La silenziosa voce delle font, di Stefano Bartezzaghi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 10 /06 /2015 - 10:47 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da La Repubblica del 31/5/2015 un articolo scritto da Stefano Bartezzaghi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (10/6/2015)

Scrivere, si fa presto a dire "scrivere". Ma scrivere come? Si può farlo a mano o con una macchina. Quando lo si fa a mano si può scegliere di far finta di scrivere a macchina, così come quando si usa una macchina si può oramai far quasi finta di scrivere a mano. Lo stampatello manuale imita la regolarità modulare della macchina. I caratteri sono diritti e ben staccati fra loro, come soldati impettiti in riga

Quando le macchine scrivono in corsivo, invece, è la macchina che imita la mano: caratteri inclinati, come staffettisti che partono di scatto per andare a offrire il testimone di un trattino a quello che lo segue. Del resto "corsivo" rimanda proprio alla corsa, allo scorrere e al discorrere della scrittura, che insegue da vicino il pensiero, non fa staccare mai la mano dal foglio, non cerca una classica stabilità ma insegue ghirigori casomai barocchi.

Le macchine di scrittura odierne ci consentono una scelta un tempo impensabile di caratteri e di loro varianti, chiamate "font". Nomi come "carattere" e "tipo" facilitano le analogie che la speculazione grafologica trova fra le inclinazioni del carattere scrittorio e quelle del carattere psicologico dello scrivente. Umberto Eco, che non ha mai dimenticato il suo passato di funzionario editoriale (e quello più remoto di discendente da una famiglia di tipografi), aggiunge anche l'accezione anglofona di « character » come personaggio di una narrazione, dando nomi di caratteri a personaggi e entità dei suoi romanzi: dal Baskerville de Il nome della rosa (che allude anche a Sherlock Holmes) alla Garamond de Il pendolo di Foucault fino a Braggadocio, cupo personaggio del recente Numero Zero . Il nome è quello di un bizzarro carattere, che risale all'Art Déco. Anche il cognome del narratore, Colonna, ha a che fare con la tipografia e non soltanto perché la colonna è un'unità dell'impaginazione. A un controverso Francesco Colonna è attribuito quel capolavoro letterario e anche tipografico che è l'-Hypnerotomachia Poliphili , stampato da Aldo Manuzio nel 1490, con i caratteri disegnati proprio da Francesco Griffo.

Il recente Sei proprio il mio typo. La vita segreta delle font ( Ponte alle Grazie, 2012) del divulgatore inglese Simon Garfield è un'eccellente (e spassosa) guida turistica per viaggiatori di pagine. La sostanza espressiva dei bianchi e dei neri, dei tratti rettilinei, delle curve e degli svolazzi è perlopiù inavvertita, almeno consapevolmente, dal lettore. Il suo occhio non si sofferma su questi più di quanto il cervello di un automobilista pensi ai pistoni: salta subito alla dimensione della parola, e del suo significato. Come per i pistoni, si notano solo i malfunzionamenti: una cattiva stampa, o anche una cattiva scelta di font, salta all'occhio e allora ci si accorge che una relazione fra testo e font esiste. Ci sono font "maschili" e font "femminili", font autorevoli e font ironiche, ed è solo la sapienza di un grafico professionale che può assegnare a un testo il set di caratteri che meglio si adatta al carattere del testo medesimo. Che non faccia (se proprio non lo si desidera) l'effetto dell'Infinito di Giacomo Leopardi recitato dalla voce di Fantozzi, o della Vispa Teresa scandita da quella del presidente emerito Giorgio Napolitano.

Non a caso proprio offrendo una varietà di font ai suoi clienti la Apple delle origini prese dei vantaggi su Microsoft. La font è infatti la voce, il timbro e l'inflessione del testo scritto, così come, sempre senza accorgercene, possiamo parlare in corsivo, in stampatello, in neretto e a volte facciamo sentire che pronunciamo certe parole con l'iniziale in maiuscolo. Ferdinand de Saussure pensava che la lettera e il suono siano presenti nella nostra mente in una forma indistinta e sinestetica, tra figura e suono. Quando si ascolta la voce delle font viene proprio da dargli postuma ragione.

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