Il peccato esiste dinanzi alla grazia. Appunti per l'omelia della XXX domenica anno C (di A.L.)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /10 /2007 - 18:01 pm | Permalink | Homepage
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E’ quasi un luogo comune, in alcuni autori, accusare il cristianesimo di aver rovinato la bellezza del vivere portando nella coscienza umana il senso del peccato. Sarebbe stato il cristianesimo a rendere amaro il piacere, inoculandovi quel sottile senso di colpa che accompagnerebbe da allora l’uomo. Nietzsche, in particolare, ha insinuato questo e le sue parole sono diventate l’aria che si respira senza neanche essere consapevoli che da una precisa scelta filosofica questa accusa deriva.

La parola peccato dovrebbe allora –si pensa- sparire dal linguaggio comune, perché segno di arretratezza e di una psicologia immatura ed impositiva.

Ma il vangelo, ancora una volta, ci conduce altrove. Proprio questo vangelo della parabola del fariseo e del pubblicano mostra il giudizio di Cristo su chi si ritiene giusto e sul pubblicano che ha il coraggio di dire: “Abbi pietà di me, perché sono un peccatore”. Gesù invita a guardare con ammirazione la richiesta di perdono di questo pubblicano e già qui è evidente il corto-circuito. Chi vuole prendersela con il cristianesimo, esalta, però, queste parole di Gesù, dinanzi alla saccenteria del fariseo, parole che pure sottolineano la richiesta di pietà, la coscienza dell’essere peccatore propria del pubblicano.

Chi afferma che con il cristianesimo, con il vangelo di Gesù, è cambiata la visione dell’uomo in relazione al peccato, dice il vero! Ma il cambiamento radicale non dipende dall’introduzione del concetto di peccato –antico quanto l’uomo- bensì dall’annuncio della grazia di Dio che supera ogni immaginazione.

Uno straordinario autore, Ch.Moeller, ha tentato un impossibile confronto fra l’uomo greco e l’uomo cristiano, analizzando le opere teatrali precedenti e successive al cristianesimo (in Saggezza greca e paradosso cristiano).
Egli scrive che i greci erano migliori dei loro dei. Gli dei dell’Olimpo erano carichi di invidia, di gelosia, di volontà distruttiva, non solo gli uni verso gli altri, ma ancor più verso gli uomini che cercavano di coinvolgere nelle loro trame. Essi volevano rapire l’amore delle figlie degli uomini, avere l’attenzione dei guerrieri e litigavano fra loro i favori umani. L’uomo greco ha cercato l’armonia, la bellezza, senza poterla imparare dai suoi dei –sostiene Moeller.

Ed ecco la novità cristiana. E’ l’annuncio del Dio creatore che gioisce della vita dei suoi figli. E’ la venuta del Dio redentore che prende su di sé il male del mondo perché i suoi figli non abbiano a morire. E’ la novità della grazia. Dio è grazia.

Ma proprio dinanzi al dono della grazia, si manifesta la disarmonia dell’uomo. L’uomo da sempre ha saputo della sua capacità di compiere il male e quando lo ha dimenticato oscure tenebre sono scese sulla terra. Diceva Bonhoeffer, riflettendo sul nazismo, su quell’ideologia che poi lo avrebbe ucciso, che il malvagio ha sempre la coscienza del male che sta facendo che lo tormenta, ma lo stupido –o colui che è stato istupidito da una ideologia- non avverte più il malessere del male e, per questo, è più pericoloso, perché può nascondersi il rimorso al punto da non avvertirlo più.

La coscienza della possibilità e più ancora della realtà del male che è in noi è la grandezza dell’uomo. Egli è capace di sapere il male che compie. Questo è il peccato!

Ed il peccato è antico quanto l’uomo e la sua libertà, il peccato è originale, nel senso che viene compiuto fin dall’inizio! Certo è, però, che la forza del peccato si manifesta ancor più alla comparsa della misericordia di Cristo e del suo vangelo. Hans Urs von Balthasar ha riflettuto lungamente sul fatto che l’incontro con l’amore di Dio in Cristo ci sorprende, ci conquista, ci attrae, ma ci fa al contempo capire che noi non abbiamo mai amato di un amore simile. E’ questo il peccato. “Abbi pietà di me, Signore, perché sono un peccatore!”

L’uomo dinanzi al male si arrende, se non si vendica. Ma ora conosce un amore che prende il male su di sé: è il mistero insondabile dell’amore crocifisso. Ora l’uomo sa che non ha mai vissuto di un simile amore.

La preghiera del pubblicano non è, semplicemente, una preghiera più conforme al galateo, più garbata e dotata di politesse. E’ espressione della comprensione della reale distanza fra la grazia di Dio e la nostra capacità di fare il male e di essere indifferenti al bene.

Potremmo dire che è costitutivo del credente il riconoscimento del male, tanto quanto l’adorazione della bontà di Dio. Come per la preghiera di cui parlava il vangelo di domenica scorsa! Come la preghiera è uno dei gesti più nobili dell’uomo, così lo è la sua capacità di chiamare il peccato con il suo nome; è questo che rende l’uomo un essere morale. Ed il tentativo di ogni ideologia –del nazismo, come del comunismo- è sempre stato quello di spegnere il senso della responsabilità individuale, di far apparire bene il male.

La novità cristiana non consiste, allora, nella invenzione dell’idea di peccato –che, invece, è antica quanto l’uomo, perché gli è connaturale dal peccato di origine in poi- ma nel suo approfondirla dinanzi alla grazia di Dio. Il peccato è brutto –bisogna avere il coraggio di definirlo tale- ma proprio dinanzi ad esso ecco rivelarsi la grandezza della grazia e del perdono

Due novità cristiane si manifestano, allora, in questo brano evangelico. In primo luogo la misericordia di Dio che privilegia il peccatore. Gesù rivela ancora una volta nelle sue parabole il vero volto di Dio. Egli è dalla parte del pubblicano; è per il pubblicano che è venuto. La parabola si rivela qui non una bella storiella, ma l’annuncio dell’opera che Cristo sta realizzando.

Claudel, ne La scarpina di raso, fa dire all’angelo custode della giovane donna che decide l’adulterio: “Ed io verrò con te”! Dio non può lasciare la sua creatura neanche nel momento del peccato. Ma egli le sarà vicino in agonia. Il male che l’adultera porta nel mondo giungerà a ferire Dio stesso. Se volete è la vera risposta teologica –e non solo storica- all’accusa di deicidio rivolta al sinedrio ebraico di allora. Il Cristo non muore solo a causa di chi lo accusò ingiustamente quel giorno. Egli muore a causa dei miei peccati, dei peccati di ogni uomo, perché non può lasciarmi solo nel male.

Qui si spalanca la possibilità di mettere i peccati nelle mani di Cristo, confessandoli; è per questo che esiste il sacramento della riconciliazione. “Perché sappiate che il Figlio dell’Uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati...”. Questo è il potere di Cristo, il grande dono ed il grande potere del Cristo.

Il peccato lo puoi sostenere e deporlo ai suoi piedi, perché sai di essere amato. Il senso cristiano del peccato non consiste nella persistenze sensazione di inadeguatezza, ma nella fiducia in Colui che è più grande del nostro cuore.

La seconda novità cristiana nella considerazione del peccato si manifesta poi nella comprensione dell’elezione. La chiamata unica a conoscere ed amare Dio non è più disprezzo della vita altrui, ma vocazione per l’altro, chiamata a mostrare ad ognuno che il Cristo è anche per lui.

L’elezione come disprezzo è palese nelle parole del fariseo: “Non sono come gli altri uomini”! E’ l’uomo che trae forza dal male altrui, che si identifica a partire dal male altrui. Non così la scoperta dell’evangelizzazione: “Andate ed annunziate a tutti il perdono dei peccati”. Fratello, sei come me, dinanzi al Dio della grazia che ci invita al perdono ed alla conversione. Così Paolo, nella seconda lettura, capisce anche l’imminenza del martirio e l’abbandono da parte di tutti. La persecuzione è divenuta ormai motivo, occasione, perché fossero da lui predicati ai pagani, ai gentili, il vangelo di Cristo e la sua misericordia.

Un testo ancora ci può accompagnare. Il grande apologeta cristiano inglese Chesterton, con la sua ironia britannica, ebbe un giorno a scrivere che il peccato originale è ciò che della teologia cattolica è possibile dimostrare empiricamente. L’uomo è capace di scorticare un gatto vivo e di goderne. Dinanzi a questa evidenza, i grandi pensatori hanno tratto due conclusioni: gli atei hanno concluso che Dio non può esistere, i cristiani hanno, invece, affermato che il male mette in evidenza che far Dio e l’uomo non c’è al presente unione e che ad essa bisogna convertirsi. Ma -egli conclude- i moderni si sono limitati a negare l’esistenza del gatto, per non vedere ciò che non può non essere visto!

Ci accompagni l’eucarestia, che è il dono per i peccati del mondo, a comprendere come la serenità del cuore non derivi dal fingere che il male non esiste, ma piuttosto dal sapere che una parola più grande del male è stata pronunciata: “Questo è il mio corpo che è dato per voi”.


N.B. Questi i due testi a cui si fa riferimento:

Quando ne La scarpina di raso, Prouhèze imbocca la via dell’adulterio, l’angelo le dice: “E io ti accompagno”. L’angelo è qui la figura di Dio. Ciò che dice alla giovane donna, lo dice a tutti i suoi figli, ininterrottamente: è la parola dell’amore in atto di redenzione. L’accompagnamento nei bassifondi, discreto, quasi silenzioso. Una sola parola, semplicemente perché la sua presenza sia percettibile, nell’ora in cui l’attenzione è più acuta. Quando abbiamo la percezione che Egli è là, noi adoriamo ciò che fa sì che non possa non essere là, ed è Lui stesso. Non può accompagnarci senza entrare in agonia. Altrimenti sarebbe indifferente alla nostra miseria.
(da F.Varillon, L’umiltà di Dio, Ed.Qiqajon, Bose, 1999, p.133)


I maestri di scienza moderna hanno cura di cominciare le loro ricerche da un fatto. Anche i vecchi maestri di religione sentivano la stessa necessità; e cominciavano dal fatto del peccato - un fatto pratico come le patate. L’¬uomo poteva o non poteva esserne lavato con acque miracolose; ma era indubitabile che aveva bi¬sogno di essere lavato. Ai nostri giorni, certi stu¬diosi di cose religiose qui a Londra, - e non si tratta di puri materialisti - hanno cominciato a negare non già l'acqua miracolosa, sulla quale si può discutere, ma il fatto indiscutibile della spor¬cizia. Certi nuovi teologi mettono in discussione il peccato originale, la sola parte della teologia cri¬stiana che possa effettivamente essere dimostrata. Alcuni seguaci del Rev. R. J. Campbell, nel loro fin troppo fastidioso spiritualismo, ammettono bensì che Dio è senza peccato - cosa di cui non potrebbero aver la prova nemmeno in sogno - ma, viceversa, negano il peccato dell'uomo che può esser visto per la strada. I più grandi santi, come i più grandi scet¬tici, hanno sempre preso come punto di partenza dei loro ragionamenti la realtà del male. Se è vero (come è vero) che un uomo può provare una voluttà squisita a scorticare un gatto, un filosofo della reli¬gione non può trarne che una di queste deduzioni: o negare l'esistenza di Dio, ed è ciò che fanno gli atei; o negare qualsiasi presente unione fra Dio e l'uomo, ed è ciò che fanno tutti i cristiani. I nuovi teologi sembrano pensare che vi sia una terza più razionalistica soluzione: negare il gatto.
(da G.K.Chesterton, Ortodossia, p.21)