Bretagna, terra di calvari. Realizzati tra Quattrocento e Seicento, i complessi scultorei testimoniano una fede tanto semplice e popolare quanto viva, di Marco Roncalli

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 24 /03 /2019 - 22:30 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dalla rivista Luoghi dell’infinito, un articolo pubblicato nel numero di marzo 2019, pp. 41-47. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione G.K. Chesterton, C.S. Lewis e J.R.R. Tolkien.

Il Centro culturale Gli scritti (24/3/2019)

Pagine di Vangelo intagliate nella pietra. Forse più testimonianze di fede che opere d'arte. In ogni caso monumenti unici, di granito locale, opere di artigiani anonimi o noti, raffiguranti un tema: la Passione di Cristo, mai assente, spesso insieme a scene dell’infanzia di Gesù o ispirate a vite di santi. Sì, sono i calvari bretoni. Scolpiti "in verticale", si stagliano da secoli nel cielo ventoso della Bretagna, la terra di Gauguin e Flaubert, di Erik Satie e Max Jacob.

Non pochi quelli cosiddetti “monumentali", per le dimensioni, per la folla dei soggetti che li copre, realizzati soprattutto fra la metà del ‘400 e l’inizio del '600. Ancora oggi si svelano agli occhi dei visitatori, nell'abbraccio dei consueti recinti parrocchiali, quegli enclos paroissiaux comprendenti - con i calvari - la chiesa, il battistero, l'area cimiteriale.

Furono committenti ecclesiastici, ma anche laici, o intere comunità, a volerli: andando incontro alle attese provocate dalle missioni evangelizzatrici nei centri urbani e nei villaggi rurali. Scultori e artigiani li composero per esprimere pubblicamente la loro devotio e quella dei fedeli; per ringraziare la Provvidenza di aver risparmiato il paese dalla peste o protetto i raccolti; per ottemperare voti; per impetrare il perdono divino (e non a caso ancora oggi alcune “feste del perdono” sono associate a solenni processioni presso i più grandi calvari).

Riuscirono a farlo con la ricchezza legata all’ascesa dei commerci sul mare e alla lavorazione del lino: la prosperità di un territorio alleata al fervore di una popolazione decisa a preservare la propria identità religiosa e culturale. Un fervore oggi espresso con restauri, temporanee illuminazioni (l'agosto scorso a Guéhenno e Pleyben) e persino nuovi manti di colore per quelli un tempo dipinti al pari di sculture in legno policromo (ci si sta lavorando non senza polemiche).

L'obiettivo più importante dei calvari fu sempre quello di spiegare la Passione - nelle sue sequenze, nelle emozioni sprigionate in chi vi fu presente - anche alla gente che non sapeva leggere. Anche per questo le figure che vi sono rappresentate hanno talvolta teste sproporzionate: ciò che interessa è facilitare la comprensione di certe espressioni del volto. Mentre tocca alla foggia degli abiti calare tutto dentro una realtà più vicina.

Una Passione che diventa così quasi familiare, in un ambiente aperto dove il sole muore e sorge ogni giorno. Una Passione che, senza scomodare troppo gli elementi riconducibili alla religione dei Celti o alla loro concezione della morte (momento di interruzione dentro una lunghissima esistenza, un ponte tra una vita e l'altra), viene esibita, spettacolarizzata.

Una Passione ricordo di fatti veri, carica di moniti, ma pure compagnia quotidiana nella certezza della resurrezione: nel più profondo significato di quella croce. In continuità con le ragioni storiche di questa terra dove, dopo aver vietato l'adorazione dei menhir pagani le autorità ecclesiastiche recuperarono gli slanci positivi di questo antichissimo culto cristianizzando i monoliti. Come? Piantandovi sopra le croci, che da allora invasero la Bretagna.

Si racconta che all’alba del Medioevo non esistesse un bivio senza la sua croce di pietra, e le cronache ci parlano di vescovi locali orgogliosi per averne innalzate a migliaia. Con il trascorrere del tempo ecco croci sempre più elaborate, poi la comparsa della figura di Cristo, dei discepoli, dei testimoni della Passione. I calvari diventano allora Vangelo in pietra, la croce monumento che ha alla sua base le scene della Pietà e della Resurrezione, sorta di catechismo visivo.

E capita che la struttura a più facce del calvario e i diversi registri sovrapposti accolgano altre scene sacre o vicende di santi e martiri; o che sfruttando lo stesso impianto compositivo si scoprano statue bifronti: una faccia appartenente alla Crocifissione, l’altra alla scena sviluppata sul lato opposto. In ogni caso, la statuaria bretone, con la sua espressività un po' rude, non si sottrae all'immancabile compito di ritrarre Cristo crocifisso, spesso in una specie di rassegnata fierezza, e ai lati altri personaggi, sempre più numerosi: Maria, gli apostoli, i ladroni, i soldati.

Tornano alla mente immagini di tanti viaggi in Bretagna alla scoperta degli esempi più rilevanti di questo patrimonio: a Guéhenno, Saint-Jean-Trolimon, Pleyben, Plougastel-Daoulas, Guimiliau, Saint-Thégonnec Loc-Eguiner, Tronoèn e Plougonven, complessi accessibili tutto l’anno (e gratuitamente).

A Guéhenno, in un suggestivo quadro rurale, troviamo il solo calvario monumentale del Morbihan, largamente restaurato a metà '800 perché devastato dalle truppe rivoluzionarie, insieme alla vicina chiesa, nel periodo del Terrore. Interessante la resa degli strumenti della Passione sulla colonna della Flagellazione sormontata da un gallo (il rinnegamento di Pietro), e i profeti Geremia, Isaia, Daniele ed Ezechiele, aggiunti dall’abbé Jacquot, il parroco fattosi scultore nel XIX secolo per ricostruire il suo enclos.

Nel Finistère, a Saint-Jean-Trolimon, nella baia di Audierne, in località Tronoèn, di fronte alle dune e all’oceano, ecco il calvario forse più antico, con la vicina cappella del 1460 dedicata alla Madonna. Colpiscono le efficaci sequenze dell'Ultima cena e le scene della Passione. Tutto è rappresentato in due fregi posti su un’ampia base, con un centinaio di personaggi, caratterizzati da una certa animazione. Insolita la rappresentazione del battesimo di Cristo per ben due volte, e di Maria, nella Natività, a seno nudo.

Altra tappa è Pleyben, che palesa subito la grandezza e ricchezza del suo complesso in cui si sposano stile gotico, rinascimentale e Beaumanoir. Qui la sagoma del calvario ha la forma di un massiccio quadrilatero con statue arroccate a insolita altezza. Attirano l'attenzione i due ladroni crocifissi (un angelo e un diavolo aiutano a distinguerli), la scena del Rinnegamento di Pietro (unica nei calvari monumentali bretoni), la Deposizione con i volti in lacrime delle pie donne.

Ed eccoci a Plougastel-Daoulas, sulla baia di Brest, dove il calvario, eretto secondo la leggenda per un voto legato alla peste, è ciò che resta del complesso bombardato dagli Alleati nell'agosto 1944. Notevoli qui i santi Rocco e Sebastiano (invocati contro la peste), e il gruppo della Veronica (selezionato da Andre Malraux nel suo Musée imaginaire de la sculpture mondiale), oltre alle Nozze di Maria e Giuseppe (altro unicum per questi monumenti).

Il viaggio prosegue a Guimiliau, fra Morlaix e Brest, con il calvario realizzato, tra il 1581 e il 1588, da almeno due autori, come fanno supporre i due stili prevalenti in questo complesso scultoreo. Insieme a Gesù crocifisso, che ha ai suoi lati Maria e Giovanni, sono stipati oltre duecento personaggi che occupano ogni spazio: dai beffardi flagellatori di Cristo, alla Veronica con il sudario, all'asino dell'ingresso in Gerusalemme. E poi i pellegrini di Emmaus (altra scena unica nell'iconografia dei calvari monumentali), i quattro evangelisti con i loro attributi simbolici, e persino una fanciulla e un diavolo protagonisti di una leggenda locale.

Realisticamente più intenso e meno carico il plastico racconto che troviamo sul calvario di Saint-Thégonnec, datato al 1610, e attribuito al Maestro omonimo e a Roland Dorè, scultore di Landerneau, autore del gruppo attorno al Cristo oltraggiato. Le tre croci della Crocifissione sovrastano le nove scene, interamente dedicate alla Passione di Cristo, che adornano qui il fregio.

Ed eccoci infine a Plougonven. Il calvario, con il suo piano ottagonale e il basamento sormontato da due registri di sculture dominate dalla Crocifissione, fu realizzato da Bastien e Henry Prigent nel 1554. Amputato durante la Rivoluzione di un certo numero di rilievi, fu ricostruito agli inizi dell'Ottocento. Balzano agli occhi figure con abiti e accessori del XVI secolo (come l’archibugio del soldato della Resurrezione), poi sant'Ivo tra il ricco e il povero, l’Adorazione dei Magi, senza dimenticare un diavolo tentatore.

Insomma, la Passione del Vangelo narrata ai “piccoli”. E ancora catechesi, devozione, agiografia: per immagini. Quelle di un incontro fra tradizione e cristianesimo eternato nella pietra.