Bonhoeffer «tentato» dal Papa. Il viaggio del diciottenne Dietrich Bonhoeffer a Roma, di Marco Roncalli

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 01 /02 /2011 - 16:04 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire  dell’1/2/2011 un articolo scritto da Marco Roncalli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Sul viaggio di Bonhoeffer in Roma vedi anche su questo stesso sito Dalla Galilea a Roma, di Andrea Lonardo. Su Roma e la sua storia vedi la sezione Roma e le sue basiliche.

Il Centro culturale Gli scritti (1/2/2011)

Dei tre viaggi di Dietrich Bonhoeffer a Roma – nel 1924 insieme al fratello Klaus, nel 1936 in compagnia dell’amico Eberhard Bethge, nel 1942 con il cognato Hans von Dohnanyi (per stabilire contatti fra i congiurati antihitleriani e il governo britannico attraverso il Vaticano) – è il primo quello meglio documentato. Lo dimostrano le pagine di questo nuovo titolo bonhoefferiano (Viaggio in Italia. 1924, a cura di Fulvio Ferrario e Manuel Kromer; Claudiana, pagine 110, euro 10,00), nel quale le note diaristiche del futuro teologo impiccato a Flossenbürg nell’aprile 1945 si accompagnano ai luoghi visitati, tra cartoline d’epoca, fotografie inedite, nonché lettere – in prima traduzione italiana – scambiate con amici e familiari.

Si tratta di testi godibili nella loro prosa immediata, che, letti con l’intento di approfondire la vicenda e il pensiero di Bonhoeffer, non vanno né sopravvalutati, né sottovalutati. Non tanto perché ci dicono pur qualcosa del rampollo di una famiglia alto borghese che osserva la realtà nella prospettiva della cultura tedesca del XIX secolo influenzata dal protestantesimo. Ma perché
descrivendo un po’ gli effetti della "curiositas" dell’universitario diciottenne Dietrich (due semestri di teologia a Tubinga), palesa il suo atteggiamento nell’incontro con il cattolicesimo a Roma, ma poi anche innanzi all’islam e alla "pietà israelitica" nella colonia italiana di Tripoli, tappa non programmata di questo viaggio in Italia.

Dato conto di laboriosi preparativi e del forfait dei vari potenziali compagni per l’"avventura italiana" il diario informa che i fratelli Bonhoeffer, superato il Brennero, arrivano a Roma alle 14.20 del 5 aprile 1924, dopo un viaggio in treno di ventidue ore vissute tra entusiasmo e impazienza, durante il quale conoscono Platte Platenius: un seminarista cattolico poi interlocutore privilegiato nella loro esplorazione della Città eterna. Che inizia subito con la basilica vaticana, proseguendo il giorno con il Colosseo e i Fori. L’attenzione di Dietrich, nelle visite successive, si concentra presto sulle testimonianze della Roma più antica e quella barocca, insomma quella più visibilmente cattolica, mentre sul diario non resta traccia di quella post-risorgimentale. Seguono via via le immagini del Palatino, del Pincio, del Campidoglio, del Pantheon, del Museo delle Terme, di Santa Maria Maggiore e sopra Minerva, del Laterano, delle Catacombe di San Callisto, di San Paolo fuori le Mura…, fra dettagli di albe e tramonti, musica e sapori, mentre a finire in primo piano è la vita ecclesiastica di un mondo estraneo, ma che affascina e interroga.

Oltre che dai tesori artistici, Dietrich si lascia prendere dalla visione di sequenze in diretta. Dalla folla di fedeli che si accosta alla confessione in Santa Maria Maggiore: ai suoi occhi non l’assolvimento di un precetto, ma un’esigenza dello spirito. Dai riti cui assiste in altri luoghi come la chiesa di Trinità dei Monti: in particolare quelli della settimana santa, con liturgie che lo incantano. Sarà poi Karl Barth a fargli moderare entusiasmi ancor accesi dopo questa esperienza alla quale è certamente debitore l’interesse critico per il cattolicesimo che attraversa la successiva riflessione bonhoefferiana. Certo, nel gioco dei rimandi bisognerebbe sottolineare anche l’impatto di Dietrich innanzi a certi monumenti: cominciando con il gruppo marmoreo del Laocoonte, visto ai Musei Vaticani, con il profilo del veggente troiano che lega a successive rappresentazioni di Cristo "uomo dei dolori". Ma qui è più utile ricordare come per Bonhoeffer, a Roma, si sia fuso in qualche modo ciò che sino a quel momento in lui era stato diviso: Chiesa e fede, dottrina e vita, religiosità e sensi, concetti duri e simboli.

Il tour due fratelli continuò a Napoli, in Sicilia e in Libia. A Tripoli Dietrich osserva la dignità degli arabi e i comportamenti brutali degli italiani nella colonia, né mancano nelle lettere ai genitori descrizioni di scene pittoresche e rimandi all’islam dove «religione e vita quotidiana non sono affatto separate, come lo sono in tutta la Chiesa cristiana, cattolicesimo incluso. […] In generale mi sembra che fra la vita quotidiana e le pietà islamiche e dell’Antico testamento vi sia un’enorme somiglianza», nota Dietrich. Tornato nella capitale, il 17 maggio 1924 scrive alla sorella Sabine: «Arrivare per la seconda volta a Roma è in fondo ancora più bello della prima. […] Così la vita si è già intrecciata con Roma, da questo punto di vista la città più meravigliosa che conosca». Diario e lettere proseguono con riferimenti all’iconografia cristiana come fonte di conoscenza.

Mancano invece cenni specifici alla presenza protestante in Roma, salvo la visita alla sede di «una piccola setta» dove assiste ad un battesimo (si tratta della chiesa evangelica battista a Trastevere), occasione per riflettere sulla Chiesa di popolo come forma ecclesiale. «Caro Hans – scrive a Dohnanyi, a fine maggio ’24 –, tra due settimane e mezzo dovrò lasciare il Paese, ma non riesco neanche a immaginare come mi sentirò quando poi, di sera, invece di passeggiare al Pincio o di vedere San Pietro, camminerò davanti alla chiesa di Grunewald in Bismarckallee. Ma qui è stato incredibile, se penso che ci sono stato solo per un quarto di anno circa […]. Neanche lontanamente sono riuscito a vedere tutto, ma, se ritorno indietro con la memoria, mi rendo conto di aver visto moltissime cose; e poi, in fondo, bisogna pur concludere».