Twal: «Siamo la Chiesa del calvario. Siria? Meglio vivere sotto un dittatore che cambiare al prezzo di 80 mila morti». Un'intervista di Leone Grotti al patriarca di Gerusalemme Fouad Twal

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 12 /06 /2013 - 10:50 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un'intervista di Leone Grotti al patriarca di Gerusalemme Fouad Twal pubblicata l'8/6/2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (12/6/2013)

I due vescovi ortodossi rapiti in Siria

Fouad Twal è patriarca della Chiesa cattolica latina di Gerusalemme dal 2008. Come tutti i cristiani della Terra Santa è preoccupato dall’instabilità e dalle guerre che hanno invaso tutto il Medio Oriente. A tempi.it accetta di parlare del conflitto in Siria, del tentativo di riavviare il processo di pace tra israeliani e palestinesi, della «paura e speranza» che tutta la Chiesa del Medio Oriente, «la Chiesa del calvario», sta vivendo.

Patriarca, che cosa significa che la Chiesa di Gerusalemme è la Chiesa del calvario?

La mia Chiesa è la Chiesa della croce, della sofferenza, dell’occupazione, dell’emigrazione dei cristiani, della libertà che manca a tutti i cristiani del Medio Oriente di venire qui e pregare. Ma se pensiamo a Iraq, Siria ed Egitto vediamo che da due o tre anni tutto il Medio Oriente è la Chiesa del calvario, il calvario della violenza.

A inizio anno ha lanciato questa provocazione: «Se anche la Giordania diventa instabile, dove andremo, in Arabia Saudita?».

Grazie a Dio adesso non dobbiamo aver paura di una cosa che non è successa e spero non succederà mai. Sono stato da poco in Giordania: anche se non al cento per cento, è l’unico paese del Medio Oriente dove c’è stabilità politica e psicologica. Anche le famiglie sono più serene, abbiamo superato la crisi, la paura. Non a caso nel nostro seminario il numero più grande di seminaristi viene proprio dalla Giordania. Ma vorrei sottolineare anche un’altra cosa.

Prego.

Il 30 maggio scorso, alla presenza del governo, di diversi ambasciatori e del re di Giordania Abd Allah II, con gioia e orgoglio abbiamo inaugurato in modo solenne l’università di Madaba, benedetta da papa Benedetto XVI tre anni fa. L’università funziona da due anni, è cattolica, appartiene al patriarcato, però ha un cuore grande ed è aperta a tutti. Abbiamo studenti da tutto il Golfo: Arabia Saudita, Oman, Iraq, Siria, Giordania, Israele e Palestina. In Giordania oggi tutti possono arrivare senza limitazioni, è l’unico paese così rimasto in Medio Oriente.

Oggi la situazione più grave la vive sicuramente la Siria. È preoccupato per la sorte dei cristiani?

Non sono preoccupato solo per i cristiani ma per tutti gli abitanti della Siria. I cristiani infatti sono parte integrante della popolazione. Che la Siria abbia bisogno di riforme è vero, anche noi ne abbiamo, ma passare dall’esigenza delle riforme alla distruzione di tutto il paese perché alcuni vogliono il cambiamento, questa è un’altra cosa e noi capi religiosi del Medio Oriente non siamo d’accordo.

Ma in Siria c’è un regime.

Tra vivere con un regime imperfetto, dittatoriale e cercare di cambiarlo facendo 80 mila morti e un milione e mezzo di rifugiati, ebbene, io preferisco vivere con un regime imperfetto e con un dittatore. Non si possono accettare 80 mila morti e milioni di rifugiati per il gusto di cambiare. Tutto l’Occidente e l’America hanno vissuto per anni con regimi che non erano certo esemplari. E ancora oggi si convive e si collabora con tante dittature che non rispettano al cento per cento i valori di libertà e dignità che l’Occidente proclama. Ma io provo pena nel vedere 800 mila rifugiati in Giordania che vivono dell’elemosina del mondo intero. Ecco perché ringrazio la solidarietà mondiale, quella italiana e quella americana, quella musulmana del Golfo e quella della Caritas, ma preferirei avere evitato il problema e non avere bisogno oggi di ringraziare per questi aiuti.

In Siria da oltre un mese sono stati rapiti due vescovi ortodossi. Avete qualche notizia?

Non abbiamo nessuna notizia. Durante il regime di Assad padre e Assad figlio non avevamo mai avuto vescovi sequestrati. Ma ora c’è il cambiamento, ora vogliamo migliorare e il risultato è che succedono questi fatti tristi.

Non si fida dei ribelli che combattono contro Assad?

Tutti gli estremisti musulmani della Giordania, di cui tanto abbiamo paura, si sono trasferiti in Siria. Per me è il colmo vedere che ora collaboriamo con loro, lo ripeto: è il colmo. L’Europa, che professa valori di prima classe, come può arrivare a un punto tale di collaborazione con gente che fa paura a loro stessi, fa paura ai loro popoli, fa paura ai nostri regimi arabi e fa paura anche a voi italiani, che tanto temete l’estremismo religioso?

In Europa, soprattutto Francia e Regno Unito vorrebbero armare i ribelli e rafforzarli per sconfiggere Assad.

Ottantamila morti non ci bastano? Vogliamo ancora più vittime e distruzione per cambiare questo famoso regime di Assad? Bene, inviamo le armi ai ribelli e avremo la certezza che i morti aumenteranno. Mettiamo però sulla bilancia il prezzo che stiamo pagando con i risultati.

Se il risultato fosse la fine della guerra civile?

E che cosa viene dopo? Cosa succederà dopo? Prendiamo l’Iraq, ci soddisfa la sua situazione oggi? Abbiamo davanti agli occhi l’esempio della Libia, dell’Egitto, abbiamo tanti esempi, non dobbiamo essere ciechi. Chi viene dopo da meritare così tanti sacrifici, tutte queste vite distrutte, tutto il paese distrutto? Per chi, per che cosa? Facciamo un bilancio. Se ne vale la pena, allora ringraziamo il Signore, altrimenti chiediamoci dove ci porta questa avventura. Noi sappiamo bene come si comincia una guerra ma non sappiamo come andrà a finire. Se uno mi dicesse: dopo il cambiamento, voi cristiani e patriarchi avrete queste e queste cose che non avete mai avuto con Assad. Allora forse daremmo la nostra benedizione, ma noi non sappiamo dove andiamo. Come posso oggi benedire tanti massacri e tanti morti?

Tornando a Gerusalemme, come giudica il tentativo da parte del segretario di Stato americano John Kerry di far ripartire i dialoghi di pace tra israeliani e palestinesi?

(sospira) Una volta un ministro italiano di cui non voglio fare il nome anni fa è venuto da me e mi ha detto: “Stiamo per far rivivere il processo di pace”. Io gli ho risposto: “Onorevole, mi chiedo perché non andiate mai direttamente alla pace”. Sono 50 anni che procediamo ma non siamo arrivati a niente. Io ringrazio Kerry, ringrazio i partner israeliani e palestinesi, noi appoggiamo tutto e speriamo. Però ci siamo stancati di processi, processi, processi. Io prego di sbagliarmi ma ho paura che non ci sia una buona volontà politica di fare la pace. Entrambi i popoli hanno il desiderio della pace, ma c’è tanta paura e sfiducia. E anch’io ho paura.

Qual è la priorità oggi per la Chiesa di Gerusalemme?

Vivere in pace, lavorare in pace, fare del bene in pace, far vivere le nostre istituzioni in pace, lasciarci lavorare per il bene di tutti. In pace.

Avete ancora speranza nella fine del calvario?

Essere la Chiesa del calvario significa anche essere la Chiesa della resurrezione, della speranza, della gioia di vivere, della collaborazione, del lavoro e del dialogo con tutti per arrivare alle soluzioni migliori. Con più giustizia, serenità e pace per tutti. Ringrazi da parte mia l’Italia, perché da voi il governo, il popolo e la Chiesa sono sempre stati vicini alla Terra Santa e a tutti i suoi abitanti. Continuate a dire la verità.