No alla pena di morte: la moratoria all’ONU. Una intervista a Robert Badinter di Paola Springhetti (dalla rassegna stampa)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 19 /12 /2007 - 12:57 pm | Permalink | Homepage
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Presentiamo sul nostro sito per il progetto Portaparola una intervista a Robert Badinter di Paola Springhetti apparsa su Avvenire del 18/12/2007, con il titolo originale "Beccaria all’ONU".


«Signori deputati, ho l’onore di chiedere l’abolizione della pena di morte»: è questa, probabilmente, la frase più celebre di Robert Badinter. Era il 1981, lui era ministro della Giustizia, e chiedeva alla Francia di mandare definitivamente in pensione la ghigliottina. Cosa che, quello stesso anno, si realizzò.

L’altra frase famosa è legata al suo ottimismo senza tentennamenti riguardo questo problema: «Più in fretta di quanto pensino gli scettici, i nostalgici o i fautori dei supplizi, la pena di morte è destinata a scomparire dal mondo».

Robert Badinter era ieri era a Roma per la presentazione del suo libro: Contro la pena di morte (Spirali). E ha accettato di fare il punto della situazione, a poche ore dalla votazione nell’assemblea dell’Onu (che si svolge oggi) della moratoria sulla pena di morte proposta e fermamente portata avanti dall’Italia.

Anche sull’esito del voto, tanto per cominciare, è speranzoso:

«Credo che la moratoria verrà approvata, e sarebbe la prima volta che il più alto organismo internazionale si pronuncia contro. Bisogna riconoscere il merito all’Italia, patria di Beccaria».

La votazione all’Onu avviene pochi giorni dopo che il New Jersey ha abolito la pena capitale. Questa decisione l’ha sorpresa?

«No. Sono ormai cinque o sei anni che negli Usa si vedono segni che in futuro la pena di morte scomparirà. Ed è un futuro per me prossimo. Non dimentichiamo che sono 12 gli Stati della federazione che non accettano la pena di morte, e che in questi Stati la criminalità grave non è maggiore che in Texas o in Virginia, anzi. Inoltre negli ultimi cinque anni c’è stato il 50% delle esecuzioni in meno. La Corte Suprema, con una serie di sentenze, ha ristretto la possibilità di comminare la pena capitale (non è più possibile condannare i minori e gli incapaci di intendere e di volere), e ultimamente sono in corso indagini sulla morte per avvelenamento, più crudele e disumana di quello che poteva sembrare. Contemporaneamente, c’è stata una forte presa di coscienza sul grande numero di errori giudiziari che hanno portato innocenti nel braccio della morte: basti pensare che il Governatore della Virginia ha graziato tutti quelli che vi erano rinchiusi».

Dunque, il processo è inarrestabile?

«L’evoluzione sarà questa: una moratoria, un attento studio dei casi giudiziari, l’abolizione. D’altra parte, se si guarda una cartina geografica, si potrà notare che gli Stati che applicano la pena capitale sono quasi tutti nel Sud, lungo la linea degli Stati secessionisti, che sono anche quelli in cui vigeva la schiavitù. Non è casuale».

Si riuscirà ad abolirla anche per i reati di terrorismo, quelli che forse oggi fanno più paura?

«Per il terrorismo la pena di morte non è un deterrente, anzi, rischia di farne il gioco. I terroristi hanno bisogno di processi pubblici per farsi propaganda, e la pena capitale li rende eroi, che probabilmente qualcuno sentirà di dover vendicare diventando a sua volta terrorista. D’altra parte, se uno è disposto a farsi saltare in aria in mezzo alla gente, difficilmente si spaventerà di fronte al rischio che gli sia comminata la pena di morte. Gli Stati Europei - pensiamo alla Spagna con l’Eta, all’Italia con le Brigate Rosse e così via - e lo stesso Israele non hanno mai applicato la pena di morte contro i terroristi».

Il paese in cui si fanno più esecuzioni, comunque, è la Cina: circa 5.000 esecuzioni nel 2006.

«Eppure anche lì comincia a intravedersi un movimento antiabolizionista: non sono ottimista a oltranza, ma ci sono magistrati, avvocati, giuristi, studenti che cominciano a pensare che non sia la risposta giusta alla criminalità. Un paio di anni fa il Procuratore generale della Cina, che non è esattamente un tipo mansueto, mi ha detto che sì, forse la pena di morte dovrebbe essere abolita, ma che la gente non è pronta. È la classica motivazione di chi non ci crede più, ma non ha ancora il coraggio di eliminarla. E comunque negli ultimi anni sono state ridotte le possibilità di comminarla, e sono stati stabiliti più controlli sulle procedure».

In occasione delle olimpiadi le Ong chiedono una moratoria non solo in Cina, ma in tutto il mondo. Servirà?

«È sempre difficile prevedere le reazioni della Cina alle pressioni internazionali. È probabile che le esecuzioni si fermino nel periodo delle Olimpiadi, in agosto, ma bisogna vedere che cosa succede dopo. Durante quelle del ’36 la Germania di Hitler sembrava un paese che non aveva mai visto né il nazismo né la violenza. Comunque non credo nei boicottaggi, che troppi Paesi non osserverebbero. Credo di più nella pressione dell’opinione pubblica».

Resta il problema dei Paesi Islamici. Lì c’è qualche prospettiva?

«Gli stati integralisti sono il vero problema. In Iran solo quest’anno ci sono state 400 esecuzioni, molte delle quali di donne. E poi c’è l’Arabia Saudita, il Pakistan, gli Emirati Arabi…. È difficile portare motivazioni razionali contro la pena di morte se questa viene giustificata nel nome di Dio. In ogni caso, credo che in quei Paesi sia più efficace un’opposizione che viene dall’interno, di una che viene dagli attivisti occidentali».

Ma c’è qualcuno in questi paesi che sostiene l’abolizione?

«Qualcuno c’è, per esempio in Senegal. E poi esiste un forte movimento abolizionista in Marocco, e questo è un dato da non sottovalutare, sia perché si tratta di uno stato importante, sia perché il re discende direttamente dalla famiglia del profeta. Se facesse questa scelta, il Marocco sarebbe un cuneo importante nel blocco islamico».