1/ L'Avvento dell'Agnello. È il simbolo che meglio di tutti dice chi è Cristo. Il cui amore «non è estorto ma offerto. 'esatto contrario del "capro espiatorio"» (Paul Ricoeur), di Gian Carlo Olcuire 2/ Il grembo e la croce. La carezza di Elisabetta è ricambiata con una carezza a Giovanni, colui che ci fa strada verso Gesù. Con questi due esseri umani - già formati e non ancora nati - dobbiamo fare i conti, di Gian Carlo Olcuire 3/ Non c'è Avvento senza una casa. Nel quadro di Federico Barocci l'incontro di Elisabetta con Maria è pieno di tepore, di accoglienza: ciò di cui hanno bisogno le creature per venire al mondo, di Gian Carlo Olcuire

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /12 /2015 - 21:04 pm | Permalink | Homepage
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1/ L'Avvento dell'Agnello. È il simbolo che meglio di tutti dice chi è Cristo. Il cui amore «non è estorto ma offerto. 'esatto contrario del "capro espiatorio"» (Paul Ricoeur), di Gian Carlo Olcuire

Riprendiamo dal sito Vino nuovo un articolo di Gian Carlo Olcuire pubblicato l’11/12/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.

Il Centro culturale Gli scritti (23/12/2015)

San Giovanni il Battista con l'Agnello di Dio, Cattedra d'avorio del 
vescovo Massimiano, 546-554, Ravenna, Museo arcivescovile 

«Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco»

Di nuovo un simbolo, l'agnello di Dio, che nei primi secoli del Cristianesimo ebbe quasi più successo della croce. Tra le sue raffigurazioni più antiche, a Roma, ci piace ricordare quella delle catacombe dei santi Marcellino e Pietro (inizi del IV secolo) e quella del battistero lateranense (epoca di papa Ilario: 461-468). Perché sono le primizie dei due "format" con cui l'Agnus Dei viene di solito rappresentato: nella prima l'agnello è su un'altura da cui sgorgano quattro fiumi, mentre nella seconda è racchiuso in una ghirlanda.

Quasi mai disgiunto dalla croce (che può essergli alle spalle, o nel nimbo, o sorretta dallo zoccolo), l'agnello è in posizione centrale. E appare da solo, come figura del Cristo che verrà. Invece a Ravenna, nella cattedra di Massimiano, l'agnello è assieme al suo "inventore", Giovanni il Battista, il primo a chiamare Gesù «l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29). Il clipeo, cioè lo scudo tondo in cui è inserito, evoca un logo odierno, come se Giovanni gli facesse da "testimonial".

Questo agnello, secondo alcuni, è il simbolo che meglio di tutti dice chi è Cristo e chi è il cristiano: un servo sofferente, che soffre ma che soprattutto s'offre. Il cui amore «non è estorto ma offerto. Il servo sofferente, "l'agnello di Dio", è l'esatto contrario del "capro espiatorio"» (Paul Ricoeur). La vittima, infatti, è consenziente, il sacrificio è accettato: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita... Nessuno me la toglie: io la do da me stesso» (Gv 10,18).

E che l'agnello sia un gran bel simbolo l'ha inteso san Giovanni evangelista nell'Apocalisse, quando ne ha colto la doppia natura: «l'agnello... sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita» (7,17).

2/ Il grembo e la croce. La carezza di Elisabetta è ricambiata con una carezza a Giovanni, colui che ci fa strada verso Gesù. Con questi due esseri umani - già formati e non ancora nati - dobbiamo fare i conti, di Gian Carlo Olcuire

Riprendiamo dal sito Vino nuovo un articolo di Gian Carlo Olcuire pubblicato l’8/12/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.

Il Centro culturale Gli scritti (23/12/2015)

VISITAZIONE (particolare), 1225, Abbazia di 
San Giovanni in Venere, Fossacesia, Chieti

«Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,26-38)

Primo piano di due donne in dolce attesa: una al terzo mese, l'altra al sesto. Da contemplare così, senza ecografia, benedicendo i due grembi e chi ha messo in moto i due miracoli che contengono.

«Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!»: a coniare la frase, pronunciata tante volte nell'Ave Maria, fu Elisabetta. Una donna non immacolata ma capace di riconoscere, dell'Immacolata, l'unicità: Maria è benedetta fra le donne anche perché è preservata dal male e in grado di schiacciargli la testa.

La carezza di Elisabetta è ricambiata con una carezza a Giovanni, colui che ci fa strada verso Gesù. Con questi due esseri umani - già formati e non ancora nati - dobbiamo fare i conti, perché non possiamo eludere le parole che diranno. Eppure su di loro, per liquidarli con un ghigno, circola da tempo una battuta agghiacciante, di quelle che mai si vorrebbero ascoltare per ridere, ma che vale la pena riportare per non scordare l'esistenza del male. «A che cosa giocavano, da piccoli, Giovanni e Gesù?». «A testa o croce». Agghiacciante e allo stesso tempo vera, se il destino di queste creature sarà d'essere messe a morte, entrambe in modo atroce.

L'8 dicembre - giorno in cui le famiglie, per tradizione, cominciano a mettere mano all'albero di Natale e al presepio - sarebbe opportuno tenere a mente il loro martirio. E per non correre il rischio che il presepio diventi una rimozione, forse è bene che i presepisti, sullo sfondo, lascino intravedere la croce.

3/ Non c'è Avvento senza una casa. Nel quadro di Federico Barocci l'incontro di Elisabetta con Maria è pieno di tepore, di accoglienza: ciò di cui hanno bisogno le creature per venire al mondo, di Gian Carlo Olcuire

Riprendiamo dal sito Vino nuovo un articolo di Gian Carlo Olcuire pubblicato il 18/12/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.

Il Centro culturale Gli scritti (23/12/2015)

Visitazione, Federico Barocci, 1586, Roma, Chiesa Nuova

«Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,39-45)

Creata per la parrocchia di don Filippo Neri, quest'opera era molto amata dal santo. Giustamente, perché è piena di tepore, di casa, di accoglienza: ciò di cui hanno bisogno le creature per venire al mondo.

Maria è appena giunta da Elisabetta. È salita «in fretta», sia per darle la bella notizia - «Aspetto un bambino» - sia per risentirla dalla voce della cugina, che, come lei, ha avuto in dono un miracolo. Maria ha già saputo di Elisabetta dall'angelo e, non potendo far festa da sola, l'ha voluta raggiungere per celebrare insieme le due annunciazioni.

Se le future mamme non si fondono in un abbraccio né si accarezzano le pance l'una con l'altra, come si vede in altre Visitazioni, tuttavia si danno un saluto caloroso, impegnando entrambe le mani. La gioia di incontrarsi pervade tutto l'ambiente: Zaccaria, che non è ancora in grado di parlare, fa capolino dietro le due donne e Giovanni sta sussultando nel grembo perché è vicino a Gesù. Sulla sinistra è l'asino utilizzato per il viaggio, mentre - in primo piano - un uomo si china a prendere i bagagli e una donna accorre a offrire due gallinelle per il pranzo.

Soltanto Maria non pare sorridere. Fra un attimo Elisabetta le dirà «Beata te che ti sei fidata...» e Maria proromperà nel Magnificat: cantico a un tempo sublime e terribile, dove si rende grazie a Dio che preferisce chi lo teme, gli umili e gli affamati, rispetto ai superbi, ai potenti e ai ricchi.

Maria ha capito, come capirà poi Giovanni Battista, che Dio fa delle scelte e chiede di fare delle scelte. E forse sta cominciando a intuire la tragedia. Qualcosa deve aver intuito pure l'artista, che costruisce il quadro in modo teatrale (svelando come questo gusto, esploso nel Barocco mezzo secolo dopo, fosse già - in piccolo - nel Manierismo).