cadavere permise di conoscere chi egli era: veramente era Rocco, quel nipote del governatore, che in molte località veniva ormai venerato come santo e come guaritore. Subito, a riparazione dell'errore, gli si organizzarono nella città natale onori solenni e nel corso del secolo la sua fama si diffuse rapidamente, raggiungendo il suo apice nel primo decennio del secolo successivo, in occasione appunto del Concilio di Costanza.

Battuti di San Rocco a Venezia. Nel 1478: Soràvia - Nel 1485: traslazione

A Venezia, come ci riferisce Giambattista Soràvia, questi devoti di San Rocco si imposero all'attenzione della gente in occasione della peste del 1478: ottenuto dal Consiglio dei X di portare il Crocifisso per propria insegna, [...] coperti il volto e nudi le spalle vollero aggiungere alle pubbliche preci pubblica sanguinosa flagellazione. Organizzavano processioni ai principali Santuari della città, e sprezzando il manifesto pericolo davano essi ai loro compagni estinti dal morbo pestilenziale caritatevole sepoltura. Zelo così verace ed ardente - commenta il Soràvia - destò l'universale ammirazione ed accrebbe la Confraternita. Di lì a pochi anni, nel 1485, infuriando un'altra pestilenza che in un solo anno uccise a Venezia 30 mila persone, il corpo stesso del santo venne traslato nella città in circostanze tutt'altro che chiare, e i veneziani decisero di costruire una chiesa dove dargli onorevole sepoltura. La scelta della località cadde nella zona di Santa Maria Gloriosa dei Frati, dove da pochi anni si erano unite le locali confraternite di San Rocco, e nel campo ora a lui intitolato i confratelli eressero i propri edifici: sia la chiesa dove custodire le sacre spoglie e permetterne la venerazione ai devoti, sia i locali per l'organizzazione dell'attività associativa. A questa venne destinata dapprima la tuttora esistente Scoletta, caratterizzata dalla sua sobrietà ed eleganza, e successivamente al 1515 il ben più fastoso e famoso edificio che la fronteggia nell'altro lato del campo»[9].

Lo studio dei documenti relativi alla Scuola di San Rocco permette di analizzare meglio la provenienza dei membri e gli interventi che la Scuola realizzava:

«I confratelli della Scuola provenivano da tutte le estrazioni sociali. Vi erano nobili (che per l'ingresso e la permanenza nella Scuola dovevano sborsare somme molto più alte che gli altri confratelli), sacerdoti, donne, monache, artigiani e commercianti, pittori (a un certo momento ci imbattiamo nel nome di un certo Tuzian de Cador, depentor), elencati nella Mariegola in - salvo errore - ben 232 professioni, dalle quali ricaviamo indirettamente l'immagine di una Venezia piena di attività di ogni genere e di mestieri di cui ora è perso anche il ricordo. Ovviamente, per la maggior parte i confratelli erano veneziani, ma la Mariegola parla anche di confratelli provenienti da Cividale, Milano, Genova, Barletta, Firenze, Perugia e molte altre città italiane, oltre che da Spalato, Curzola, Corfù, Cipro, Costantinopoli. Ci sono confratelli fiamminghi e tedeschi. Uno è inglese, un altro francese. Ci sono anche un turco e un tripolino. E perciò la Scuola, oltre che essere una Venezia in miniatura, è anche un crocevia, un punto di incontro e di dialogo delle più disparate esperienze: carattere che molti giudicano non secondario di venezianità.

Assistenza

Per i confratelli poveri, la Scuola era un vero e proprio istituto assistenziale. Per quanto mi risulta fino al 1549, quelli di cui venivano accertate reali condizioni di bisogno ricevevano da essa aiuti economici (una sovvenzione mensile chiamata Mese) e alimentari (Pan-Farina), questi ultimi particolarmente preziosi in occasione delle non infrequenti carestie; assistenza infermieristica, alloggi gratuiti (Amore Dei), con costruzione di un pozzo per l'acqua, se necessario; doti per Donzelle da maridar (o che intendano monacarsi).

Si richiede che il matrimonio venga contratto entro un anno; che il padre certifichi che la figlia è legittima e con età di almeno 16 anni; che il padre sia confratello della Scuola da almeno 5 anni e abbia adempiuto a tutti i suoi obblighi; che la Donzella sia da ben e in stato di necessità (certificazione di due Degani); che le Donzelle vengano in Banca per la Prova (esame).

In certi casi la Scuola provvedeva anche al riscatto di confratelli caduti nelle man de Infedeli o in Preson de Mori. Risultano beneficiati anche Ospedali e istituzioni religiose: i Frati Minori, l'Hospedal de Poveri Incurabili de San Zuane Polo; le Muneghe di Santa Croce; il Monisterio delle Moneghe di Santa Maria Mazor; i Frati di San Francesco della Vigna, il Piovan di Santa Maria Nova; le monache di San Jeronimo e molti altri conventi.

La tabella ricavabile dalle Parti per gli anni 1488-1549 è, salvo errore, la seguente:

6100 ducati per doti a 612 donzelle
555 ducati per distribuzioni di farina
224 ducati per ospedali e istituzioni religiose
71 ducati per riscatto
191 ducati per assistenza individuale
59 case distribuite fra il 1527 e il 1528
500 poveri ospitati nel 1547»[10].

Interessante è come la Scuola si strutturasse in maniera analoga alle modalità vive della Repubblica veneta stessa:

«La pratica di governo della Scuola - comune, credo, a quella delle altre Scuole Grandi - richiama da vicino quella che ha retto Venezia nel corso della sua storia. Non è da stupirsene. L'autorizzazione che i Dieci danno alla sua nascita, con il riconoscimento della Mariegola nel 1478, è già il riconoscimento che a loro giudizio la Scuola è in armonia con gli essenziali principi di governo veneziani. Il continuo controllo esercitato dai Dieci, ampiamente documentato nelle Parti, rende legittima la persuasione che in assenza di tali interventi la consonanza fra Scuola e Stato dovesse essere completa. Ad un certo momento, nel 1545, un confratello (Francesco Donà) viene eletto Doge. Quando ne aveva bisogno, lo Stato non mancava di richiedere alla Scuola Galioti per fronteggiare con la propria flotta quella turca.

Si può concludere quindi che la vita normale della Scuola fosse in sostanziale parallelismo con quella dello Stato. E in effetti le somiglianze non mancano:

- la Signoria (Doge, sei consiglieri, i tre capi della Quarantia), alla quale competeva l'iniziativa legislativa, ha il suo corrispettivo nella Banca;

- il Maggior Consiglio ha il suo corrispettivo nel Capitolo;

- comuni al governo di Venezia e a quello della Confraternita sono il principio della rotazione delle cariche e soprattutto la preoccupazione che il governo non diventi mai monopolio di una persona o di un gruppo, ma sia sempre espressione della base. Conseguentemente, come il Doge - pur sempre inserito in una scenografia solenne e fastosa - è soprattutto il rappresentante della sua città, e solo eccezionalmente ne influenza la politica, così al Guardian Grando la Mariegola non assegna alcuna responsabilità decisionale, salvo l'obbligo di presidenza delle Assemblee e di partecipazione alle cerimonie e a ogni altro atto di rilievo»[11].

Posocco racconta del tragico arrivo per la Scuola dei rivoluzionari, che però ebbe qui una svolta differente rispetto a tutte le altre Scuole Grandi:

«Napoleone l'anno prima vince ad Austerlitz una battaglia (per il momento) definitiva e con il successivo trattato di Presburgo si accinge a completare la costruzione del suo impero, non solo attraverso la ridefinizione della geografia politica europea, ma anche riformando all'interno degli Stati soggetti l'ordinamento delle strutture civili. Per la Repubblica marciana quindi il 1806 è in un certo senso anche l'anno della sua definitiva conclusione, poiché gli assetti che il governo austriaco, nell'interregno dopo Campoformio (1798-1805) aveva rispettato (nella sostanza almeno se non nella forma), vengono irrevocabilmente mutati.

Sono sciolte allora le confraternite religiose ed incamerati i beni e le proprietà. Anche San Rocco subisce la stessa sorte, ma solo per qualche mese, poiché il 18 luglio 1806 un decreto vicereale, sottoscritto dal principe Eugenio di Beauharnais in nome dell'imperatore Napoleone I, conferma la Scuola di San Rocco assegnandole in proprietà gli edifici situati attorno all'omonimo campo (Scuola Grande, Scoletta, chiesa e i due alloggi di servizio), con quanto è nei medesimi contenuto.

Si conclude così per l'antica istituzione il triste periodo delle spoliazioni, iniziato già con la Repubblica e proseguito durante gli anni delle dominazioni austriaca e francese, quando l'Arciconfraternita aveva perduto tutti i beni in terraferma (campagne) e quelli in città (case), assieme ad ingenti somme in denaro, a preziosi oggetti in oreficeria ed argenteria. Il patrimonio rimasto, formato non solo dal famoso ciclo di "teleri" di Jacopo Tintoretto (così salvati dal trasferimento a Parigi), ma anche da una imponente collezione di quadri, sculture, arredi, incartamenti, era davvero cospicuo, specie se si considera che risultava sopravvissuto alle requisizioni anche un ricco "tesoro" di oggetti sacri, reliquiari, tappeti, paramenti, ecc. È questo il deposito d'arte che costituisce il nucleo dell'attuale offerta museale della Scuola Grande, spesso incrementata da qualche scoperta o da qualche restauro che consentono di accrescere (e di rinnovare) la collezione esposta»[12].

La Scuola Grande dei Carmini

Centanni, descrivendo la Scuola Grande dei Carmini, ricorda come l’istituzione fosse veramente laicale e tendesse a relativizzare il ruolo del clero, pur essendo intrinsecamente cristiana:

«Le Scuole Grandi erano bastioni di ortodossia religiosa. Erano una manifestazione di fede nel potere dell'intercessione dei santi, nella realtà del purgatorio, nella necessità delle buone azioni per la salvezza e nel contenuto miracoloso dell'Eucarestia.

Esse rappresentavano una forma di pietà tangibile; sostenevano una forma di iniziativa laica, senza alcuna interferenza da parte del clero. Queste caratteristiche si possono riscontrare pienamente nella Scuola Grande dei Carmini la cui finalità primaria è la diffusione del culto della Vergine del Carmine e dello Scapolare carmelitano. Chi gestiva le Scuole, chi ne amministrava la proprietà e le rendite erano dei laici. Dalle cronache dell'epoca si apprende che allorché i Capi del Consiglio dei Dieci scoprirono che i domenicani avevano acquisito una indebita influenza sulla piccola Scuola di S. Giacinto, nel 1615, al punto che il priore ne era divenuto Capo, fu dato loro l'ordine di ritirarsi senza indugio dalla sua amministrazione. Il rilievo attribuito dalle Scuole alla preghiera, alla carità e al fasto, nonché alla pietà per i defunti, confermava l'importanza di funzioni che potevano essere condotte da laici, senza intercessione clericale.

Era anche difficile inquadrare le Scuole nell'impostazione che i pionieri della Controriforma erano ansiosi di creare: una struttura basata sull'autorità del Papato o dei suoi delegati, di un vescovo diocesano residente effettivo e della parrocchia. Ma era anche vero che le Scuole avevano bisogno della messa. Per questo avevano bisogno di preti. Le Scuole più grandi giunsero ad impiegare preti come cappellani regolari»[13].

La Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone

Sigovini, nelle sue ricerche sulla storia della Scuola Dalmata, coglie l’intraprendenza di quella popolazione che volle costituire un’associazione innanzitutto per il bene dei propri conterranei:

«La Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone ha origine a Venezia nel 1451: alcuni cittadini provenienti dalla Dalmazia che, a cominciare dal 1409, era governata stabilmente dalla repubblica di Venezia, si riunirono il 19 marzo 1451, e chiesero alla competente magistratura dello Stato il permesso di unirsi in Confraternita, per sostenere e tutelare in vita e in morte gli appartenenti alla loro comunità. Il Consiglio dei X accordò quanto richiesto e, con documento del 19 maggio 1451, consentì la regolare nascita della Scuola, denominata "Schola di S. Zorzi della Nation Dalmatina", di cui in seguito avrebbe approvato lo statuto. All'inizio del documento si legge: "Intesa la devota et umile supplicatione de alcuni marinari dalmati abitatori de questa benedetta città di Venezia, li quali per pietade mossi cognossendo e vedendo infinita novitade de homeni della sua Nation, li quali nelle Armade del nostro Dominio percossi ad mortem over debilitadi, li quali per necessità perir"

La supplica rivolta dai Dalmati per ottenere l'assenso pone in rilievo le difficili condizioni in cui venivano a trovarsi a Venezia i marinai, i soldati, gli emigrati dalmati, lontani dalle loro case, privi di assistenza e bisognosi di appoggio. Molti di essi, per il servizio sotto il vessillo della Signoria, erano soggetti a morire per le ferite, o a rimanere invalidi senza sussidi o aiuti; se prigionieri o colpiti da fame e miseria nessuno li sosteneva, e morendo non potevano avere un degno funerale, ma venivano esposti sotto un portico come gli sconosciuti e i forestieri ignoti.

La Mariegola è il documento principale di ogni Scuola o Confraternita. Essa contiene le norme principali, gli scopi e la ragion stessa di essere di ogni Scuola. La parola deriva dalla locuzione latina "mater regula", cioè regola madre»[14].

Le incursioni turche sempre più veementi e devastanti spinsero all’evoluzione della Scuola (ed hanno evidente influsso sulle tematiche dipinte nei teleri del tempo):

«Nel 1464 il cardinale Bessarione, vescovo, patriarca di Costantinopoli e legato del papa a Venezia, sostenitore della difesa del mondo cristiano dall'incombente pericolo turco, con un documento miniato su pergamena conservato in archivio concesse alla Scuola il primo privilegio religioso: un'indulgenza di 100 giorni, legata ad alcune pratiche religiose. L'attenzione del Bessarione per la Scuola Dalmata era legata all'importanza dei territori della Dalmazia, ormai a ridosso dell'espansione ottomana, particolarmente a sud, da Antivari alle Bocche di Cattaro, e investiti già dalle prime scorrerie dei Turchi»[15].

L’avanzata progressiva delle armate turche che cercano di conquistare l’Italia e l’Europa fa sì che proprio la Dalmazia divenga terra di confine fra Venezia e l’impero ottomano del tempo:

«Tra il 1502 e il 1511 Vittore Carpaccio dipinge i teleri con le storie dei Santi Patroni della Scuola Dalmata: tre teleri con il ciclo di S. Giorgio, uno con S. Trifone, e tre con il ciclo di S. Girolamo, e altre due tele che raffigurano episodi tratti dai Vangeli, l'orazione nell'orto degli ulivi e la chiamata di S. Matteo. In questo periodo e per i due secoli successivi, densi per la Scuola di avvenimenti nel campo spirituale, in quello artistico e dell'affermazione sociale, la vita della Confraternita, come del resto dell'intera Repubblica e dei suoi territori, ha al suo sfondo la minaccia continua dell'impero Ottomano, con ricorrenti attacchi alternati a periodi di pace incerta. È utile a questo proposito ricordare alcune date salienti dell'avanzata turca, dal medioevo al XVII secolo: 1389, battaglia di Kosovo Polje, con l'annientamento dell'esercito cristiano serbo; 1453, caduta di Costantinopoli e fine dell'Impero Romano d'Oriente; 1463, invasione e fine del regno di Bosnia; 1470, prime incursioni in Dalmazia, Veneto e Friuli, e caduta di Scutari, importante possedimento veneziano; 1480, vittoria cristiana con il fallimento dell'assedio turco a Rodi; 1522, resa e abbandono di Rodi da parte dei Cavalieri Gerosolimitani; 1526, primo assedio di Vienna, respinto dall'esercito imperiale; 1571, attacchi turchi in Dalmazia, con eroica e vittoriosa difesa di Curzola da parte della popolazione, e capitolazione e perdita definitiva dell'importante città dalmata di Antivari; 8 ottobre 1571, battaglia navale di Lepanto, con la grandiosa vittoria della Santa Lega, e partecipazione di galee ed equipaggi dalmati nell'armata veneziana; 1667, perdita veneziana dell'isola di Candia (Creta) dopo quasi 25 anni di guerra e di assedio da parte dei Turchi, sconfitti però ripetutamente in Dalmazia»[16].

L’attuale Statuto della Scuola dei Dalmati sintetizza l’operare della Scuola nel tempo:

«Lo Statuto vigente della Scuola Dalmata deriva da quello originario trascritto nelle prime pagine della Mariegola in 53 capitoli scritti nel 1455. Col passar del tempo cambiarono le esigenze e le necessità a cui doveva sovvenire la Scuola, come pure le usanze ed il modo di esprimersi, anche se lo spirito e la volontà di bene operare rimasero identici, così come erano all'epoca della fondazione. Nei secoli successivi si rese pertanto necessario aggiornare lo statuto con integrazioni e modifiche. L'ultima versione, ora vigente, fu approvata dal Capitolo e ratificata dall'Ordinario diocesano, il Patriarca card. Giovanni Urbani, nel 1959. Essa si compone di 28 articoli, suddivisi in 6 capi. All'art.1, che riportiamo, sono elencati gli scopi per cui nacque la Confraternita:

"La Scuola fu fondata al nobilissimo scopo di tenere uniti in vincoli di cristiana carità i Dalmati residenti in Venezia. In particolare la Scuola si prefigge:

a) di soccorrere i Dalmati poveri, specialmente nelle strettezze provocate da malattia e vecchiaia;

b) di suffragare le anime dei Confratelli defunti;

c) di compiere in una chiesa propria le pratiche religiose e di onorare nel miglior modo possibile i Santi Protettori;

d) di curare la mutua assistenza fra i Confratelli e di riunirli in famigliari convegni, specie in solenni circostanze, per conservare ed aumentare l'unione fra i Dalmati;

e) di curare la conservazione e la manutenzione degli insigni monumenti d'arte esistenti nella Scuola, tramandati dai Dalmati attraverso i secoli"»[17].

8/ Un elenco delle opere depredate alle chiese di Venezia all’arrivo dei rivoluzionari francesi

Fra le Scuole Grandi di Venezia solo la Scuola di San Rocco scampò al saccheggio dei rivoluzionari francesi[18]. Non è chiaro il motivo per il quale i teleri del Tintoretto non vennero asportati dalla Scuola per la quale erano stati realizzati.

Delle Scuole piccole venne risparmiata invece la sola Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone, anche qui senza che sia chiaro fino in fondo il motivo: i dirigenti si rivolsero al governatore francese Eugenio Bonaparte e questi concesse un’esenzione solo a tale organismo. I teleri di Vittore Carpaccio sono, quindi, ancora nella loro collocazione originaria. 

Merita visitare queste due Scuole per immaginare la collocazione originaria di tutti gli altri dipinti presenti nelle Gallerie dell’Accademia, strappati al loro senso originale all’arrivo dei francesi.

Oltre ai cicli realizzati per le diverse Scuole grandi e piccole le Gallerie posseggono ormai in pianta stabile moltissime altre opere depredate nella stessa occasione da chiese e conventi. Di seguito ne forniamo un elenco, che abbiamo ricavato dal Catalogo ufficiale dell’Accademia. Molte altre opere derivanti da lasciti provengono sempre dalle soppressioni, perché vennero acquistate da privati e giunsero solo poi all’Accademia, ma non è stato possibile seguire l’itinerario di ognuna di tali opere per le quali rimandiamo a studi più specifici. Qui abbiamo indicato solo quelle per le quali l’origine dalle soppressioni era evidente dal catalogo stesso.

Le opere seguono in questo elenco l’ordine delle sale nelle quale sono collocate.

Jacobello de Fiore, La Giustizia in trono tra gli arcangeli Michele e Gabriele (Trittico della Giustizia)
Acquisizione: 1884, con le soppressioni.

Paolo Veneziano, Polittico dell’Incoronazione della Vergine
Acquisizione: 1812, con le soppressioni; la tavola centrale, portata erroneamente a Brera nel 1908, venne ricongiunta al complesso solo nel 1950.

Michele di Matteo, Polittico di sant’Elena
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Lorenzo Veneziano, San Pietro e San Marco
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Giovanni da Bologna, Madonna dell’umiltà, Annunciazione, i santi Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Pietro, Paolo e i confratelli della Scuola di San Giovanni Evangelista
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Lorenzo Veneziano, Annunciazione e i santi Gregorio, Giovanni Battista, Giacomo e Stefano
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Michele Giambono, San Giacomo Maggiore e san Giovanni Evangelista, il beato Filippo Benizzi, san Michele Arcangelo, san Ludovico da Tolosa
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Jacobello del Fiore, Madonna della misericordia e i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista e Annunciazione
Acquisizione: 1816, per legato di Girolamo Molin.

Antonio Vivarini, Matrimonio di santa Monica
Acquisizione: 1816, per legato di Girolamo Molin.

Michele Giambono, Incoronazione della Vergine in Paradiso
Acquisizione: 1816, per legato di Girolamo Molin.

Lorenzo Veneziano, Polittico dell’Annunciazione (Polittico Lion)
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Vittore Carpaccio, Crocifissione e apoteosi dei diecimila martiri del monte Ararat
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Marco Basaiti, Orazione nell’orto con i santi Ludovico da Tolosa, Francesco, Domenico e Marco
Acquisizione: 1815, dalla chiesa di San Giobbe.

Giovanni Bellini, Madonna col Bambino in trono tra i santi Francesco, Giovanni Battista, Giobbe, Domenico, Sebastiano, Ludovico da Tolosa e angeli musicanti (Pala di san Giobbe)
Acquisizione: 1815, dalla chiesa di San Giobbe.

Vittore Carpaccio, Presentazione di Gesù al Tempio
Acquisizione: 1845, dalla chiesa di San Giobbe.

Giambattista Cima da Conegliano, Madonna col Bambino tra i santi Girolamo e Ludovico da Tolosa (Madonna dell’arancio)
Acquisizione: 1919, con le restituzioni austriache.

Giambattista Cima da Conegliano, Madonna col Bambino in trono tra i santi Caterina (?), Giorgio, Nicola, Antonio Abate, Sebastiano e Lucia (?) (Pala Dragan)
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Giambattista Cima da Conegliano, Incredulità di san Tommaso e san Magno vescovo di Oderzo
Acquisizione: 1829, con le soppressioni.

Giovanni Bellini e aiuti, Compianto sul Cristo morto
Acquisizione: 1829, con le soppressioni.

Marco Basaiti, Vocazione dei figli di Zebedeo
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Tiziano Vecellio, San Giovanni Battista
Acquisizione: 1808, con le soppressioni.

Paolo Caliari detto Paolo Veronese (bottega di), Assunzione della Vergine
Acquisizione: 1818-1821, con le soppressioni.

Paolo Caliari detto Paolo Veronese, Incoronazione della Vergine
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Jacopo Negretti detto Jacopo Palma il Vecchio, Assunzione della Vergine
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Tiziano Vecellio (attr.), L’arcangelo Raffaele e Tobiolo
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Sebastiano Luciani detto Sebastiano del Piombo (attr.), Visitazione
Acquisizione: 1814, con le soppressioni.

Paolo Caliari detto Paolo Veronese, Madonna col Bambino in trono e i santi Giuseppe, Giustina, Francesco, Giovanni Battista fanciullo e Girolamo
Acquisizione: 1817, con le soppressioni.

Paolo Caliari detto Paolo Veronese, Convito in casa di Levi
Acquisizione: 1815, con le soppressioni.

Paolo Caliari detto Paolo Veronese, Allegoria della battaglia di Lepanto
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto, Madonna col Bambino tra i santi Cecilia, Marina, Teodoro, Cosma e Damiano
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Paolo Caliari detto Paolo Veronese, Matrimonio mistico di santa Caterina
Acquisizione: 1918, ritirata, dopo la prima guerra mondiale, dalla chiesa di Santa Caterina divenuta demaniale con le soppressioni napoleoniche.

Tiziano Vecellio, Pietà
Acquisizione: 1814, con le soppressioni.

Paolo Caliari detto Paolo Veronese, Annunciazione
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Paolo Caliari detto Paolo Veronese, Crocifissione
Acquisizione: 1834, con le soppressioni.

Giambattista Tiepolo, Scoperta della Vera Croce e sant’Elena
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto, Madonna col Bambino in trono tra i santi Sebastiano, Marco e Teodoro venerata da tre camerlenghi con i segretari (Madonna dei tesorieri)
Acquisizione: 1883.

Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto, Crocifissione
Acquisizione: 1891, dalla Scuola del Rosario nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo.

Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone, Il beato Lorenzo Giustiniani tra due canonici e i santi Ludovico da Tolosa, Francesco, Bernardino da Siena e Giovanni Battista
Acquisizione: 1815, con le soppressioni.

Giovanni Bellini, Madonna col Bambino benedicente
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Giovanni Bellini, Madonna in trono che adora il Bambino dormiente
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Giovanni Bellini, Madonna col Bambino (Madonna dei cherubini rossi)
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto, Ritratto del procuratore Jacopo Soranzo
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto, Ritratto del doge Alvise Mocenigo
Acquisizione: 1817, con le soppressioni.

Giambattista Tiepolo, San Giuseppe con Gesù Bambino e i santi Francesco di Paola, Anna, Pietro d’Alcantara e Antonio
Acquisizione: 1838, con le soppressioni.

Giandomenico Tiepolo, Apparizione dei tre angeli ad Abramo
Acquisizione: 1807, con le soppressioni.

Antonello de Saliba, Annunciata
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Marco Basaiti (attr.), Cristo morto tra due angioletti
Acquisizione: 1812-1814, con le soppressioni.

Jacopo Parisati detto Jacopo da Montagnana, Angelo Annunciante
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Jacopo Parisati detto Jacopo da Montagnana, Annunciata
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Marco Basaiti, San Giacomo Apostolo
Acquisizione: 1812-1814, con le soppressioni.

Marco Basaiti, Sant’Antonio Abate
Acquisizione: 1812-1814, con le soppressioni.

Vittore Carpaccio, Apparizione dei crocifissi del monte Ararat nella chiesa di Sant’Antonio di Castello
Acquisizione: 1838, dal depositorio della Commenda con le soppressioni.

Bartolomeo Vivarini, Madonna in trono che adora il Bambino dormiente e i santi Andrea, Giovanni Battista, Domenico e Pietro
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Alvise Vivarini, Santa martire
Acquisizione: 1919, con le restituzioni austriache.

Alvise Vivarini, Santa Chiara
Acquisizione: 1828, con le soppressioni.

Alvise Vivarini, Madonna col Bambino in trono tra i santi Ludovico da Tolosa, Antonio da Padova, Anna, Gioacchino, Francesco e Bernardino da Siena
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Bartolomeo Vivarini, Santa Maria Maddalena
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Bartolomeo Vivarini, Santa Barbara
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Bartolomeo Vivarini, Sant’Ambrogio benedicente alcuni confratelli e i santi Luigi IX, Pietro, Paolo e Sebastiano
Acquisizione: 1919, con le restituzioni austriache.

Lazzaro Bastiani, Natività tra i santi Eustachio, Giacomo, Marco e Nicola
Acquisizione: 1812, con le soppressioni.

Andrea da Murano, I santi Vincenzo Ferrer e Rocco tra i beati Sebastiano e Pietro Martire; nella lunetta Madonna della misericordia tra i santi Luigi IX (?), Domenico, Tommaso d’Aquino e Caterina da Siena
Acquisizione: 1812, con le soppressioni; 1883, dalla Pinacoteca di Brera (pannello centrale).

Note al testo

[1] Per approfondimenti sull’attribuzione dei diversi teleri, cfr.  G. Nepi Scirè, Gallerie dell’Accademia di Venezia. Catalogo Generale, Mondadori Electa, Milano 2016, pp. 190-197.

[2] Sul concetto di “sussidiarietà”, cfr. la sezione Sussidiarietà e solidarietà.

[3] G. Gullino, Assistenza, devozione, splendore: le Scuole Grandi di Venezia, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, pp. 13-14.

[4] G. Gullino, Assistenza, devozione, splendore: le Scuole Grandi di Venezia, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, p. 17.

[5] G. Gullino, Assistenza, devozione, splendore: le Scuole Grandi di Venezia, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, p. 17.

[6] G. Gullino, Assistenza, devozione, splendore: le Scuole Grandi di Venezia, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, p. 16.

[7] G.A. Simeone, La Scuola Grande San Giovanni Evangelista. Dalle origini al XIX secolo, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, pp. 37-40.

[8] T. Campostrini, La Scuola Grande San Giovanni Evangelista nella storia recente, oggi e nel futuro, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia, storia e attualità, Venezia 2008, p. 51.

[9] F. Tonon, La Scuola Grande di San Rocco nel primo secolo di vita, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, pp. 65-67.

[10] F. Tonon, La Scuola Grande di San Rocco nel primo secolo di vita, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, pp. 67-70.

[11] F. Tonon, La Scuola Grande di San Rocco nel primo secolo di vita, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, p. 71.

[12] F. Pososcco, La Scuola Grande di San Rocco e la città di Venezia, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, p. 78.

[13] B. Centanni, Scuola Grande di Santa Maria del Carmelo (vulgo Scuola Grande dei Carmini), in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, p. 98.

[14] A. Sigovini, Descriptio Scholae, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, p. 125.

[15] A. Sigovini, Descriptio Scholae, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, p. 126.

[16] A. Sigovini, Descriptio Scholae, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, p. 127.

[17] A. Sigovini, Descriptio Scholae, in G. Levorato (a cura di), Scuole a Venezia. Storia e attualità, Quaderni delle Scuole di Venezia n. 1, Venezia 2008, pp. 134-135.

[18] Cfr. su questo, M.A. Chiari Moretto Wiel (a cura di), 1808. La Scuola Grande salvata, Venezia, 2006.