San Valentino. Ci sei sempre stata, di Luciano Ligabue, è un interrogativo sull’“origine eterna” di quel cantico dei cantici che è l’amore. Breve nota di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 15 /02 /2015 - 14:09 pm | Permalink | Homepage
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Per ulteriori testi di Fabrice Hadjadj, vedi la sezione Filosofia contemporanea nella sezione Storia e filosofia.

Il Centro culturale Gli scritti (15/2/2015)

«Più ti guardo e meno lo capisco
da che posto vieni
forse sono stati tanti posti
tutti da straniera.

Chi ti ha fatto gli occhi e quelle gambe
ci sapeva fare
chi ti ha dato tutta la dolcezza
ti voleva bene».

Non è dei genitori che sta parlando Ligabue, quando domanda: “Da che posto vieni? Chi ti voleva bene per averti fatto così?”.

In un passaggio meraviglioso di un intervento in un dibattito, così affermava Fabrice Hadjadj[1]:

«La domanda «Che cos'è la verità?» è molto astratta, e sento già l'allievo in fondo alla classe dire che il professore ricomincia a spaccare il capello in quattro. E io voglio proprio dare ragione a quest'allievo. Voglio proprio sentire, per cominciare, la richiesta dello scaldabanchi. Lo scaldabanchi mi è sempre stato particolarmente simpatico. Non perché non è «scolastico», il che non sarebbe che una qualità negativa, ma perché è vicino al termosifone: ha il gusto del calore concreto, non vuole essere comprato con le parole. La sua sonnolenza è una richiesta. Il suo zero spaccato ci conduce a qualsiasi numerazione.

In fondo, all'ultimo banco, con la sua inclassificabile inerzia, lo scaldabanchi va più lontano di tutti gli altri. Quando gli si domanda: «Che cos'è?», egli risponde alzando le spalle: «Che cos'è questo che cos'è?». Sottraendosi alla domanda, interroga la domanda stessa. Con il suo rifiuto, esige che gli si fornisca non soltanto il perché, ma il perché del perché, il «che cos'è» del quid. Un «causeur» ... che ci porta verso la causa delle cause. E questo non in maniera teorica, ma in maniera concreta, materiale, pesante.

Dico «pesante» e non viva, perché la sua concretezza, lo riconosco, non è tanto legata all'assiduità vivace quanto all'assegnazione di una palla al piede. Di questo perché del perché non ne sente l'esigenza, poiché ha la testa fra le nuvole, si concentra sulle boccacce - invece che su Boccaccio -, sonnecchia, chiacchiera o disegna nel suo angolino. E, tuttavia, egli è questa esigenza, lo è proprio nella misura in cui non ce l'ha, e sta a noi, di conseguenza, averla per lui. In realtà, colui che pone le domande è il primo della classe, non lo scaldabanchi. Per il primo della classe la domanda scolastica va da sé; per lo scaldabanchi non significa niente. Ora, appunto, non ponendosi domande ma disponendosi pesantemente sulla sedia, lo scaldabanchi conduce al di qua o al di là dell' ambito scolastico e diventa fonte di domande per il suo insegnante.

Come fare affinché la lezione di filosofia coinvolga tanto quanto il campo da calcio? In che modo far risuonare la domanda «che cos'è la verità?» affinché essa diventi interessante almeno quanto quest'altra domanda: «Chi è quella bella ragazza di seconda con il piercing alla narice destra?». Ecco un interrogativo profondo. Sembra che impedisca la riflessione filosofica. In realtà, la introduce. Esso, infatti, si trova all'origine stessa della filosofia - per lo meno, prima che questa fosse sequestrata da procedure universitarie.

La filosofia è essenzialmente una disciplina da cattivo alunno. È come la giudicava l'Areopago quando accusava Socrate di corrompere i giovani. E, in realtà, secondo Socrate o Platone (nel Simposio, per esempio, o nel Fedro), la filosofia non si scopre inizialmente nei libri, ma nell'incontro con un bel corpo. Georges Bataille si fa eco di questa tradizione quando dichiara: «Penso allo stesso modo in cui una ragazza si toglie il vestito». E, nella seconda strofa della sua poesia intitolata proprio Socrate e Alcibiade, Holderlin non ha paura di cantare:

Chi ha pensato a ciò che è più profondo ama ciò che è più vivo. Nobile giovinezza intende, chi ha gettato lo sguardo dentro il mondo. E i saggi propendono molte volte al Bello, alla fine.

Questo canto ci porta a radicalizzare la domanda dello scaldabanchi e la sua preferenza per la signorina della seconda superiore: la vertigine davanti alla bellezza degli esseri non si colloca soltanto all'inizio, ma anche al termine della filosofia. La fine ritrova l'origine. Ma quest'incontro non è un ritorno alla casella di partenza. Lo spirito della «prima giovinezza» non è regressione puerile o adolescenziale. In effetti, la ragazza non colpisce più il saggio in maniera superficiale o epidermica, ma «nella parte più profonda».

Così è con la massima serietà che devo chiedermi comicamente: in che modo rendere il pensiero più vivo di una partita di calcio e forte come una bella donna? Ed ecco già una verità che si profila ancor prima della risposta alla nostra domanda. Ne abbiamo l'intuizione, come lo scaldabanchi che fa della metafisica senza saperlo: bisognerebbe che la domanda prendesse vita, che il Logos si facesse carne o che la Verità fosse una Persona, una Persona bella almeno quanto la graziosa ragazza di seconda superiore con il piercing alla narice destra o, meglio ancora, che questa Persona fosse il principio stesso della bella ragazza e di tutte le altre, ornata di piercing ancora più sconcertanti».

Nel videoclip girato per Ci sei sempre stata straordinario è anche il perdersi ed il trovarsi dei due innamorati che sembra far eco al Cantico dei cantici 5,2-8:

2Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore.
Un rumore! La voce del mio amato che bussa:
«Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, mio tutto;
perché il mio capo è madido di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne».
3«Mi sono tolta la veste;
come indossarla di nuovo?
Mi sono lavata i piedi;
come sporcarli di nuovo?».
4L’amato mio ha introdotto la mano nella fessura
e le mie viscere fremettero per lui.
5Mi sono alzata per aprire al mio amato
e le mie mani stillavano mirra;
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
6Ho aperto allora all’amato mio,
ma l’amato mio se n’era andato, era scomparso.
Io venni meno, per la sua scomparsa;
l’ho cercato, ma non l’ho trovato,
l’ho chiamato, ma non mi ha risposto.
7Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città;
mi hanno percossa, mi hanno ferita,
mi hanno tolto il mantello
le guardie delle mura.
8Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate l’amato mio
che cosa gli racconterete?
Che sono malata d’amore!

Ci sei sempre stata, di Luciano Ligabue

Più ti guardo e meno lo capisco
da che posto vieni
forse sono stati tanti posti
tutti da straniera 

Chi ti ha fatto gli occhi e quelle gambe
ci sapeva fare
chi ti ha dato tutta la dolcezza
ti voleva bene

Quando il cielo non bastava
non bastava la brigata
eri solo da incontrare
ma tu ci sei sempre stata 

Quando si allungava l’ombra
sopra tutta la giornata
eri solo più lontana
ma tu ci sei sempre stata

Più ti guardo e più mi meraviglio
e più ti lascio fare
che ti guardo e anche se mi sbaglio
almeno sbaglio bene

Il futuro è tutto da vedere
tu lo vedi prima
me lo dici, vuoi che mi prepari
e sorridi ancora 

Quando il tempo non passava
non passava la nottata
eri solo da incontrare
ma tu ci sei sempre stata 

E anche quando si gelava
con la luna già cambiata
eri solo più lontana
ma tu ci sei sempre stata 

Nemmeno un bacio
che sia stato mai sprecato
nemmeno un gesto così…
così… 

Nemmeno un bacio
che sia stato regalato
nemmeno un gesto così… 
tanto per… così… 

Più ti guardo e meno lo capisco
quale giro hai fatto
ora parte tutto un altro giro
e io ho già detto tutto 

Quando il cielo non bastava
non bastava la brigata
eri solo da incontrare
ma tu ci sei sempre stata  

Quando il tempo non passava
non passava la nottata
eri solo più lontana
ma tu ci sei sempre stata

Note al testo

[1] Da F. Hadjadj, Che cos’è la verità?, Lindau, Torino, 2011, pp. 35-38.