[Roma e Milano da amare] 1/ Ma gli «anticorpi» di Roma io li chiamo per nome. C’è un’altra città quasi invisibile e giusta, di Eraldo Affinati 2/ Vuoi vedere che Adamo e signora erano milanesi? Siamo proprio tornati sulla bocca di tutti, e io ho un dubbio, di Giacomo Poretti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 01 /11 /2015 - 15:12 pm | Permalink | Homepage
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1/ Ma gli «anticorpi» di Roma io li chiamo per nome. C’è un’altra città quasi invisibile e giusta, di Eraldo Affinati

Riprendiamo da Avvenire del 30/10/2015 un articolo di Eraldo Affinati. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (1/11/2015)

Alla battuta di Raffaele Cantone, sulla perduta integrità della capitale italiana, sarebbe bello poter rispondere che noi gli anticorpi romani, capaci di combattere l’incuria, superare l’immoralità e sanare il degrado, li conosciamo bene e vorremmo tanto che li considerasse degni di nota anche lui: si chiamano Giulio, un mio ex studente della Magliana; Vittorio, un elettricista del Tiburtino e Paola, volontaria di Centocelle. Uso il condizionale perché voglio scoprire gli ingranaggi aprendo uno spazio d’incertezza nel mio stesso ragionamento prima ancora che su quello impostato dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Dobbiamo trovare la forza di credere di più in quello che facciamo.

È vero: la trionfante civiltà mediatica ci obbliga alla sintesi sbrigativa, al duello spettacolarizzato e allo schema sociologico, tuttavia mi piacerebbe non trattenere il moto d’insofferenza che provo per questo modo di procedere: Roma e Milano, lealtà e fraudolenza, bene e male, nord e sud, bianchi e neri. Che la protervia e l’arroganza, l’egoismo e il malaffare corrispondano a un tratto antropologico della specie cui apparteniamo e non possano certo essere ridotti in chiave geografica, sono certo che lo diamo tutti per scontato, così come l’opposta speculare consapevolezza riguardo alla natura buona e generosa di alcuni. Ma allora di cosa stiamo parlando?

Io credo che il tema-fondamento di questa polemica sia la luce dei riflettori, accesi come fari fissi sui romanzi criminali e sulle suburre contemporanee e clamorosamente spenti altrove. È una vecchia questione: secondo qualche studioso, il tarlo del Novecento. Sì al delirio, all’ebbrezza, allo smarrimento. No al rigore, al limite, alla responsabilità. Non stiamo invocando santini edificanti da contrapporre ai più loschi figuri, questo non farebbe altro che spingere molti di noi verso i secondi disdegnando i primi. Piuttosto dovremmo rinnovare il linguaggio, ripristinare i canoni estetici, rifiutare i ciarlatani.

L’unico che sembra aver compreso la dimensione ermeneutica della crisi etica che stiamo vivendo è papa Francesco: ne conveniamo, un romano d’eccezione. Nella maggioranza dei casi rischiamo di appiattirci in uno sterile gioco di schieramenti lasciando campo libero al teatrino della politica, costantemente enfatizzato dalle televisioni, con gli squallidi risultati che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno quando osserviamo i comportamenti all’interno delle camere legislative.

Giulio era un ripetente, bocciato due volte in prima superiore, al quale chiesi di insegnare la lingua italiana agli immigrati. Lo fece un anno intero senza che gli avessi promesso niente: né voti alti, né crediti scolastici. Vittorio, se non è impegnato a lavorare, guida gratis l’ambulanza del 118 per andare a soccorrere i malati. Paola è una pensionata che la mattina presto si reca al Baobab, centro di accoglienza nel quartiere di San Lorenzo che, dopo essere entrato nelle cronache cittadine di "mafia capitale", ospita oggi i profughi in transito. Lei serve la colazione, sparecchia, si rende utile in vari modi e, come centinaia di altri cittadini, offre a quei disperati generi di prima necessità. Il Baobab non riceve finanziamenti istituzionali e funziona solo grazie ai donatori e soprattutto al lavoro dei volontari.

Ecco quali sono gli anticorpi di cui abbiamo bisogno e che dobbiamo imparare a riconoscere e valorizzare. Ce ne sono innumerevoli, giovani e adulti, donne e uomini, spesso invisibili, anche se magari abitano accanto a noi. Persone comuni in grado di fare la rivoluzione. Piccola. Una al giorno. Fuori e dentro l’Urbe imperitura. Senza fretta. Con la potenza di chi non vuole niente in cambio.

2/ Vuoi vedere che Adamo e signora erano milanesi? Siamo proprio tornati sulla bocca di tutti, e io ho un dubbio, di Giacomo Poretti

​Riprendiamo da Avvenire del 30/10/2015 un articolo di Giacomo Poretti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (1/11/2015)

Milano è ritornata di moda, è sulla bocca di tutti, persino come ritrovata «Capitale morale» e addirittura qualche milione di stranieri in questi mesi sono venuti a visitarla. A noi indigeni ci fa senso tutto questo interesse per la nostra città, visto che ci tocca di sentirla continuamente descrivere e deridere come grigia, nebbiosa e triste.

Sarà che siamo stati abituati nei secoli a ricevere le visite ad ogni ora del giorno: bussavano al portone, noi ad aprire, e dentro romani, ostrogoti, visigoti, spagnoli, francesi, austriaci, tedeschi, americani, meridionali, peruviani, filippini. Qualcuno è entrato e ha voluto comandare, qualcun altro ha chiesto da lavorare, altri hanno lavato i vetri ai semafori, altri ancora li abbiamo cacciati a schioppettate.

Tutti a dire che Milano è grigia, nebbiosa e triste. «Ah, vedessi casa mia! il mare! il sole! i palazzi! e come si mangia a casa mia! altro che la cotoletta!». Siamo abituati noi milanesi a questo tipo di sarcasmo, ma noi lo sappiamo che, in realtà, chi disprezza ama.

Noi ci facciamo prendere in giro docilmente e andiamo avanti, sappiamo che il nostro destino è quello di lavorare e quello facciamo.

A volte pensando al buon Dio, che per la verità in quel momento non era tanto buono ma abbastanza su di giri, quando ha scacciato i nostri antenati dal Paradiso urlandogli: «D’ora in avanti ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte», ecco mi viene il dubbio che Adamo e sua moglie fossero stati milanesi e che da allora la maledizione del lavoro si sia incistata dentro al nostro Dna.

Non saremo espansivi come le popolazioni che vivono sotto il 45° parallelo e se volete venire a cena da noi dovete dircelo una settimana prima, però facciamo del nostro meglio per non farvi sentire la nostalgia di casa.

A Milano manca il mare? e noi abbiamo riaperto il Naviglio e abbellito l’idroscalo. A Milano mancano le montagne? e noi per farvi correre abbiamo fatto la “montagnetta”. A Milano non ci sono i bei palazzi e si mangia male? e noi vi abbiamo fatto l’Expo con i suoi avveniristici padiglioni e la cucina di tutto il pianeta.

E il sole? Beh quello, se permettete, ve lo vedrete quando ritornerete a casa vostra per farvi le vacanze! Non mi dite che avete prenotato 2 settimane in agosto un albergo con vista Darsena!?!
È proprio vero quel che dice la canzone « ...canten tucc “lontan de Napoli se moeur” ma po’ i vegnen chi a Milan».