Il tesoro nascosto della Pompei d'Oriente. L'affresco della "domus ecclesiae" di Dura Europos è il più antico sul tema delle donne al sepolcro vuoto, di Fabrizio Bisconti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /05 /2010 - 17:32 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 4/4/2010 un articolo scritto da Fabrizio Bisconti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (5/5/2010)

Non tutti sanno che la più antica rappresentazione della risurrezione del Cristo si conserva nella Galleria d'Arte della Yale University, ridotta a un semplice pannello su cui è stato applicato un frammento di affresco, oramai assai provato dai restauri del passato, strappato dall'ambiente battesimale della domus ecclesiae di Dura Europos, l'antica città di fondazione romana, situata nei territori dell'antica Siria, sulle rive dell'Eufrate.

Questo centro urbano rappresenta, per gli archeologi che ne hanno scavato grandi settori, a cominciare dai primi anni del secolo scorso, una sorta di "città sigillata" e sepolta dalla sabbia, tanto da assurgere alla definizione di "Pompei dell'Oriente".

Dura Europos, infatti, dopo un lungo assedio, nel 256 cedette alla pressione dei Parti e dei Sasanidi, ma gli abitanti, piuttosto che consegnare l'insediamento al nemico, preferirono insabbiarlo e obliterarlo completamente, talché gli archeologi, quando intrapresero gli scavi, rinvennero una città bloccata al 256, venendo a contatto con un centro romano della tarda età severiana, con tutte le caratteristiche urbane e monumentali dei centri sorti nelle province romane del maturo iii secolo dell'era cristiana.

Da queste indagini emerse un contesto politico-religioso estremamente composito, tanto che tornarono alla luce templi dedicati agli dei indigeni, a quelli romani, ma anche una sinagoga completamente decorata con affreschi ispirati alle storie dell'Antico Testamento, ora esposti, dopo essere stati strappati, in una sala del Museo Archeologico di Damasco.

In un isolato molto prossimo alle mura della città venne alla luce anche una domus ecclesiae, ossia un edificio di culto cristiano primitivo, del tipo che doveva essere molto diffuso in tutto l'orbis christianus antiquus, ma che ha lasciato solo questa testimonianza, proprio per il fenomeno dell'interramento, che ha provocato il "fermo immagine" di cui si è detto. 

La domus, che presenta le caratteristiche delle abitazioni romane con peristilio centrale, fu cristianizzata negli anni Trenta del III secolo, se prendiamo in considerazione alcuni graffiti eseguiti durante i lavori di trasformazione della casa in domus ecclesiae. Gli scavi archeologici, che recuperano questa preziosa testimonianza del più antico culto cristiano, si svolsero tra il 1931 e il 1932 e furono condotti dalla Yale University e dalla French Academy and Letter, sotto la direzione di Clark Hopkins.

Uno degli ambienti della domus, dotato di una vasca e, quindi, riconosciuto come battistero, mostrò una decorazione ad affresco, seppure estremamente lacunosa. Nella lunetta dell'arco che sormontava la vasca, si riconobbe la figura del buon pastore con il suo gregge, associata alla coppia dei protoparenti per significare il peccato dell'origine "lavato" dal Salvatore, come ribadisce il concetto dell'"illuminazione" a cui allude il cielo stellato che caratterizza il soffitto dell'ambiente.

Anche gli altri episodi che si snodano lungo le pareti attingono al comune significato della rigenerazione battesimale, come suggeriscono la guarigione del paralitico, il cammino di Pietro e del Cristo sulle acque e la samaritana al pozzo, ambientate in un habitat dove ricorre, come denominatore comune, l'elemento dell'acqua soterica, che guarisce, che fuga le tenebre, che elimina il male, come testimonia anche la scena della lotta tra Davide e Golia, chiamata in causa per significare la vittoria trionfale sul maligno, sulla forza bruta.

Nel medesimo contesto, si cala perfettamente la scena con cui abbiamo avviato i nostri ragionamenti. Si tratta di un affresco monumentale che, seppure lacunoso, lascia riconoscere tre donne munite di torce e di piccoli recipienti mentre incedono verso un grande sarcofago connotato da due luminose stelle sul coperchio. Questa particolarità ha indotto alcuni iconografi a riconoscere nella megalografia la traduzione figurata della parabola delle vergine stolte e delle vergini sagge (Matteo, 25, 1-13) che rappresenta una vera e propria allegoria del Regno dei cieli e del Giudizio universale, come sottolineano i Padri della Chiesa (Origene, Commentarium in Mattheum, 63-64; Agostino, Sermones, 93).

Ma la scena, invece, considerata in tutta la sua complessità, vuole fotografare, secondo una sequenza dinamica, l'arrivo delle donne al sepolcro e il passaggio attraverso la porta nell'ambiente sepolcrale dove è situato il sarcofago "illuminato" dalla luce della risurrezione

La visita delle donne al sepolcro del Cristo si propone, nelle narrazioni evangeliche, con alcune varianti se, per esempio, Matteo ne ricorda solo due (Matteo, 28, 1-10), mentre Marco (Marco, 16, 1-9) e Luca (Luca, 24, 1-10) ne contano tre e Giovanni (Giovanni, 20, 1-17) allude solo alla Maddalena. La scena, come è evidente, si addice perfettamente all'ambiente battesimale per la naturale interazione tra l'illuminazione e la risurrezione, ma essa si addice anche alla tematica funeraria, tanto che appare, sin dal IV secolo, in un gruppo di sarcofagi romani, milanesi, ravennati e provenzali.

D'altra parte, episodi relativi alla risurrezione costellano il repertorio figurativo paleocristiano, a cominciare dalla visione di Ezechiele delle ossa aride (Ezechiele, 37, 1-10) e continuando con la risurrezione del figlio della vedova di Naim (Luca, 7, 11-17) e con quella della figlia di Giairo (Matteo, 9, 18-19; Marco, 5, 21-24; Luca, 8, 40-42), per sfociare nella risurrezione di Lazzaro (Luca, 16, 19-31), che appare nelle più antiche pitture delle catacombe, già nella prima metà del III secolo, e che diviene il paradigma e la prefigurazione della Risurrezione del Cristo. Tornando a questo ultimo episodio e riprendendo il filo semantico di tipo battesimale dobbiamo rilevare che la scena, sullo scorcio del IV secolo, torna nella decorazione musiva del battistero napoletano di San Giovanni in Fonte.

Ma, con il volgere del tempo, la scena si diffonde nelle più diverse forme artistiche, tanto che, nel V secolo, essa appare sulla capsella ravennate dei Santi Quirico e Giulitta, dove sono rappresentate due donne inginocchiate dinnanzi al Cristo crucifero che ascende al cielo, sorretto dalla mano divina, mentre sullo sfondo si scorge la città di Gerusalemme. 

Ancora nel V secolo, su due formelle della porta lignea della basilica romana di Santa Sabina, si può ammirare la sequenza dettagliata che vede le due donne avvertite dall'angelo rappresentato dinnanzi al sepolcro e poi le stesse dinnanzi al Cristo risorto, secondo un'iconografia che torna in un pannello del ciclo cristologico di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna, decorato in mosaico in età teodoriciana, prima degli interventi giustinianei che, però, non interessarono il nostro quadro.

Ma già dal V secolo l'episodio ebbe fortuna anche nelle cosiddette arti minori e specialmente nei manufatti eburnei (dittico milanese Trivulzio, dittico di Monaco, capsella del British Museum), nelle ampolle provenienti dalla Terra Santa e ora conservate a Monza e a Bobbio e nelle miniature (Evangeliario di Rabbula).

Mentre il tema attraverserà con fortuna e con varianti iconografiche tutto il Medioevo, il nucleo narrativo della sorpresa, dello sgomento, della gioia della Risurrezione, vissuta proprio dalle pie donne, attrasse l'attenzione dei fedeli di tutto il mondo cristiano antico, tanto da essere sviluppato e "fotografato" nelle pareti del battistero più antico che gli archeologi abbiano recuperato.

Purtroppo, quell'affresco, così spontaneo e così eloquente, è ora ridotto ad un raggelato pannello didattico, tanto provato dallo strappo e dalle innumerevoli e scriteriate manipolazioni degli improvvisati "restauratori" del passato, da non essere quasi più riconoscibile. Eppure, da quella "larva colorata" emerge ancora con forza e urgenza l'emozione che le donne provarono dinanzi al sepolcro vuoto, la stessa emozione che commosse i fedeli della piccola comunità cristiana di Dura Europos, che volle rappresentare sulle pareti del proprio battistero il prodigioso mistero della risurrezione, attraverso gli occhi attoniti di quelle prime testimoni ricordate dagli evangelisti.

(©L'Osservatore Romano - 4 aprile 2010)