Un'introduzione a San Giovanni e all'Apocalisse. File audio di un corso tenuto da Andrea Lonardo (III lezione)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /05 /2012 - 14:43 pm | Permalink | Homepage
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Mettiamo a disposizione ad experimentum per valutare l'utilizzo in futuro di files audio la registrazioni della prima lezione tenuta da Andrea Lonardo presso il Pontificio Seminario Romano Maggiore ad una classe di seminaristi, il 27/4/2012. Il file audio della prima lezione e della seconda lezione sono già on-line su questo stesso sito. Per altri files audio, come per le altre lezioni, vedi la sezione Audio e video.

Il Centro culturale Gli scritti (5/5/2012)

Ascolto

Download corpus_giovanneo3.mp3.

Riproducendo "corpus giovanneo3".



Download: Download

Ancora due postille su Giovanni

1/ i segni nella prima parte del vangelo

l’evento imprevedibile e storico, fattuale

es. Gv 4,6 qui c’era il pozzo di Giacobbe... era verso mezzogiorno!

che è però segno della presenza di Dio in mezzo a noi presente in Cristo

segni Gv 2,11 (Cana); 3,2 (generale); 6,30 (moltiplicazione dei pani); 7,31 (generale); 9,16 (cieco nato)

1,35.48 io sono il pane della vita

8,12;9,5 io sono la luce del mondo

10,7.9 io sono la porta delle pecore

10,11.14 io sono il bel pastore

11,25 io sono la resurrezione e la vita

13,13 io sono maestro e Signore, voi dite

15,5 io sono la vite

14,6 io sono la via, la verità e la vita

8,24.28.58 prima che Abramo fosse io sono

Gesù che dice sempre “io”... io sono...” “io sono”

da C.S. Lewis, Scusi... Qual è il suo Dio?, GBU, Roma, 1993, pp. 75-76
Sto cercando di impedire che qualcuno dica del Cristo quella sciocchezza che spesso si sente ripetere: “Sono pronto ad accettare Gesù come un grande maestro di morale, ma non accetto la sua pretesa di essere Dio”. Questa è proprio l’unica cosa che non dobbiamo dire: un uomo che fosse soltanto un uomo e che dicesse le cose che disse Gesù non sarebbe certo un grande maestro di morale, ma un pazzo - allo stesso livello del pazzo che dice di essere un uovo in camicia – oppure sarebbe il Diavolo. Dovete fare la vostra scelta: o quest’uomo era, ed è, il Figlio di Dio, oppure era un matto o qualcosa di peggio. Potete rinchiuderlo come un pazzo, potete sputargli addosso e ucciderlo come un demonio, oppure potete cadere ai suoi piedi e chiamarlo Signore e Dio. Ma non tiriamo fuori nessuna condiscendente assurdità come la definizione di grande uomo, grande maestro. Egli ha escluso la possibilità di questa definizione – e lo ha fatto di proposito. 

es. samaritana
dalla sete fisica...
alla sete di amore...
alla sete di conoscenza...
alla sete del Cristo, alla sete di Dio!
si dimenticò la brocca! 4,28 (cfr. Bruno Maggioni!) cf. d. Fabio Rosini due ragazze!

2/ l’ora della gloria 

Gv 1,14 e noi vedemmo la sua gloria

AT kabod; cfr. von Balthasar la gloria

verità, bontà, bellezza! tre trascendentali

c’è un’ora che è decisiva!

Gv 13,1 sapendo che era giunta la sua “ora”

da Iacopone da Todi (Lauda 39, O Amor, devino Amore)
O Amor, devino Amore,
Amor, che non èi amato! 

L’Apocalisse

1/ un libro cristiano

“Rivelazione di Gesù Cristo” (Ap1,1).

cfr. antiCristo!

2/ le lacrime ed il rotolo della storia nelle mani dell’Agnello

Ap 5

Il libro sigillato da sette sigilli (la vita e la storia che non si riescono a leggere!)

da Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale
In un qualche angolo remoto dell’universo che fiammeggia e si estende in infiniti sistemi solari, c’era una volta un corpo celeste sul quale alcuni animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della “storia universale”: e tuttavia non si trattò che di un minuto. Dopo pochi sussulti della natura, quel corpo celeste si irrigidì, e gli animali intelligenti dovettero morire.
Ecco una favola che qualcuno potrebbe inventare, senza aver però ancora illustrato adeguatamente in che modo penoso, umbratile, fugace, in che modo insensato e arbitrario si sia atteggiato l’intelletto umano nella natura: ci sono state delle eternità, in cui esso non era; e quando nuovamente non sarà più, non sarà successo niente. Per quell’intelletto, infatti, non esiste nessuna missione ulteriore, che conduca al di là della vita dell’uomo. Esso è umano, e soltanto il suo possessore e produttore può considerarlo con tanto pàthos, come se in lui girassero i cardini del mondo. [...] Non c’è niente in natura di così spregevole e dappoco che con un piccolo soffio di quella facoltà conoscitiva non si possa gonfiare come un otre; e allo stesso modo in cui qualsiasi facchino vuol avere i suoi ammiratori, anche il più orgoglioso degli uomini, il filosofo, è convinto che da ogni lato gli occhi dell’universo siano puntati telescopicamente sul suo fare e sul suo pensare 

Cristo, l’agnello, Parola di Dio definitiva

dalla Prefazione di Davide Rondoni ad un volume sulla Pala di Gand di Jan e Hubert Van Eyck, curato da André Pinet
Come se avessero compreso che anche la loro storia oscura, il loro primario tradimento e il loro ritrovamento non fossero niente se non l'annuncio e il presentimento che doveva accadere qualcosa di più forte ancora.
Di più che un tradimento e un ravvedimento. Qualcosa di più radicale. Di più misterioso che non la sola conoscenza del male e del bene. Come se sapessero che doveva accadere qualcosa di più oscuro. E guardano in quella direzione. Maggiormente scandaloso che non la nudità della loro presa di coscienza del bene e del male.
Doveva accadere che male e bene si incontrassero fino al punto più alto della loro forza contraddittoria. Fino al punto più alto e profondo del loro combattimento. Fino alla figura e alla vicenda che non lascia nemmeno spazio tra il bene e il male, perché li assume insieme, contemporaneamente. In una figura sola, in una agonia. Che è dell'innocente sull'altare.
Il punto in cui il bene non si accontenta di succedere al male. Non si accontenta di tenergli testa. Di vincere. Come se non bastasse nemmeno quel superamento. Quel mettere in fila, e nella successione giusta, l'esperienza del male e quella del bene. Come se si dovessero addirittura abbracciare. E, scandalosamente, baciare. Cosa è infatti l'innocente che muore se non l'atto imprevedibile dove il male è usato dal bene? Dove non si cancella il male superandolo, lasciandoselo alle spalle come l'albero spogliato. Ma il male diviene attore del bene.
Mistero dei misteri. Figura unica adombrata da sempre sotto ogni latitudine e usanza: il sacrificio dell'innocente.
Ma qui c'è ancora da stupire. Da trasalire. Perché non basta che il male sia usato dal bene. Che il sangue coli per un bene. Non basta andare oltre la sola dinamica colpa e punizione. Perché l'agnello, e il sacrificio stavolta è Dio stesso. Non è colui che attende perduto nei reami celesti. No, è lui a belare, a farsi embrione, vecchio da spostare sul letto, bambini uccisi a colazione, donna che supplica in video, ragazzetto morto di fame, lui è l'essere indifeso che poggia la testa e offre la giugulare.
È Dio stesso che lascia i cieli e posa la testa sulla pietra. E bela come un abbandonato. O pittore, di due nomi, due cuori e due o quante mani che hai voluto fissare per i secoli questo momento che non passa. Dio che mette se stesso sull'altare. E il suo belato fa tremare la storia intera.

cfr. Le cronache di Narnia, Il viaggio del veliero

Zurbaran, Agnus Dei

da Ruperto di Deutz
Ruperto di Deutz, teologo vissuto a cavallo fra l’XI ed il XII secolo, si chiede come mai, dopo che Dio ci ha promesso nella Genesi (Gen 49, profezia su Giuda) un leone, ora sul trono ci viene mostrato un agnello! Pensate alla differenza che intercorre tra questa immagine e la simbolica araldica imperiale che si avvale della figura dell’aquila o del leone. Di solito viene messo l’animale forte a simboleggiare il potere del re. 

3/ nei numeri la vittoria!

Dare i numeri nell’Apocalisse, di Andrea Lonardo (da www.gliscritti.it )
144mila (Ap 7, 4). Solo le letture fondamentaliste della Scrittura prendono alla lettera questa indicazione numerica che è, invece, come tutte le altre cifre dell’Apocalisse da leggere evidentemente in maniera simbolica. Con il 144, multiplo di 12, l’ultimo scritto del Nuovo Testamento allude chiaramente a tutto il popolo di Dio. I versetti successivi indicano, infatti, le dodici tribù d’Israele, perché quel popolo si radica nella discendenza di Giacobbe.
Ma la prima tribù ricordata nell’elenco apocalittico non è quella del primogenito di Giacobbe, Ruben, bensì quella di Giuda, dalla quale è venuto il Cristo. Il testo sottolinea anche che tutti i centoquarantaquattromila sono segnati con il nome dell’Agnello. Quel numero vuole così indicare tutti i cristiani, tutti coloro che si gloriano del nome di Cristo. Alle Dodici tribù si aggiungono così i Dodici Apostoli ed il tutto viene moltiplicato per 1000 ad indicare il tempo dell’intera vita della chiesa (12x12x1000).
Non un numero chiuso, allora, come se il centoquarantaquattromila e uno fosse da escludere dalla lista dei salvati, quanto piuttosto il numero sempre aperto di coloro che si uniscono ai discepoli del Signore entrando alla sequela dell’Agnello.
La bestia, al contrario, è contrassegnata dal numero seicentosessantasei. Anche qui è assolutamente da escludere una interpretazione letterale di questa cifra, con tutte le ridicole ipotesi contemporanee che la cercano tale e quale qui o là. Il numero dimezzato (6 è la metà di 12) indica simbolicamente una quantità che è fallimentare. Il numero dice la pochezza della bestia. I suoi adoratori dicono: “Chi è come la bestia?”, ma Giovanni, istruito dal Cristo, sa che quella potenza è solo apparente. Ap 13, 18 aggiunge: “Essa rappresenta un nome d’uomo!”. E l’uomo è niente al cospetto di Dio; come si è destato così scomparirà, perché solo Dio è colui che è, che era e che viene.
Così i settenari non indicano il numero delle volte, ma la totalità. Ci saranno sette trombe e sette coppe per invitare i peccatori alla conversione; Dio, cioè, offrirà ogni possibilità di conversione prima del giudizio. Non è una sequenza cronologica nella quale conta il settimo elemento, ma una totalità che attraverso i sette elementi dice la completezza. Così con sette sigilli è sigillato il rotolo che appare al capitolo quinto; esso, cioè, è sigillato in maniera invincibile, nessuna creatura in cielo ed in terra è in grado di aprirlo.
In quel rotolo è simbolicamente celato il significato della storia. A cosa serve vivere? Perché le generazioni si susseguono sulla terra? Perché i genitori danno vita a figli che moriranno a loro volta? Perché si nasce? Perché la persecuzione sembra spegnere la gioia della fede? Il regista svedese, recentemente scomparso, Ingmar Bergman, in uno dei capolavori della storia del cinema, Il settimo sigillo, ha colto precisamente questa domanda sul senso della vita che l’Apocalisse porta con sé, nel volto dell’anziano cavaliere che tornato dalle crociate, gioca a scacchi la sua partita con la morte, guadagnando tempo per capire la vita e cosa si debba fare di essa.
Giovanni scoppia in un pianto dirotto dinanzi a questo mistero incomprensibile (“piangevo molto”, Ap 5,4), ma uno dei vegliardi gli annuncia che “il leone di Giuda”, l’ “agnello immolato, ma ora ritto in piedi” ha vinto. Solo il Cristo risorto, colui che si è lasciato condurre come agnello, portando su di sé il peccato del mondo, apre infine quel libro e tutto si colora di senso e di speranza. Ruperto di Deutz, nel XII secolo, insisteva su questo scambio tra il leone promesso e l’agnello donato, ad indicare la peculiarità della redenzione del Cristo.
Queste brevi note sono ispirate ad una straordinaria sintesi esegetica, appena apparsa in libreria, alla quale rimandiamo per ogni ulteriore approfondimento: Gli splendori di Patmos. Commento breve all’Apocalisse, di Giancarlo Biguzzi, edito dalle Paoline. Così scrive l’autore: «Per Giovanni l’agire di Dio e del Cristo sono esprimibili con i numeri. L’arma dei loro avversari è il caos: l’arma di Dio e del Cristo è l’ordine dei numeri, e i numeri sono come la rete in cui le forze sataniche sono chiuse da ogni lato, catturate e vinte».
L’Apocalisse, insomma, è un libro di speranza, che invita a non avere paura di colui che si oppone al Cristo. Anche se l’ultimo scritto del Nuovo Testamento non utilizza mai la parola “anti-Cristo”, termine che è stato coniato dall’autore delle lettere di Giovanni poiché solo dopo la venuta del Cristo emerge colui che gli si oppone, è evidente anche qui che il male nella sua forma più radicale non consiste tanto nelle guerre, nei terremoti, nelle malattie o nelle carestie, quanto nell’opposizione all’Agnello ed ai suoi discepoli, perché solo il Cristo ha la forza di sconfiggere il male ed una vittoria su di lui sarebbe il trionfo del male.
L’Apocalisse testimonia, però, proprio l’invincibilità dell’Agnello, invitando i credenti alla fiducia dinanzi alle prove, perché Babilonia scomparirà e la nuova Gerusalemme come sposa scenderà dal cielo. Non è superfluo sottolineare allora che l’Apocalisse è semplicemente un libro cristiano, che illumina tutta la storia umana della radiosa luce della Pasqua.
Un altro grandissimo regista del secolo scorso, il russo Andrej Tarkovski, ne scrisse: «L’Apocalisse è forse la più grande creazione poetica che sia mai esistita sulla terra. È un racconto del nostro destino. È sbagliato pensare che contenga solo l’idea della punizione. La cosa più importante che essa custodisce è la speranza».
Per l’iconografia dell’Apocalisse nell’arte, vedi l’articolo on-line di Andrea Lonardo, Apocalisse, l'ultima parola della Bibbia: la sconfitta del male. Concordanze fra il testo biblico e gli affreschi della cripta della cattedrale di Anagni.

Settenari dell’Apocalisse: non è importante il "settimo sigillo", è importante che "i sigilli siano sette"!, di Andrea Lonardo (www.gliscritti.it )

I “settenari” dell’Apocalisse con la loro ripetizione di 7 elementi (le lettere alle sette Chiese, i sette sigilli aperti da Cristo, le sette trombe suonate dagli angeli di Dio) non sono da intendere nel senso che l’ultimo di sette è il più importante!
Nella Bibbia abbiamo questo schema del 6 + 1, ad esempio nei sette giorni della creazione (dove il sabato è il più importante), nei sette giorni di Sansone (che solo al settimo rivela il segreto della sua forza), ecc. ecc. Questo schema è presente anche in altri testi del Vicino Oriente Antico.
Ma, in Apocalisse, il “sette” indica invece la pienezza, la completezza. Le lettere alle sette Chiese vogliono dire che il messaggio è rivolto all’intera Chiesa, i sette sigilli che Cristo rivela completamente il senso della storia e ne ha piena supremazia, le sette trombe indicano che Dio ha la pienezza della signoria sulla storia. Non è in gioco la rilevanza del settimo elemento sugli altri sei, ma la completezza dell’opera divina.

666

NRWN QSR: n=50+r=200+w=6+n=50+q=100+s=60+r=200: totale 666

ma soprattutto Ap dice al v 13, 18: “essa rappresenta un nome d'uomo”, cioè non è destinata a durare, passerà come passa la vita di ogni uomo 

da Andrea Lonardo (su www.gliscritti.it )
Padre Ugo Vanni, grandissimo biblista argentino, gesuita, che ha dedicato tutta la vita a studiare l’Apocalisse e S. Paolo ha diviso i simboli usati dall’Apocalisse in 5 categorie che ci permettono di interpretarli con maggior facilità. Ci sono innanzitutto i simboli cosmici; è la prima categoria, secondo la classificazione di p. Vanni:
Le trasformazioni violente al di là di ogni riferimento e di ogni coordinazione esprimono la trasformazione radicale della storia dell’uomo e dell’ambiente in cui essa si svolge. La presenza attiva di Dio che esse indicano porta il mondo verso la meta di una novità sconosciuta.
I simboli degli stravolgimenti cosmici, allora, vanno interpretati così: come noi vediamo attraverso la bellezza della natura la bellezza di Dio, come risaliamo dal creato al Creatore – dicendoci l’un l’altro: guarda come sono belli gli alberi in fiore, come sono belle le persone, come è bello che nasca un bambino - così l’Apocalisse vuole farci intuire che quando Dio salverà definitivamente il mondo, la natura sarà trasformata, farà vedere ancora di più che Dio è presente. Anche perché Dio non viene solo per gli uomini, ma salva l’intero cosmo che viene sconvolto, che brilla della sua presenza.
La seconda categoria simbolica è quella degli animali, ad esempio i quattro esseri viventi, i quattro cavalli, i quattro cavalieri che rappresentano la Morte, la Guerra e così via, il drago, la Bestia ecc. Questa chiave di lettura generale ci da p. Vanni:
Ogni espressione simbolica teriomorfa ci riporta allo svolgimento, al vivo della storia, ma non ce ne dà una chiave di lettura al minuto. L’animale protagonista dice che c’è, proprio nell’ambito della storia, un complesso di forze in atto.
Ad esempio, il cavallo è segno che il Male è attivo, che il Male non è semplicemente indifferenza, che il Male fa il Male, aggredisce, si insinua, ti attacca. Così come c’è una forza di Bene nei quattro esseri viventi. E così via. Dio è veramente presente con la sua Provvidenza nella Storia e così ogni volta che noi troviamo un simbolo animale nell’Apocalisse, noi comprendiamo questa potenza in atto e questa lotta del Bene che arresta, alla fine della Storia, il Male.
Poi ci sono i simboli antropologici, una terza categoria di simboli, come, ad esempio, i Vegliardi, i 144.000, il “mettersi le vesti bianche”:
L’autore, attento all’uomo e a tutto il quadro che lo riguarda, lo vede e lo sente, senza farsi mai illusioni nei suoi riguardi e senza accettare i suoi limiti, nella completezza che raggiungerà.
L’uomo, questo uomo concreto, viene visto con tutte le sue deficienze, i suoi peccati, la sua mediocrità, la sua meschinità - lo vedremo anche nella riflessione che faremo nei prossimi giorni visitando le 7 Chiese - però viene visto senza accettare supinamente questo, come se andasse bene così e non ci fosse niente da fare. Il male dell’uomo non viene accettato, c’è una spinta a cambiarlo. Soprattutto l’uomo viene visto nella prospettiva di quello che sarà alla fine dei tempi, quindi viene visto come già completato da Dio, come risplendente di luce. E’ un invito a credere che Dio è così grande che, nel Paradiso, saprà completare il bene di chi veramente ha già costruito questo bene in terra e, misteriosamente, potrà donarlo anche a chi ha peccato, pentendosi poi, ma non riuscendo a vivere fino in fondo il bene che gli era possibile. L’uomo non è visto soltanto nella sua mediocrità terrena, in ciò che fa o che sbaglia, ma viene visto nella prospettiva dello splendore della vita eterna, anticipata già in questa vita.
Poi ci sono i simboli cromatici – quarta categoria – i segni rappresentati dai colori. Ad esempio il primo dei 4 cavalieri è bianco perché rappresenta Cristo, un altro che rappresenta la Morte è verde, un altro è nero, un altro rosso, il colore del sangue. Vanni così ci introduce a questo simbolismo particolare:
Anche quando il colore diventa simbolo, il nuovo significato che esso esprime gradualmente rimane sempre sulla linea del colore. E’ come un colore sovraccarico che deve essere guardato e riguardato.
Attraverso la comprensione di quel colore, si capisce cosa l’autore dell’Apocalisse volesse dire attraverso quel simbolo.
E poi alla fine c’è il simbolismo numerico, un quinto tipo di simbolismo:
Appare, con chiarezza sufficiente, il tipo di costante simbolica intesa ed espressa dall’autore mediante il simbolismo aritmetico. Le variazioni, le alterazioni della quantità per indicare delle qualità sono senza dubbio artificiose. Ma l’autore riesce ad esprimere anche qui un suo tipo di creatività. La pressione verso un meglio e un di più si fa sentire e incide proprio sul rapporto tra l’autore e queste dimensioni precise.
Per esempio quando si dice che una cosa è tre e mezzo, è segno che è a metà – perché il numero sette è la pienezza. Quando si dice che ci saranno mille anni, “mille anni” vuol dire un tempo ancora storico, limitato. Ed i testimoni di Geova che affermano che ci sarà un paradiso che durerà mille anni, dicono una grande sciocchezza. Dire che una cosa durerà mille anni vuol dire semplicemente che ha una durata limitata, finita; arriverà il momento in cui Dio con la sua eternità porterà a compimento tutte le cose. Ci sono dei numeri invece che sono pieni, come abbiamo appena detto in relazione al numero sette, dei numeri che esprimono la storia che giunge fino alla sua pienezza. 

4/ La chiesa dinanzi all’antiCristo: Dio è presente in essa

Ap 1,10 nel giorno del Signore

Ap 1,11 mandalo alle sette chiese

Ap 1,12 sette candelabri ed in mezzo uno...

Ap 1,16 nella destra teneva sette stelle

Ap 1,20 decodifica dei simboli Questo è il senso recondito delle sette stelle che hai visto nella mia destra e dei sette candelabri d'oro, eccolo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese e le sette lampade sono le sette Chiese

Ap 12 la donna (la chiesa) partorisce Cristo nel tempo

la nuova Gerusalemme... solo chi entrerà nella Chiesa sarà salvato!

5/ Le circostanze storiche dell’Apocalisse: ipotesi

Il tempio e la statua che provocarono la composizione dell’Apocalisse, di Giancarlo Biguzzi (www.gliscritti.it )
Ogni turista sa che, viaggiando, si può andare in cerca di bellezze della natura o dell’arte, oppure di qualcosa che bello non è, ma è ‘storico’. La tomba di Dante a Ravenna per esempio, o il Santo Sepolcro a Gerusalemme si visitano non per la gioia dell’occhio, bensì dello spirito.
Qualcosa del genere si può dire dei ruderi di un tempio e dei resti di una statua che si trovano a Efeso e che sono importanti per avere provocato Giovanni di Patmos a scrivere la sua apocalisse.
Apoc 13 narra la visione della bestia che emerge dal mare (vv. 1-10) e poi quella della bestia che invece emerge dalla terra (vv. 11-18), la quale organizza un vero e proprio culto della prima bestia. Leggiamo: “... Operava grandi prodigi, fino a far scendere fuoco sulla terra davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi che le era permesso di compiere in presenza della (prima) bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo di erigere una statua alla bestia ecc. Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia” (Apoc 13,13-15).
Dal momento che Giovanni dice di avere visto le sue visioni a Patmos (Apoc 1,9), dove era al soggiorno obbligato, il mare da cui sorge la prima bestia è evidentemente il Mediterraneo, quello che i Romani chiamavano “mare nostrum”, mentre la terra altro non può essere che l’Asia Minore, l’attuale Turchia, là dove si trovavano le sette città alle quali l’Apocalisse è diretta. Per questo e per altri motivi la grande maggioranza dei commentatori ritiene che la prima bestia sia l’imperatore romano, adorato come dio soprattutto in Asia Minore, e che la seconda bestia sia l’organismo politico-religioso incaricato di promuovere le varie manifestazioni di quel culto.
La documentazione storica circa un tale ‘ministero del culto imperiale’ è abbondante: si denominava “il comune di Asia”, teneva sedute annuali, era composto dai rappresentanti delle varie città della provincia, ed era competente circa feste, giochi, processioni, e costruzione di nuovi edifici per il culto del sovrano.
Siamo così arrivati al punto. Infatti, il terzo tempio imperiale della provincia romana di Asia fu edificato a Efeso, dopo che il primo era stato edificato a Pergamo nel 29 a.C. e il secondo a Smirne, 50 anni dopo. Ebbene, di quel tempio efesino sono stati portati alla luce dagli archeologi la grande piattaforma su cui sorgeva, l’altare che era collocato di fronte alla scalinata di accesso, e infine la statua, o una delle statue cultuali.
La visita dei turisti all’antica Efeso di solito comincia da quello che era il cuore politico della città (agorà superiore, buleutèrion, pritanèo): subito dopo ci si incammina per la via dagli archeologi denominata “dei Cureti”, e ben presto, scendendo, sulla sinistra ci si troverà la cosiddetta piazza di Domiziano e, là in fondo oltre la piazza, possenti arconi a volta. Sono le sostruzioni che sostenevano la piattaforma artificiale di m. 50x100 su cui si elevava il tempio, un pseudo-diptero di stile corinzio, con 8 colonne sulla facciata e 13 sui lati.
I sotterranei ad arconi e volte, adibiti a botteghe, erano nascosti da una elegantissima facciata a tre ordini sovrapposti di colonne e statue, della quale danno una pallida idea alcune colonne che, per venire incontro alla fantasia di noi visitatori, gli archeologi hanno rialzato. Tutto il complesso aveva alle spalle la linea dolce del monte Coresso, oggi monte Bülbül.
Tredici iscrizioni dedicatorie che sono giunte fino a noi consentono di collocare l’anno di inaugurazione del tempio intorno all’anno 90 d.C., e cioè sotto l’imperatore Domiziano, il quale dedicò il tempio al padre Vespasiano e al fratello Tito oltre che a se stesso. In altre parole il tempio era consacrato al culto degli imperatori della famiglia flavia, la stessa che a Roma pochi anni prima aveva eretto il Colosseo, o anfiteatro flavio.
Finita la visita alle imponenti rovine della Efeso antica, di solito si fa visita al museo di Selçuk, - come si chiama il villaggio turco che sorge a qualche distanza dalla zona archeologica. In quel museo c’è una statua i cui resti sono venuti alla luce a due riprese, nel 1930 e nel 1969-70. Era una statua colossale, che misurava 7 metri di altezza e rappresentava probabilmente non lo stesso Domiziano, come spesso si trova scritto, ma suo fratello, l’imperatore Tito. La statua era parte in marmo (la testa, le braccia, le gambe: praticamente le parti conservate ed esposte al museo) e parte in legno. Il fatto che il torso dell’imperatore fosse in legno dice che la statua non era fatta per stare esposta alle intemperie, e che, quindi, ospitata all’interno del tempio, era la statua o una delle statue fatte oggetto di culto da parte degli efesini e degli abitanti della regione.
Se il tempio efesino, il suo altare e la sua statua furono inaugurati nel 90 d.C., e se l’Apocalisse fu scritta, come sembra, nel 96 d.C., allora è legittimo, oltre che suggestivo, fare visita a Efeso e sentirsi davanti a quel tempio e a quella statua contro cui tutta l’Apocalisse sembra concepita e scritta.
Forse Giovanni di Patmos ha visto i lavori di costruzione del tempio, o forse ha soltanto assistito o sentito parlare, esterrefatto!, di qualche festa o rito cittadino in onore del ‘divino’ Domiziano. Senza per nulla farsi intimorire dall’uomo più potente della terra che tutti riverivano, lo ha definito “la Bestia”, e contro di lui ha scritto uno dei libri più aggressivi e nello stesso tempo più fantasmagorici di tutta la letteratura mondiale.
Con esso Giovanni ha detto alle sette chiese, cui ha diretto il suo libro, quello che Gesù aveva già detto a farisei ed Erodiani sulla spianata del tempio di Gerusalemme: che al Cesare bisogna dare quello che è del Cesare, e solo a Dio quello che è di Dio.