L'Africa si sta distruggendo a causa del tribalismo politicizzato ed ideologizzato. Il cardinale Sarah propone la communio per la crescita della Chiesa-Famiglia di Dio

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 11 /01 /2012 - 23:12 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dall'Agenzia di stampa Zenit del 26/11/2011 una sintesi di una relazione del cardinale Robert Sarah. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (11/1/2012)

Riportiamo una sintesi dell’intervento svolto il 25 Novembre presso la Pontificia Università Lateranense dal Cardinale Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum.

***
Il Primo Sinodo dedicato all'Africa, ispirandosi alla teologia conciliare della communio ha assunto come idea-guida per l'evangelizzazione 'Africa quella di Chiesa Famiglia di Dio (cfr. Ecclesia in Africa, n. 63), ritraducendo e inculturando il dettato conciliare entro categorie africane.

Nell'idea della Chiesa Famiglia di Dio i Padri di quel sinodo hanno riconosciuto una espressione della natura della Chiesa particolarmente adatta per l'Africa. Questo perché l'immagine evidenzia e rimarca che la communio deve necessariamente poter esprimersi come premura per l'altro, solidarietà, calore delle relazioni, accoglienza, dialogo e fiducia: tratti tipici e ben radicati delle culture africane.

Una tale prospettiva ottiene come guadagno alcune implicazioni specifiche per il compito della evangelizzazione e della cooperazione missionaria in Africa. Ne vorrei evidenziare almeno una, che mi sembra urgente.

Se la Chiesa è la Famiglia di Dio, a edificare la Chiesa come una famiglia significherà escludere ogni etnocentrismo o tribalismo e ogni particolarismo eccessivo, cercando invece di promuovere la riconciliazione e una vera comunione tra le diverse etnie, favorendo la solidarietà e la condivisione per quanto concerne il personale e le risorse tra le Chiese particolari, senza indebite considerazioni di ordine etnico. Quest'ultimo punto in particolare, come si vede, risulta decisivo ai fini di un'efficace cooperazione missionaria tra le Chiese.

E dunque le Diocesi, le conferenze episcopali, il presbyterium devono essere luoghi e strumenti di comunione, devono creare un ambiente ecclesiale proficuo ad edificare la famiglia di Dio nella quale “anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri” (Rm 12,5), dobbiamo perciò amarci con affetto fraterno e gareggiare nello stimarci a vicenda (cf Rm 12,10). “Fratelli, non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge” ci raccomanda San Paolo (Rm 13,8). E aggiunge: “Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Gesù Cristo, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 27-28).

I vescovi, i sacerdoti, tutte le persone consacrate e tutti i fedeli cristiani devono assolutamente combattere e bandire dalla comunità ecclesiale ogni forma di etnocentrismo, di tribalismo, di regionalismo, di razzismo e di esclusivismo di ogni tipo.

Il nostro continente in questi ultimi anni, malgrado la sua apertura a Cristo e al Suo Vangelo, si sta distruggendo a causa del tribalismo politicizzato ed ideologizzato da politici sanguinari, crudeli ed assetati di potere e di ricchezze materiali.

Come ci invita il Santo Padre è urgente approfondire e vivere pienamente ciò che chiediamo quotidianamente nella celebrazione del mistero Eucaristico e le sue conseguenze ecclesiali concrete: “a noi che ci nutriamo del Corpo e del Sangue del Tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo Corpo e un solo Spirito”. Solo Gesù Cristo tramite il Suo Vangelo e la Sua Chiesa può salvare l’Africa dalle sue difficoltà attuali e guarirla dai molti suoi mali.

Perciò è vivamente auspicabile che i teologi africani – in comunione con i loro vescovi – elaborino la teologia della Chiesa-Famiglia di Dio dispiegando tutta la ricchezza insita in tale concetto, non soltanto sviluppandone la complementarietà mediante altre immagini neotestamentarie della Chiesa, ma anche indicando vie concrete di attuazione di tale modello ecclesiologico.

A nulla servirebbe, infatti, un'ecclesiologia pur affascinante e culturalmente adeguata se non si attuasse e non si innervasse in uno stile di vita, di evangelizzazione e di relazioni ben visibile, incarnato, e perciò capace di trasformare evangelicamente le culture, le mentalità, la vita e le società.

Tale trasformazione costituisce il fine ultimo della cooperazione missionaria tra le Chiese.

Il criterio di una permanente cooperazione missionaria può perciò essere di grande aiuto nello strutturare cristianamente la vita delle nostre comunità: laddove esso non si esprima (come nel caso del tribalismo), dobbiamo rimettere in questione quanto è stato fatto di evangelizzazione e di edificazione della Chiesa. Di questo compito sono responsabili in solido anche e soprattutto i vescovi, responsabili ultimi delle attività pastorali e della cooperazione missionaria delle loro comunità.

Ciò suppone una riflessione approfondita sul patrimonio biblico e tradizionale che il Concilio ha raccolto nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium.

Ecclesia in Africa al n. 63 ricorda come il testo conciliare esponga la dottrina sulla Chiesa ricorrendo ad immagini, tratte dalla Sacra Scrittura, quali Corpo mistico, popolo di Dio, tempio dello Spirito, gregge ed ovile, casa in cui Dio dimora con gli uomini.

Secondo il Concilio, la Chiesa è sposa di Cristo ed è madre nostra, città santa e primizia del Regno venturo: di queste immagini occorrerà tener conto nello sviluppare, secondo il suggerimento del Sinodo, una ecclesiologia centrata sul concetto di Chiesa-famiglia di Dio.

Si potrà allora apprezzare in tutta la sua ricchezza e densità l'affermazione da cui prende le mosse la Costituzione conciliare: «La Chiesa è in Cristo come il sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (L.G. n° 1).

Tuttavia, dire che la Chiesa è “sacramento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano” – cioè esiste in quanto Famiglia di Dio – è fare un’affermazione che va ben compresa.

C’è il rischio, infatti, che anche per il termine Famiglia di Dio (com’è avvenuto per il termine Popolo di Dio [1]) si cada in una comprensione puramente sociologica, addirittura capace di giustificare fenomeni come il tribalismo, negatore della cooperazione missionaria.

Per questo vorrei concludere proponendo di meglio interpretarlo, arricchendolo con la luce che può venire a noi dalla parola communio nel Nuovo Testamento.

Tale termine non significa principalmente la comunione orizzontale tra i cristiani, bensì la comunione verticale con Dio. Il significato profondo di communio è participatio. In senso proprio perciò significa: aver parte all’unico Vangelo, all’unica e medesima fede, allo stesso Spirito, alla stessa vita di Dio, ma anche al medesimo servizio ai poveri [2]. Questa è proprio la raccomandazione di San Paolo ai cristiani della comunità della città di Efeso: “Fratelli, vi esorto […] a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la Speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Padre per tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la Grazia secondo la misura del dono di Cristo” (Ef 4, 1-7).

Così communio sta a significare che noi nello Spirito Santo abbiamo accesso al Padre per mezzo di Gesù e abbiamo la partecipazione alla vita divina; significa il venire accolti all’interno della communio trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito, e il loro inabitare in noi.

In questa prospettiva una comprensione puramente sociologica della Famiglia di Dio nella Chiesa sarebbe davvero insufficiente anzi dannosa: essa non coincide con il mero ritrovarsi insieme dei suoi membri, quanto con il dono che ci è dato in Gesù e nel suo Spirito di aver parte alla vita del Figlio con il Padre. La Chiesa come Famiglia di Dio avviene perciò laddove la Parola di Dio viene annunciata e accolta nella fede e dove la vita di Dio si comunica a noi nei sacramenti, specialmente (come ricordava il Papa ai vescovi angolani) in quello dell’Eucaristia: «La Chiesa vive nelle assemblee eucaristiche. La celebrazione eucaristica è per lei costitutiva, perché essa stessa è nella sua essenza servizio di Dio e perciò servizio dell’uomo, servizio di trasformazione del mondo»[3].

La dimensione orizzontale della communio non è quindi semplice conseguenza e applicazione di quella verticale, ma luogo in cui essa effettivamente si realizza ed esiste. Sinteticamente, la communionis notio comporta inseparabilmente sia la dimensione verticale (che è la nostra comunione con la Trinità) che quella orizzontale (che è la comunione con e tra gli uomini), sia la dimensione invisibile (la vita di Dio negli uomini e la comunione dei santi) che quella visibile (la convergenza nella dottrina degli apostoli, nella disciplina sacramentale e nell’ordine gerarchico).

Dunque la cooperazione missionaria si esprime nella vita e nella struttura della Chiesa. «Nella struttura, anzitutto, organicamente articolata nella ricca molteplicità di carismi e ministeri, animati e guidati dall’ordine apostolico; compaginata, ancora, nella “mutua interiorità” tra Chiesa universale e Chiese particolari. Nella vita, poi, attraverso le forme di partecipazione che attivano la corresponsabilità e, soprattutto, mediante lo spirito di comunione che costruisce la comunità. Esso si nutre della carità e della preghiera, e si concretizza in un’autentica cultura di comunione, i cui tratti distintivi sono l’accettazione della molteplicità delle esperienze e l’accoglienza della diversità delle persone; l’attitudine e lo sforzo del pensare insieme, della corretta formulazione delle valutazioni, la elaborazione partecipata dei progetti pastorali»[4].

Note al testo

[1] Precisa Werner Berg: «Malgrado l’esiguo numero di passi, che contengono l’espressione “popolo di Dio” – da questo punto di vista “popolo di Dio” è un concetto piuttosto raro nella Bibbia – può nondimeno rilevarsi qualcosa di comune: l’espressione “popolo di Dio” esprime la “parentela” con Dio, la relazione con Dio, il legame fra Dio e quello che è designato come “popolo di Dio”, quindi una “direzione verticale”. L’espressione si presta meno a descrivere la struttura gerarchica di questa comunità, soprattutto se il “popolo di Dio” viene descritto come “controparte” dei ministri…» (W. Berg, „Volk Gottes“ – ein biblischer Begriff? in: W. Geerlings – M. Seckler (a cura di), Kirche sein. Nachkonziliare Theologie im Dienst der Kirchenreform. Für H. Pottmeyer, Herder, Freiburg 1994, 13-20.

[2] Cfr. Rm 15,26; 1Cor 1,9; 2 Cor 6,10; 8,4; 13,13; Fil 1,5; 2,1; 3,10.

[3] S. Lanza, La nube e il fuoco, Edizioni Dehoniane, Roma 1995, 73.

[4] S. Lanza, La nube e il fuoco, op. cit., 49-50.