Per una prospettiva “inter-culturale”, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 17 /04 /2017 - 23:46 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. per approfondimenti, cfr. la sezione Carità, giustizia e annunzio.

Il Centro culturale Gli scritti (17/4/2017)

Inter-culturale deve essere distinto da multi-culturale e tale distinzione è di assoluta rilevanza[1].

Non si tratta, infatti, di giustapporre diverse culture, lasciando che se la sbrighino loro come lascerebbe pensare il termine “multi-cultura” preso alla lettera – "multi-culturale" sembrerebbe essere semplicemente una nazione con tante culture diverse una a fianco dell’altra.

Si tratta, invece, di costruire l’inter-cultura, cioè un’unica cultura nella quale diverse culture, pur conservando legittime diversità, al contempo si relazionino fra di loro a partire da alcuni elementi comuni che tutte sono tenute a condividere – tale prospettiva, fra l’altro, riguarda ogni nazione prima e al di là dell’arrivo di eventuali migranti, poiché uno Stato stabilisce le regole della convivenza delle diverse parti sociali e politiche, così come gli itinerari formativi scolastici cui tutti sono tenuti a conformarsi, così come ogni nazione promuove uno specifico amore “alla bandiera” e la fierezza di essere un determinato paese, pur nella diversità assoluta delle persone che votano le une a destra, le altre a sinistra, le altre ancora al centro ed hanno visioni filosofiche e spirituali diversissime. 

Nell’“inter-cultura” i diversi punti di vista riconoscono, pur nella diversità, a qualcosa che li supera tutti.

Il discorso deve essere posto oggi non in astratto, ma, nel tempo presente, si deve misurare con l’incontro peculiare con la cultura islamica che non ha un’abitudine consolidata all’inter-cultura.

A nostro avviso sono tre gli ambiti di elaborazione di una inter-cultura che sola permette l’esistenza di una nazione (l’attenzione è rivolta in primo luogo all’Italia):

A/ In primo luogo l’approccio inter-culturale è determinato dal riferimento alla Costituzione della Repubblica Italiana che lo esige perché fornisce dei punti che debbono essere accolti da chiunque soggiorni sul territorio italiano e intenda diventare cittadino. Per la Costituzioni sono legittime le diverse opinioni a condizione che tutte riconoscano il dettato costituzionale.

Una posizione culturale che rifiutasse i diritti e i doveri del cittadino non sarebbe legittima. 

Ad esempio, per restare all’ambito caratterizzante il nostro tempo costituito dalla novità della presenza islamica, la libertà di poter cambiare religione o di sposare il ragazzo che si ama non è questione sottoponibile a prospettive culturali “multiple”, come lascerebbe intendere invece il termine “multi-cultura”.

Secondo il dettato costituzionale se un ragazzo cristiano maggiorenne volesse diventare ateo o musulmano ciò deve essere possibile. Allo stesso modo se un ragazzo musulmano volesse battezzarsi o diventare ateo ciò deve poter avvenire: qui “inter-cultura” vuol dire che la nazione intera vigilerà perché tale libertà sia effettiva.

Allo stesso modo se una ragazza cattolica o musulmana o atea desidera sposarsi con un ragazzo ateo o cristiano o musulmano, ciò deve essere possibile “senza se e senza ma”. Un approccio “multi-culturale” potrebbe sorvolare sul problema, senza preoccuparsi di chiarire se sia giusto che sia impedito il battesimo di un musulmano. Poiché è tradizione di quella cultura che nessuno si battezzi e che una ragazza musulmana non possa sposare un ragazzo di un’altra religione – potrebbero ragionare i multi-culturalisti – ecco che questo farebbe parte dell’accettazione dell’altro.

Per una prospettiva “inter-culturale”, invece, l’ammettere una tale impossibilità di fatto vanificherebbe la stessa possibilità di convivere insieme in libertà: si creerebbero, infatti, dei ghetti nei quali non vigerebbe la Costituzione che prevede la libertà religiosa e l’uguaglianza dell’uomo e della donna.

Orbene è la Costituzione a impedirci di accettare tale prospettiva. Si noti bene: la carta costituzionale italiana è favorevole alla diversità. In Italia non vige quell’uniformità “intollerante” tipica, ad esempio, della Repubblica Francese, dove molti ritengono che si dovrebbe vietare di portare il velo alle ragazze, o si dovrebbe impedire di pregare in pubblico nel mese di Ramadan, o ancora non si dovrebbero avere cibi particolari a scuola, né portare simboli religiosi in ambienti pubblici.

La nostra Costituzione, invece, ritiene un’aberrazione il livellamento pubblico (o anche il nascondimento) di tali diversità, ma chiede poi alle diverse culture di convergere senza eccezione alcuna sui diritti e i doveri dei cittadini. L’uguaglianza fra l’uomo e la donna, ad esempio, prevede che la donna maggiorenne possa decidere dei suoi studi, delle sue amicizie, del suo matrimonio. Qualsiasi persona o gruppo religioso che non accettasse in maniera piena e concreta tale prospettiva sarebbe fuori legge e lo Stato dovrebbe intervenire. La prospettiva inter-culturale chiede il rispetto della Costituzione, mentre incoraggia le altre diversità che non ledono quel patrimonio comune e la libera espressione di ogni singola persona.

Le diverse culture, insomma, debbono affermare insieme determinati diritti e doveri che sono inalienabili e non “multi-culturali”. Ogni organizzazione religiosa che non accettasse la piena parità della condizione della donna e la libertà religiosa, inclusa cioè la libertà di cambiare religione, non potrebbe essere riconosciuta dallo Stato, né si potrebbe stringere alcun tipo di accordo giuridico con essa. In questo momento storico la Repubblica Italiana riconosce come organizzazione pienamente conformi alla carta costituzionale realtà diversissime come la comunità ebraica, la chiesa valdese, la chiesa battista, le chiese ortodosse, ecc., ma non ancora la comunità islamica o i Testimoni di Geova, proprio perché il cammino verso una piena “inter-cultura” è per tali realtà ancora lungo.  

B/ In secondo luogo promuovere l’“inter-cultura” vuol dire fare di tutto per aiutare i nuovi immigrati a conoscere ed amare la tradizione culturale del paese nella quale sono giunti. La nazione non può, come pretenderebbe una visione distorta “multi-culturale”, non preoccuparsi della trasmissione di testi e di autori costitutivi della storia d’Italia. Non nascerebbe altrimenti una inter-cultura. Per una vera inter-cultura chi è di tradizione italiana deve certamente fare dei passi verso le altre culture, ma, essendo la “cultura” di riferimento in cui si entra quella italiana, è anche e soprattutto questa che deve essere conosciuta da tutte le diverse culture che accedono alla cittadinanza, mentre si chiede alle diverse culture di venirsi incontro fra di loro: ai musulmani di accogliere gli ortodossi, agli ortodossi di accogliere gli atei e così via, ma avendo come asse di riferimento la storia e la cultura della maggioranza degli italiani, quella cultura fra l’altro – proveniente dalle tre grandi tradizioni comunista, liberale e cattolica – che ha dato forma alla Costituzione.

Si tratta, quindi, di fare ogni sforzo perché tale storia – comunista, liberale e cattolica -  sia conosciuta e amata. Si pensi certamente a Dante e a Manzoni, a Caravaggio e a Monteverdi, ma anche alla scienza e alla psicologia, a Darwin come a Freud, a Marx e Gramsci come a Nietzsche.

Sebbene alcuni di questi autori possano “irritare” determinate “culture”, nondimeno la nostra storia culturale ci ha fatto comprendere che la loro conoscenza apre la mente, la rende più libera e più matura.

Non si può omettere allora di presentarli, anzi si deve pretendere che questo patrimonio di cultura sia da tutti conosciuto e approfondito. Certo non si potrà imporre a nessuno di  accettare per decreto la legge della selezione naturale di Darwin o l’esistenza dell’inconscio scoperta da Freud o la misericordia raccontata da Manzoni, ma si deve esigere che nella scuola tali autori e i loro scritti siano insegnati e conosciuti e che ogni cittadino abbia libero accesso a tali conoscenze senza esserne impedito da nessuno.

Qualcuno dei nuovi immigrati potrebbe ritenere che Svevo o Pirandello o il Rinascimento non collimino con la propria visione religiosa, ma non si potrà esimere per questo dal conoscerli in prima persona e dal farli conoscere ai suoi figli nella scuola dell’obbligo.

Il paese, insomma, per costruire una vera società inter-culturale, deve curare che i testi e gli autori fondamentali della propria tradizione culturale siano da tutti conosciuti con verifiche scolastiche e universitarie. Lo stesso vale per le grandi questioni scientifiche, dall’evoluzione al Big Bang.

Similmente si deve impedire a qualsivoglia persona di insegnare in scuole riconosciute dallo Stato se omette di presentare tali questioni storiche, scientifiche e letterarie, perché il curriculum formativo scolastico della scuola dell’obbligo è determinato dallo Stato. Anche per aprire una scuola privata è necessario che si garantisca l’insegnamento di determinate materie e che i docenti abbiano i titoli universitari necessari stabiliti dallo Stato stesso. Non si da “multi-cultura”, nemmeno su questo punto.

Vale la pena ricordare che la nazione chiede di essere difesa e amata. Inter-cultura si fa promuovendo un vero amore all’Italia e promuovendo il gusto di essere italiani pur avendo culture diverse. Esemplare è, ad esempio, il caso dell’ebraismo italiano: ogni ebreo italiano si sente profondamente italiano e vuole essere un ebreo italiano e non semplicemente appartenere al popolo ebraico sparso sulla terra. Così un cattolico italiano certamente fa riferimento alla Chiesa universale, ma non abbandonerebbe mai l’amore alla patria e alle tradizione italiane. Fare inter-cultura vuol dire accogliere culture diverse che riconoscono la nazione italiana come un bene da difendere.

C/ Si tratta infine non di porre le diverse culture nello stesso spazio fisico (ad esempio il territorio nazionale o quello di una città), suddividendosi gli spazi, bensì di porle nello stesso spazio “culturale”, impedendo loro di isolarsi o di chiudersi come in un ghetto, facendole dialogare. In questo senso il termine inter-culturale implica la necessità del dialogo e l’esigenza ineliminabili – che deve essere garantita dalla nazione stessa - di un confronto libero fra le diverse culture, senza il quale le diverse parti sociali si isolerebbero le une dalle altre.

Inter-cultura implica questo confronto che è ineliminabile. La chiusura al dialogo e al dibattito deve essere osteggiata come “non-culturale” e l’apertura deve essere un elemento sine qua non della compresenza delle diverse culture. A questa apertura debbono essere “obbligati” non solo i cittadini che abitano il territorio da generazioni, ma anche i nuovi immigrati.

Non si tratta di “passare sotto silenzio” - è questo il rischio che è evidente nella scuola - i “temi culturali” della differenza, bensì di aiutare tutti ad affrontarli culturalmente, con veri approfondimenti senza censure previe.

Qui emerge il ruolo della questione religiosa ed, in particolare, emerge quell’atteggiamento che l’inter-cultura promuove: una verifica “culturale “delle fonti e dei fondamenti religiosi. Nessuno dei temi culturali e religiosi rilevanti deve essere omesso, perché altrimenti si darebbe per scontato che è legittimo chiudersi.

Si pensi soprattutto a quella che per noi risulta essere una delle questioni più rilevanti, sia per il tema in sé, sia per le modalità di un accesso critico alle fonti che vi è implicato: la questione della realtà storica della morte di Gesù e quella del suo significato. Essere italiani vuol dire misurasi con tale questione, anche se si decidesse poi di restare atei o di permanere nell'appartenenza ad un’altra religione.

La maggioranza dei musulmani ritiene che la morte in croce di Gesù sia un falso storico inventato dai cristiani, perché Gesù sarebbe stato fatto ascendere da Allah in cielo, senza che egli abbia permesso la sua morte per mano dei nemici. Fare inter-cultura vuol dire qui sottoporre ad esame scientifico nella scuola il fatto della morte di Gesù, per permettere a tutti di conoscere la sua vera storia ed aprirsi così ad una lettura più sapiente e critica in senso scientifico dei propri testi fondativi (cfr. su questo I musulmani di fronte al mistero della croce: rifiuto o incomprensione?, di M. Borrmans).

Giungere ad un discorso critico sulle fonti è elemento basilare per la creazione di una inter-cultura solida e dialogante. Tale discorso critico sulle fonti è di pertinenza della scuola che non deve esimersi da tale compito, perché essa deve attestare la liceità culturale di un dibattito critico per permettere poi che il dialogo continui nella società.

Ma la promozione della conoscenza e non un silenzio ghettizzante vale anche per una serie infinita di questioni, come, ad esempio, la tradizione italiana delle diverse feste[2]. Sarebbe contrario ad una prospettiva inter-culturale, mettere a tacere la libera espressione dei sentimenti e dei contenuti, ad esempio, del Natale, perché ciò implicherebbe una duplice mancanza: innanzitutto una mancanza di rispetto della libertà dei ragazzi cristiani e, in secondo luogo, una mancanza educativa nei confronti dei non cristiani che debbono essere tenuti a misurarsi con la fede cristiana, poiché debbono vivere non in uno spazio uni-culturale, come sono alcuni stati a maggioranza islamica, bensì in uno spazio culturale “inter-culturale”.

Tale accrescimento di conoscenze sul cristianesimo, sempre per restare all’esempio del Natale, è un’esigenza della scuola e del paese: chi affermasse che una religione come l’Islam deve essere esonerata dalla conoscenza del cristianesimo sta nascostamente dimostrando la sua islamofobia, perché ragiona a partire dall’ipotesi di una incapacità di quella cultura di aprirsi al diverso, sia essa presunta o reale.

Ovviamente, mentre si propone una conoscenza del cristianesimo e corrispettivamente della laicità nei confronti di chi non le conosce, si deve allo stesso tempo promuovere una conoscenza dell’ortodossia, del protestantesimo, dell’ebraismo e dell’islam e promuoverla in maniera che la conoscenza sia reciproca fra tali diverse “culture”.

Note al testo

[1] Ci rifacciamo per questa distinzione al Documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore, approvato nel corso del Pontificato di papa Francesco (su cui vedi alcuni estratti Approccio relativista, approccio assimilazionista o approccio interculturale? Qual è il giusto atteggiamento per permettere l’integrazione di studenti di diverse culture nella nostra scuola?), così come al discorso di papa Franceso in occasione degli auguri di Natale al Corpo diplomatico, nella parte in cui trattava dell’accoglienza dei migranti.

[2] Su tale questione, cfr. gli articoli Scuola ed inter-cultura: il posto della dimensione religiosa. Tre testi di Filippo Morlacchi, Andrea Lonardo e della Congregazione per l’Educazione Cattolica.