Io sono la mia fiction! – Dal ‘selfie’ all’autopubblicazione: tutti impiccati alle vertigini del proprio ombelico - È la self-society, bellezza! (a quando il self-fanculo?), di Massimiliano Parente

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 09 /02 /2014 - 14:27 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito de Il giornale dell’8 /1/2014 un articolo scritto da Massimiliano Parente. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Educazione e media nella sezione Catechesi e pastorale.

Il Centro culturale Gli scritti (9/2/2014)

Il selfie di Obama nel giorno del Memorial Mandela

N.B. de Gli scritti Avevamo ipotizzato di omettere l’ultimo passaggio relativo ad un politico italiano, ma si sarebbe persa la battuta finale. Abbiamo così deciso di conservarlo senza che questo implichi un nostro giudizio in merito, ma solamente come un riferimento ulteriore al ‘selfie’.

Io sono la mia fiction! – Dal ‘selfie’ all’autopubblicazione: tutti impiccati alle vertigini del proprio ombelico - È la self-society, bellezza! (a quando il self-fanculo?), di Massimiliano Parente

Non che sia una novità il cosiddetto «selfie», da anni non si fa altro, da quando abbiamo incorporato le macchine fotografiche negli smarthphone e la possibilità di pubblicare foto nei social network.

Tantomeno il «self-pubblishing», anche qui da quando c'è internet tutti si self-pubblicano: al principio fu il blog, alla fine il self-book. Nessuno deve giudicarmi, mi giudico da solo, con insindacabile self-decision. Casomai il problema, in teoria, resta farsi leggere. Ma forse, a pensarci bene, neppure tanto.

Insomma la nuova era, già iniziata, di questa spumeggiante self-society, non sarà quella del self-reading? Naturale conseguenza del self-pubblishing, che significa dilettantismo di massa neppure più distinguibile come tale perché non c'è più nessuno a distinguere niente. Cogito ergo sum, ergo scrivo, ergo mi autopubblico, ergo mi autoleggo e chi s'è visto s'è visto.

Stringi stringi: che bisogno c'è dell'editore? Mi pubblico io. Che bisogno c'è del lettore? Mi leggo io. Infatti da anni in editoria non si sente più parlare di «passaparola», cosa volete che passino. A me, per esempio, arrivano solo richieste di aspiranti scrittori che vogliono essere letti. Visto che scrivono a uno scrittore hanno letto mezzo mio libro, sono miei lettori? Ci mancherebbe, non fanno neppure finta.

È il nuovo upgrading del sessantottismo culturale, il livellamento di ogni gerarchia all'interno di un'unica gerarchia globale, l'auto-individualismo senza individuo. Per cui se, come ha denunciato en passant in un'intervista anche Aldo Busi, è saltato completamente «il filtro industriale» nella produzione di testi letterari (ma aggiungo anche estetico, gerarchico, culturale), alla fine non si capisce chi dovrà leggere cosa di diverso da se stesso.

Il self-reading è il risultato della scrittura non più in rapporto con niente, è un amo da pesca lanciato per amare e pescare se stessi. Come esperimento scientifico do-it-yourself chiunque abbia un profilo facebook può rendersene conto: scrivete uno status su qualsiasi cosa e subito si riempie di commenti schizofrenici e chilometrici in cui ognuno scrive la sua senza aver letto la tua. È inutile chiedersi «ma cosa c'entra?». C'entra perché conta riempire uno spazio, in biologia si chiamerebbe nicchia evolutiva, in economia quota di mercato, nella psicologia del web è un travaso di nulla nel nulla, una logorrea autoreferenziale.

Zuckerberg lo ha capito quando ha chiamato la bacheca «diario», ossia informare gli altri non della straordinarietà, ma della quotidianità delle proprie vite ordinarie. Mi sono svegliato, sono allegro, sono depresso, ho mangiato, ho pisciato. Non si posta una foto perché ci si sta arrampicando come Tom Cruise sul Burj Khalifa, è sufficiente mostrare lo zampone con il cotechino cucinato dalla zia per capodanno.

È lo stesso fenomeno che, in forme diverse, imperversa ovunque, dal conoscente che ti saluta per chiederti «ciao, come sto?» ai programmi in televisione. Come i talk show, dove in teoria è tutto sociale, dalla "piazza" pulita al servizio "pubblico", e dove apparentemente si litiga, si discute, ci si indigna, mentre in realtà ognuno parla ascoltando se stesso parlare, si chiama self-listening.

Dove dall'altra parte si suppone un ascoltatore intento a fare del self-listening, con la televisione accesa solo per postare il suo commento in 140 caratteri. Molte trasmissioni lo hanno capito e pubblicano in diretta i tweet: un'indagine ha rivelato che mandare in onda i tweet aumenta l'ascolto, ossia l'auto-ascolto. Si noti che in tv ormai nessuno commenta mai i tweet inviati, passano in sovraimpressione e basta perché tanto basta.

È come un teatro con due specchi riflessi uno nell'altro al posto del palco e della platea. Il parlamento italiano stesso dà questa impressione: un autoparlamento, un self-parliament. Non riesce a fare una legge elettorale perché vorrebbe eleggersi da solo, vorrebbe le self-elections.

Anche chi se ne tira fuori lo fa per finta, anzi l'esempio massimo è proprio Beppe Grillo: ha abolito il contraddittorio, fa il controdiscorso contro Napolitano prima ancora di sentire il discorso di Napolitano, parla solo lui mandando affanculo tutti, perfino i suoi. Ormai, perché anticipi veramente il futuro della società, si aspetta solo il passo successivo: il self-fanculo.