Miracolo a Le Havre, Almanya - La mia famiglia va in Germania, Terraferma. Qualcosa di strano, qualcosa di consueto: nei recenti film sull’accoglienza degli immigrati si torna a valorizzare la famiglia ed il rifiuto dell’aborto, continuando a parlare male della fede cristiana. Breve nota di A.L.

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 09 /12 /2012 - 14:15 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: , , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio.

Il centro culturale Gli scritti (9/12/2012)

Tre novità

In tre recenti film che affrontano la tematica dell’immigrazione divengono improvvisamente belle tre scelte che non sono "politicamente corrette".

In Miracolo a Le Havre, di Aki Kaurismäki, il lustrascarpe Marcel Marx, che aiuterà un giovane immigrato nordafricano, vive un rapporto d’amore con sua moglie Arletty nel quale lei lo sostiene prendendosi cura di lui, nonostante la sua inadeguatezza. Scene da un matrimonio strano ma sereno, si potrebbe dire.

In Almanya - La mia famiglia va in Germania, di Yasemin Samdereli, Hüseyin Yilmaz, emigrato in Germania dalla Turchia negli anni ’60, incoraggia la nipote a non abortire pur essendo lei ed il suo ragazzo appena maggiorenni.

In Terraferma, di Emanuele Crialese, Sara, giovane mamma etiope, difende la sua gravidanza nata da uno stupro subito nelle carceri libiche, affermando che suo marito, se la ama veramente, capirà.

Insomma, ciò che il cinema italiano non accetterebbe di presentare positivamente se vissuto da giovani europei viene improvvisamente – e fortunatamente – sdoganato in riferimento a giovani immigrati.

I produttori dei film citati potrebbero non essersi resi conto della novità delle posizioni espresse dai loro film in tema di etica familiare e sessuale, ma certamente il senso morale delle culture di origine di molti dei nuovi immigrati provoca la riflessione di uno sguardo occidentale che si è asssuefatto alla secolarizzazione e scopre, invece, modi diversi di vivere, carichi di fede e di moralità.

Tre banalità

Banale, invece, perché secondo gli stilemi del “politicamente corretto-scorretto solo verso il cristianesimo” è la presentazione della presenza della Chiesa.

In Miracolo a Le Havre non appare nessun prete a difesa degli immigrati e gli unici due sacerdoti che entrano in scena discutono saccentemente mentre il lustrascarpe Marcel Marx pulisce le loro scarpe. In una battuta del film si afferma esplicitamente che solo chi svolge lavori umili vive le beatitudini.

In Almanya - La mia famiglia va in Germania per ben tre volte si rappresenta il crocifisso come qualcosa di spaventevole per i giovani immigrati turchi - ad esempio, una volta appare in un incubo di un figlio come una presenza sanguinante che sta per cadere sul letto dove il piccolo dorme. Se, da un lato, questo ricorda che per una vera integrazione la scuola deve operare a livello culturale perché chi non conosce il cristianesimo ne scopra almeno la dignità, pur non volendo aderire ad esso, d'altro lato ricorda che una banalizzazione della fede cristiana è sempre alle porte.

Infine, in Terraferma, brilla l'assenza di ogni riferimento a Dio ed ai santi - dalla Vergine, a Santa Lucia, a Santa Rosalia - così cari alla popolazione siciliana. L'unica che ha un riferimento a Dio è la giovane immigrata, mentre nessuno degli abitanti dell'isola prega o ricorda la tradizione popolare impregnata di cristianesimo.

Merita ricordare qui una riflessione estremamente densa e illuminante di Benedetto XVI:

«L’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità. Proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente» (dall’intervista rilasciata da Benedetto XVI a Radio Vaticana ed a tre televisioni tedesche il 13 agosto 2006).