La Secessione viennese e Gustav Klimt, di Marco Bona Castellotti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 21 /10 /2018 - 23:02 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo la presentazione di Gustav Klimt da Marco Bona Castellotti, Percorso di storia dell’arte. 3. Dal Neoclassicismo ai minimalismi, Torino, Einaudi scuola, 2004, pp. 176-180. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte moderna e contemporanea.

Il Centro culturale Gli scritti (21/10/2018)

Joseph Maria Olbrich, Palazzo 
della Secessione, 1897, Vienna.

La Secessione viennese e Gustav Klimt (Baumgarten, 1862 - Vienna 1918)

«A ogni epoca la sua arte, a ogni arte la sua libertà»

Nato nel 1862 a Baumgarten, un sobborgo di Vienna, Gustav Klimt a quattordici anni comincia a frequentare la Scuola di Arti Applicate, annessa al Reale Museo Austriaco per l'Arte e l'Industria che era stato fondato nel 1863 sul modello del South Kensington Museum di Londra. Scuola e museo si prefiggevano come obiettivo il recupero della tradizione dell'artigianato in piena era industriale; ma il voler presentare professioni o addirittura prodotti tradizionali quali modelli artistici per la moderna industria non poteva che risultare un'operazione passatista. A essa si opporrà il movimento della Secessione.

Klimt riceve le prime commissioni pubbliche ancora nel clima dell’eclettismo borghese e gli affreschi dell'atrio d'ingresso del Kunsthistorisches Museum (1891) sono eseguiti in linea con il naturalismo e il classicismo accademico caro alla borghesia.

Ma è proprio all'interno della stessa borghesia liberale, che gli aveva commissionato le prime opere, che si va attuando la rivolta culturale contro l'accademia e lo storicismo e si va delineando una nuova immagine dell'uomo moderno.

Dotato di straordinarie qualità tecniche, al limite del virtuosismo, Klimt proietta un fascio di luce su una situazione ancora confusa, in cui si tenta di rispondere alla necessità di nuovi orientamenti esistenziali, di fronte alla crisi dei valori propria della fine del secolo XIX.

Sono queste le premesse che portano un gruppo di artisti, sotto la guida di Klimt, a staccarsi dall'accademica Associazione degli artisti figurativi d'Austria e a costituire nel 1897 il movimento della Secessione, i cui rappresentanti sono gli architetti Otto Wagner (Vienna, 1841-1918), Joseph Maria Olbrich (Troppau, 1867 - Düsseldorf, 1908), Josef Hoffmann (Pirnitz, 1870 - Vienna, 1956), e i pittori Carl Moll (Vienna, 1861-1945), Koloman Moser (Vienna, 1868-1918) e Alfred Roller (Bmo, 1864 - Vienna, 1935). Il modello e il nome, di memoria romana (secessio plebis), provenivano dalla Secessione di Monaco fondata nel 1892 da Franz von Stuck.

Il credo della Secessione viennese, affermato perentoriamente sopra il portale della sua sede, «Der zeit ihre kunst, der kunst ihre freiheit» (A ogni epoca la sua arte, a ogni arte la sua libertà), verte su quattro punti essenziali: decisa frattura con la tradizione dei padri, cui consegue la funzione rigeneratrice della nuova arte, sottolineata anche dal titolo della rivista ufficiale del movimento, «Ver Sacrum» (Sacra Primavera); volontà di «mostrare all'uomo moderno il suo vero volto» (Otto Wagner); concezione dell'arte come rifugio dall'oppressione della vita moderna.

Il nuovo credo trova immediata esplicazione nel Palazzo della Secessione, costruito da Olbrich come «un tempio dell'arte che elargisse al cultore dell'arte stessa un elegante, silenzioso rifugio».

In seno alla nuova posizione culturale della Secessione, Klimt inizia la sua indagine alla ricerca del nuovo "io", cominciando con lo svelarne gli istinti nascosti che l’arte classica e quindi la cultura ottocentesca che a essa si riferiva, aveva idealizzato e represso. Opera sintomatica in tal senso è la Musica, un pannello per la sala da musica dell'industriale Nikolaus Dumba.

In contrasto con l'atmosfera impressionisticamente rarefatta del suo pendant Schubert al piano, eseguito sempre da Klimt, nella Musica egli crea una rappresentazione veristica dal punto di vista formale, ma carica di allegorie. La Musica è una musa che sta per risvegliare con l'arpa due creature, cristallizzate entro vestigia archeologiche: Sileno e la Sfinge, simboli delle forze sepolte dell'istinto.

Al pari di Freud, che in questi anni andava componendo L’interpretazione dei sogni, Klimt spinge la propria pittura nelle riposte profondità dell’io per liberarlo dalle imposizioni del moralismo ottocentesco. La compresenza, nelle opere degli anni Novanta, di naturalistica corposità e astratta bidimensionalità sembra indicare il vagare di Klimt nell'indeterminatezza di un mondo che ha perduto coordinate sicure e che non sa se la sostanza della realtà consista nella carne o nello spirito.

A partire dal 1894 un'importante commissione pubblica gli consente di trasporre sulla tela la sua visione della condizione umana. Il Ministero dell'Istruzione lo incarica di eseguire tre dipinti per il soffitto dell'aula magna dell'Università, raffiguranti la Filosofia, la Medicina e la Giurisprudenza. Le accese polemiche che accompagnano, non solo in ambito accademico, la presentazione dei primi due dipinti ridimensionanotanto il ruolo di Klimt quanto le aspirazioni della Secessione. Il primo viene accusato di «presentare idee confuse in forme confuse», inaudito controsenso in un’epoca in cui la filosofia cercava la verità nelle scienzeesatte. Il secondo vienecriticato per la scarsaqualità e per l'indecenza. Ciò che in Klimt offende è la concretezza realistica dei corpi e delle loro posizioni.

Dietro a queste polemiche si cela lo scontro tra due concezioni antitetiche: da un lato la formazione accademica tradizionalista di quella borghesia viennese che identificava la bellezza solo nelle opere del passato e credeva in un progresso guidato dalla ragione e dalla scienza; dall'altro, gli artisti e qualche critico d'arte che, cogliendo quanto di nuovo è nella vita moderna, cercavano espressioni artistiche vicine alla vita stessa, accusando i conservatori di non saper guardare in volto alla realtà, una realtà che non può essere conosciuta soltanto tramite la ragione e la scienza.

La reazione di Klimt alle polemiche si coglie nel terzo pannello, intitolato Giurisprudenza, curioso concentrato di sarcasmo e di dichiarata impotenza ad affermare la propria concezione della vita moderna.

Il fallimento del tentativo di interagire attraverso l'arte con la vita provoca una sorta di involuzione in Klimt che ora aspira a un ideale inteso quale rifugio. La prima tappa di questo ritirarsi nel ‘tempio dell’arte’ è segnata dal Fregio di Beethoven, realizzato nel 1902 in occasione di una mostra celebrativa del grande musicista nel palazzo della Secessione. Klimt dipinge un fregio allegorico, diviso in tre pannelli, che illustra il trionfo dell'arte sulle avversità.

Se lo confrontiamo con la Giurisprudenza, balza all'occhio la sostanziale differenza di stile. Nel pannello dell'Università avevamo un naturalismo plastico tridimensionale, teso a raffigurare la realtà, mentre il trattamento lineare e bidimensionale del Fregio è di per sé la traduzione grammaticale di idee astratte, avulse dalla storia.

La Kunstschau 1908, mostra collettiva di tutti i partecipanti alla Secessione, evidenzia, a partire dall'architettura del padiglione in cui viene allestita, un ritorno alla tradizione, al classicismo, al naturalismo statico.

Il motto questa volta è: «L'arte non esprime che se stessa». Questo sembra suggerire una sorta di ridimensionamento delle ambizioni del movimento, in linea con quanto andava accadendo a Klimt.

Infatti, con il suo ritiro dalle commissioni pubbliche in favore di una ristretta élite di committenti viennesi, ha inizio per il pittore austriaco il cosiddetto "periodo dell'oro", dove soggetti filosofici e allegorici vengono abbandonati per motivi tradizionali (ritratti e paesaggi) caratterizzati da un decorativismo preziosissimo, ottenuto anche attraverso l'impiego di materiali quali l'oro e l'argento.

È l'elemento decorativo stesso a rivestire qui un significato simbolico.

Nel Bacio le due figure sono strette fra loro da un'aureola che le circonda e che, allo stesso tempo, le separa dal resto del mondo. Il luogo in cui ciò avviene è indefinito, così che la coppia sembra sospesa al di fuori di qualunque coordinata spaziale e temporale, in una dimensione cosmica, come a dire che la felicità del rapporto tra uomo e donna è pensabile soltanto al di là della realtà, nella sfera del sogno.

Per accrescere il senso di astrazione Klimt ha limitato la definizione plastico-naturalistica ai volti, alle mani e ai piedi che sembrano sbucare da forme incorporee che, paradossalmente, affidano la loro sensualità alla propria evocatrice inconsistenza. I motivi decorativi delle vesti racchiudono valenze simboliche: all'uomo sono riservate forme dure, nei colori bianco, grigio e nero; alla donna, forme "morbide", curvilinee, variopinte. L'elemento che li stringe nell'unione, più concettuale che fisica, è consegnato alla decorazione: «Impulso e desiderio vengono cifrati in un programma di contrasti ornamentali» (Hoffmann). L'effetto finale è connesso con il preziosismo scintillante della pioggia dorata di tessere cromatiche.

Questa astrazione, questa distanza dalla realtà che si perde in una dimensione cosmica e onirica, caratterizzano l'attività estrema di Klimt. Egli aveva inteso raffigurare un'umanità redenta, affrancata dal moralismo ottocentesco e liberata nei suoi istinti attraverso l'arte. Ma ciò, come si vede nelle ultime opere, si era rivelato possibile soltanto in una dimensione senza tempo né spazio sospesa in un limbo dorato, alla fine irraggiungibile. Forse per questo, tale vagheggiata liberazione risultava, ultimamente, fallita.

LETTURA DI UN'OPERA

Gustav Klimt, La Giurisprudenza, 1907, olio su tela, cm 430 x 300. Bruciato nell'incendio del castello di Immendorf (1945)

Ciò che si vede e si conosce

Quando nel 1901, dopo le accese polemiche suscitate dai primi due pannelli, Klimt si accinse alla realizzazione di quest'opera, mutò drasticamente il progetto iniziale del 1898, già presentato e corretto dai committenti del Ministero dell'Istruzione.

Nel realizzare la versione definitiva Klimt utilizza tre suggerimenti formulati dai committenti nell’intento di correggere la versione iniziale. Ma lo fa in termini fortemente sarcastici e provocatori. Tre erano le richieste dei committenti: 1. «una più netta caratterizzazione della figura centrale»; 2. «maggior pacatezza nei toni del dipinto»; 3. Una «corrispondente attenuazione della visibile impressione di vuoto che doveva suggerire la porzione inferiore del dipinto». In risposta alla prima richiesta, l'esasperato realismo della figura maschile sostituisce la diafana figura della Giustizia della prima versione.

Al cielo luminoso dello studio del 1898 subentra un'atmosfera oscura e opprimente. Infine, la «visibile impressione di vuoto» viene riempita dalle inquietanti figure femminee, esecutrici della Giustizia, che si accaniscono sul vecchio al centro.

Con la Giurisprudenza Klimt si distacca completamente dalla comune impostazione dei due pannelli precedentemente completati. La struttura spaziale della Filosofia e della Medicina, spartita verticalmente su tre piani, era concepita col punto di vista di uno spettatore che assistesse alla scena dalle prime file di una platea. Al contrario, nella Giurisprudenza, la prospettiva retrocede verso il fondo del dipinto e lo spazio è diviso orizzontalmente in un mondo inferiore e in uno superiore. Il punto focale cade nel livello inferiore, infernale e sotterraneo.

Nel mondo superiore, respinto lontanissimo, sono relegate le figure allegoriche della Verità, della Giustizia e della Legge, che a differenza di Igea nella Medicina e della sacerdotessa della Filosofia, non svolgono alcun ruolo di mediazione; al contrario, arretrando verso il fondo, abbandonano l’uomo a se stesso.

Volutamente, la porzione superiore del dipinto illustra il mondo ufficiale della legge, dove i giudici, avvolti in paludamenti geometricamente stilizzati dai quali spuntano piccole teste senza corpo, appaiono impassibili e incuranti.

La realtà della legge è invece rappresentata dallo spazio sottostante, dove «non è additato il crimine, ma esemplificata la punizione». In un'atmosfera di castrazione, la vittima, di sesso maschile - passiva e impotente - è stretta in una trappola carnale, un polipo dalla forma uterina. Le Furie, che assistono all'esecuzione, sono al tempo stesso Gorgoni e donne fatali fin de siècle, dai contorni sinuosi e dalle capigliature seducenti. Esse sono i veri "funzionari della legge", non le soprastanti figure idealizzate. Nell'ultimo pannello di una serie destinata a celebrare «il trionfo della luce sulle tenebre», Klimt ammette decisamente il primato di queste ultime, svelando, attraverso il simbolo delle Furie, il potere dell'istinto che si cela nel mondo politico dell'ordine e della legge.

La commissione del Ministero giudicherà i tre pannelli klimtiani inadatti all'aula magna dell'Università e proporrà invece di esporli nella Galleria d'Arte Moderna appena costituita. Klimt rifiuta la proposta di una destinazione diversa e riacquista le proprie opere dallo Stato.

La Medicina, che viene poi acquistata dalla Österreichische Galerie, e i dipinti La Filosofia e La Giurisprudenza che durante il regime nazista furono "arianizzati", cioè sottratti coattivamente al legittimo proprietario ebreo e presi in possesso dallo Stato, andarono perduti nel maggio del 1945 durante l'incendio del castello di Immendorf, nell'Austria meridionale, dato alle fiamme dalle truppe tedesche in ritirata.