La questione del Testo Sacro e della sua esegesi nella storia dell’Islam, di Samir Khalil Samir

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 01 /01 /2017 - 13:50 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una trascrizione, da noi rivista e corretta, della relazione tenuta dal prof. Samir Khalil Samir presso la Pontificia Università Antonianum il 12/11/2015, nel corso del ciclo di conferenze Uomini e credenti nella storia: la testimonianza a Dio di cristiani e musulmani nella realtà contemporanea, organizzato dalla Cattedra di Spiritualità e Dialogo Interreligioso della Pontificia Università Antonianum e coordinato dal prof. Cesare Alzati. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Islam.

Il Centro culturale Gli scritti (1/1/2017)

N.B. Si è volutamente mantenuto nella trascrizione il tono discorsivo dell’intervento. Il testo non è stato rivisto dall’autore.

Grazie a padre Luca, grazie al professor Alzati e a tutti voi che siete presenti. Parto dal titolo, "La questione del Testo Sacro e della sua esegesi nella storia dell’Islam". Il testo è il Corano che, secondo la tradizione islamica, è stato rivelato da Dio a Muhammad, Maometto, nell'arco di 22 anni, dal 610 al 632. Tale rivelazione durata 22 anni è suddivisa nel Corano stesso, meglio, nella tradizione islamica coranica, in due periodi: il periodo della Mecca, che va dal 610 al 622 (12 anni, quindi) e poi il periodo di Medina, dal 622 al 632. Questa suddivisione è molto importante per l'nterpretazione del contenuto, come vedremo.

Due parole su Muhammad stesso. Maometto sarebbe nato, tutto si deve mettere al condizionale perché non abbiamo documenti se non la tradizione orale, nel 570. All’età di 40 anni vive un’esperienza spirituale nella montagna vicino alla Mecca in una grotta dove si ritira e lì fa l’esperienza del Dio unico - la tradizione araba precedente conosceva diverse divinità che erano a quel tempo tutte venerate alla Mecca. La tradizione racconta che tali divinità erano 360, una per ogni giorno dell'anno, ma quello è un modo di dire e non corrisponde necessariamente alla verità storica della Mecca pre-islamica. La Mecca era il centro commerciale dell’Arabia Saudita. Da essa transitavano le diverse tribù che andavano o verso la Siria oppure verso il Sud, verso l’Oceano Indiano e l’Asia, e dunque era ed è un centro commerciale e politico. Era anche il luogo dove si ritrovano durante una settimana tutte le tribù per le loro festività religiose e culturali. Maometto nasce - la tradizione islamica non lo afferma, ma si può almeno supporlo - in un ambiente nel quale è presente un certo influsso cristiano che non è però chiaramente definibile, cioè certamente non un ambiente delle Chiese ufficiali, ma forse un cristianesimo “giudeo-cristiano” o comunque non dogmaticamente connotato con chiarezza.

Lo sappiamo perché, all’età di 40 anni lui incontra una donna che si occupava di commercio e entra al suo servizio, viaggiando dal Nord al Sud, dalla Siria al Sud dell’Arabia. Poi sposa la donna, più anziana di lui: la tradizione islamica dice che chi li ha sposati era il vescovo della Mecca. In realtà non esisteva nessun vescovo alla Mecca, ma le fonti parlano di un certo Waraqa Ibn Nawfal che è definito tale: lo si può ritenere un appartenente a una tradizione giudeo-cristiana. Era parente di Khadigia, la prima moglie appunto di Maometto, la quale era apparentata alla sua tribù.

Dunque è possibile che lui sia appartenuto a un gruppo giudeo-cristiano, ma questo non viene sottolineato di solito dai musulmani, che però citano documenti dai quali si può ipotizzare una tale condizione. Si è sposato con Khadigia, poi lei è morta dopo dieci anni di matrimonio e durante questo periodo Maometto è stato sempre monogamo.

Dopo questo, dopo la morte di Khadigia, ha sposato in un periodo di 11 anni, 15 mogli in modo successivo, superando comunque ciò che il Corano stesso stabilisce - prescrive di non avere più di quattro mogli simultaneamente. Nella tradizione questo significa che si può averne nel tempo più di quattro solo se una è congedata, ripudiata oppure se muore: in questo casi si può prendere un’altra. Maometto, invece, ne ha avuto più di quattro simultaneamente, perché, come dice la tradizione islamica, lui era profeta e quindi esonerato in qualche modo da alcune norme previste per tutti.

Durante quel periodo lui predica, predica l’unicità divina, predica che non c’è altro Dio che Dio, in arabo Allah. Allah è una parola comune, non è il nome musulmano di Dio, anche se alcuni musulmani da una quarantina di anni cercano di imporre il fatto che nessuno abbia il diritto di utilizzare questa parola. Nelle traduzioni coraniche, ormai da una quarantina di anni, siano esse italiane, francesi, tedesche o inglesi, in tutte non si dice più "Dio" ma sempre "Allah".

Allah ovviamente l’abbiamo in siriaco nella forma Aloho, così in ebraico con il termine Elohim: nel semtico antico è la stessa radice semitica delle tre consonanti ‘, l, h. I cristiani arabi comunque non hanno mai utilizzato un’altra parola se non Allah per indicare Dio. Dunque Allah non è il Dio dei musulmani.

Allora Maometto predica l’unico Dio, ma il suo discorso non convince molte persone. Comincia a proclamare dei versetti, delle frasi, che unite le une alle altre comporranno poi il Corano come libro scritto e le presenta come provenienti dall’angelo Gabriele che gliele trasmette da parte di Dio. Più tardi la tradizione islamica dirà anche che l’angelo Gabriele è venuto una volta, che gli ha aperto il petto, che gli ha messo dentro il cuore tutto il Corano. Tutto è stato ben messo in una sola volta e poi Maometto durante gli anni, a seconda dei bisogni del momento, ne avrebbe tirato fuori alcuni versetti. È un modo di dire, ma alcuni musulmani possono prendere tale visione alla lettera.

Dunque Maometto pretende di avere tale rivelazione come proveniente direttamente da Dio attraverso l’angelo Gabriele e invita ad abbandonare le divinità pagane e a unirsi a lui. All’inizio non c’è ancora, un sistema rituale come l'attuale: non si parla subito di riti, di nuove preghiere o di un nuovo digiuno, questo verrà nella seconda tappa. Però il suo discorso non convince molta gente, neppure tutta la sua tribù - suo zio si è del tutto opposto per esempio. C’è una delle ultime surat - sura è una parola che non è araba, che viene dal siriaco, è una parola però che denomina i capitoli del Corano, che sono 114 capitoli. Allora in uno dei capitoli più tardivi lui riceve una “rivelazione” contro suo zio e sua moglie per dire che Dio li ha puniti, che Dio ha punito la moglie - c'è insomma un piccolo capitolo contro di loro.

Vedendo che la sua fede non era accettato dalla grande maggioranza della città della Mecca, decide in un primo tempo, dopo otto/nove anni, di mandare alcuni dei suoi seguaci in Etiopia. Li invia ad emigrare in Etiopia per non essere perseguitati. Perché l’Etiopia? Perché l’Etiopia è una monarchia cristiana già dal IV secolo in poi. E poi l’Etiopia è vicina - se scendete al Sud della penisola arabica, laddove il mar Rosso alla fine è molto esiguo, lì si passa facilmente. I rapporti tra l’Etiopia e il Sud dell’Arabia ci sono sempre stati e c’è stato il re Abraham che aveva conquistato l’Arabia del Sud. La lingua dell’Arabia del Sud è molto più vicino all’etiopico che all’arabo. Il sud-arabico appartiene a una famiglia semitica sud-arabica proprio come l’etiopico.

Dunque li manda lì, loro attraversano il mar Rosso in questo piccolo stretto e vanno dal re che è cristiano e lì gli recitano anche i versetti che parlano di Maria e di Gesù. Sono due bei capitoli, il capitolo 3 e il capitolo 19, e il negus, il re dell’Etiopia, è molto toccato e li accoglie bene. Questa non è una leggenda, è un fatto sicuro perché abbiamo anche nel Corano delle parole etiopiche, arabizzate ovviamente, come per esempio la parola per gli apostoli.

È una parola che non esiste in arabo hawâriyyûn. Hawâri (al singolare) è la parola usata ancora oggi in etiopico per dire gli apostoli, i dodici apostoli. Parentesi: del Corano sempre si dice che è stato scritto in un arabo puro e molti musulmani interpretano questo come a significare che in arabo non c’è nessun altro influsso estraneo, il che ovviamente è un’assurdità filologica.

C’è un libro ben noto, di Arthur Jeffery, The foreign vocabulary of the Qur’an (Il vocabolario “straniero” del Corano), che studia vocaboli del Corano derivanti da almeno 12 lingue. Alcuni degli autori musulmani medievali hanno un capitolo, se non un intero libretto, sulle parole "intruse", provenienti da lingue diverse dall'arabo nel Corano. Ce ne sono da diverse lingue, dal siriaco, la maggioranza, ma anche dall’ebraico, anche dal greco, dal latino. La parola, per esempio, che indica la preghiera che si ripete ogni giorno, almeno dodici volte al giorno, la preghiera al-Fātiḥa, la preghiera che è come il nostro Padre Nostro per la frequenza con cui lo diciamo, dice: “Guidaci sulla via dritta, la via di quelli che non sono oggetto del tuo rigetto”. La parola per dire la via è sirat, ṣiṛāṭa l-laḏīna. Sirat non ha nessun equivalente in nessuna lingua semitica e non può essere una parola semitica per motivi fonetici - sappiamo che non si incontrano queste due consonanti vicine - ed è semplicemente la parola ‘strada’ latina, perché le vie romane arrivavano fino all’Oriente ovviamente. Potete vederle ancora oggi in Siria, da Aleppo ad altre parti. E dunque è normale che ci siano termini derivanti da altre lingue, perché l’Arabia non era tagliata fuori dal mondo, aveva delle connessioni con tutti i paesi intorno.

Maometto durante quel periodo, quando vede che non ha successo, manda quindi questo gruppo in Etiopia dove certamente avranno imparato altre cose cristiane che torneranno nel Corano, che lì si ritroveranno. Poi, nell’anno 622, Maometto decide di lasciare la sua tribù e la sua città per emigrare a Medina, la seconda città dell’Arabia del Nord. Questa emigrazione si chiama hijra, termine che ha la stessa radice del nome biblico Agar Bibbia, che significa, infatti, la fuggitiva. Sapete che le lingue semitiche di solito hanno sempre tre consonanti che possono produrre almeno una trentina di parole. E lì, agar, vuol dire emigrare. Maometto emigra.

È l’egira, che è l’inizio della datazione islamica, che corrisponde all'anno 622. Emigra dopo aver fatto un patto con le due tribù arabe che erano a Medina, che l’hanno accolto. A Medina si trova di fronte a tre tribù arabe ebraiche e a due tribù arabe pagane e comincia un rapporto con gli ebrei perché loro sono monoteisti: per questo si sente vicino a loro. Impara parecchie cose ulteriori roveranno nel Corano.

Siamo in una tradizione orale, non c’è ancora niente di scrittto in Arabia, niente di scritto in arabo prima della fine del VII secolo. Le cose si trasmettono da persona a persona per tradizione orale. Talvolta c’è qualche piccola iscrizione, ma non un testo lungo. I poemi, per esempio, che tradizionalmente ogni tribù aveva con i suoi poeti che difendevano l’onore della tribù contro gli altri, sono famosi ma tutti di tradizione orale. Anche il Corano, non venne messo per iscritto se non dopo la morte di Maometto.

E allora lì a Medina comincia con loro. Loro sicuramente avranno raccontato dei passi della Bibbia, come i cristiani raccontavano storie del Vangelo o degli Apocrifi - ci sono anche degli scritti Apocrifi ebrei. Tutto questo lascerà una traccia nel Corano. Troveremo racconti sui personaggi della Bibbia con le grandi figure di Adamo ed Eva, Noè, Abramo, Mosè e la sua famiglia, poi Davide e i Salmi, Salomone, le grandi figure bibliche fino a Gesù e Giovanni Battista. Su Gesù, Maria e Giovanni Battista ci sono delle confusioni sui cui meriterebbe discutere, ma non voglio entrare nei particolari. La famiglia di Maria, ad esempio, è chiamata la famiglia di Imran, che corrisponde a Amram in ebraico - il nome è quello della famiglia di Mosè, Aronne e Maria. Le due Mariam, la Mariam del Nuovo Testamento e la Mariam di Mosè, la sorella di Mosè e Aronne, sono confuse e il padre di Maria, la vergine Maria, è chiamato Imran, che è Amram. Queste sono confusioni che vengono dal racconto orale. Alcuni maestri musulmani cercano di spiegare, di giustificare tutto, dicendo: “No, sono due Amram”. tali speigazioni sono spiegazioni di chi ha paura di essere criticato. Ma affermare tali cose non è una critica, è normale che ci possano essere delle confusioni, perché siamo in tradizione orale. [Già qui si vede il problema e il ruolo dell'interpretazione che aiuta a leggere il testo e a comprenderlo, senza mai disprezzarlo].

E lì allora, a Medina, Maometto adotta delle cose ebraiche, come la preghiera, che all’inizio è tre volte al giorno, poi l’orientamento della preghiera che è ancora verso Gerusalemme - tutte le comunità del tempo sono “orientate”. I cristiani anche sono orientati, ma orientati verso l’Est, l’Oriente - perciò, si potrebbe dire scherzando, gli altri sono “disorientati”. Da noi i cristiani fino ad oggi, quando siamo in una stanza e vogliamo pregare, spontaneamente cercano l’Est e pregano, alzano le mani in quella direzione.

Dunque questo è l’orientamento originario, quello degli Ebrei, Gerusalemme. La preghiera tre volte al giorno, il digiuno un giorno all'anno, come Yom Kippur per gli Ebrei. Ma a un certo punto avviene uno scontro anche con gli Ebrei, perché loro riconoscono certamente l'unicità di Dio e dicono: “Sì, non c’è altro Dio che Dio”, ma non riconoscono Maometto come profeta - è lì il problema.

La fede islamica si definisce così, questo è il credo: «Lā ilāha illā Allāh - wa Muḥammad Rasūl Allāh», “non c’è altro Dio che Dio e Maometto è il suo profeta”. Chi dice queste due frasi diventa musulmano, non ci vuole di più. È quello che è scritto anche sulla bandiera nera dell’ISIS, di Daesh. Questa frase, questo è la professione di fede. Allora cristiani ed ebrei dicono: «Lā ilāha illā Allāh», “Non c’è altro Dio che Dio”, ma non dicono “Maometto è il suo profeta” e qui c’è stato lo scontro con gli ebrei e la divisione da loro e poi la guerra

E Maometto ha dato allora ordine di uccidere la tribù più importante degli ebrei, la prima tribù che egli ordinò di uccidere, i Bani Qurayza. Secondo gli storici musulmani avrebbero ucciso tra i 600 e gli 800 uomini, mentre le donne e i bambini sono presi in schiavitù. Quel periodo è il periodo delle guerre tanto che la prima biografia di Muhammad, scritta 120-130 anni dopo la sua morte da autori musulmani, si intitola Kitāb al-maghāzī , “Il libro delle guerre” o “delle razzie”, cioè degli attacchi diurni o notturni. Il libro ne descrive una sessantina, in media uno ogni due mesi, attacco che serviva per trovare da mangiare, per avere soldi, per prendere schiavi, per prendere mogli per l’harem, ecc.

Questo nessuno lo nega, perché sono fatti storici. Ma proprio questo riporta alla storia e al perché della storia: perché è importante questa sequenza storica? Perché tutte le rivelazioni proclamate da Maometto durante il periodo della Mecca, durante i primi dodici anni, sono messaggi piuttosto - diciamo - in cerca di riconciliazione, di accordo con i pagani, di pace con i cristiani, ecc.

I messaggi che Maometto afferma di aver ricevuto invece nel secondo periodo, durante i dieci anni di Medina, sono invece molto più violenti. E questo è il problema dell'interpretazione, perché abbiamo testi che sono non violenti nel primo periodo e testi violenti nel secondo, quando è in atto un'azione violenta contro gli altri gruppi e si è in una situazione di guerra. Allora, in questo secondo periodo, il principio stabilito dal Corano è che i miscredenti [che non siano ebrei o cristiani] devono o diventare musulmani o essere uccisi. Non c’è una terza possibilità.

Invece, cristiani ed ebrei, visto che sono monoteisti, possono convivere con i musulmani, però, siccome non riconoscono il carattere profetico di Maometto, devono essere sottomessi ai musulmani in tutte le cose della vita e anche pagare la jizya, un tributo alla comunità musulmana per permettere ad essa le guerre e altre cose. Dice il Corano che ebrei e cristiani devono pagare questo tributo "di propria mano", non possono cioè delegare qualcuno,  e lo debbono pagare "essendo umiliati" - in arabo 'an yadin wa-hum saghirun (Sura 9,29) - saghirun vuol dire "essendo umiliati", "abbassati". Questa è la norma, che sarà seguita nel migliore dei casi, cioè: “Potete vivere con noi purché rimaniate sottomessi e paghiate”. “Sottomessi” significa che normalmente non avranno posti di rilievo nella società, a meno che non sia necessario dato che non c'è altri se non un ebreo o un cristiano - in alcuni casi, infatti, nella storia si è avuto qualche ministero importante affidato agli ebrei e ai cristiani. Questi ebrei e cristiani che pagano il tributo di sottomissione si chiamano i dhimmi, i “protetti”.

Tra l’altro troviamo queste tre categorie anche altrove nel mondo antico. Anche presso i greci, ad esempio, abbiamo gli elleni, poi "quelli che vivono con noi", cioè i metechi (metoikos), cioè quelli che possono vivere con noi, e infine i barbari, con i quali esiste solo la guerra. Le tre categorie sono le stesse: la differenza è che la categoria ellenistica, ma anche persiana e di altri popoli, è basata sulla nazione o sulla razza, cioè sull'appartenenza ad un determinato popolo, mentre quella musulmana è basata sulla religione, il che rende la cosa più difficile, perché uno dovrebbe cambiare religione per far parte pienamente del popolo, altrimenti non può essere integrato.

Ma quello che ci interessa qui è la questione dei due periodi, il primo perido meccano ed il secondo medinese. Il Corano ci dice che ci sono dei passi che contraddicono altri passi nel Corano, ed è vero. E questo non è un problema perché le circostanze non sono le stesse nei due periodi. Dunque in un caso Dio dà un ordine che dice: “Fate così”, e in un altro momento dice: “Fate il contrario”.

Ma allora viene fuori la domanda che è la domanda dell'interpretazione: quale dei due è il più corretto?

Il Corano risponde dicendo che quando due versetti, quando due rivelazioni si contraddicono, quella posteriore abroga quella anteriore, cioè se c'è un testo ma poi ne giunge uno nuovo sullo stesso argomento, il secondo abroga, cioè cancella, quello precedente. Il problema è che i versetti successivi su alcune questioni sono quelli più violento. Come abbiamo detto, essendosi aperta nel secondo periodo una situazione di guerra, i versetti coranici più violenti non sono quelli del periodo della Mecca, bensì quelli del periodo di Medina. Dunque i brani medinesi, se sono in contrasto con una frase della Mecca, la cancellano, la abrogano.

Inoltre c’è un versetto del capitolo 3, detto "Della famiglia di Imran", cioè, come si è visto, della famiglia di Maria, che suona così al versetto 7: «È lui – cioè Dio – che ha fatto scendere il libro su di te» – il libro, si intende, è il Corano. Spieghiamo meglio: siamo in una cultura di analfabeti. Due gruppi hanno un libro, gli ebrei e i cristiani, essi hanno la Torah e il Vangelo, perciò saranno chiamati nel Corano la “gente del libro” - le due religioni, tutti i cristiani e gli ebrei sono chiamati nel Corano Ahl al-Kitab e l’espressione significa questi due gruppi, che sono poi anche i più dotti all'epoca in quella regione.

Allora, dice il testo: Dio ha fatto scendere su di te - Muhammad - un nuovo libro, il Corano. È lui che ha fatto scendere il libro su di te, il Corano. Prosegue la Sura: «Esso contiene versetti espliciti che sono la madre del libro» - così è l’espressione in arabo, Umm al Kitab - «e altri che si prestano a interpretazioni diverse». Cioè: alcuni sono chiari, altri sono ambigui. «Coloro che hanno una malattia nel cuore – è la traduzione ufficiale italiana questa –, che cercano la discordia (e la scorretta interpretazione) seguono quello che è allegorico, mentre solo Allah ne conosce il significato. Coloro invece che sono radicati nella scienza dicono: ‘Noi crediamo, tutto viene dal nostro Signore’». È un po’ confuso, ma questo è lo stile coranico. L’importante è che il Corano dice da sé, l'importante è che Dio stesso dice nel Corano che ci sono versetti chiari, muhkamat, che sono la madre del libro - cioè il testo fondamentale - e altri versetti che sono mutashabihat, ambigui, non chiari. Nuovamentequesto è il problema: ci sono versetti non chiari e ci sono tante interpretazioni di tali versetti.

Allora viene un problema, che preciso di più, il nostro problema del testo. Dunque abbiamo visto fin qui che il problema dell'interpretazione nasce innanzitutto dal fatto che ci sono testi meccani e testi medinesi e che possono contraddirsi tra di loro e che bisogna capire qual è quello che vale per l'oggi, come volontà di Dio.

Abbiamo poi brani chiari, espliciti, e altri ambigui, oscuri e ognuno interpreta come può.Qundi abbiamo passi che richiedono, per un'esplicita ammissione del Corano, un'interpretazione.

Allora qual è il vero significato, qual è il testo autentico?

Ma c'è un'ulteriore questione che si deve approfondire. Siamo in una tradizione orale. Si dice che gli arabi all’epoca avevano una memoria favolosa, che potevano ricordare tante cose. Allora il Corano scritto si è formato così, grazie ad alcune persone che erano più note per la loro memoria. Quando è morto Maometto non c’era niente di scritto - qualche cosa certo esisteva già perché lui aveva un figlio adottivo, Zaid, che aveva scritto alcune cose. La tradizione dice che alcune persone avevano già scritto qualcosa. Ma certo era difficile, non c’era carta, non c’era pergamena. Su che cosa scrivere? Dicono alcuni maestri che quelle parole erano state scritte su ossa di cammelli. Su tale supporto si possono, però, scrivere poche cose e la penisola arabica non era allora come la Mesopotamia dove c’è il fiume e si può scrivere sulla terra cotta, come avvenne con i caratteri cuneiformi. Non c’è scrittura araba ancora, alla morte di Maometto, quasi tutto è ancora orale.

Dopo la morte di Maometto, il terzo califfo, vedendo che nelle guerre - perché continueranno le guerre tra le varie tribù per convertirle all’Islam e ne nascerannop di nuove -, vedendo che durante le guerre molta gente moriva e tra di loro quelli che avevano una buona memoria, lui dice allora: “Dobbiamo raccogliere il Corano”. Mette insieme allora una decina di memorizzatori, huffaz in arabo, cioè coloro che hanno una buona memoria, e dice loro “Mettete per iscritto adesso il Corano”. Dice loro: Se tra di voi non siete d’accordo su una parola o su una frase, allora - come dire -, questa va in un piro momento in nota: così si annota tutto, si verificano le diverse note e alla fine viene scritto il primo Corano. I "memorizzatori" hanno discusso tra di loro e dato priorità a quel memorizzatore che aveva una memoria più forte di un altro, quando c’era una contestazione. Ed è venuto fuori il Corano con tale procedimento, grazie a queste note che dicevano: “Un tale l’ha sentito così, un altro diversamente”. E l’hanno scritto.

L’hanno scritto però - ecco un'ulteriore questione per l'interpretazione - in una scrittura oggi per noi impossibile da leggere.

Vi spiego semplicemente. In arabo abbiamo 28 consonanti, però solo 14 caratteri che si contraddistinguono dagli altri 14 da punti a seconda che c’è un punto sotto, un punto sopra, due punti sotto, due punti sopra, tre punti sopra. Se scrivo un testo senza i punti è difficile capirlo perfettamente. Io ho fatto l’esperienza con gli studenti di scrivere una parola banale, casa, beit come Betlehem, l’ho scritta senza i punti e ho chiesto agli studenti: “Che cosa leggete?”. Sono venute più di 25 possibilità: potete aggiungerne, insomma, finché volete!

Ora, i Corani più antichi che abbiamo - i più antichi Corani ritrovati sono della fine del VII secolo - su pergamena, trovati nello Yemen, in una fossa, 15 anni fa circa (di recente hanno parlato anche di due pagine di Birmingham che sarebbero più antiche ma non è possibile), non sono scritti con punti.

Dunque si può leggere in tanti modi diversi. I punti sono stati introdotti nell’VIII secolo e le vocali - perché si scrivono in arabo solo le consonanti, come in ebraico, come in siriaco: le vocali si possono aggiungere, ma di solito non si scrivono, oggi ancora non le scriviamo -, le vocali, dicevamo, ognuno deve completarle e dunque le possibilità di lettura diventano numerosissime, perciò si è dovuto stabilire un testo e poi è venuto il problema di capire, di interpretare: con le varianti, l’interpretazione varia.

Il problema più importante è il fatto che questi testi sono stati scritti prima in una lingua del VII secolo molto difficile per noi. Immaginate, solo per fare un esempio, che l’italiano del VII secolo non esisteva. L’arabo si è mantenuto grazie al Corano, a causa del Corano si cerca sempre di mantenere un certo arabo classico che però già è un po’ lontano da quello coranico.

Ma il problema è ancora un altro. Il problema non è solo ricostruire il testo, la grande questione riguarda il contenuto, l'interpretazione del contenuto. Ad esempio, troviamo delle affermazioni che hanno delle similitudini nella Bibbia, dove anche ci sono diverse guerre. Per esempio troviamo nel Corano: “Uccidetene ovunque ne troverete e non lasciatele fuggire”. Attenzione: sono, quindi, affermazioni legate ad un contesto. In una guerra succede un determinato fatto e Maometto dice: «In nome di Dio uccideteli ovunque li troverete, non lasciateie fuggire, ecc., se vanno di qua, andategli dietro, bloccateli dall’altra parte».

Apparentemente tutto è normale, se le prendo oggi alla lettera come ordine di Dio, allora uccido, uccido chiunque non è d’accordo con me, ovunque lo trovo. Ma il problema è che sono invece frasi legate ad un contesto e dunque il problema è sempre stato quello di come interpretare il Corano, di come contestualizzare il Corano.

Allora all’inizio abbiamo avuto pareri piuttosto aperti. C’era anche una scuola, quella dei mu‛taziliti, che dicevano: "No, il testo è di Maometto, è però - si direbbe oggi in linguaggio cristiano - ispirato da Dio. Il dibattito è avvenuto nel IX secolo e si domandavano: il Corano è divino o umano? È disceso su Maometto: ma è un testo intoccabile oppure è stato solo ispirato a Maometto? E ci si domandava: il Corano è creato o non creato. Perché se è creato dunque è umano, se non è creato allora è divino. Questa è la discussione che si ebbe con i mu‛taziliti.

Non sono giunti fino alla visione dell'ispirazione propria dei cristiani  che dice: né l’uno né l’altro, perché la Bibbia è ispirata. Per spiegare la questione dell'origine del Corano e della sua interpretazione, io faccio, quando insegno a musulmani e cristiani, sempre un test con gli studenti. Dico: “Il Vangelo di chi è, chi è l’autore del Vangelo?” Di solito i cristiani mi rispondono: “È Dio”. Allora domando: "Perché si dice allora Vangelo secondo Marco, Luca? Che cosa hanno fatto questi evangelisti? Sono anche loro autori?"

Allora dico per provocarli: "Va bene, diciamo fifty/fifty: cinquanta per cento Marco e cinquanta per cento Dio?" “E no!” - protestano. “E allora?” E cerchiamo, cerchiamo, finché si arriva alla visione cristiana di ispirazione. L’evangelista è al cento per cento l’autore, lo stile è suo e possiamo dimostrarlo. Io quando incontro la parola logos so che è Giovanni o quando incontro l’avverbio euthus so che è Marco, che lo usa per dire “e… e… e…” banalmente.

Dunque ognuno ha il suo stile. Però la fede mi dice che è Dio che li ispira, che è lo Spirito di Dio, che i Vangeli sono ispirati. Proviamo a pensare l’ispirazione come opera di Dio che però non toglie l’opera umana.

I musulmani stanno lì a seguire molto interessati. Poi viene la pausa perché questo prende tre quarti d’ora e si riprende con i musulmani. E dico: “Chi è l’autore del Corano?” “Dio”. “Cerchiamo?” Niente da fare. Dico: “Mettiamo che io sono bibliotecario, ho un Corano, devo fare la scheda e vediamo sul computer che vengono indicati autori, coautori, editori, disegnatori, prefazionisti, postfazionisti, sono varie categorie, quale metto?” E non riescono a indicarne nessuna. Dico: “Dio, potete mettere Dio? Avete mai visto una scheda con autore Dio?” Allora propongo, dico: “Se mettessimo ‘anonimo’ ce l’avremmo fatta?”.

Non pretendo di arrivare ad una conclusione. Però la cosa lavora nella testa e si interrogano e mi ricordo che, la prima volta che l’ho fatto, sono venuti dopo il corso l’indomani due studenti musulmani a chiedermi “Professore noi vorremmo fare la tesi con lei”.

Li mando da un professore musulmano. “No, no, dicono, la vogliamo fare con lei”. Non l’hanno fatta comunque perché non sono liberi di lavorare - per dire il problema  - è, se dico: “È Dio”, allora ho le mani legate. Tutte le parole del Corano, le devo prendere letteralmente, però ci sono parole contraddittorie come il Corano l’ha detto, lo dice letteralmente. Allora il problema è che uno sceglie questo versetto e l’altro quello.

Ed è ciò che stiamo vivendo adesso. Tutto ciò che ISIS o Daesh - come lo chiamiamo - sta facendo, tutto ha un fondamento nel Corano o nella tradizione. Le fonti della fede musulmana sono due: il Corano e la Sunna, cioè la tradizione. La tradizione è composta di fatti della vita di Maometto e di suoi detti (hadith).  Fatti e hadith compongono la Sunna. Allora questi fatti e detti sono stati raccolti - abbiamo sei grandi raccolte che risalgono all’VIII-IX secolo considerate come autentiche, con migliaia di detti, 5.400 eccetera, migliaia di detti. Allora uno pesca il detto che gli conviene e dice: "Ecco come ha detto il profeta e cito e faccio". Ma il problema è che anche qui si può trovare un detto contrario.

Quando per esempio l’ISIS ha bruciato vivo il pilota giordano subito si è alzata l’università al-Azhar per dire che questo è contrario all’Islam perché c’è un detto di Maometto che dice che bruciare una persona umana è proprio di Dio, cioè il fuoco è proprio della Geenna e solo Dio può usare il fuoco come castigo: questo è proprio di Dio. Sì, ma in un altro passo degli hadith si parla di due omosessuali colti nel fatto e questi vengono portati da Maometto che dà ordine di bruciarli. Allora chi stabilisce se bruciare è proprio di Dio o può farlo l'uomo? Chi decide questo? Come interpretare la tradizione islamica per capire qual è la volontà di Dio? Questo è il nostro problema. Oggi tutto ciò che fanno questi gruppi fanatici ha alle spalle un Imam che ha detto se è lecito, halal, o se è vietato, haram, illecito. Se ha detto: “Potete uccidere”, uccidono, se ha detto “Potete bruciare questa città”, lo fanno.

Boko Haram è un altro esempio che aiuta a comprendere il problema dell'interpretazione. L'espressione è un miscuglio tra l’inglese ‘book’, libro, e ‘haram’, in arabo ‘vietato’. La cultura che è venuta dall’Inghilterra – ecco la parola book -, la cultura occidentale è ‘haram’, è vietata. E allora fanno la loro lotta contro tutto ciò che è cultura occidentale, dunque anche contro la scuola, perché i libri generano idee e loro dicono di non volere questo. Ciò che vediamo in Nigeria, ciò che vediamo in Siria, lo troverete dappertutto.

Qui la gente vi dirà, qui i musulmani diranno: “Questo non c’entra con l’Islam, questi non sono musulmani, questa è una deformazione dell’Islam” ed è a loro onore di pensare così. Però effettivamente non è giusto e purtroppo anche quelli sono autentici musulmani, perché non fanno che cose previste: però hanno scelto fra le diverse cose presenti nella tradizione islamica quelle che giustamente sono cattive. Il problema dell'interpretazione è questo: se voglio applicare nel XXI qualcosa che è legato ad un contesto del VII secolo, per di più in un contesto desertico, mi devo accorgere che sono passati quattordici secoli, che il mondo è cambiato e che bisogna avere il coraggio di offrire una nuova interpretazione.

Nel corso della storia non è mai stato così, abbiamo avuto dibattiti almeno fino al XIII secolo tra due tendenze, quella letteralista e quella più aperta ad interpretazioni. Poi, non si sa come, è venuto fuori un detto che dice che la porta dell’interpretazione è chiusa (insidād bâb al-ijtihâd). Bâb al-ijtihâd, lo sforzo per interpretare). Ma chi l’ha chiusa? Nessuno lo sa, ma si ripete che tale porta è chiusa. Tutti i giorni lo sentiamo questo.

Adesso faccio un ulteriore esempio. Se andate su YouTube potete trovare - ma non capire, perché è in arabo! - un video molto interessante che mostra un predicatore, un Imam predicatore dell’Arabia - forse non precisamente arabo perché è abbastanza scuro di pelle -, che davanti a centinaia di Imam dice: “Io ho avuto una visione del cielo e lì ho visto com’era", e racconta delle hur. Le hur sono queste donne vergini che rimangono vergini tutta la vita malgrado tutte le relazioni sessuali e si dice che ognuno che andrà nel paradiso ne avrà 72, delle quali hanno ha 70 servitrici anche loro vergini e la lunghezza di vita di ognuna è tot millenni, eccetera. Questo imam dice: "Immaginate ciò che sarà il paradiso”.

Il Corano parla di hur. Il Corano parla del paradiso dicendo che lì ci saranno corsi d’acqua fresca e abbondante e ci sarà la frutta, sia la frutta d'inverno in estate, sia quella d’estate in inverno, frutta meravigliosa, insomma tutto ciò che un beduino può sognare senza mai vedere e avere: ecco così sarà il paradiso.

Ma Avicenna, XI secolo, commentando questi passi del Corano dice: “Siccome quando l'uomo muore il suo corpo va in polvere, mentre l’anima, secondo Aristotele, vive eternamente e va in cielo, dunque nel cielo non avendo il corpo non ci saranno né le vergini, né la frutta, né niente altro". Per Avicenna la presenza dell'acqua e della frutta (e delle vergini) è solo un modo di dire del Corano per dire che tutto ciò a cui uno aspira in questo mondo, l’avrà nell’eternità. Questa è l’interpretazione ragionevole di un filosofo dell'XI secolo, mille anni fa. Noi abbiamo fatto mille passi indietro oggi, e quello è il nostro dramma e la tragedia: l’ignoranza, che è diffusa. Abbiamo - pensate - una media di 60 per cento, ho letto 70 per cento ma mi limito al 60 per cento, di analfabeti in media, se prendiamo tutto il mondo islamico. In Egitto c'è il 40 per cento di analfabeti - dice il governo. Magari, ma ci sono tantissimi analfabeti che non possono nemmeno scrivere il loro nome. Quando vado all’ambasciata d’Egitto vedo che per uniformizzare, non ci fanno firmare, ma mettiamo le impronte digitali perché è l’unico modo di distinguere la persona, di identificare e per non umiliare nessuno.

Ecco la nostra situazione. Siamo in una fase difficile - la più difficile che sappia io nella mia esistenza, avrò 80 anni tra due anni - e questa è la tragedia. Con tutti i pozzi di petrolio che abbiamo, con i miliardi che buttiamo - l’Egitto riceve tre miliardi di dollari all’anno di contributo dall’Arabia Saudita di dollari e questo è niente rispetto alle ricchezze che abbiamo nel mondo islamico -  potremmo [aprire scuole].

Con tutto questo l’Arabia Saudita, per esempio, e il Qatar, non hanno ricevuto nessun immigrato siriano. Nessun emigrato! Hanno scelto solo quelli che hanno dei gradi alti, dei diplomi, per utilizzarli per il loro paese, mentre l’Europa deve riceverne milioni. Siamo in una situazione impossibile e si potrebbero fare delle meraviglie, ma perdura un modo di interpretare letteralista.

L’Arabia Saudita è il paese che ha la lettura più letterale del Corano - si chiama il ‘wahhabismo’ da un certo Abd al-Wahhab della fine del 1700. In Arabia Saudita hanno fatto propria tale lettura ed è diventata anche in Qatar la lettura ufficiale. E allora come fare? Con una lettura letterale che ci riporta nel VII secolo, la situazione delle donne diventa impossibile, perciò anche in Arabia Saudita le donne non hanno il diritto di guidare la macchina! Se avessimo tempo vi avrei letto alcune cose di professori moderni, un tunisino, un egiziano, e altri, che dicono che tutto questo è assurdo. Quando il Corano fa la distinzione fra uomo e donna questo era normale a quel tempo, la troviamo anche nella Bibbia. San Paolo nella prima ai Corinzi dice che è bene che le donne tacciano nell’assemblea. Paolo prende la tradizione ebraica del tempo e la applica alle comunità cristiane. […]

Tutto questo blocca l’Islam e c’è un gruppo sempre più numeroso di musulmani pronto a prendere alla lettera tutto. Perché? Perché - e vorrei concludere con questo - siamo nella più forte crisi della nostra storia moderna islamica. Noi sappiamo, noi arabi e musulmani, che siamo gli ultimi, i più “nulli”, lo "zero". Qual è il nostro contributo alla civiltà mondiale oggi? Zero. In matematica, filosofia, letteratura, poesia, musica, non so prendete qualunque settore, in tecnologia: niente. Abbiamo un pakistano che ha un Nobel per la fisica e un egiziano anch'egli Nobel per la fisica. Ambedue vivono in Occidente, non vivono nel Pakistan o in Egitto, e di fronte a questi numeri avete gli Ebrei che hanno 160 premi Nobel, loro che sono 15 milioni! E i musulmani che sono 1 miliardo e mezzo minimo, se non 1 miliardo e 600 milioni come dicono alcuni.

Dunque noi sappiamo di essere gli ultimi, sappiamo che non stiamo dando alcun contributo alla civiltà. Allora perché? I fondamentalisti dicono: "Perché ci siamo allontanati dal vero Islam. Quando l’Islam era ciò che era con il profeta o subito dopo, nei primi 10 anni dopo la morte di Maometto, quando già nel 632 abbiamo conquistato tutto il Medio Oriente, quando abbiamo conquistato parte dell’Africa, dell’Asia". Ed è vero. Nel 636 l’Islam entra a Gerusalemme, poi prende la Siria, nel 639 prende Il Cairo, nel 641 Alessandria, poi va verso la Libia e l’Africa del Nord in pochi anni. E poi dalla Siria va in Turchia, va in Iran, ha conquistato tutto questo. Fin qua siamo d’accordo.

Ma non siamo d'accordo sulla motivazione. La motivazione, dicono i musulmani che interpretano il Corano alla lettera, dipende dal fatto che allora hanno osservato tutto ciò che Maometto ha detto alla lettera, ciò che il Corano dice alla lettera: "Noi, invece, siamo gli ultimi oggi, perché ci siamo allontanati dal Corano, perché abbiamo preso le abitudini dell’Occidente".

L’analisi è falsa perché tu cosa sapresti fare senza le armi dell’Occidente, senza gli aerei, senza le macchine, eccetera? Tutto nella nostra vita è occidentale. Allora non è per questo che siamo gli ultimi. Lo siamo per l’ignoranza, per l’incapacità di leggere un testo antico, per la chiusura su noi stessi. Pensate che da settant’anni quasi c’è guerra tra Palestina e Israele e si continua a sparare razzi dai territori di Gaza contro Israele. Ma io dico ai palestinesi: "Anche per me c’è un’ingiustizia enorme da parte di Israele, ma voi siete così stupidi da mandare ogni tanto un missile come messaggio per dire: 'Noi non taceremo, dobbiamo reagire'. Ma tu sai che è lui il più forte e gli dai il pretesto per mandare bombe: ma sei cretino?".

Sembrano avere capi di stato che non sono capaci di riflettere prima di parlare. Sadat, in Egitto, ha riflettuto e ha detto: "Facciamo un accordo, anche se in partenza resteranno problemi da risolvere. Certo ci sono ingiustizia, ma non importa. Cerchiamo adesso la soluzione meno cattiva e domani, se possiamo, miglioriamo". Invece in tutta la nostra interpretazione esculsivamente religiosa chi perde siamo noi arabi ed è il dramma dell’Islam oggi.

Vorrei concludere dicendo che noi cristiani abbiamo una missione, noi che viviamo da cristiani arabi, noi che siamo arabi come direbbe San Paolo “io più di loro”. Noi siamo arabi più di loro perché come arabi abitavamo in queste terre, come arabi cristiani, prima dell’Islam. Noi arabi cristiani abbiamo una missione.

In primo luogo di amare i msulmani ovunque siano, chiunque siano, anche se terroristi. Gli devo voler bene per migliorare la situazione, gli devo voler bene perché abbiamo il Vangelo che è il nostro tesoro, che ci insegna il perdono, la bontà anche verso il nemico.

Ma la Bibbia ci insegna poi il buon senso, la fede ci dice che nella Bibbia Dio si è rivelato, però non posso prendere la Bibbia alla lettera - ci sono delle guerre nell’Antico Testamento e nelle pagine insopportabili. Cristo stesso l’ha fatto, quando gli dicono “Come mai il sabato i tuoi discepoli fanno queste cose, come mai mangiano senza lavarsi le mani, come mai sono impuri”, eccetera. E lui risponde: “Non è ciò che entra, ma ciò che esce dal cuore che rende impuro”.

O ancora: “Vi è stato detto occhio per occhio, dente per dente” e notate da chi è stato detto, da Dio, da Mosè. "Ma io vi dico”: Gesù si manifesta come superiore a Mosè e alla rivelazione precedente. E dice il contrario, cioè c’è un progresso. Noi abbiamo il più grande tesoro che ci dice: “No, non bisogna restare alla lettera, perché c’è un progresso della rivelazione”.

Chi di noi direbbe oggi che il mondo è stato creato in sei giorni? Oppure che Eva ha avuto un dibattito con il serpente? Mi domando in che lingua? E il serpente ha parlato in che lingua? Allora tu, se sei letteralista, interpreta letteralmente e dimmi: "Che significa?" Nulla! Invece dobbiamo interpretare, come nelle favole di Esopo, come un racconto che ha un significato profondo, ma non letterale.

Lo stesso io spiego ai musulmani e dico: “Anche noi abbiamo questo problema dell'interpretazione, anche gli Ebrei. Tutti, però dobbiamo usare la ragione perché è un dono di Dio, il più grande dono di Dio per la cosa più bella che abbiamo: la fede”.

Dunque non c’è fede senza ragione, non c’è fede se non c’è anche ragione. Era il discorso di Benedetto XVI a Regensburg che ha avuto in reazione una tragedia, tragedia perché hanno ucciso centinaia di persone in nome di questo, per combattere questo, perché ha osato fare un’allusione all’Islam. Sì, ma quello che ha detto è la verità: se abbiamo la fede senza la ragione e la ragione senza la fede, ci manca qualcosa di essenziale.

Per questo dico: “Noi dobbiamo aiutare i cristiani a rimanere in Medio Oriente”. Senza i cristiani il mondo musulmano va ad affondare di più. Noi siamo l’elemento che li aiuta ad aprirsi al mondo. E lo dicono i musulmani stessi, ed è tangibile. Per esempio, il Libano, essendoci una proporzione di cristiani assai forte - oggi purtroppo solo il 35 per cento, ma era più del 50 cinquant’anni fa -, proprio il Libano è il paese più aperto! I musulmani in Libano sono i più aperti di tutti i musulmani grazie ai cristiani. E loro stessi dicono ai cristiani: “Non lasciateci”.

Penso che questa è la nostra missione. E la vostra di italiani è di accogliere come potete, però con delle norme. Questo è un altro discorso: i musulmani dobbiamo amarli, aiutarli, ma essere esigenti e chiari. Non concedo qualcosa alla quale non credo. Ho detto in televisione in un dibattito pubblico che è durato due ore su Maometto, quando mi hanno detto: “Noi crediamo che Gesù è profeta. Perché voi non credete che Maometto è profeta?” “Io non lo credo, ma tu non mi puoi rimproverare. Tu sei libero di dire che Gesù è un profeta, tanto questo per te non cambia nulla. Ma Gesù dice ‘C’è qui più di un profeta’: tu potresti dire che è figlio di Dio? No. Allo stesso modo io non dico che Maometto, con la vita che ha vissuto e i testi che ha proclamato, è profeta. Ma ti voglio bene, siamo fratelli e vogliamo costruire una città insieme”.

Questo è il messaggio ovunque ci troviamo: voler bene, fare comunità, ma fraternità nella verità. “Caritas in veritate”: è questa l’ultima parola che volevo lasciare.