Il concerto di Radu Mihăileanu. Recensione di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /12 /2016 - 14:57 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una recensione di Andrea Lonardo, scritta per il sito www.cinquepassi.org. Per altri testi analoghi, vedi la sotto-sezione Cinema.

Il Centro culturale Gli scritti (18/12/2016)

Radu Mihăileanu è un regista cinematografico rumeno-francese di origini ebraiche. Con i suoi film compone fiabe che attraversano il dolore della storia (si pensi a Train de vie, il treno che passa in mezzo alla Shoah) inneggiando alla vita, trasfigurando anche l’orrore per creare una favola che annunzi che vale la pena vivere.

Ne Il concerto, Mihăileanu ci fa attraversare la persecuzione del regime comunista sovietico contro gli ebrei appena scampati alla Shoah e ripiombati in un nuovo inferno, quello marxista. Il regime impedisce l’espressione artistica perché non è materialista e non è funzionale al regime.

Ma, su questo sfondo cupo e tetro, Mihăileanu costruisce un film surreale che ridona continuamente il sorriso e l’amore alla vita. Fino alla lunga scena finale, una delle più belle della storia del cinema, che fa germogliare lacrime di commozione.  

Mentre finalmente l’orchestra esegue il Concerto per violino in re maggiore, op. 35, di Tchaikovsky, nel corso dell’esecuzione tutto diviene chiaro. Ciò che era rimasto fin lì misterioso dell’identità dei diversi personaggi si chiarisce.

È quella che Tolkien chiamò l’eucatastrofe, cioè la fine lieta delle favole che, a suo modo, annunzia l’esistenza della rivelazione ebraico-cristiana di Dio: il lieto fine misteriosamente la preannunzia o ne conserva memoria. La scena dell’esecuzione del Concerto inizia in maniera cacofonica e si conclude in bellezza.

Perché tale rivelazione si compia è necessaria la caparbietà di chi da solo inizia a comporre vita nel buio della storia, come fanno a suo modo prima il direttore d’orchestra e poi la violinista – serve il solista perché senza l’azione individuale non ci sarebbe soluzione, perché nessuna speranza si aprirebbe senza chi inizia da solo e prende per mano gli altri.

Ma è necessario poi la coralità di tutta l’orchestra, di tutto un popolo che prende in mano il proprio destino. Il lieto fine è garantito, alla fine, solo da Qualcuno che ha una provvidenza che abbraccia tutti, rimando ad un mistero che Il concerto promette – la bellezza non salva, bensì promette, bisognerebbe correggere un detto altrimenti falso – e lascia favolisticamente immaginare.