La comunione ecclesiale secondo gli scritti di sant'Ireneo di Lione, di Bernard Badaud

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 03 /05 /2010 - 14:34 pm | Permalink | Homepage
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Presentiamo sul nostro sito la relazione tenuta da p. Bernard Badaud il 14 aprile 2010 nella cattedrale di Lione in occasione del pellegrinaggio dei presbiteri della diocesi di Roma ad Ars. Sono stati omessi i riferimenti al contesto particolare dell’incontro. Per un’ulteriore riflessione su Ireneo di Lione, su questo stesso sito, cfr. S. Pietro in Montorio in Roma: S. Ireneo di Lione, dinanzi a Marcione ed alla gnosi. II incontro del II anno del corso sulla storia della chiesa di Roma, di Andrea Lonardo. Sulla questione di cosa si intenda per chiesa-madre, cfr. La Chiesa-madre di Gerusalemme o la Chiesa apostolica come madre? Appunti per una riflessione biblica e teologica, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (30/4/2010)


[...] La prima citazione di Sant’Ireneo che rimane impressa nel mio animo è sicuramente la frase che invita ogni chiesa, in qualsiasi luogo del mondo essa si trovi, ad essere in comunione con la Chiesa di Roma. Ecco, infatti, cosa dice:

"La tradizione degli apostoli, conosciuta in tutto il mondo, è percettibile in ogni Chiesa per tutti coloro che vogliono vedere la verità. E noi potremmo enumerare quelli che sono stati istituiti vescovi nelle chiese, dagli apostoli ed i loro successori fino a noi... ma poiché sarebbe troppo lungo, prenderemo solamente la Chiesa più grande, più antica e conosciuta di tutte e che i due apostoli gloriosi Pietro e Paolo fondarono e stabilirono a Roma. Con questa Chiesa, infatti, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni chiesa" (Adv. Haer. III, 3, 1-2).

Bisogna ben comprendere questo riferimento di Ireneo alla Chiesa di Roma che può vantare la presenza dei due straordinari apostoli, i gloriosi Pietro e Paolo. Roma, però, non è la chiesa-madre ¬la Chiesa-madre è Gerusalemme - Roma è la più notevole delle chiese apostoliche; è dunque necessario essere in accordo con essa. Senza ombra di dubbio per Ireneo era impensabile essere in accordo con Roma e, alla stesso tempo, essere in contrasto con Smirne ed Efeso: Roma è al servizio dell'apostolicità di tutte le chiese, di ciascuna chiesa.

2 - Per Ireneo questa comunione e questo accordo vitale con la chiesa di Roma trovano il loro fondamento nella fedeltà all'insegnamento degli apostoli del Signore.

Per Ireneo ciò che noi chiamiamo "tradizione apostolica" non ha a che vedere con una successione meccanica, simile ad esempio alla successione al trono dei re delle nazioni; la tradizione apostolica non rientra neanche nelle dinamiche del potere - come quando si parla di vacanza del potere - ma trova piuttosto la sua legittimità nella fedeltà a Cristo.

Questo è quello che suggerisce l'apostolo Paolo quando, a proposito del "pasto del Signore" scrive ai Corinzi: "Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso" (1 Cor 11,23) e poco dopo continua dicendo: "Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano! Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto..." (1 Cor 15,1-3).

A questo punto dobbiamo ricordare la battaglia centrale di Sant’Ireneo, la lotta contro la "gnosi", contro coloro che non si accontentavano della luminosa semplicità della fede di Cristo e che inventavano teorie elaborate e complicate. A loro Ireneo risponde: "ciò che viene dagli apostoli, tutto ciò che viene dagli apostoli, solamente ciò che viene dagli apostoli", come diceva San Paolo stesso: "non trasmetto nient'altro se non quello che io stesso ho ricevuto".
Con la sua straordinaria capacità di utilizzare metafore, Sant’Ireneo si doleva degli gnostici che abbandonavano “la sorgente limpida che cola dal Corpo di Cristo per bere l'acqua fetida di un pantano” (Adv. Haer., III, 24, 1).

3 - La tradizione apostolica! Sant'Ireneo è ben disposto a parlarne, lui che, in Asia Minore, ha seguito gli insegnamenti di Policarpo, discepolo a sua volta dell'apostolo San Giovanni.
Quando esercitavo il mio ministero nella parrocchia che porta il suo nome, vicino alle reliquie dei martiri, ho sempre provato qualcosa di profondamente emozionante nel pensare che tra l'apostolo Giovanni - i cui occhi hanno visto e le cui mani hanno toccato il Verbo della vita (cf. 1 Gv 1,1) - e Ireneo, secondo vescovo di Lione, non passi che una sola generazione!

È stato Eusebio di Cesarea a trasmetterci le parole di Ireneo nel V libro della sua Historia Ecclesiastica. Nella lettera inviata a Florino, Ireneo gli ricorda che sono stati insieme discepoli di Policarpo e dice:

"Queste dottrine, Florino, non sono frutto di un pensiero sano, per non dire altro; queste dottrine non si accordano con la Chiesa... queste dottrine non sono quelle dei presbiteri che ci hanno preceduto e che hanno vissuto prima di noi. Perché ti ho conosciuto quando ero ancora fanciullo, in Asia Minore, vicino a Policarpo; brillavi alla corte imperiale e cercavi di farti ben vedere da lui. Mi ricordo meglio, infatti, questo periodo che fatti più recenti. Perché ciò che ho appreso in tenera età è cresciuto con me ed è divenuto un tutt'uno con la mia anima, così che posso raccontare in che luogo il beato Policarpo si sedeva per parlare, come egli entrava ed usciva, il suo modo di vivere, il suo aspetto fisico, le orazioni che faceva alla folla, come parlava dei suoi rapporti con Giovanni e con gli altri apostoli che avevano visto il Signore, come egli ricordava le loro parole e le cose che loro avevano sentito raccontare, riguardanti il Signore, i suoi miracoli e i suoi insegnamenti; come Policarpo aveva ricevuto tutto ciò che i testimoni oculari del Verbo di vita e come lo tramandava in conformità con le Sacre Scritture. Queste cose, anche per la misericordia che Dio mi ha dato, le ho ascoltate con cura, ne ho conservato la memoria, non su una carta ma nel mio cuore. Per la grazia di Dio li ho sempre ripensati con amore. Ecco, questo ha detto Ireneo" (Hist. Eccl., V).

Ascoltando questa testimonianza molto personale di Sant’Ireneo, affermo che la comunione ecclesiale è qualcosa di più profondo della "conoscenza intellettuale", è un impegno di esperienza, di vita, di relazione, di racconto. I nuovi battezzati di Pasqua lo sanno bene: il grande compito del loro battesimo è cercare di vivere in una comunità fraterna la comunione con il Cristo che hanno scoperto attraverso la fede.

4 - Ma questa fedeltà alla tradizione apostolica non dice tutto del mistero della Chiesa, così come la insegna Sant'Ireneo. È una condizione necessaria ma non sufficiente.

La Chiesa, come diceva Papa Giovanni XXIII, è Mater et Magistra. In altre parole la tradizione è vivente. Non è semplice ripetizione, è insegnamento, è attualizzazione. E colui che garantisce la fedeltà alla tradizione e, allo stesso tempo, apre al futuro, è lo Spirito Santo.

Ascoltiamo ancora le parole di Sant'Ireneo: "Alla Chiesa è stato consegnato il dono di Dio, è in essa che è stata depositata la comunione col Cristo, vale a dire lo Spirito Santo, segno dell'incorruttibilità, conferma della nostra Fede e scala della nostra ascensione verso Dio. Perché laddove è la Chiesa, là è anche lo Spirito di Dio e laddove è lo Spirito di Dio, là è la Chiesa ed ogni grazia perché lo Spirito è la verità" (Adv. Haer., III, 24, 1).

Ireneo paragona il dono dello Spirito, fatto alla Chiesa, al soffio di Dio che fa vivere l'uomo al sesto giorno della creazione. Allo stesso soffio di vita che fa sì che l'uomo non sia una statua di cera o di argilla ma immagine e somiglianza di Dio, dotato di libertà.

Al capitolo 11 della Demonstratio apostolicae praedicationis Sant'Ireneo parla della creazione dell'uomo:

"Quanto all'uomo, Dio lo ha creato con le sue mani, prendendo della terra finissima e purissima e combinando con giusta misura la sua forza alla terra.
A tale scopo egli impresse la sua somiglianza alla sua creatura, perché essa riuscisse l'immagine di Dio anche nel suo aspetto esteriore. Infatti l'uomo creato è stato posto sulla terra per esservi l'immagine di Dio. Per dargli la vita, Dio soffiò sul viso dell'uomo ‘alito di vita’ (Gen 2,7) che doveva renderlo simile a Lui nella sua anima e nel suo corpo
".

Così è anche la Chiesa: organismo vivente, animato dallo Spirito di Dio, testimone del risorto. Essa celebra un memoriale, non una commemorazione!

Permettetemi di citare una frase del mio professore di patrologia, decano della Facoltà di Teologia di Lione, p. Maurice Jourjon: "Si potrebbe dire, senza tradire Ireneo, che per lui il kérygma non basta. Occorre un insegnamento, una spiegazione. Questo insegnamento è la tradizione, una consegna che si trasmette come la vita". C'è - dice Sant'Ireneo - un "dinamismo della tradizione".

Questo dinamismo, questa tradizione vivente sono l'opera dello Spirito Santo nella Chiesa. Tale è la promessa del Signore Gesù ai suoi discepoli nei capitoli 14 e 16 del vangelo secondo Giovanni:
"Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16,13).

Se ricordiamo le parole del Signore: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6), possiamo comprendere meglio ciò che vuole dire Sant'Ireneo quando afferma che "nella Chiesa è stata depositata la comunione con il Cristo, vale a dire lo Spirito Santo". I

La Chiesa è in cammino con il suo Signore e non smette di spianare, sotto la guida dello Spirito Santo, le strade nuove per gli uomini che vivono nel tempo presente e che un giorno incontreranno il Padre. Questa è la vera tradizione.

Ciò che garantisce la comunione ecclesiale, secondo Sant'Ireneo, è partecipare all'opera di Cristo, permettere all'uomo di divenire ciò che è:

"Dio ha voluto che la sua prole, il Verbo primigenio, discendesse verso la creatura, ossia l'opera plasmata e che quest'ultima a sua volta salisse verso il Verbo, oltrepassando gli angeli e diventando ad immagine e somiglianza di Dio" (Adv. Haer., V, 36, 3).

La Chiesa somiglia ad un albero che immerge le sue radici nel suolo, radicata nella fede inalterabile trasmessa dagli apostoli, dispiega i suoi rami verso il cielo come uno slancio di speranza per tutta l'umanità. Questi rami, diversi, possono vivere solamente se annessi al tronco, come fossero legati per sempre dalla carità.

La tradizione secondo Sant'Ireneo è sempre fedeltà, possiamo dire fedeltà all'avvenire.
"La Chiesa sebbene sparsa per il mondo custodisce con cura la fede trasmessa dagli apostoli, come abitanti di un'unica casa; essa ha un unico cuore, essa parla loro con un'unica bocca".

5 - Per concludere questa meditazione, Vi propongo di guardare e di ammirare ancora l'azione di Sant'Ireneo perché lui non si è accontentato di scrivere, ma ha messo in pratica ciò che ha insegnato.

Quando è scoppiato a Roma un conflitto sul digiuno che precede le feste pasquali e quando il Papa Vittore ha minacciato di scomunicare i cristiani dell' Asia, Ireneo ha preso una posizione.
Abbiamo ancora una volta la relazione di questo avvenimento nella Historia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea:

"Su questo, il capo della Chiesa di Roma, Vittore, intende sopprimere in massa l'unità comune ai cristiani di tutta l'Asia, così come le chiese vicine, ritenendo queste eterodosse. Egli ha notificato per lettera e ha dichiarato che tutti i fratelli di quei paesi sono stati scomunicati senza eccezioni. Ma ciò non piacque a tutti i vescovi, i quali lo esortarono a rispettare la pace, l'unione con il prossimo e la carità. Abbiamo ancora impresse le loro parole: essi si rivolsero a Vittore in maniera molto tagliente. Tra essi c'era anche Ireneo, il quale scrisse in nome dei fratelli che governava in Gallia. Egli stabilì che bisognava celebrare il mistero della resurrezione del Signore soltanto il giorno della domenica; inoltre, esortò rispettosamente Vittore a non sopprimere dalle chiese di Dio tutte quelle usanze che facevano parte di una tradizione antica e poi (Ireneo) ha dato molti altri pareri. Ha affermato a tal proposito: ‘Questa discussione non riguarda, infatti, solo la data, ma anche il modo stesso di digiunare; gli uni, infatti, credono che devono digiunare solamente un giorno, altri, due giorni, altri ancora, invece, molto di più. Questa diversità di osservanze non è della nostra epoca, ma di molto anteriore al nostro tempo, tutti non ricercavano meno la pace e noi la rivolgiamo gli uni verso gli altri e la differenza del digiuno conferma l'unanimità della fede’".

Ireneo portava bene il suo nome e, nella sua condotta, è stato un pacificatore: è così che consigliava e predicava la pace delle chiese.

Così il Vescovo di Lione si mise al servizio della comunione ecclesiale affermando la necessaria comunione di ogni chiesa con la Chiesa di Roma, pur non esitando ad esortare fermamente il vescovo di Roma a restare al servizio di tale comunione nel momento in cui le sue decisioni avessero potuto minacciarla.