Blaise Pascal, di René Latourelle

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 14 /03 /2011 - 22:30 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito l’articolo “Pascal Blaise”, scritto da R. Latourelle per R. Latourelle-R. Fisichella, Dizionario di teologia fondamentale, Cittadella, Assisi, 1990, pp. 843-847. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Latourelle sostiene a ragione, sulla scorta di altri studiosi, che il Pensiero 60 - «Prima parte: miseria dell’uomo senza Dio. Seconda parte: felicità dell’uomo con Dio. O diversamente: che la natura è corrotta. Dimostrazione fondata sulla natura stessa. Seconda parte: che c’è un riparatore: Dimostrazione fondata sulla Scrittura» - sia lo schema dell’opera incompiuta che Pascal intendeva realizzare. Come è noto, infatti, i Pensieri sono gli appunti dell’Apologia del cristianesimo che il filosofo francese aveva intenzione di scrivere. Per altri testi vedi la sezione Storia e filosofia.

Il Centro culturale Gli scritti (14/3/2011)

l. NUOVO TIPO DI APOLOGETICA - L'apologetica di Pascal rappresenta qualcosa di inedito. La sua impresa non fu subordinata né a una filosofia né a una scienza particolare. È tuttavia di tipo filosofico: più precisamente è un'antropologia. In un universo in cui l'uomo è alla deriva, mistero a se stesso e mistero per gli altri, Pascal cerca di dimostrare come la religione cristiana dia un senso a un'esistenza apparentemente assurda: è un'antropologia di carattere teologico. La chiave del mistero dell'uomo è in Cristo, totalità del senso, che permette non solo di decifrare la condizione umana, ma anche di apportarvi rimedio.

Oggi si qualificherebbe volentieri l'apologetica di Pascal come ermeneutica, cioè ricerca di senso, più preoccupata di trovare segni che prove. Descrive l'esistenza umana che essa si sforza di interpretare come fosse un testo. Attraverso le diversità, le opposizioni, le fratture, le discontinuità, le scissioni, Pascal cerca di «decifrare» la condizione umana. Quindi la sua apologetica non segue un ordine lineare: è piuttosto multidirezionale e multidimensionale. È la ricerca e la scoperta di un senso a partire da osservazioni e figure che si possono dividere e classificare in modo diverso.

La ricerca del senso passa attraverso l'analisi dei paradossi della condizione umana e la scoperta di un punto superiore che li assume e li illumina.

Il paradosso, che è l'elemento privilegiato della dialettica di Pascal, non è una semplice tecnica stilistica, un gioco di antitesi letterarie: esso propone i termini della realtà umana stessa. Il paradosso consiste nella coesistenza e perfino nell'alleanza degli opposti; amplia gli opposti senza tuttavia risolverli. Il contrasto che caratterizza lo scrivere pascaliano, che oppone tra loro i temi miseria-grandezza, finito-infinito, tempo-eternità, carne-spirito, appartiene a Pascal come appartiene al vangelo e a S. Paolo e descrive il movimento stesso dell’esistenza umana: «Sappiate dunque, superbo, quale paradosso siete per voi stesso» (B434 C438).

L'intelligenza del paradosso non va cercata in un equilibrio in cui gli opposti, messi sulla bilancia, finirebbero con l'annullarsi. Non si deve cercare né equilibrio né simmetria, ma un senso che venga da un punto più alto, superiore, capace di chiarire e di ordinare visioni divergenti. Tale punto superiore, che permette di decifrare la condizione umana, è offerto dal cristianesimo, soprattutto dal dogma del peccato originale e da quello della redenzione. Il dogma tuttavia non abolisce i termini del paradosso; piuttosto li fa apparire in una luce più cruda. Cristo è un punto di rottura più che di equilibrio. Mistero egli stesso, chiarisce il mistero dell'uomo con un passaggio a un ordine superiore: quello della carità rivelata dalla croce. Solo Cristo decifra la condizione umana.

2. DIALETTICA DI PASCAL - Possiamo qui solo abbozzare a grandi linee il procedere di questa nuova apologetica. La sua originalità sta nel prendere l'uomo come figura centrale della dimostrazione. Per comporre questa figura, Pascal si ispira sia a immagini derivate dalla fisica matematica (l'uomo senza uno spazio preciso nell'universo infinito, l'uomo in abbandono, alla deriva, senza punto di riferimento), sia ispirate alla medicina (termini di malattie, ricerca di una terapia appropriata). In termini di fisica, bisognerà trovare «un punto alto»; in termini di medicina una grazia medicinale, un «rimedio».

In un classico frammento (B72 C84) Pascal mostra come l'uomo viva all’interno di una sproporzione spazio-temporale, segno di una ancora più profonda sproporzione che è quella del suo essere. Nell'universo non c'è luogo naturale in cui egli troverebbe l'equilibrio rispetto a ciò che lo circonda, perso tra i due abissi dell'infinitamente grande e dell'infinitamente piccolo. L'alto, il basso, il centro, la periferia, perdono il loro senso in un universo infinito. Che cos'è questa sfera il cui centro è dovunque e la circonferenza da nessuna parte? A questa visione degli infiniti spaziali si sovrappone quella di un essere che conosce, ma che è assoggettato a due limiti: ciò che conosce, non lo conosce né con certezza né totalmente.

L'uomo ritrova il paradosso del finito-infinito nell'abisso della miseria-grandezza che riguarda il suo essere. Egli cerca la verità, la giustizia, la felicità, ma in realtà conosce solo l'incertezza o l'errore, l'ingiustizia o la forza, la disillusione o il miraggio della felicità che è lo svago. Il tutto chiuso dalla morte. E tuttavia l'uomo è grande: «Attraverso lo spazio l'universo mi comprende e mi inghiotte come un punto: con il pensiero sono io a comprenderlo» (B348 C265). «L'uomo è solo un giunco ... ma un giunco pensante» (B347 C264). Questo spirito è fatto per l'infinito. La miseria dell'uomo risulta da una capacità beante, aperta sull'infinito, mai soddisfatta, e da uno slancio che non raggiunge mai il suo fine. «L'uomo supera infinitamente l'uomo» (B434 C438), poiché vi è nell’uomo più che l'uomo stesso. Ma allora che cos'è l'uomo? «Che novità, che mostro, che caos, che soggetto di contraddizioni, che prodigio! Giudice di tutte le cose, imbecille verme di terra, depositario del vero, cloaca di incertezza e di errore, gloria e rifiuto dell'universo. Chi sbroglierà questo imbroglio?» (B434 C438).

Fino a questo punto Pascal ha osservato l'uomo guardandolo vivere e pensare con lo sguardo di un biologo o di un esperto contabile davanti a un bilancio. Si può protestare, se si vuole, di fronte ai colori troppo tetri della descrizione. Ma le analisi di Nietzsche, Proust, Dostoèvskij, Kafka, Mauriac, Malraux, Camus, Sartre non fanno che prolungare e ampliare le intuizioni di Pascal dandogli ragione. L'uomo senza vangelo è orrendo.

Al di fuori della fede cristiana, l'uomo decifra nel mondo solo un destino assurdo che sfocia nel nulla. Che cosa farà di fronte al proprio mistero? Vivrà sempre nell'indifferenza, inconsapevole del proprio passato e incurante del suo avvenire? Pascal fa dire all'indifferente: «Io non so chi mi ha messo al mondo, né che cos'è il mondo e cosa sono io stesso: sono in un'ignoranza terribile di ogni cosa; non so che cosa è il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa parte di me che pensa ciò che dico... Vedo questi spaventosi spazi dell'universo che mi racchiudono senza che io sappia perché sono in questo luogo piuttosto che in un altro... Non vedo che infinità da ogni parte che mi chiudono come un atomo e come un'ombra che dura solo un istante senza ritorno. Tutto ciò che so è che devo ben presto morire, ma ciò che più ignoro è questa morte che non posso evitare. Poiché non so da dove vengo, così non so dove vado; e so soltanto che uscendo da questo mondo cadrò per sempre o nel nulla o nelle mani di un Dio irritato, senza sapere di quale delle due condizioni dovrò essere eternamente retaggio. Ecco la mia situazione, piena di debolezza e di incertezza. E da tutto ciò concludo che devo passare tutti i giorni della mia vita senza pensare di cercare ciò che mi deve accadere» (B194 C335).

Dunque il non credente può accettare di vivere nella più totale indifferenza pratica. Egli può non provare alcun imbarazzo a lasciar da parte i problemi che concernono il senso profondo dell'esistenza. «Questo riposo nell'ignoranza è una cosa mostruosa di cui bisogna far sentire la stravaganza e la stupidità a coloro che vi trascorrono la vita, mostrandola a loro stessi per confonderli con la visione della loro follia» (B195 C334).

Pascal si dedica allora a disorientare il libertino per togliergli le sue certezze. Spera di farlo uscire dal suo torpore e di metterlo alla ricerca della verità. Di questi adepti della comodità intellettuale egli vuole fare degli «stranieri» in preda all'angoscia della deriva, per condurli a porsi gli interrogativi ultimi a cui solo il cristianesimo porterà delle risposte. Senza questo coinvolgimento, nessun argomento potrebbe avere un mordente: si ridurrebbe a un mero dibattito accademico.

Pascal non dispera di provocare nell’anima del non credente questa lacerazione esistenziale e questa ricerca di senso. Infatti la coscienza della sua miseria dovrebbe ridestare l'uomo alla sua vera vocazione; tale vocazione, infatti, è una chiamata vissuta che egli non può soffocare. Ma la strategia di Pascal non si ferma qui. Al paradosso della condizione umana, che va decifrato, ne aggiunge un altro ancor più sconcertante e che concerne questa volta le esigenze di un'autentica decifrazione della condizione umana.

Lontano dal far credere che la verità dell'uomo si trova in una sorta di naturalizzazione di Dio, Pascal afferma crudemente: «Ciò che fa credere è la croce» (B588 C828). Nient'altro può insegnarci a conoscere Dio e noi stessi. «Gesù Cristo non ha fatto altro che insegnare agli uomini che essi amavano se stessi, che erano schiavi, ciechi, malati, infelici e peccatori; che egli doveva liberarli, illuminarli, beatificarli e guarirli; che ciò sarebbe avvenuto rinnegando loro stessi e seguendolo nella miseria e nella morte in croce» (B545 C689).

Non vi è altra strada apologetica che quella della croce. Tutta la descrizione da parte di Pascal dell'universo infinito e della deriva umana, del mistero di miseria e di grandezza che abita e lacera l'uomo, ha il solo scopo di portare l'uomo a scegliere questa strada. La ricerca della verità passa attraverso la croce. Questo approccio costituisce un altro tratto dell’originalità di Pascal. Molto più di un preliminare dottrinale (prove storiche del cristianesimo) egli propone come «preliminare» la «conversione del cuore». In questo modo Pascal taglia corto con le obiezioni del libertino e lo prepara a leggere i segni e le prove storiche. Infatti, per quanto ragionevole sia la decisione di fede, con l'impressionante insieme delle prove storiche, non si è fatto nulla se le passioni non vengono dominate, se il cuore non è disposto ad ascoltare. «Avrei subito abbandonato i piaceri - dicono - se avessi avuto la fede. E io vi dico: voi avreste avuto ben presto la fede se aveste abbandonato i piaceri» (B240 C457). Per capire infatti bisogna sfebbrare, purificarsi.

L'apologetica di Pascal passa dunque attraverso la conversione del cuore e attraverso la croce. Essa si serve delle prove storiche, ma intende somministrarle a un uomo reso disponibile dalla coscienza di essere incomprensibile a se stesso, estraneo a tutto; a un uomo che, posta correttamente la questione del senso della vita (origine e destino), desidera trovare la verità nella sola luce che possa svelarla. Ora tale luce è la croce di Gesù Cristo e ci si prepara a riceverla con la mortificazione delle passioni. Questo salto pieno di pericoli, follia per il mondo, umiliazione per l'orgoglio dei filosofi, non può che esprimersi con il pressante avvertimento: Ne evacuetur crux Christi.

Pascal si è sforzato fin qui di scuotere l'uomo, di suscitare in lui la ricerca della verità. Gli ha anche mostrato a quale condizione tale ricerca può aver buon esito: se l'uomo si dispone ad accogliere la verità, per quanto sconcertante sia, con la conversione del cuore.

Pascal si rivolge dapprima ai filosofi. Questi si mostrano impotenti a chiarire veramente il mistero. Gli stoici hanno optato per la grandezza e sono caduti nell'orgoglio; gli scettici per la miseria e sono caduti in un'indifferenza riprovevole (B525 C392). Ciò che ai filosofi non è possibile non lo è nemmeno alle religioni dell'umanità. Pascal interroga uno per uno, brevemente, il buddhismo, l'islam, la religione pagana. Ma invano. Per quanto si esaminino tutte le religioni del mondo, conclude Pascal, non ce n'è nessuna che porti una risposta davvero decisiva al mistero dell'uomo e del suo destino. Tutte lasciano l'uomo insoddisfatto e non propongono nessun vero rimedio alla sua miseria.

3. CRISTO, TOTALITÀ DI SENSO - L'illustrazione definitiva della condizione umana avviene solo in Gesù Cristo: «In Gesù Cristo tutte le contraddizioni si accordano» (B684 C558). Egli è il punto di riconciliazione di tutti i nostri paradossi, non con equilibrio o simmetria (peccato-grazia, grandezza-miseria), ma con un cambiamento di ordine. Cristo è questa immagine dell'uomo nuovo che poteva essere posta solo da Dio: un'immagine che il mondo non poteva né esigere, né sospettare, né inventare. Adamo diventa Gesù Cristo, ogni uomo diventa figlio di Dio in Gesù Cristo. Per Pascal, Cristo è il centro di tutto, la ragione e il senso di tutto, il tutto dell'uomo e di Dio (B556 C602). Cristo non dipende da alcuna immagine, poiché in lui «l'immagine è stata fatta sulla verità» (B673 C572). Di conseguenza la verità dell'uomo si trova solo in lui. Solo Cristo chiarisce il paradosso della grandezza-miseria dell'uomo. Da una parte, infatti, l'incarnazione mostra all'uomo la grandezza della sua miseria con «la grandezza del rimedio che ci è voluto» (B526 C677); dall'altra, la croce svela «la grandezza dell'anima umana» (Memoriale), chiamata dalla misericordia a condividere la stessa vita di Dio.

Cristo non solo chiarisce la condizione umana nella sua globalità, ma svela l'uomo a se stesso nel suo mistero personale. «Non solo conosciamo Dio solo in Gesù Cristo, ma conosciamo noi stessi solo in Gesù Cristo. Conosciamo la morte e la vita solo per mezzo di Gesù Cristo. Al di fuori di Gesù Cristo non sappiamo né che cos'è la vita, né la morte, né Dio, né noi stessi» (B548 C729). Cristo ha fatto capire agli uomini come fossero egoisti, induriti, asserviti alle loro passioni, ciechi riguardo a Dio e al loro destino (B545 C689). Ma dal momento in cui essi si volgono a lui, i loro occhi si aprono e imparano chi sono e a chi si affidano. Dunque Cristo è mediatore in un duplice senso: sul piano oggettivo poiché rivela all'uomo l'immagine del Dio vivente e l'immagine dell'uomo secondo Dio; sul piano soggettivo, poiché dà all'uomo, che si apre a Dio, il solido punto d'appoggio della sua esistenza; gli conferisce l'atteggiamento amante e filiale che lo salva.

Cristo è veramente la totalità del senso dell'uomo: egli decifra e salva. È luce e rimedio, verità e vita. L'uomo non si scopre e non si realizza né nella figura del saggio, né in quella dell'eroe, ma in Gesù Cristo crocifisso. In lui il peccato è assunto ma espiato e superato nell'amore; la nostra colpa è riconosciuta, perdonata e superata dalla grazia.

Per Pascal esiste quindi una sola spiegazione dell'uomo: quella della fede cristiana. Ed è quando la verità cristiana si proietta sull'abisso dell’uomo, quando egli si rende conto del suo decadimento e della sua grandezza, che il non credente ha la migliore possibilità di essere «tentato» dalla soluzione cristiana. Vi è continuità tra la descrizione della condizione umana e le prove storiche; ancor più, la descrizione della condizione umana si articola nelle prove storiche. Pascal è tuttavia consapevole che non è sufficiente conferire rispetto alla religione: bisogna stabilirne la plausibilità, la credibilità, poiché Dio non vuole la fede senza ragione. La sua autorità sarà fondata su solidi argomenti costituiti dal messaggio stesso, dalle profezie, dai miracoli, dalla santità. Ecco ciò che basta agli occhi di Pascal per coloro che cercano sinceramente la verità e sono disposti ad accoglierla nell'umiltà di un cuore docile alla grazia. Coloro che non sono conquistati dovranno prendersela con la propria resistenza, cioè con il loro poco interesse per le cose superiori.

Il filo conduttore dei Pensieri è il cristocentrismo di Pascal. A questo proposito vi è un'armonia profonda tra il Memoriale, il Mistero di Gesù, i tre Ordini e i Pensieri.

Nei Pensieri Pascal, almeno in apparenza, non parte da Gesù per tornare poi all'uomo come fa nel Memoriale e nel Mistero di Gesù. Egli, al contrario, pone a lungo lo sguardo sull'uomo per poi condurlo a Cristo. In realtà il cammino di Pascal nell'Apologia è molto più vicino ai Pensieri che a quello degli altri due testi. Infatti Pascal non è un moralista o un analista che si compiace dell’analisi dell'uomo e delle sue contraddizioni interiori: ciò che egli vuole, più di tutto, è portare gli uomini a Cristo. Pascal, come Agostino, è un «convertito» e la sua Apologia è un progetto da convertito. Pascal ha scrutato, come Paolo e Agostino nella luce di Cristo, la miseria e la grandezza dell'uomo ed è questo che conferisce alla sua analisi un'acutezza sorprendente. Pascal guarda l'uomo, ma attraverso l'Uomo nuovo. In realtà è il mistero di Cristo che permette a Pascal di penetrare gli abissi dell’uomo. Senza la croce di Cristo, non avremmo mai sospettato la profondità di questi abissi. Il nocciolo dei Pensieri di Pascal è Gesù Cristo. E in Gesù Cristo la croce e l'amore da questa rivelato sono l'essenziale.