Gesù e le donne pagane: la moglie di Pilato (Mt 27,11-26), di Virginia Di Mauro

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 21 /07 /2013 - 14:04 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Laós 20 (2013) 1,69-76 - la rivista dell’ISSR «S. Luca»-Catania - un articolo di Virginia Di Mauro per gentile concessione dell’autrice. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (21/7/2013)

N.B. Gli scritti propone questo articolo perché pone giustamente in risalto il ruolo della moglie di Pilato nel processo. Per una chiarificazione dei motivi e delle responsabilità del processo stesso, cfr. invece Ha bestemmiato: il processo di Gesù, di Andrea Lonardo.

Indice

Presentazione e struttura di Mt 27, 11-26[1]

Il brano in esame, inserito nel capitolo 27 del Vangelo secondo Matteo, presenta una struttura molto precisa, divisibile in due parti: nella prima (vv. 11-19) Pilato, convinto dell’innocenza di Gesù, grazie anche all’intervento della propria sposa, cerca di liberarlo; nella seconda (vv. 20-26) Pilato cede alle pressioni dei capi dei sacerdoti che hanno già persuaso la folla.

La struttura dell’intera pericope sembra creata appositamente per mettere in evidenza l’intuizione della donna al v. 19, in forte contrasto sia con la falsa sicurezza del Sinedrio sia con la debolezza mostrata da Pilato in quell’occasione. Lei, infatti, riconosce la giustizia di quel personaggio solo grazie ad un sogno; un sogno, però, che le ha causato un forte turbamento.

Dopo la parentesi dei vv. 3-10 in cui viene raccontata la tragica fine di Giuda, il redattore riprende il resoconto sul processo a Gesù condotto da Pilato. Il testo in esame, prevalentemente composto da dialoghi, è articolato in due parti principali, a loro volta ulteriormente suddivise:

1. Interrogatorio di Gesù e accusa dei capi (vv. 11-18)
a Interrogatorio di Pilato ed unica risposta di Gesù (v. 11),
b Il Sinedrio accusa Gesù (v. 12),
a’ Pilato continua ad interrogare Gesù non ottenendo alcuna risposta (vv. 13-14),
c Prassi dell’istituzione romana durante la pasqua (v.15),
d Il prigioniero “famoso” (v. 16),
c’ Intuizione di Pilato circa le reali motivazioni delle accuse (vv. 17-18);
a Sogno della moglie di Pilato (v. 19);

2. Dialogo tra Pilato e la folla (vv. 20-26)
a I capi del popolo persuadono la folla (v. 20),
b Pilato interroga la folla (vv. 21-23),
a’ Pilato si lava le mani (v. 24);
a La folla si assume la responsabilità della propria scelta (v. 25),
a’ Pilato rilascia Barabba e fa flagellare Gesù (v. 26).

La scena al v. 19, riguardante la moglie di Pilato, secondo Santi Grasso, è una piccola parentesi che ha la funzione di creare un gioco di contrapposizione tra le due parti principali.[2] Mentre i capi giudaici persuadono la folla a richiedere la liberazione di un vero malfattore pur di perseguire il loro obiettivo di uccidere Gesù, una donna pagana afferma la sua innocenza. Pilato, da parte sua, tenta di liberarlo, ma soccombe di fronte all’insistenza del popolo, fino all’eclatante gesto di lavarsi le mani, che mette ulteriormente in rilievo proprio l’innocenza del condannato.

All’interno del capitolo 27 troviamo ben tre dichiarazioni di questo tipo: la prima è professata da Giuda nel tentativo di restituire il denaro ottenuto tradendo Gesù (v. 4), la seconda deriva dal sogno della donna pagana (v. 19), la terza viene posta sulle labbra di Pilato (v. 23). Per i capi del popolo, però, non sono sufficienti; per questo sobillano la folla lì presente. Il vero conduttore del processo risulta, di conseguenza, il popolo, che decide ed induce il giudice ad adeguarsi: Barabba viene rilasciato e Gesù condotto alla flagellazione ed alla crocifissione. L’episodio, riportato da tutti i Sinottici, nel Vangelo secondo Matteo assume, scrive Fabris, dei caratteri originali che rivelano l’intento catechetico dell’opera, nonché il suo aspetto cristologico ed apologetico: Pilato parla di Gesù usando l’appellativo Cristo, il sogno della moglie del governatore motiva il suo intervento a favore di Gesù, il popolo dichiara la sua responsabilità nell’ingiusta condanna.[3]

Analisi del testo

Pilato, procuratore romano della Giudea, in quanto rappresentante dell’imperatore, è la massima autorità di quella provincia romana. Il Sinedrio, maggiore organo giudaico legislativo e giurisdizionale, ha già condannato Gesù accusandolo di bestemmia. L’ultima parola, però, spetta proprio al procuratore, il quale ha il potere di ratificare o respingere quella decisione. Nonostante i capi del popolo abbiano già premeditato di farlo morire, dato che i Romani avevano tolto al Sinedrio il diritto di vita e di morte sui malfattori, conducono Gesù da Pilato.[4]

L’incontro fra i due inizia con la domanda del governatore, il quale mostra subito di aver capito o di sapere che l’accusa formulata contro il “presunto malfattore” è di carattere politico e non di blasfemia come vuole far credere il sinedrio: sei tu il re dei Giudei?[5] Gesù risponde un’unica volta con poche parole, confermando quanto gli veniva chiesto. L’affermazione, sostiene Daniel Harrington, cela una vena di ironia, perché per Pilato e per i capi giudaici il termine assume un significato diverso da quello che ha per Gesù e per i lettori del Vangelo.[6]

I capi dei sacerdoti e gli anziani continuano ad accusarlo senza sosta, ma Egli non parla più; il suo silenzio, che richiama quello del servo sofferente, contrasta con le voci che provengono fuori dal pretorio.[7] La rinuncia ad ogni difesa lascia Pilato molto colpito: quanti malfattori avrà udito cercare di discolparsi affannosamente, un innocente, invece, si ostina a non voler parlare in sua difesa, perché? Segue un altro interrogatorio, stavolta rivolto alla folla lì radunata: chi volete che io rimetta in libertà [...] Barabba o Gesù?[8] Il governatore era solito rimettere in libertà, in occasione delle feste giudaiche, un carcerato a scelta del popolo; eppure, stavolta, la domanda è volutamente provocatoria. Sapeva bene, infatti, che glielo avevano consegnato per invidia.[9]

Una parentesi al verso 19 interrompe il dialogo: si tratta di un’inserzione redazionale, un elemento originale, come nota Lavarotti, presente solo nel Vangelo secondo Matteo.[10] In piena udienza la moglie di Pilato gli manda un messaggero per rilasciare quel giusto. Nell’Antico Testamento si parla del “giusto”, nei termini tipici del processo giuridico, come dell’uomo di cui Dio ha riconosciuto la pietà; dunque, “giusto” è colui che osserva la Legge, diversamente dall’empio che non vi si attiene.[11] Di conseguenza, il Messia è giusto perché tutto in lui corrisponde al Volere divino.[12]

Nel mondo pagano, scrive Schrenke, per giustizia si intende l’osservanza delle leggi della società; solo dopo diventerà anche un atteggiamento interiore, riguardante le virtù.[13] Nel Nuovo Testamento, infine, “giusto” è colui che ascolta la parola del Figlio e la mette in pratica.[14] Alla luce di quanto affermato, l’autore vuole dare un duplice valore al termine utilizzato dalla donna romana: Gesù è innocente e giusto sia da un punto di vista legislativo e delle virtù sia in quanto Egli è il Messia. Anche il centurione in Lc 23,47 adotterà il termine in una concezione simile.

Quale grave motivo può averla indotta ad interrompere l’udienza? Di lei non sappiamo nulla, neanche il nome. Non ci è dato conoscere se prima di allora avesse sentito parlare di Gesù, probabilmente sì, data la “fama” del Maestro. Nella più rosea delle ipotesi, comunque, Egli rimane per lei uno sconosciuto. Tenta, tuttavia, di intercedere per Lui. La donna, una pagana, lo sogna e ne rimane molto turbata perché capisce che non è un malfattore. Ricordiamo che nella Bibbia il sogno è una delle tipiche forme di comunicazione privilegiata tra Dio e l’essere umano, basta pensare a Giacobbe per l’Antico Testamento e a Giuseppe per il Nuovo.[15]

Nel sogno Dio mostra la verità togliendo il velo che impedisce agli uomini l’accesso alla vera realtà. I sommi sacerdoti e gli anziani, invece, evidenzia Harrington, sono completamente “ciechi”, ostinati a non riconoscere in Gesù il Messia tanto atteso e dunque a farlo morire, riuscendo a persuadere la volubile folla nel richiedere la liberazione di un delinquente, Barabba.[16] Il tutto risulta ancora più stridente leggendo in alcuni codici, citati da Santi Grasso, il suo nome completo: “Gesù Barabba”.[17] Il popolo deve scegliere tra un “Gesù comune” (il nome è ancora oggi molto diffuso tra i giudei) ed il “vero Gesù”, il Messia. Come scrive l’autore del Vangelo secondo Giovanni, venne fra i suoi ma i suoi non l’hanno accolto.[18]

I contrasti fin ora elencati potrebbero essere sufficienti, ma il redattore ne aggiunge ancora uno, forse il più forte: il riconoscimento dell’innocenza di Gesù da parte di una donna pagana. È interessante notare come presenti al lettore la scena, soprattutto se teniamo presente che la Chiesa destinataria dell’opera è per lo più di origine giudaica. Da una parte, infatti, abbiamo gli ebrei capeggiati da sommi sacerdoti ed anziani, sicuri della propria fede e forti della loro Legge; dall’altra la moglie del governatore romano, una donna pagana, appunto, la quale, però, va oltre i pregiudizi ed arriva alla Verità. Al centro fra questi due poli diametralmente opposti c’è Pilato, “diviso” fra la fiducia in ciò che la propria sposa gli manda a dire, confermato da quello che aveva intuito circa le reali motivazioni delle accuse su Gesù, e le pressioni dei giudei, i quali, come temeva, avrebbero provocato un tumulto.[19]

La donna ama talmente suo marito da metterlo in guardia sul non sbagliare nell’esercizio delle sue mansioni giuridiche. Ma Pilato non l’ascolta. Un giudice, che deve essere garante della giustizia, si comporta ingiustamente e condanna un innocente, nonostante sia il suo buon senso sia la moglie l’abbiano avvertito riguardo l’errore che sta per commettere. Il governatore le crede, ma, come riporta il Vangelo secondo Giovanni, i giudei lo accusano, qualora Lo liberasse, di non essere amico di Cesare, perché chiunque si fa re si mette contro Cesare.[20]

Il ritratto del procuratore che ricaviamo dai Sinottici e soprattutto dal Vangelo secondo Matteo non concorda affatto con quello degli storici Giuseppe Flavio e Filone, i quali lo presentano come un despota crudele.[21] Il motivo è l’intento degli evangelisti di mostrare come l’ingiusta condanna sia soltanto frutto di una congiura giudaica.

Creando una corrispondenza fra la prima parte del brano in esame e la seconda, riprende il dialogo con la folla, nel vano tentativo di persuaderla. Ormai, è troppo tardi, già i sommi sacerdoti e gli anziani lo hanno preceduto. Solo un gesto forte, una presa di posizione risoluta avrebbe potuto “salvare” Gesù. Ma Pilato cede e presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!”.[22] Il gesto è tremendo, in quanto lui, che avrebbe potuto “salvare” Gesù, non agisce.

Profondamente in difficoltà, invece di prendere posizione, ritiene che la cosa più semplice sia declinare ad altri le proprie responsabilità. È un gesto espressivo che i giudei capiscono bene; quando si commetteva un crimine e non si sapeva chi fosse l’omicida, scrive Grilli, gli anziani della città più vicina al luogo del delitto dovevano lavarsi le mani in segno di innocenza ed estraneità verso l’accaduto.[23] L’espressione il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli non è una formula di auto-maledizione, come era considerata nel mondo antico, piuttosto, come afferma Gnilka, la manifestazione della cecità di fronte al Messia, oltre a divenire un richiamo alla Redenzione.[24]

Inconsapevolmente il popolo invoca la forza redentrice del sangue di Gesù, proprio come Egli aveva annunciato durante l’Ultima Cena. Notiamo come, nel capitolo 27, il riferimento al sangue sia costante: Giuda afferma di essere colpevole perché traditore di sangue innocente, Pilato non vuole essere responsabile di quel sangue perché sa che si tratta di un uomo giusto, la folla, ormai completamente soggiogata dai suoi capi, se ne assume ogni conseguenza.

Leggendo il brano notiamo il notevole numero di personaggi che intervengono nella scena o meglio nelle diverse scene presentate. Ciascuno ha il suo grado di responsabilità: Pilato in quanto rappresentante del potere occupante, i capi del Giudaismo come sobillatori, il popolo che si è lasciato manovrare. Il tutto accentuato maggiormente dal contrasto continuo tra un malfattore ed un giusto, tra la morte del giusto e la liberazione del malfattore, tra la contraddittorietà di Pilato e la spietata chiarezza dei capi del popolo. Grilli giustamente ritiene che sia un espediente per permettere al redattore di sottolineare il dato teologico che vuole comunicare al lettore: il popolo eletto che ha sancito nel sangue la prima Alleanza non riconosce quella Nuova.[25] Una donna pagana, invece, lo intuisce.

È probabile che, sostiene Lancellotti, l’autore abbia attinto da una tradizione, come per l’episodio dei Magi, che circolava in ambiente etnico-cristiano di Gerusalemme che sottolineava positivamente la partecipazione dei pagani nelle vicende messianiche.[26]

Il Nuovo Testamento non dice altro di questa donna. La successiva tradizione cristiana la ricorda come Procula o Procla o Claudia Procula. La chiesa orientale ortodossa e quella etiope, inoltre, la riconoscono come santa, la cui festa cade rispettivamente il 27 ottobre ed il 25 giugno. Esistono perfino delle presunte Lettere di Procula, scoperte in un monastero belga a Bruges e conservate negli archivi del Vaticano; anche i Vangeli Apocrifi ne parlano.

Il Vangelo di Nicodemo, in particolare il Papiro Copto di Torino, riporta per grandi linee quanto possiamo leggere nel Vangelo secondo Matteo, ovvero che, mentre Pilato siede in tribunale, sua moglie gli invia un messaggero per intimargli di non avere a che fare con quell’uomo giusto.[27]

I giudei, però, ritengono che sia frutto di una magia dello stesso Gesù, il quale ha inviato alla donna dei fantasmi: non ti abbiamo detto, forse, che è un mago?[28] Xavier de Chalendar ipotizza, invece, che il governatore, interrogando la folla, comunichi loro il contenuto del messaggio, affermando la devozione della moglie verso Dio, al punto da simpatizzare con il Giudaismo.[29]

Da quanto appena affermato sembrerebbe che non si tratti di una semplice pagana, ma di una pagana che si sta convertendo. Nel cosiddetto Ciclo di Pilato, inoltre, nella sezione dedicata alla corrispondenza tra Pilato ed Erode, Pilato stesso scrive su quanto accaduto dopo la crocifissione e la morte di Gesù.[30] La sposa Procla, insieme al fedele centurione Longino, che è stato di guardia presso il sepolcro, vedono proprio Gesù in un campo intento ad insegnare alle folle. I due addirittura colloquiano con il Risorto, il quale li invita a non essere più increduli, annunciando loro il Disegno del Padre.

Anche Pilato, giunto sul posto, si pente per quanto ha commesso e si converte insieme alla sposa. Nella corrispondenza tra Tiberio e Pilato, inoltre, l’imperatore rimprovera aspramente il procuratore per l’ingiusta condanna di Gesù, fino al punto da condannarlo a morte insieme alla moglie.[31] Prima dell’esecuzione, l’uomo cerca invano di ottenere giustizia per la sposa, dato che aveva tentato di richiamarlo al giusto adempimento dei suoi doveri. In punto di morte, però, i due coniugi ottengono il perdono di Dio tramite una visione.[32] Questo spiegherebbe perché le chiese orientali li venerano come santi.

Conclusione

Presso i popoli antichi la donna ha sempre avuto una posizione pressoché marginale, pur con il riconoscimento di una missione particolare, in quanto grazie a lei, la vita continua. Con il Cristianesimo, però, la situazione cambia. Gesù, infatti, dona pienezza ad ogni vita umana, sia dell’uomo che della donna. Per la prima volta, la donna può partecipare attivamente alla vita della comunità. È il messaggio centrale del brano di Mt 15,21-28: tutti possono partecipare al Banchetto del Regno senza privilegi.

Anche quello di Mt 27,11-26 rivela un cambio di prospettiva: una pagana, diversamente dai capi del popolo Giudaico sicuri delle proprie posizioni, intuisce la Giustizia di Gesù solo grazie ad un sogno. Cerca di persuadere anche il marito, ma le pressioni ricevute dall’esterno sono troppo forti.

Il Rapporto diretto instaurato tra queste donne e Gesù costituisce una vera novità per il tempo. [...] È strano anche che una donna si intrometta in affari giuridici che non la riguardino [...] i capi del popolo continuano imperterriti nella sobillazione della folla, nonché dello stesso procuratore. Queste donne, però, dimostrano una forte volontà ed una grande disponibilità interiore, anche nei confronti delle umiliazioni.

La pastorale di oggi deve necessariamente orientarsi verso un contatto diretto con le persone, di qualsiasi sesso, nazionalità e cultura. Occorre una coerenza di vita, oltre ad un superamento di tutti gli ostacoli che potrebbero esserci, primi fra tutti i pregiudizi e l’orgoglio personale. Occorrono nuovi modi per raggiungere gli uomini e le donne del nostro tempo. In questo potrebbero aiutare i moderni mezzi di comunicazione di massa, purché utilizzati con criterio. L’essenziale, tuttavia, rimane sempre una corretta condotta di vita ed una testimonianza coerente con il Vangelo. Una coerenza che non può abbandonare coloro che ricoprono ruoli nei vari ambiti della giustizia, della sanità e di tutti i settori della vita pubblica.

Note al testo

[1] 11Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l’interrogò dicendo: “Sei tu il re dei Giudei?”. Gesù rispose “Tu lo dici”. 12E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. 13Allora Pilato gli disse: “Non senti quante cose attestano contro di te?”. 14Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore. 15Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. 16Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. 17Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: “Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?”. 18Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia. 19Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: “Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua”. 20Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. 21Allora il governatore domandò: “Chi dei due volete che vi rilasci?”. Quelli risposero: “Barabba!”. 22Disse loro Pilato: “Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?”. Tutti gli risposero: “Sia crocifisso!”. 23Ed egli aggiunse: “Ma che male ha fatto?”. Essi allora urlarono: “Sia crocifisso!”. 24Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!”. 25E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”. 26Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso (Mt 27,11-26).

[2] S. Grasso, Il Vangelo di Matteo, Edizioni Dehoniane, Roma 1995, p. 645; R. Fabris, Matteo, Edizioni Borla, Roma 1996, p. 562.

[3] R. Fabris, Matteo, Edizioni Borla, Roma 1996, pp. 562-563.

[4] Mt 27,2. Cfr. Mc 15,1; Lc 23,1; Gv 18,28.31.

[5] Mt 26,65; 27,11.18.

[6] D. Harrington, Il Vangelo di Matteo, Elledici, Torino 2005, p. 347. Per ulteriori approfondimenti consultare A. J. Lavarotti, Gesù compare dinanzi a Pilato in Nuovo Commentario Biblico. I Vangeli, Borla, Città Nuova, Roma 2005, p. 543; D. Harrington, Il Vangelo di Matteo, Elledici, Torino 2005, p. 347.

[7] Mt 27,14. Cfr. Is 53,7.

[8] Mt 27,17.

[9] Mt 27,18.

[10] A. J. Lavarotti, Gesù compare dinanzi a Pilato in Nuovo Commentario Biblico. I  Vangeli, Borla, Città Nuova, Roma 2005, p. 544.

[11] Cfr. Dt 25,1; Sal 1,6.

[12] Cfr. Ger 23,5; Zac 9,9.

[13] G. Schrenke, “Giusto” in Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1988, p. 1999.

[14] Cfr. Mt 7,21.

[15] G. Schrenke, “Giusto” in Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1997, p. 876.

[16] D. Harrington, Il Vangelo di Matteo, Elledici, Torino 2005, p. 348.

[17] S. Grasso, Il Vangelo di Matteo, Edizioni Dehoniane, Roma 1995, p. 647, nota 62.

[18] Gv 1,11.

[19] W. Trilling, Vangelo secondo Matteo. Commenti spirituali del Nuovo testamento, Città Nuova, Roma 2001, p. 463. L’autore definisce la figura di Pilato scialba , poiché il suo atteggiamento lo rende quasi una “comparsa”.

[20] Gv 19,12.

[21] Il contrasto è ricordato da S. Grasso, Il Vangelo di Matteo, Edizioni Dehoniane, Roma 1995, p. 646, nota 59 e W. Trilling, Vangelo secondo Matteo, Città Nuova, Roma 2001, p. 463.

[22] Mt 27,24.

[23] M. Grilli, Il processo davanti ai Romani in La Bibbia, Piemme, Milano 1995, p. 2339. Cfr. Dt 21,1-9.

[24] J. Gnilka, Il vangelo di Matteo vol. 2 in Commentario Teologico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1988, p. 662.

[25] M. Grilli, Il processo davanti ai Romani in La Bibbia, Piemme, Milano 1995, p. 2363.

[26] A. Lancellotti, Nuovissima Versione della Bibbia. Matteo, Edizioni San Paolo, Milano 1997, p. 381.

[27] L. Moraldi, Vangelo di Nicodemo2,1 in Apocrifi del Nuovo Testamento: I Vangeli vol. 1, Piemme, Milano 1994.

[28] Ibidem.

[29] X. De Chalendar, Hanno visto Gesù: 50 personaggi del Vangelo, Edizioni San Paolo, Milano 2010, p. 193.

[30] L. Moraldi, Ciclo di Pilato: Lettere tra Pilato ed Erode in Apocrifi del Nuovo Testamento: I Vangeli vol. 1, Piemme, Milano 1994.

[31] Ibidem.

[32] Per ulteriori approfondimenti è utile consultare: G. Ravasi, La Pasqua secondo gli Apocrifi in L’Osservatore Romano , 24 aprile 2009. F. Alphonse, Il sogno della moglie di Pilato (Le Rêve de la femme de Pilate), incisione, 1879, 493 x 333. A. May, La moglie di Pilato, Dalai Editore, Milano 2009: la donna, imparentata con la famiglia imperiale, sostiene il marito durante la difficile decisione. Anche per lei la vita a Gerusalemme non è facile.