Il vicino è d’Oriente. Un’intervista di Lorenzo Fazzini a Peter Brown

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /11 /2011 - 00:51 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 18/11/2011 un’intervista di Lorenzo Fazzini a Peter Brown. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (20/11/2011)

Spazio al «terzo incomodo» della tarda antichità. Oltre a latini e greci, la ricerca storica deve rivalutare quel mondo siriaco che ha fatto da «ponte» tra cristianesimo e islam. Una missione che resta feconda anche per l’epoca attuale, dove islam e Occidente si fronteggiano spesso come «altri» invece che «vicini». Lo sostiene Peter Brown, uno dei più grandi storici viventi, che viene premiato oggi a Berna dalla Fondazione Balzan per il suo pluriennale lavoro storiografico, sfociato in alcuni classici quali La nascita della civiltà cristiana occidentale (Laterza) e Genesi della tarda antichità (Einaudi). Insieme a Brown – già professore a Oxford e Berkeley, oggi docente emerito di Princeton – sono stati insigniti del prestigioso riconoscimento lo storico della filosofia Bronislaw Baczko, il fisico Joseph Ivor Silk e la biologa Russell Scott Lande.

Professor Brown, nel suo intervento al Premio Balzan lei sottolineerà il ruolo della civiltà siriaca-cristiana e islamica nella tarda antichità. Qualche tempo fa aveva fatto scalpore il libro di Sylvain Gouguenheim «Aristotele contro Averroè. Come cristianesimo e islam salvarono il pensiero greco» (Rizzoli). Anche l’islamologo Samir Khalil Samir sottolinea sovente la grande importanza dei cristiani nel mondo culturale arabo. Perché questo suo interesse storiografico?

«La mia ricerca va nella direzione degli autori da lei citati. Dal punto di vista storico quella siriana è una cultura soprattutto dei 'soggetti'. Se la lingua greca e quella latina sono gli idiomi dei dominatori, soprattutto dopo Alessandro Magno per quanto riguarda il greco e con la conquista romana per il latino, quella siriaca è la lingua franca dei singoli soggetti di questi imperi, anche in quello persiano. Ascoltare questa lingua significa mettersi in ascolto di una sorta di 'terza voce' dell’antichità, che permette di comprendere la reale multi-espressività del Medio oriente antico».

Lei cita il caso del teologo-poeta Efrem il Siro, paragonabile a Dante Alighieri per capacità di coniugare pensiero su Dio e maestria poetica.

«Personaggi come Efrem il Siro hanno molto da dirci perché sono espressioni di una tradizione vivace e cristiana dal punto di vista religioso. Ma esistono anche cristianità armene, georgiane, e altre da valorizzare. Non sono un 'maniaco-siriano', ma voglio sottolineare l’importanza di un mondo che non deve essere perduto. Il lavoro dello storico consiste nel 'non perdere cose' del passato».

Questo impegno storico propone un insegnamento per noi post­moderni?

«Il messaggio che ci viene da quel mondo è questo: esisteva un altro Oriente cristiano che si poneva sempre in dialogo con l’islam. Noi abbiamo perduto questo senso di un 'continuum' con l’islam, mentre anche nella nostra epoca vediamo in Medio oriente comunità cristiane che hanno mantenuto la loro identità in dialogo con il panorama musulmano. Quest’ultimo, dai cristiani orientali, non era concepito come 'altro', bensì quale 'vicino'. Bisogna imparare da questa dimensione di vicinanza».

Lei è l’estensore del celebre «Agostino. Una biografia» (Einaudi), da cui risalta la grandezza del vescovo di Ippona, non solo quale uomo di Chiesa ma anche di cultura e politica. Nell’epoca attuale, sotto certi aspetti simile alla crisi del tardo impero, cosa può offrire la figura di Agostino?

«Non bisogna 'culturalizzare' Agostino. Il quale era un teologo e la cui principale preoccupazione era Dio, non la cultura. Certamente, studiando Agostino – un interesse che non ho mai tralasciato, soprattutto con le acquisizioni delle sue nuove lettere scoperte qualche tempo fa – si comprendono due suoi valori: la consapevolezza della transitorietà delle cose umane (vedi il rapporto con il neoplatonismo) e la sua efficacia nell’agire come vescovo. Egli era un pastore con un grande senso di responsabilità rispetto al suo gregge, si impegnava a fondo per la giustizia sociale (se si può dire così, usando una nostra categoria), si batteva con intensità per la condizione dei poveri, ad esempio lottando, alla fine della sua vita, contro la tratta degli schiavi quando andò fisicamente alle porte di Ippona per fermare quel traffico di uomini».

Veniamo all’attualità. Da storico, come valuta la «primavera araba» che sta interessando molti Paesi del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale?

«È troppo presto per dare un giudizio. Anni fa, me lo ricordo bene, avevamo parlato di 'primavera di Praga' per la sollevazione della Cecoslovacchia contro Mosca nel ’68. E poi abbiamo visto come è andata a finire, con tutte le nostre speranze in fumo… Essendo uno storico, e non un indovino, spero che ci si avvii verso una miglior situazione socio-politica del Medio oriente, ma ritengo che sia troppo prematuro avere facili entusiasmi per gli avvenimenti di questi tempi».

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