Catechesi battesimale sulla tradizione liturgica pastorale ed estetica della Chiesa Romana, di Crispino Valenziano

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 26 /09 /2012 - 23:43 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito il testo rielaborato dall’autore della relazione tenuta in San Giovanni in Laterano l’11/6/2012 in occasione del Convegno della diocesi di Roma «Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando» (Mt 28,19-20). Riscopriamo la bellezza del Battesimo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (9/10/2012)

«Per l’apostolato dei principi Pietro e Paolo, l’Evangelo è giunto sino a te, Roma! Per loro tu che eri maestra dell’errore sei divenuta discepola della Verità!» (Leone Magno, Sermo 82,1). È papa Leone che parla; e nella dinamica di Roma in cambiamento, di un intero mondo che lo Spirito Santo muta con il germe seminato per mano degli apostoli principi, si sviluppa la efficacissima dottrina romana del Battesimo. Beninteso, la dottrina medesima comune alla santa Chiesa di Dio apostolica tutta; ma – sono qui per dir ciò – dottrina che a Roma assume caratteristiche di bellezza tutta speciale sin dal germe stesso seminato dai due principi dell’unico apostolato.

Da qui – mi diano licenza i biblisti – intorno alla metà degli anni ̕60, Pietro dichiara alle province romane in Asia Minore destinatarie della sua lettera: «Vi ho scritto brevemente, tramite Silvano che io so fratello fedele, per esortarvi ed attestarvi che questa è la vera grazia di Dio. In essa stati saldi! Vi saluta la comunità che vive in Babilonia… Pace a voi che siete in Cristo!» (1Pt 5,12-13). “Babilonia”, lo sappiamo, è Roma in cambiamento culturale/epocale. E l’apostolo sta catechizzando alla Cattolica tutta, in Roma e nell’ecumene, «la parola dell’Evangelo» (1,24) che narra del «sangue dell’Agnello senza macchia» (1,19) e la vita «secondo l’Evangelo» (3,9) di quanti sono diventati «pietre accostate alla Pietra (2,4) che è il Cristo vostro Vescovo» (2,25); ma sta anche spiegando che «nei giorni di Noè Dio pazientava mentre si fabbricava l’arca nella quale poche persone furono salvate per mezzo dell’acqua… e quell’acqua come immagine del battesimo ora salva anche voi» (3,19). E intanto ha raccomandato: ten ana-strophen ymon en tois ethnesin echontes kalen, “la inter-locuzione di voi con le genti avendo bella” (2,12)!

A mio parere, è cosa bella riallacciarsi ora alla prima lettera di Paolo, scritta intorno al ̕55 – quindi al primo scritto neotestamentario – per risentire in bellezza l’accento della voce apostolica sulla vita cristiana in attesa del Signore: to kalon katechete, “catechizzate ciò che è bello” (1Ts 5,21). Fare eco in bellezza all’annuncio della bellezza! Roma l’ha fatto. Io mi fido del liturgista romano per eccellenza, da cui peraltro abbiamo preso le mosse, papa Leone Magno (440-461) che, nella tormentata vigilia di fine impero romano, ha condotto a fase determinante per sempre la bellezza della tradizione battesimale nella Chiesa di Roma e per essa nell’amplissima cerchia delle Chiese oramai in fase di molteplici maturità potenziate.

Bellezza è eccedenza, non è qualcosa diversa da Verità, è l’ in-oltre, plus-valore della verità, valore aggiunto di un valore. Quando l’ascolto la verità, quando un valore l’accolgo, ho ascoltato, ho accolto, ho fatto mio; ma se arrivo a toccarne in maniera sensible au coeur la bellezza, allora percepisco in contatto a suo modo sensibile questa verità, questo valore, quella realtà nel suo inoltrarsi nell’aggiuntivo fruibile e germinativo, appunto, “in oltranza”.

Ma l’eccedenza della bellezza è la bellezza di un diamante sfaccettato. E la bellezza della liturgia ha angolature infinite, quante e quali sono le inflessioni e le riflessioni del Culto, della “coltivazione” con cui l’uomo può e deve relazionarsi interpersonalmente a Dio. Coltivazione che non è ricordo di cosa passata una volta per tutte, ma è memoria di relazione perennemente attuale. Per cui, ad esempio, l’arte della liturgia non è illustrazione di un testo ma è l’eccedenza nel contesto: sulle suggestioni  del Concilio Niceno II diremmo che è il trascorrere da sentire la parola e vedere l’immagine sino a guardare la Parola e ascoltare l’Immagine.

Leone Magno è il dottore primo, il dottore forse inarrivato certamente istruttivissimo, del “di più” che nel rapporto di presenza imprescindibile dell’uomo con Dio per Gesù Cristo nello Spirito Santo ha imperniato ogni articolazione nella bellezza del “sacramentale” e ha intuito il nostro culto divino quale celebrazione sacramentale qui-ora, il pregnantissimo hic-hodie della sua straordinaria pastorale liturgica: «Per prima cosa devi sapere che se il giorno Natale del Signore non lo celebri quale “sacramento” tu lo ricordi soltanto. Ma a un tale scopo basta assegnare in calendario un giorno per la successione festiva di questo o quel fatto. Celebrazione del sacramento è invece memoria dell’evento in modo da collegarlo al suo significato che si recepisce in santità [in prossimità interpersonale con Dio]» (L. M., Ep 55,1-2). Infatti: «Ciò che è stato percettibilmente visibile perspicuum, del nostro Redentore è passato nei sacramenti» (L.M., Sermo 74,2).

Per cui - mi rivolgo al Cardinale Vicario - quando Lei mi ha invitato a venire qui per parlare della bellezza battesimale in contiguità al Vescovo di Roma ho risposto di sì senza ripensarci troppo, molto semplicemente perché ho confidato in papa Leone Magno, affidandomi garante lui, il liturgista romano eminente, a Pietro e a Paolo e a Giovanni Evangelista e al Battista.

Mi muovo in tre momenti successivi: la istruzione da parte di Dio che ci rivela il suo progetto salvifico, l’apprendimento da parte nostra e l’accettazione consapevole, la nostra comprensione, per prendere con noi la sua benevolenza in tutto il nostro itinerario d’esistenza; muovendomi da momento a momento in uno spazio specialmente eloquente della Chiesa Cattedrale in cui siamo riuniti, il Battistero, l’Abside, l’Aula, con la loro irrepetibile  contestualità estetica.

In effetti si tratta di fare “mistagogia”, cioè di familiarizzarsi “sul campo” con le divine realtà a cui nella Chiesa siamo già connaturalizzati. nella Chiesa. Poiché «Cristo inculcando esplicitamente ed espressamente la necessità della Fede (Mc 16,16; Gv 3,5) ha insieme confermato la imprescindibilità della Chiesa nella quale gli uomini per il Battesimo entrano come per una porta» (AG 7); entrati nella quale, si è per ciò stesso in corso d’opera.

1. Istruzione – Rivelazione/il Battistero Lateranense

«Qui della Vita c’è il Fonte che per tutto scorre nell’orbe sgorgando in principio dalla Piaga stessa del Cristo» (L.M., Iscrizione 6)

Bapto è “sommergo”; Battesimo, quindi, sommersione.

Bellezza dell’acqua che, per moto contrario alla sconfitta sommersione di morte, sommerge a vivere di vita nuova. Al modo dell’acqua del diluvio, su cui emerge l’Arca di Noè galleggiante sulla morte, secondo Gen 7; e secondo 1Pt 3 con l’emergenza della Chiesa a salvezza. E pure dell’acqua del Mar Rosso, con l’emergenza della Pasqua di Mosè che scampa a radicale libertà, secondo Es 14; e secondo 1Cor 10 con l’emergenza del Popolo di salvati. E anche dell’acqua del Giordano, con l’emergenza dell’Arca dell’Alleanza di Giosuè che accompagna verso la vita, secondo Gv 3; e secondo Gv 1 con l’emergenza dell’ingresso nella terra promessa che scorre latte e miele. Tutte sommersioni narrate a tipo dell’acqua di Gv 7,37-39: «Gesù ritto in piedi gridò dicendo: Se uno ha sete venga a me, e beva chi crede in me. Come disse la Scrittura [«La fonte della Sapienza è torrente che sommerge» Pr 18,4. «Sarai come fonte d’acque che non inaridisce»;  Is 18,11]: Dal suo grembo fluiranno fiumi d’acqua viva! E disse ciò dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui…». Acqua “Spirituale”, dunque, che lo stesso evangelista stando vicino alla Croce di Gesù ha descritto guardando alla Sorgente stessa: «Uno dei soldati gli trafisse il fianco con la sua lancia e subito sgorgò sangue e acqua» (Gv 19,34). Ecco sulla bellezza dell’acqua salvifica la bellezza battesimale dell’ «Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29-36) «liberandovi dall’insulso modo di vivere ereditato dai vostri padri, con il suo Sangue prezioso» (1 Pt 1,18-19).

Il Battistero Lateranense è ritenuto prototipo dei battisteri italici. Tuttavia, a mio parere, usualmente non fa catechesi battesimale estetica, cioè di sensibile percezione in bellezza del suo messaggio rivelativo pari al suo plus-valore, e secondo me lascia in ombra il suo contesto battesimale ugualmente che l’Abside e l’Aula Lateranensi.

Né a Roma mancano Fonti battesimali succursali al Battistero della Cattedrale. Sia nelle catacombe, ad esempio l’apax nel cimitero di Ponziano; che nel sec. VI sarà adornato con la pittura d’una Croce gemmata in un’infiorata e con la pittura del Battesimo di Gesù per mano di Giovanni Battista nel Giordano alle cui acque si abbevera un cervo. Sia nei tituli, ad esempio l’esemplare nella domus di Cecilia; che nel sec. V iscriverà sulla sua architrave: Fons sacer est Fidei qui culpas abluit omnes / Tinguitur hoc quisquis incipit esse novus, “ È Fonte sacro alla Fede questo che lava tutte le colpe / Chiunque in esso è sommerso inizia a essere nuovo”.

Tuttavia il Battistero Lateranense è prototipo “arcaico”. Cioè arche, “principio che germina” senza esaurirsi e anzi incrementandosi; per ciò, invece di farcene un’archeologia da storici dell’arte, da critici d’arte o da catalogatori d’arti, ci varrà ottimamente ogni attenzione a capirlo e “saperlo”.

È nella parte termale, nel nymphaeum degli edifici dei Laterani – già confiscati e probabilmente rimaneggiati da Nerone – che Costantino sembra avesse ideato d’adattare il suo battistero. Il Liber Pontificalis (1, 234) tramanda di colonne (monoliti porfiree) a tempore Constantini Augusti congregatae; l’imperatore impiantò il fonte, una vasca di porfido ricoperta di argento, e apprestò gli arredi e ornamenti elencati nel medesimo Liber Pontificalis (1, 164.177) … Che altro? Di certo, la costruzione su di cui interverrà definitivamente papa Sisto III (432 – 440) predecessore immediato di Leone Magno, è una forma ottagonale organizzata con colonne angolari, finestre su doppio livello, copertura a capriate. Secondo me un’architettura raccostabile non tanto al “mausoleo” di Costanza in Roma quanto alla “rotonda” di Galerio a Tessalonica; il cui “ottagono” absidato all’interno (risalente al 30 circa d.C.) è l’ambiente importante e interessante dell’intero complesso imperiale, pure esso preceduto da nartece ellittico biabsidato, “a forcipe”. E c’è nella costruzione di Roma una parte “conclusiva” di Costantino, così come a Tessalonica c’è una “conclusione” del suo imperiale avversario e ultimo persecutore dei Cristiani.

Sisto III riforma l’architettura “costantiniana” rispettandone la pianta ottagona ma variandone l’alzata con l’inserzione di un architravato a doppio piano  - una sorta di elaborato ciborio sulla vasca e sul fonte - che crea un’alternanza di pieni e vuoti, spazi concentrici insieme centripeti e centrifughi, edificativi di un habitat “spirituale” in descensus – quasi su “la Tomba Vuota” – e in ascensus – quasi nell’ Imbomon verso il cielo.

Il Liber Pontificalis citato, tra gli arredi e ornamenti elenca in medio fontis columna porphyretica quae portat phiala aurea ubi candela est, e aggiunge (1, 243) che papa Ilario (461-468) successore immediato di Leone Magno, donò lucernam auream cum nixus luminum X, cervos argenteos III, et Columbam auream. È che la Vasca per la celebrazione del Battesimo era allestita in modo da catechizzarne la bellezza pedissequamente al suo svolgimento rituale. Infatti abbiamo notizia di due scale, degli otto affacci nel periplo a girare sulla Vasca e il Fonte, a scendere la prima a salire la seconda, in due varchi speculari. E nella Vasca e intorno al Fonte, corrispettivamente a sei transenne poste tra l’una colonna e l’altra dei varchi non transitabili, abbiamo notizia di un Agnello d’oro che forse “sgorgava” l’acqua occorrente alla “sommersione” dei Catecumeni – ovvero era una Colomba a riversarla? in effetti l’acqua affluiva non oltre i fianchi dei Neofiti –; e notizia di cervi d’argento, nella Vasca e intorno al Fonte, che la “bevevano” quand’essa mediante i congegni predisposti si abbassava sino a dieci centimetri circa dal fondo per defluire (di congegni tecnici ci risulta ripetutamente in battisteri svariati).

L’architettura ottagona di Sisto III al livello che s’imposta direttamente sul colonnato “di Costantino” reca – similmente alla analoga di Ambrogio nel Battistero di Milano – la Iscrizione famosa degli otto distici di Leone, allora arcidiacono della Chiesa Romana:

«Gente Santa per i cieli qui nasce da seme di Vita
che lo Spirito porta alla luce in quest’acque rese feconde

Sommergiti, tu che hai peccato, fatti puro in quel santo fluire
ché nuovo l’onda rifà ciò che vecchio avrà accolto

Non sono estranei gli uni dagli altri quanti rinascono uno
Da unico Fonte unico Spirito unica Fede

Figli di parto virgineo genera madre
la Chiesa al Soffio di Dio, e l’acqua rigenera

Se vuoi l’innocenza sommergiti in questo lavacro
di progenie ti gravi ovvero tua propria la colpa

Qui della Vita c’è il Fonte che per tutto scorre nell’orbe
sgorgando in principio dalla Piaga stessa del Cristo

Sperate il Regno dei Cieli voi rinati nel Fonte
la vita eterna non tocca chi è nato solo una volta

Numero né specie spaventi delle proprie colpevolezze
sarà Santo chi in questo Fonte nasce di nuovo».

Papa Ilario (Liber Pontificalis 1, 242) aggiunse all’edificio battesimale la costruzione di tre oratoria,  e dedicò il centrale sul lato nord alla Santa Croce (demolito nel 1586 da Domenico Fontana nel corso dei lavori ordinati da Sisto V [1585-1590] aprendo un nuovo ingresso al Battistero dal lato della nuova piazza); dedicò il laterale sul lato est a San Giovanni Evangelista (ci è pervenuto nella sua originarietà) e il laterale sul lato ovest a San Giovanni Battista (ci è pervenuto rimaneggiato). L’ “Agnello di Dio” mosaicato al centro dei preziosi mosaici edenici sulla volta dell’oratorio ad est, e davvero “arcaicamente” emblematico nella nostra catechesi, è l’unico pervenuto sino a noi nell’intero complesso lateranense, essendo scomparso l’Agnello d’oro del Fonte e non avendo lasciate documentazioni decisive  l’Agnello musivo nell’Abside; pertanto, con la sua estetica rara, davvero commovente nel nostro contesto.

Contesto che per ciò riassumo con la formula di benedizione dell’acqua battesimale tramandataci nel Sacramentario Gelasiano (444 ss.) e che con parecchia verosimiglianza è anch’essa di Leone Magno: «Rivolgi, Signore, il tuo Volto, guarda alla tua Chiesa! Moltiplica in essa le tue rigenerazioni tu che con le acque fluenti della tua Grazia letifichi la tua città [Fluminis impetus laetificant Civitatem Dei; Sal 45,5] apri il Fonte del tuo Battesimo per l’universa terra affinché per l’ordine della tua maestà essa riceva la Grazia del tuo Unigenito dal tuo Santo Spirito».

Ma testo eminentemente contestualizzante è il famosissimo Agamus, dilectissimi, gratias / Agnosce, christiane, dignitatem… Lo si legge nella liturgia della Notte di Natale: «Rendiamo grazie, dilettissimi, a Dio Padre per il Figlio Suo nello Spirito Santo, a Dio che nella sua grande misericordia ci ha amato (Ef 2,4)… ed essendo nati ci ha rifatti vivi in Cristo (ib.) per essere nuova creatura in lui (2 Cor 5,17) nuovamente plasmata. Deponiamo, dunque, l’uomo vecchio con le sue operazioni (Col 3,9) ed essendo ora compartecipi della generazione del Cristo rinunziamo alle opere della carne. Prendi coscienza, o cristiano, della tua dignità e fatto consorte della natura divina (2Pt 1,4) non regredire verso la pochezza della vecchia natura … Ricordati di che Capo e di quale Corpo sei membro (1Cor 6,16). Fa’ memoria che strappato dal potere delle tenebre, sei stato fatto tempio dello Spirito Santo» (L.M., Sermo 1,3).

Leone Magno è di quei rari che collegano il sacramento del nostro Battesimo ai “cospicui” eventi del nostro Salvatore non soltanto pasquali ma, in tutt’uno, agli eventi “cospicui” del suo descensus nascendo “uomo tra gli uomini” e del suo ascensus portando “alla destra di Dio” la nostra natura umana, Egli Dio–Uomo “per” la divinizzazione dell’uomo. «La natura ritorna alla sua onorabilità, lavata dai contagi stantii, la Morte distrugge la morte, il Natale restaura la nascita, poiché in tutt’uno la Redenzione riscatta la schiavitù e la Rigenerazione trasforma l’origine e la Fede giustifica il peccatore (Rm 1,17)» (L.M., Sermo 2,4).

La nascita, poi, del Verbo di Dio “da Donna” (Gal 4,4) fa paralleli la Genitrice di Dio e il Grembo della Chiesa – la tradizione catechetica li estetizzerà persino nella cupola rigonfia di certi battisteri -. «Dallo stesso Spirito per cui dal grembo della (sua) Genitrice nasce il Cristo, dal grembo della Santa Chiesa nasce il Cristiano. Ed è volontà di Dio che la sua vera pace non si sgretoli e, invece, ne godano gli esseri che Dio ama» (L.M., Sermo 57,1).

L’auspicio dell’inno cantato ai pastori dagli angeli rivelatori nel Natale del Cristo: «Sulla terra pace in mezzo agli uomini che Egli ama» (Lc, 2,14) è l’istruzione sulla “volontà di Dio” per il nascente cristiano, che si ricapitola nella rivelazione della pace qualificabile “vera” se non si sgretola e se gli uomini, “gli esseri che Dio ama”, ne godono. Ed è il leoniano breviarium del Neofita.

2. Apprendimento-Accettazione / l’Abside Lateranense

«Non sono estranei gli uni dagli altri quanti rinascono uno da unico Fonte unico Spirito unica Fede» (L.M., Iscrizione 3).

Risaliamo dal Fonte alla Basilica, poiché tuttora essa rimane a quota superiore rispetto al Battistero, a cui in Laterano si discende prima ancora di discendere nella Vasca. E per il nostro apprendimento e la nostra accettazione ascoltiamo da papa Leone: «La connessione del Corpo intero fa un’unica Santità, un’unica Bellezza» (L.M., Ep 11,11). Cosa che alla lettera egli dice appropriatamente della articolazione nel Corpo del Signore che è la Chiesa; e però, sulla percezione estetica dei mosaici absidali che da un millennio e mezzo stimolano l’immaginazione non fantasiosa dei fedeli, noi amplifichiamo coerentemente nella “unica Santità” e “unica Bellezza” abbaglianti nella Teofania Trinitaria e nella Epifania Cristica che vi si intersecano e fondano.

Il mosaico absidale e l’abside stessa lateranensi hanno subito vicissitudini d’ogni genere, eppure rigenerandosi malgrado tutto. Nel 455, appresso ai guasti dei Vandali, papa Leone refecit cameram Basilicae Constantinianae; anche all’esterno, dove l’arricchì di un portico addosso a un colonnato. Ovvero, Nicolò IV (1288-1292) che rinfoltì devozionalmente la successione dei Santi oltre le iconi degli Apostoli intorno al riquadro centrale. E ancora; ci s’interroga se vi fu – affine al modulo absidale di Paolino da Nola – l’Agnello simbolico del Cristo pasquale ed escatologico e, se vi fu, qual era la composizione iconica d’insieme. Ovvero, e purtroppo non è un interrogativo, il folle progetto - attuato tra il 1876 e il 1886 - di ampliare l’area retrostante l’Altare e il suo monumentale ciborio. Progetto comunque ingiustificabile, pur se guasti e crepe giocavano malamente a favore della ipotesi disastrosa, ma per cui l’abside “costantiniana” della Basilica Episcopale dedicata al Salvatore da papa Silvestro I (314-335) nel 318 o nel 324, fu fisicamente distrutta e ricostruita 20 m e 26 cm al di là. Il progetto costò anche la distruzione del portico retroabsidale di Leone Magno, e la ricostruzione del mosaico absidale strappato e trasferito, pur al meglio allora e lì possibile. La violenza su l’opera musiva costò, a sua volta, la perdita irreparabile della veneranda effige del Cristo Salvatore; e l’invenzione senza senso di ciò che senza ragione sta intorno alla immagine surrogata, eseguite questa e quella senza ispirazione  senza arte senza teologia adeguate.

Pur viaggiando tra fragilità tuttavia il nostro apprendimento è sollecitato fortemente alla accettazione entusiasta del messaggio; finalmente, anche nella penetrabilità compositiva della Immagine noi ascoltiamo la Parola in modo da katalabestai, “afferrare” con tutti i Santi  la «larghezza e lunghezza e altezza e profondità» (Ef 3,18) che ci si offre miracolosa, “meravigliosa agli occhi” - mi lascino passare i biblisti la spericolata reductio che della metafora paolina sul «pleroma di Dio» (Ef 3,19) io adesso faccio verso dimensioni propriamente fisiche…-.

In altezza e lunghezza, su verticale che si curva dall’alto e si allunga impiantandosi al basso, la Teofania della Trinità Santissima; in larghezza e profondità; su orizzontale che gira distendendosi da un estremo all’altro del catino sprofondandovi centralmente, la Epifania del Cristo Dio-Uomo. Nel catino absidale più ampio che si conosca, è opera di dottrina estetica non per l’intervento di un consulente sporadico o l’altro che suggerisce un espediente conclamato o l’altro, ma perché vi sedimentano secoli e generazioni di mistagogia vissuta. Il registro lapislazzulo è solcato da nubi rosse e azzurre dipingendo il cielo parusiaco con il modulo a Roma ripetuto dalla basilica dei Santi Cosma e Damiano nelle analoghe; ma lo segna una sorta d’arco- limite delineato da otto serafini (o cherubini?) disposti a corona nel rifacimento ottocentesco: erano segni della “venuta del Figlio dell’Uomo” (Mt 24,30; 26,64/ Dn 7,13-14) sono stati reinterpretati a gerarchia celeste. Originariamente, con modulo anch’esso usuale a Roma, dal vertice in alto si protendeva la Destra del Padre ad additare il «Diletto Unigenito» (Mt 3,17; Mc 1,11; Lc 3,22); la Mano divina è scomparsa sostituita da un cherubino che, comunque lo rigiri, da le spalle. Sotto la Mano, l’arcaico Volto del Salvatore. Tutti narrano, per un verso o per l’altro, che l’originario sia stato stupendo: l’ottocentesco è brutto. Brutto! Ed era la “Immagine del Salvatore che per la prima volta apparve a tutto il popolo romano, attaccata alla parete”: sic tradizionalmente; fosse stato visione o apparizione o icone, fu ad ogni modo cosa mira-oculo, meravigliosa all’occhio, “miracolosa” appunto, rimasta meravigliosamente nella compagine estetica sino a che il mosaico rimase.

Nel registro d’oro, centrale sotto il Volto del Logos fatto carne, c’è «lo Spirito di Dio in forma di Colomba» (Mt 3,16; Mc 1,10; Lc 3,22; Gv 1,32). Dalla sua bocca fluisce luce come acqua sino all’impianto giù in basso.

Ma catalizzante l’intero campo aureo è la grande Croce Gloriosa, gemmata, a ritmi gemmati incalzanti convergenti da tutti e quattro i suoi rami e direzioni all’incrocio d’impernio che è l’immagine del Battesimo di Cristo Salvatore. Poiché è in tale evento misterico che si svolge l’epifania interconnessa quale sacramento del nostro Battesimo.

Leone Magno ha realizzato che il Battesimo di Gesù ha portata supra esponenziale, la valenza cioè della sua volontaria identificazione nella forma umana assunta alla umana umilità naturale, in connaturalità compiuta con l’uomo. «(Il tentatore) aveva visto calpestare la sua propria superbia dalla umiltà del Signore Gesù battezzato… Ma nel nostro battesimo noi abbiamo rinunziato a lui quando siamo passati da situazione vecchia di oppressione a creatura nuova di rigenerazione divina» (L.M., Sermo 28,2).

Gesù è ho Christos philanthropos, “il Segnato (dallo Spirito)/amico dell’uomo”; secondo che egli stesso spiega al Battista: «Gesù giunse al Giordano per essere battezzato da lui. Ma Giovanni gli si opponeva dicendo: Sono io che o bisogno d’essere battezzato da te e tu vieni da me? Ma Gesù gli rispose dicendo: lascia adesso, ché a noi si conviene compiere ogni giustizia» (Mt 3, 13-15). Non pertanto, papa Leone si situa dialetticamente tra la considerazione teologica dell’evento battesimale di Gesù e la celebrazione rituale del nostro battesimo, e lo fa a motivo della referenza pasquale che è la fondativa del Battesimo «in Spirito Santo» (Mc 1,8; Gv 1,33) «in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,11). Egli è per ciò assertore fervente del Battesimo solenne nella Grande Veglia – è noto il suo rimprovero ai vescovi di Sicilia che non seguono l’uso romano nella Notte di Pasqua ma imitano l’uso bizantino nel Giorno del Battesimo di Gesù (leggi la sua Ep 16) – e lo è, ovviamente, a motivo dell’esaurientissimo “manifesto” battesimale che i Romani  hanno avuto consegnato da Paolo: «Non sapete che quanti siete stati battezzati in Cristo Gesù siete stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo stati dunque sepolti insieme a lui nella morte affinché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della Gloria del Padre così anche noi possiamo camminare in una vita nuova… Così anche voi consideratevi morti al peccato ma viventi per Dio in Cristo Gesù... Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di ingiustizia, ma offrite voi stessi a Dio come viventi, ritornati dai morti, e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia…» (Rm 6,3-13 passim).

Se al manifesto battesimale paolino accostiamo la dichiarazione leoniana nel Sermone XII sulla Passione del Signore – lo faremo subito – d’istinto acquisito in Grazia della nostra “sommersione” di Giustizia, la Croce Gloriosa riuscirà l’estetica più puntuale e meglio aderente alla Parola della Lettera Apostolica e all’eco che le fa l’Omelia Episcopale, proprio a Roma indirizzate entrambe in prima istanza; e pure al rito battesimale celebrato nella vigilia magna. La Croce gemmata, dunque, si pianta e si staglia sull’Acqua–Luce dello Spirito Santo; e mentre s’innalza in risalto al getto luminoso s’impianta intanto su d’una Roccia che nel più profondo centro dell’abside raccoglie quell’acqua come in un fonte – in astratto, è lì che starebbe iconizzato l’Agnello della Pasqua cristiana.

Di nuovo, esteticamente, una figurazione sapiente, trattandosi, questa volta, della tipologia esodiale: «Tutti bevvero lo stesso dissetante spirituale, bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, la roccia che era il Cristo» (1 Cor 10,4). Il richiamo al bere apre ulteriore registro; ed ecco due cervi e quattro pecore (quattro, ovvero sei? la redazione del mosaicista ottocentesco è confusa…) che con l’aggiuntivo riferimento al salmo battesimale dei cervi: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te o Dio! L’anima mia ha sete di Dio del Dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal 41, 2-3) e il riferimento al salmo pastorale delle pecore: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. In pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce» (Sal 22, 1-2) disegnano l’omelia leoniana che prevenivamo, battesimale e pastorale: «… Dall’unico Signore stesso di tutti è retta ogni cura pastorale. Egli nutre quanti si accostano alla Pietra (Es 17,6; Num 20,8/1 Cor 10,4) con tali abbondanti e irrigui pascoli (Sal 22, 1-2) da irrobustire innumerevoli pecore con pinguedine d’amore, come Pastore buono che s’è degnato di offrire la sua vita per il suo gregge (Gv 10,11-15)… E mentre si passa da vecchiezza a novità di vita (Rm 7,6)… si depone l’immagine dell’uomo terreno e si assume la forma dell’uomo celeste (1 Cor 15,49) interviene una certa specie di morte e una certa somiglianza di risurrezione che non lasciano chi è preso dal Cristo, ed ha preso il Cristo, identico da quel che era prima del Battesimo a ciò che è dopo il lavacro, e fa che il corpo del rinato sia carne del Crocifisso» (L.M., Sermo 50,6).

L’acqua raccolta nel fonte della Pietra-Cristo si spartisce adesso in quattro torrenti denominati con iscrizioni da Gen 2, 10-14: «Si divideva in quattro corsi…Pison…Ghicon…Tigri…Eufrate…»; ad essi si disseta il suo Gregge. E così raccordata dalla Croce alla linea figurativa Trinitaria, l’estetica absidale fa scattare nel suo centro, sotto la Croce, come una sorta d’intima connessione alla linea figurativa Cristica. E le due fasce abbinate distendono dai due estremi l’orizzonte dell’Eden, giardino coltivato fiorito abitato – fiori bianchi, due pavoni e un gallo, … e Santi e Maria, Giovanni Battista, Pietro, Paolo … un universo in accrescimento “paradisiaco” appunto; e l’orizzonte del Giordano, fiume discorrente fecondo abitato anch’esso – le personificazioni fluviali, la pesca, i pesci e gli uccelli acquatici … - un cosmo in rinnovamento “battesimale” appunto. Addirittura l’identità cristica della figurazione estetica ci si fa’ suggestivissima in virtù dei Sapienziali biblici secondo che noi cristiani siamo soliti riceverli. Intanto negli stessi libri veterotestamentari la Presenza Divina quale Legge-Sapienza: «La legge che Mosè ci ha prescritto… trabocca Sapienza come il Pison e come il Tigri nella stagione delle primizie, effonde intelligenza come l’Eufrate e come il Giordano nella stagione della mietitura, a modo di luce irradia la dottrina come il Ghicon nei giorni della vendemmia…» (Sir 24, 23.25.27). Ma a noi, nella Nuova Alleanza, trasposizione sapienziale nel Logos Divino fattosi nostra carne, il mosaico Lateranense trascrive né più né meno che con i quattro fiumi edenici e l’aggiunta del Giordano, la Presenza Divina in suggestione battesimalesub Gratia anzi che sub lege -. Interno alla Pietra, in mezzo ai quattro fiumi edenici e sopra il fiume Giordano, c’è infatti un abstract della Città futura, turrita e gemmata, il mosaicista ottocentesco ha tracciato su due delle torri il busto di S. Pietro e il busto di S. Paolo: l’ha supposta uno skyline di Roma? –. Alla porta centrale sta di guardia un cherubino armato di spada; ma, oramai, inutilmente: infatti dall’interno svetta una palma fruttifera, idealizzazione non insolita dell’Albero della Vita a motivo dei datteri, vitali per antonomasia; e sulla palma, c’è la Fenice nimbata, l’uccello mitico sin dalla arcaicità di culture diverse che porta con sé due miti. È l’uccello “di fuoco” che una volta ogni tre anni svolge un suo ciclo di vita finendo nel fuoco sacerdotale dei sacrifici rituali, da cui è attratto irresistibilmente, per risorgere dalle sue bruciate ceneri. Ed è l’uccello “d’acqua” che si getta in acqua ogni mattina per cantare dall’acqua al sole che rinasce. Ce n’è abbastanza a spiegarci perché la cultura cristiana primitiva l’abbia transignificato ad allegoria del Cristo Acqua-Luce ed a memoria estetica del Cristo in Passione Morte e Risurrezione.

Mito a parte, responsoriale liturgico per entrambe le fasce d’orizzonte è il salmo della creazione di Dio e della attività dell’uomo, con il suo intercalare della Pentecoste: «Tutti da te aspettano che tu dia loro cibo a tempo opportuno; tu lo provvedi ed essi lo raccolgono, tu apri la tua mano ed essi si saziano di beni. Ma se tu nascondi il tuo volto li assale il terrore, se togli loro il soffio essi muoiono… Ma se mandi il tuo Spirito essi sono creati e tu rinnovi la faccia della terra» (Sal 103, 27-30).

3. Comprensione-Itinerario / l’Aula Lateranense

«Gente Santa per i cieli qui nasce da seme di Vita che lo Spirito porta alla luce in quest’acque rese feconde» (L.M., Iscrizione 1).

In realtà l’Iscrizione leoniana dice “qui” riferendosi al Battesimo e dice “queste” le acque del Fonte. Tuttavia io non uso adesso delle sue parole confondendo il battistero con la basilica, ma considerando che in rilevabile connessione la Vasca-grembo e l’Aula-nave, rispettivamente simbiotici in virtù e in vista della rigenerazione verginale e della salvezza nell’acqua, sono da coscientizzare alla “Gente Santa” nella loro stretta connessione per lo Spirito che “porta alla luce”, edit, mettendo in cammino responsabile.

L’Aula basilicale si caratterizzò ab antiquo con la sua tipologia Antica/Nuova Alleanza che, ad esempio, nel 787  i Legati Papali ricorderanno nel Concilio Ecumenico riunito a Nicea in difesa della iconicità, e iconicità d’arte cristiana: «Pietro (protopresbitero di San Pietro) e Pietro (igumeno di San Saba) presbiteri amatissimi da Dio e legati di Adriano papa dell’antica Roma, dissero: Qualcosa di simile [dipingere specularmente storie dell’Antico e del Nuovo Testamento] ha fatto in antico Costantino di felice memoria. Costruendo la chiesa del Salvatore a Roma sulle due pareti (dell’aula) fece raffigurare storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, (1) da una parte Adamo che esce dal paradiso (Gen 3,24) dall’altra il ladrone che entra in paradiso (Lc 23,43) et reliqua» (Atti del Concilio Niceno II Ecumenico VII, Sessione IV, Città del Vaticano 2004, 177). Et reliqua significa: (2) Noè si salva nell’acqua del diluvio (Gen 7,7)/Gesù è battezzato nell’acqua del Giordano (Mt 3,13-17 e paralleli); (3) Isacco porta la legna che gli ha caricato Abramo (Gen 22,6)/ Gesùporta la croce che gli ha caricato il Padre (Gv 19,17); (4) Giuseppe è consegnato dai suoi fratelli per venti sicli d’argento (Gen 37,28)/Gesù è consegnato dal suo amico per trenta sicli d’argento (Mt 26,15 e paralleli); (5) Mosè libera i padri dall’Egitto (Es 14,21-3\)/ Gesù libera i padri dagli Inferi (1 Pt 3,19); (6) Giona è inghiottito nel ventre del cetaceo (Gn 2,1)/Gesù sorge fuori dal cuore della terra (Mt 27,63 e paralleli). Sappiamo, ovviamente, che proprio con il «segno di Giona» la tipologia AT/NT sta esemplarmente nell’Evangelo stesso (Mt 12,39-40).

Le tipologie dei mosaici (?) “costantiniani” andarono distrutte nel terremoto dell’ 896; rifatte subito in affreschi da papa Sergio III (904-911) si sono conservate sino al secolo XVII. Nell’insieme dei lavori di rifacimento del complesso basilicale ordinati a F. Borromini da papa Innocenzo X (1644-1655) e proseguiti da papa Alessandro VII (1655-1661) furono rifatte ancora una volta, ma in stucco, e sono i bianchi quadroni giunti sino a noi.

Le figurative specularità che interessano al nostro scopo sono la prima, con l’exitus e il reditus in Paradiso, e la seconda, con l’acqua del diluvio e l’acqua del Battesimo – l’abbiamo segnalato, specularità, anch’essa “inventata” nel NT stesso (1Pt 3,20) - ; il Battesimo di Gesù nella umilità della nostra natura l’abbiamo già appreso, ma per comprenderlo bisogna tradurlo da fatto avvenuto a fatto realizzato e sempre ulteriormente realizzabile nell’itinerario “paradisiaco” di tutti i battezzati, sino a che ognuno “sia con lui nel Paradiso” (Lc 23,43).

«Cristiano, prendi coscienza della dignità che si addice alla tua sapienza, capisci con che arti di che discipline e  a quali risultati tu sei chiamato» (L.M., Sermo 45,7). Secondo papa Leone, dunque, secondo lui che coglie la dignitas del Cristiano quale adoptiva nobilitas, “nobiltà di adozione” (leggi il suo Sermo 6,3) e appunto per ciò ne fa qualificazione privilegiata, il Cristiano ha una sua dignità iniziale per cui ha da “ricordare di che Capo e di quale Corpo è membro…” e che “è stato fatto tempio dello Spirito Santo”; ed è la dignità nativa dell’uomo rigenerato e restituito nuovo dalla sommersione sacramentale: «Avvicinandovi a lui pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come sacrificio spirituale per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio mediante Gesù Cristo» (1Pt 2,4-5). Ed ha una sua dignità sapienziale per cui ha da “capire a quali risultati” di che arte “è chiamato”; ed è la dignità divinizzante all’infinito dell’itinerario pasquale fatto proprio: «A questo siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme… Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della Croce perché non vivendo più per il peccato vivessimo per la giustizia. Dalle sue piaghe siete stati guariti» (1Pt 2, 21-24).

«Chi professa vero culto a Cristo per la sua Passione Morte e Risurrezione se non chi con lui patisce muore e risorge? E queste sono cose che in tutti i figli della Chiesa s’iniziano già nel mistero della rigenerazione…; così che quanto entra vecchio nella vasca del fonte, restituisca nuovo l’onda del battesimo. Ma a tale dinamica perfettiva occorre però di compirsi operando ciò che si celebra con il sacramento…» (L.M., Sermo 57,4). A me pare che ciò coltivi la martyria, “la testimonianza” – sta scritto in una Lettera “pastorale”: «Cristo Gesù testimoniò la bella professione, ten kalen omologhian…» (1Tm 6,13) – e coltivi la testimonianza non in virtù di buon esempio ma in forza piuttosto di “seduzione” per adoptiva nobilitas che si prefigga ed attui la sua propria continua esperienza vissuta.

Dal rifacimento del secolo XVII l’Aula Lateranense ha una caratteristica aggiunta che tocca ugualmente il nostro scopo. È la trattazione architettonica del nobile spazio “borrominiano” – qualunque sia stato il nobile “costantiniano” – in maniera tale da costruire una sorta di assonometria avvolgente e coinvolgente fingendo, raffinatamente, un interno operativo della Gerusalemme a venire. Chi ne fu l’eccezionale inventore, talmente “leoniano” a sua conoscenza o a sua insaputa, fu un consulente biblista-liturgista-teologo o fu l’artista stesso? I battezzati che ci si riuniscono in Assemblea si ritrovano in mezzo ai due Testamenti e si sanno salvati in quella storia di salvezza. Hanno professato la Fede cattolica con il Simbolo Apostolico, formula battesimale della Chiesa romana – che, dice Ambrogio, questa Chiesa intemerate servavit (leggi la sua Ep 42,5) – e in storia della Chiesa sono adesso costruttori della Nuova Città già–non ancora a venire. Infatti, «… invano usurpa il nome di cristiano, e inutilmente presume di celebrare la Pasqua del Signore chi non crede che Gesù Cristo sia risorto nella stessa carne in cui è nato ha patito è morto ed è stato sepolto, e non professa che egli è risorto primizia della nostra natura (1Cor 15,12-20). Perciò uno che ha venerazione autentica alla Passione del Signore guarderà con gli occhi del suo cuore Gesù crocifisso  così da riconoscere nella carne di lui la sua propria carne… Appaiano sin d’adesso nella santa città (Mt 27,53) cioè nella Chiesa di Dio, gli indizi della futura risurrezione e avvenga nel (nostro) cuore ciò che avverrà nel (nostro) corpo… (Ché) l’oscurità dell’antica notte è stata superata dalla luce vera (Sap 17,20-18,1/Ap 16,10; 22,5). Il popolo cristiano è invitato alle ricchezze del Paradiso e il ritorno alla patria perduta è aperto a tutti i rigenerati se nessuno si fa precludere la via che la fede del ladrone pentito fece riaprire (Lc 23,43)…» (L.M. Sermo 53,3).

Guardiamo nell’appoggiarsi dell’Aula al livello “vissuto” – immediatamente sul pavimento cosmatesco alternato di “soste”, stationes, e “movimenti”, dynames – guardiamo il suo elevarsi che sorregge il registro della storia di salvezza speculare - con i suoi dodici grandi nicchioni malamente occupati da quelle statue dei dodici apostoli del secolo XVIII  un secolo appresso a Borromini che li aveva lasciati sgombri -. Lhorror vacui gli ha fatto perdere l’alone che faceva meglio presenti questi apostoli nella chiarezza delle porte da allora celata dietro le statue, e che sono le porte preziose di cui sta scritto: «… dodici porte, e sopra le porte… i nomi incisi delle dodici tribù dei figli d’Israele… Le mura della città poggiano su dodici basamenti sopra i quali sono scritti i nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello» (Ap 21, 12-14).

Borromini ha inserito le porte alla rovescia – tutte di pavonazzetto, ognuna tra due colonne di verde greco che nella basilica antica si elevavano tra le navate (ne recuperarono 36) – alla rovescia perché nella Città nuova, a venire,  noi i rigenerati/costruttori del compimento finale stiamo dentro.

Conclusione in itinere

«Per il sacramento del Battesimo… l’uomo è veramente incorporato al Cristo Crocifisso Glorificato… è perciò che il Battesimo costituisce vincolo sacramentale che si stabilisce tra tutti i rigenerati dallo stesso (lavacro) … e il Battesimo è… inizio e avvio… rivolto alla perfetta professione della Fede, alla perfetta incorporazione (al Cristo Crocifisso Glorificato) … alla perfetta compartecipazione nella Sinassi Eucaristica» (UR 22).

Per non “usurpare invano il nome di cristiano” – cosa purtroppo insidiosa per i battezzati che nella Chiesa e nella Società, in responsabilità e rischi, in politica e in amministrazione, economia, finanza, diritti, doveri…, deviano dall’itinerario di comprensione progressiva e attuazione operativa della nostra dignità, quasi non ci si dovesse trovare «sempre pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in voi » (1Pt 3,15), la speranza che è in noi – per non usurpare invano il nome di cristiano, può essere utilissimo evidenziare insistentemente l’aspetto pastorale della tradizione battesimale romana. Il Cardinale Vicario con i suoi Ausiliari, i Presbiteri e i Parroci, con i Catechisti e con chiunque svolge un ministero della Parola, svilupperanno certamente la comunicazione e tradurranno nella pratica l’insegnamento battesimale “rivolto alla perfetta professione…, alla perfetta incorporazione…, alla perfetta compartecipazione….”. Ma, intendendo concludere in progress la mia catechesi, per agganciarmi particolarmente agli sviluppi concretamente realizzatori mi permetto un accenno, in questa “Cattedrale”, agli “Ingressi”di Paolo VI e di Giovanni XXIII  i papi del Vaticano II. Interventi, entrambi, dichiarativi e programmatici.

“Pastorale”, secondo me, è preferibile aggettivo anzi che sostantivo; perché il caso nostro, Spirituale ed ecclesiale, postula insurrogabilmente il “senso” dell’unico Pastore a suo sostantivo. E accostandosi al Concilio che, sappiamo bene, ha inteso qualificarsi “pastorale” inde ab initio, quello è ad ogni modo uno dei punti nodali.

Giovanni XXIII, Domenica 23 novembre 1958:

«…Vorremmo che (i nostri pensieri) pervenissero all’orecchio e al cuore di ciascuno come in eco di due solenni voci che già risuonarono sotto queste volte, dei pontefici S. Leone e S. Gregorio, “grandi” ambedue, Vescovi della Chiesa di Roma e dottori della chiesa universale…

Al punto a cui la S. Liturgia ci ha condotti [omelia dopo la proclamazione dell’Evangelo] tutto oramai si raccoglie sull’Altare santo e benedetto dove l’occhio riguarda due oggetti particolarmente venerati: il libro e il calice.

Eccovi i due Testamenti… Comunicare la grande dottrina dei due Testamenti, farla penetrare nella vita… Gesù, il Pastore, guida il suo Gregge con essa, e con il fuoco di essa tutto accende. I padri della Chiesa primitiva, gli scrittori del grande secolo, i più illustri presuli del Laterano, Leone e Gregorio, che furono essi mai se non precipuamente lettori e interpreti in faccia all’universo mondo delle Sante Scritture? È qui, diletti figli, che piace innanzitutto affermare il carattere pastorale (della Chiesa): la catechesi robusta, splendida, fascinatrice… Di tutte le sollecitudini del ministero pastorale, che ci sono care, e ne avvertiamo l’urgenza, sentiamo soprattutto di dover sollevare da per tutto, con continuità di azione, l’entusiasmo per ogni manifestazione del Libro Divino fatto per illuminare dalla infanzia alla più tarda età il cammino della vita!...

Accanto al Libro, il Calice… Il Calice di Gesù con il suo Sangue prezioso, di Gesù il Salvatore nostro, di noi che partecipiamo mistericamente al Corpo suo che è la santa Chiesa… È, dunque, all’Altare che amiamo invitarvi… perché la sostanza viva della religione che noi professiamo è il nobiscum Deus, “Dio con noi”, Verità che ci si rivela e Grazia perenne (Gv 1,17) che educa e santifica l’uomo, le famiglie e ogni forma della convivenza umana… È su questi punti che S. Leone Magno dal secolo V invita il cristiano a prendere coscienza e riconoscere la grandezza della sua dignità…

Perdonate, dilettissimi fratelli e figliuoli, perdonate al vostro Vescovo, il nuovo Papa, la esuberanza del sentimento circa i due punti considerati fondamentali per il felice ministero pastorale che oggi si rinnova e riprende il suo ardore, come accade ad ogni successione di attività pastorale».

Paolo VI, Domenica 19 novembre 1963:

«… Dove mai troveremmo luogo più sacro per i tesori di pietà e di arte di cui è ripieno, più augusto per la maestà santa che ne rifulge, più atto al culto che vi è celebrato…? Qui dove Imago Salvatoris fixa  parietibus primo visibilis omni populo romano apparuitRomani di ieri e di sempre, Romani di origine e di nascita, … noi speriamo che ci ascolterete se vi diremo che oggi occorre ravvivare il vostro patrimonio religioso e morale, infondere nuovi entusiasmi e nuove virtù alla vostra vita. Noi non siamo del parere di quel grande storico – non cattolico – che scrisse in una sua celebre opera su Roma: “la massa (dei romani) non ha compreso la dottrina di Cristo in verun tempo” [Gregorovius; cf Grisar 1,58 n.1]. Voi l’avete compresa, e la comprenderete sempre meglio se vorrete ascoltare ciò che vi insegna Roma e il suo e vostro Vescovo.

Lo stesso diciamo ai Romani nuovi, a tutti quelli che la Capitale del Paese chiama a Roma, agli uomini politici, agli imprenditori, ai funzionari e agli addetti negli uffici della pubblica amministrazione, ai turisti, agli studiosi, agli immigrati, e a tutta la gente di lavoro che abita nei quartieri operai e periferici della Città. Non dovrete sentirvi forestieri a Roma, non dovrete rimanere estranei alla vita e allo spirito della Città. Sapete, figli tutti di Roma, qual è la forma principale con cui pensiamo di avvicinarvi e introdurvi nel circuito ideale e operante della vita cattolica romana? È la Parrocchia! Si, l’antica e familiare istituzione pastorale che tutti conosciamo… Sarebbe grande nostra aspirazione dare alle parrocchie di Roma nuova vitalità: a cominciare dalla coscienza che tutti dobbiamo avere di questo primo centro di unità, di amicizia, di culto, di formazione cristiana! Grati a quanti ci aiuteranno a dare efficienza, pienezza organizzativa e caritativa alle singole parrocchie. Operiamo insieme in nomine Domini! Bisogna che diamo buona vita alle parrocchie per dare, come ardentemente desideriamo, buona vita a Roma, alla nostra Roma!»

A modo di spigolatura pastorale da entrambi:

catechesi robusta splendida fascinatrice in entusiasmo per la Parola;

parrocchia quale primo centro di unità di amicizia di culto di formazione cristiana.

Papa Benedetto XVI ha appena finito di pronunciare per noi la sua lectio episcopalis che ci introduce all’ “anno della fede”, nel cinquantesimo anniversario dall’apertura del Concilio Vaticano II. E per esso egli ci ha già scritto:

«La “porta della Fede” (At 14,27) verso la vita di comunione con Dio e d’ingresso nella sua Chiesa, è sempre aperta per noi! È possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunziata e il cuore si lascia plasmare dalla Grazia che trasforma. Attraversare quella porta significa immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (Rm 6,4) mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della Risurrezione del Signore Gesù che con il dono dello Spirito Santo ha voluto coinvolgere nella sua stessa Gloria quanti credono in lui (Gv 17,21) …

Alla luce di ciò ho deciso di indire un anno della Fede. Non è la prima volta che la Chiesa viene chiamata a celebrare (un tale anno). Il mio predecessore Paolo VI lo indisse [il primo] nel 1967, nel XIX centenario del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo. Per alcuni aspetti egli vide questo anno come una “conseguenza ed esigenza postconciliare” (Udienza generale, 14 giugno 1967) ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera Fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che iniziarlo in coincidenza con il cinquantesimo anniversario della apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai padri conciliari, secondo le parole di papa Giovanni Paolo II (Novo millennio ineunte, 57) “non perdono il loro valore né il loro smalto. Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX; in esso ci è offerta una sicura bussola per aiutarci nel cammino del secolo che si apre” (verso il nuovo millennio)…».

E proprio qui, nella Basilica del Salvatore – concludo; io c’ero, stavo lì tra l’Altare e la Cattedra; il papa parlava davanti l’Altare – l’11 settembre 1962,  proprio cinquant’anni fa un mese esatto avanti che il Concilio Vaticano II si aprisse, Giovanni XXIII pregò con l’assemblea ricordando a Dio misericordioso che il nostro itinerario battesimale in fedeltà corrisponde esattamente all’adempimento stesso delle sue divine promesse:

«L’antico cantore delle gesta dei primitivi cristiani, tornando sul motivo del suo incitamento alla cooperazione universale a giustizia e a fraterna convivenza di tutte le genti, con incisiva efficacia rivolgendosi agli idoli pagani (esclamava): Lasciate il posto che usurpate, lasciate nella libertà il popolo del Cristo. È il sangue di Pietro e di Paolo che vi scaccia … (A. Prudenzio, Peristephanon 2, 461-470 passim). In forma più mite l’attuale umile successore di Pietro e di Paolo, ama rivolgersi a tutti di ogni terra e di ogni lingua ex Oriente et Occidente … e (implorare) con la preghiera liturgica della Domenica XII dopo Pentecoste…: Onnipotente e misericordioso Dio! È dalla tua Grazia che discende ai tuoi fedeli il dono di servirti con dignità e in gioia! Concedi di camminare senza inciampi verso l’adempimento delle tue stesse promesse!»