L’ordine della carità: la carità temporale, la carità intellettuale, la carità spirituale, di Antonio Rosmini

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 25 /11 /2012 - 21:46 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un brano tratto da Umberto Muratore, Conoscere Rosmini. Vita, pensiero, spiritualità, Edizioni Rosminiane, Stresa, 2002, pp. 183-184 ed alcuni passaggi da Antonio Rosmini, Costituzioni dell’Istituto della Carità, a cura di Dino Sartori, Istituto di Studi Filosofici-Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Città Nuova, Roma, 1996. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (25/11/2012)

1/ Da Umberto Muratore, Conoscere Rosmini. Vita, pensiero, spiritualità, Edizioni Rosminiane, Stresa, 2002, pp. 183-184

Come Dio è uno in tre persone, come l’essere è uno in tre modi, così la carità verso il prossimo è una in tre forme. L’amore prende la forma di bene o carità temporale, quando viene incontro a quei bisogni materiali del prossimo che si esauriscono nel tempo presente: soccorrere il povero, curare l’ammalato, proteggere il debole, ecc. Diventa carità intellettuale, quando il bene è luce per le intelligenze: comunicare la verità, insegnare, sciogliere un dubbio, smascherare l’errore, ecc. Si trasforma in carità spirituale, quando accresce nell’anima la vita soprannaturale, comunica i beni che non sono circoscritti dallo spazio e dal tempo: amministrare i sacramenti, annunciare il Vangelo, pregare, ecc.

Come ogni forma dell’essere contiene in sé ed esprime a suo modo la totalità dell’essere, così ogni forma di carità deve contenere in sé a suo modo tutto l’amore. Pigliamo ad esempio un atto di carità temporale, come quello di fasciare una ferita: il cristiano deve fasciarla nel migliore dei modi (carità intellettuale), e deve fasciarla non per amore del guadagno, o di qualche altro fine temporale, ma per puro amore di Dio (carità spirituale). Così, nel campo della santità, tutte le professioni a tutti gli stati di vita possono essere ugualmente accetti; non importa quello che si fa, importa che nell’operare il bene si sia spinti dall’amore di Dio; più quest’amore è puro, più l’opera è santa.

2/ Da Antonio Rosmini, Costituzioni dell’Istituto della Carità

593. Gli uffici di carità, rispetto al bene del prossimo, a cui tendono direttamente, sono di tre specie.
La prima specie comprende quegli uffici che tendono a giovare immediatamente al prossimo in ciò che riguarda la vita temporale: e questa si può chiamare carità temporale. 

594. La seconda specie comprende quegli uffici che tendono a giovare immediatamente al prossimo nella formazione del suo intelletto e nello sviluppo delle sue facoltà intellettuali: e questa si può chiamare carità intellettuale.

595. La terza specie comprende gli uffici di carità che tendono a giovare al prossimo in ciò che spetta alla salvezza delle anime: e questa si può chiamare carità morale e spirituale. Chiamiamo morale quella carità che dispone l’uomo a compiere i doveri morali, e spirituale la medesima carità elevata all’ordine soprannaturale, per cui l’uomo aderisce a Dio, ciò a cui tendono i mezzi religiosi con cui l’uomo, ottenuta la divina grazia, può adempiere gli obblighi morali. In ciascuna di queste specie, l’ufficio di carità può comprendere uno o più atti, e richiedere stabilmente una o più persone continuamente o successivamente [...].

596. La carità spirituale tende a dare al prossimo ciò che è bene di per sé e solo bene, cioè la vita eterna. Invece la carità temporale e l’intellettuale offrono agli uomini soltanto beni relativi e parziali, che si possono dire beni solo in quanto sono ordinati con l’intenzione al bene assoluto della carità spirituale e ad esso in qualche modo dispongono. Perciò, parlando in senso stretto, le tre suddette specie di carità appartengono ad una sola, come abbiamo detto in precedenza (parte VI, cap. IV), e quindi dobbiamo esercitare la carità temporale e l’intellettuale solo al fine di salvare le anime e di onorare nelle persone il nostro Dio e Signore GESÙ, che volle prendere su di sé i bisogni di tutti noi.

597. La principale e suprema specie di carità è la terza, che tende ad un bene più grande e più vero; poi eccelle la seconda specie, perché la formazione dell’intelletto è la più importante delle cose temporali e serve più da vicino alla specie suprema; la prima invece è la minima specie di carità. Ma nell’assumere gli uffici non si deve guardare solo a quest’ordine, così da assumere con più facilità e prontezza delle altre la specie che sembra più importante, ma bisogna prima considerare quanto segue.

598. Poiché lo stato che noi scegliamo è quello dell’umiltà e ci collochiamo fra i discepoli e non fra i maestri d’Israele, non dobbiamo abbandonare questo stato a noi carissimo senza un valido motivo e, quando possiamo, dobbiamo preferire quella carità che è propria di tutti i fedeli, assumendo lo stato di dottori e pastori solo quando si rende evidente la divina chiamata.

599. Vediamo dunque quale sia l’ordine della carità comune a tutti i fedeli, che ci appartiene, prima di assumere l’ufficio pastorale; poi quale sia l’ordine della carità dei pastori.

600. Il fedele cristiano, nella sua semplicità, deve prima di tutto assecondare i buoni sentimenti ed istinti naturali, cioè la compassione che si desta specialmente alla vista delle sofferenze della vita temporale del prossimo, e santificare tali sentimenti con l’amore di Cristo.

Infatti, dato che sono sentimenti della natura buona, provengono da Dio in quanto autore della natura, e in essi v’è la volontà divina, e sono immuni dal pericolo della superbia e dell’orgoglio, dato che in essi siamo come passivi, e nascono non tanto dall’intelletto, quanto dallo stesso buon temperamento del corpo. Per questo il Signore ci ha offerto numerosi esempi di opere di misericordia corporale, a cui si dedicò nelle necessità che gli si offrivano. Così, vedendo le turbe che lo avevano seguito sul monte, disse: «Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare» (Mc 8,2); pianse su Gerusalemme vedendola dal monte; chiamato, andò a risuscitare Lazzaro, e il suo spirito fremette e pianse non appena fu vicino al sepolcro; risuscitò da morte il figlio della vedova, che non aveva cercato, ma incontrato a caso sulla via; a Cana di Galilea, pregato dalla madre, trasformò l’acqua. Indulse quindi alla compassione, non ricercò i mali del prossimo per compiangerli, ma ovunque il caso li offrisse alla sua vista, se ne commuoveva e, pregato, li soccorreva. Così conviene che faccia colui che sa di essere insieme a tutto il mondo nelle mani della Provvidenza di Dio Padre, e da essa si lascia muovere, non inerte, dove più le piace (poiché non crede di sapere da se come muoversi bene) e obbedisce ai buoni impulsi della natura come a decisioni della stessa Provvidenza. Quando dunque, mossi da questa intenzione di obbedire alla divina volontà e di piacere a GESÙ Cristo, non resistiamo alla compassione naturale, ma la assecondiamo e la incitiamo saggiamente in noi, allora costruiamo la vera carità, che comincia dagli impulsi compassionevoli, come la cognizione intellettiva delle sensazioni; e perciò GESÙ Cristo stesso sembra aver richiamato a ciò, come a suo principio, tutto il precetto dell’amore scambievole, quando ha insegnato che nel giudizio finale ricompenserà i giusti e condannerà gli ingiusti. Quindi per noi si richiede meno per assumere la carità corporale che per intraprendere le altre specie di carità, anche se per loro natura più importanti.

Questa facilità nel compatire le disgrazie e le miserie del prossimo non deve però mutarsi in debolezza e mancanza di coraggio, che turbi l’intelletto. Anzi, l’intelletto deve rimanere sempre imparziale giudice e padrone, e gli impulsi naturali devono fluire dalla concessione della volontà intellettiva. Da questo esempio possiamo imparare che la carità di Cristo si estende molto più ampiamente che ai supremi bisogni della vita e della salute.

Le opere di carità temporale da preferirsi alle altre sono quelle elencate da Cristo: «1. ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, 2. ho avuto sete e mi avete dato da bere, 3. ero forestiero e mi avete ospitato, 4. nudo e mi avete vestito, 5. malato e mi avete visitato, 6. carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36).

601. Quanto poi alla quantità della carità temporale da esercitare, dobbiamo sforzarci col cuore e con l’azione di raggiungere il massimo. [...]

602. Quando poi apparisse abbastanza chiaramente la volontà di Dio, non si dovrebbe rifiutare neppure il ministero pastorale. E in esso si deve osservare l’ordine inverso della carità. Infatti, il pastore o chi si occupa della cura pastorale, deve prima di tutto aiutare il prossimo con la carità spirituale, perché a ciò specialmente è stato mandato; in secondo luogo, con la carità intellettuale, in quanto la formazione dell’intelletto dispone all’acquisto della scienza della salvezza; in terzo luogo con la carità temporale. Ma dato che queste due ultime specie di carità non debbono essere ordinate se non alla prima, a cui direttamente tende tutta quanta la sollecitudine pastorale, per questo delle due specie anteporrà quella che per le circostanze avrà visto più utile a conseguire lo scopo del suo ministero. Come se il Vescovo chiedesse e ci fosse la possibilità di accontentarlo, né apparisse motivo di dubitare del buon esito dell’ufficio da assumere. Infatti l’insieme delle circostanze che promettono un buon esito della cosa deve essere considerato come una dimostrazione della divina Provvidenza.