«Il terrorismo islamico ci ha dichiarato guerra. E nel mondo musulmano chi si oppone ai fanatici non ha voce». Un’intervista a Khaled Fouad Allam di Leone Grotti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 11 /01 /2015 - 17:23 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un’intervista a Khaled Fouad Allam di Leone Grotti pubblicata il 9/1/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (11/1/2015)

«Sgomento, rabbia e grande inquietudine mescolata a un forte sentimento di paura». È quello che ha provato Khaled Fouad Allam quando ha saputo dell’attentato al giornale satirico francese Charlie Hebdo. Docente di Sociologia del mondo musulmano all’università di Trieste, ha da poco consegnato alle stampe Il jihadista della porta accanto, ma la prossima settimana ne uscirà una nuova versione aggiornata alla strage parigina. «Per quel che ne sappiamo finora – dichiara a tempi.it – i due attentatori erano vestiti di nero come i combattenti dello Stato islamico; dopo aver ucciso hanno alzato l’indice al cielo per indicare Allah e il loro curriculum è di ragazzi che hanno seguito un cattivo maestro finendo nelle filiere del jihadismo».

Quello a Charlie Hebdo è il quarto attentato in Francia nelle ultime tre settimane. Come mai così tanti?
Non so perché così tanti ma non è un caso. La Francia non è solo il paese europeo con la comunità araba più numerosa. Attaccando gli Stati Uniti l’11 settembre, Bin Laden e i suoi accoliti colpirono anche il simbolo del capitalismo. Attaccando Parigi oggi, i terroristi fanno guerra alle idee stesse di libertà, uguaglianza e democrazia.

Scontro di civiltà?
L’Isis e il terrorismo islamico in generale vivono in un mondo completamente diverso dal nostro e ci hanno dichiarato guerra. Per fortuna l’islam non è tutto così ma il radicalismo islamico rovescia completamente l’equazione tra libertà ed uguaglianza. Lo stato messo in piedi dall’Isis segue in tutto la sharia e non consente la libertà religiosa. E Giovanni Paolo II diceva che dove non c’è libertà religiosa, non c’è libertà.

I leader delle comunità musulmane francesi hanno condannato senza appello la strage. Ha ragione chi si affretta a dire: l’islam non c’entra?
Guardi, io sono musulmano ma l’ho scritto anche venti anni fa: c’è una crisi nell’islam contemporaneo. Questo è evidente, salta agli occhi di tutti e non si può sfuggire a questo giudizio. La storia delle vignette [che Charlie Hebdo aveva disegnato contro Maometto nel 2006 e negli anni successivi] poi ci dice qualcosa: l’islam non si è mai secolarizzato perché non accetta la soggettivizzazione del fatto religioso. Ci sono tanti pensatori che si battono per la libertà e per qualcosa di diverso, ma dal punto di vista della massa critica non è ancora così. Questo mi sembra evidente.

Vede segnali positivi di cambiamento?
Ci sono tante persone nel mondo musulmano che si battono per la libertà, la democrazia e l’uguaglianza ma non hanno voce. Voi dovreste dare loro visibilità, non solo a livello politico ma anche culturale: penso a personaggi attivi nel mondo della letteratura, della poesia. Non è infatti un politico o un teologo che deve decidere, qualcuno può dare l’abbrivio ma poi tutti devono seguire in coro. Eppure queste persone sono ridotte al silenzio o parlano solo quando succedono queste catastrofi. Ecco il problema. Così però non si aiuta il processo di democratizzazione dell’islam. Anzi, questo si sta chiudendo ultimamente e così si arriva al disastro.

Gli ipotetici attentatori a Charlie Hebdo le sembrano i terroristi della porta accanto che descrive nel suo ultimo libro?
Ancora è passato poco tempo dall’attacco, ma mi sembra che i presunti colpevoli abbiano fatto il loro stesso percorso. Sono ragazzi francesi che hanno seguito un cattivo maestro: uno è stato in Siria, l’altro voleva andare in Iraq, poi è stato arrestato e in carcere si è islamizzato politicamente, come troppe volte succede. E poi c’è il disagio di giovani che vivono in due mondi diversi: il primo è quello dove viviamo anche noi, l’altro è quello del jihadismo.

In questi giorni le dichiarazioni sulla fallita integrazione in Francia si sprecano. Anche l’Occidente ha qualcosa da rimproverarsi?
Bisognerebbe rivedere a livello europeo le politiche pubbliche di integrazione. Bisogna lavorare in tanti settori, a partire dalle banlieue: ci sono territori della République completamente sottratti al controllo dello Stato dai gruppi integralisti, dove lo Stato non può più entrare. Poi bisognerebbe favorire programmi di Erasmus e di scambio tra giovani di licei e università delle due sponde del Mediterraneo perché tutto inizia quando si è giovani. Ma capisco una cosa.

Quale?
C’è bisogno di qualcosa di nuovo, le ricette tradizionali non funzionano più, bisogna rinnovare la politica e rendere i giovani protagonisti della vita in democrazia attraverso l’educazione. Io vedo che la Francia è sempre più spaccata e la coesione sociale rischia di spezzarsi. L’attentato di ieri è gravissimo perché fomenta atteggiamenti che fanno il gioco dei fondamentalisti: ottenere la rottura e il conflitto permanente.