A piedi nudi. Nelle tele di Caravaggio l’incontro fra i personaggi neotestamentari e gli uomini del seicento, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 16 /04 /2018 - 23:47 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per ulteriori approfondimenti, cfr. la sezione Caravaggio.

Il Centro culturale Gli scritti (16/4/2018)

1/ I piedi nudi dei personaggi neotestamentari in Caravaggio

Ogni personaggio del Nuovo Testamento è ritratto, nelle opere di Caravaggio, con i piedi nudi. Non così, invece, i personaggi che rappresentano il suo tempo. Solo per fornire un primo, chiarissimo esempio, nella Vocazione di San Matteo, nella Cappella Contarelli, Gesù e Pietro sono scalzi, mentre Matteo e le persone che sono con lui al tavolo, vestiti alla maniera seicentesca, sono calzati.

    Caravaggio, Vocazione di San Matteo 
con i piedi nudi di Gesù e Pietro evidenziati

Solo quando Matteo sarà diventato l’apostolo, nel San Matteo e l’angelo e nel Martirio, sarà invece rappresentato scalzo, nonostante nel Martirio - tela con una forte iconografia sacramentale, tipica del periodo controriformistico - sia vestito con gli abiti sacerdotali, avendo appena celebrato l’eucarestia e battezzato i primi fedeli nel fonte battesimale che è ai piedi della scena[1].

    Caravaggio, Martirio di San Matteo con l'apostolo vestito 
con gli abiti del prete del Concilio di Trento, ma a piedi nudi

Allo stesso modo, nella Madonna dei Pellegrini la Vergine che discende dal cielo per accogliere nella casa di Loreto è scalza, con i suoi piedini che stanno appena “atterrando” sulla terra dalla sua “dimora celeste”[2]. I piedi dei due anziani pellegrini sono scalzi, ma non limpidi e puliti come quelli della Vergine, bensì segnati dal cammino e dalla sporcizia del pellegrinaggio - si vedrà più avanti il perché del fatto.

La compresenza di piedi nudi e di piedi calzati, come nel caso della Vocazione di San Matteo, indica immediatamente il carattere “simbolico” della pittura del Merisi. Egli non è semplicemente un “realista”, un amante del “vero” e del “crudo” – come tanta critica ama ripetere a partire da schemi mentali inadeguati ad una comprensione contestuale e storica dell’arte.

Ciò che la Vocazione vuole porre agli occhi del visitatore dell’epoca è esattamente il Cristo neotestamentario che, camminando scalzo insieme a San Pietro, è capace di chiamare un uomo del tempo del Caravaggio, con un chiaro intento simbolico, come è chiaramente simbolico il taglio di luce che illumina la scena.

Scrive giustamente Zuccari: «Da un’attenta verifica delle opere autografe del Merisi risulta che tale scelta [di dipingere le figure con i piedi nudi] riguarda sempre le figure di Gesù (in età sia infantile sia adulta), della Vergine e di san Giuseppe, del Battista, degli angeli e degli apostoli. Un primo esempio eloquente è dato dal Riposo durante la fuga in Egitto (Roma, Galleria Doria Pamphili), dove i piedi rugosi di Giuseppe, quelli flessuosi dell’angelo e morbidi di Maria e del Bambino sono nitidamente distinguibili grazie alla calda luce che li modella»[3].

Zuccari precisa: «Che il Merisi raffiguri questi personaggi a piedi nudi non costituisce di certo una novità. Tuttavia, egli non contravviene mai a questa scelta, facendone una costante dei suoi dipinti a soggetto religioso. Oltre ai protagonisti del Riposo Doria, lo mostrano le figure abbinate della Vergine e del Bambino nella Madonna di Loreto, nella Madonna dei Palafrenieri, nella Madonna del Rosario e nell’Adorazione dei pastori di Messina (nella Natività di Palermo lo si riscontra solo nel Bambino perché Maria ha i piedi coperti dall'abito). Non è poi casuale che Gesù sia scalzo nei quadri in cui è adulto e a figura intera (Vocazione di san Matteo e Resurrezione di Lazzaro). Lo stesso vale per la figura di san Giuseppe nei due dipinti che lo riguardano (oltre al Riposo Doria, l’Adorazione dei pastori[4].

E aggiunge: «Se è quasi scontata la raffigurazione dei piedi nudi nelle figure di san Giovanni Battista e degli angeli, non lo è in quelle degli apostoli. Ed è significativo che tale dettaglio sia rintracciabile in tutti gli apostoli rappresentati in episodi successivi alla loro chiamata: il san Pietro che compare nella Vocazione di san Matteo, nella perduta Orazione nell'orto e, naturalmente, nella Crocifissione di Santa Maria del Popolo; il san Matteo protagonista delle due versioni del San Matteo e l’angelo e del relativo Martirio; così pure il giovane san Giovanni della Deposizione di Cristo nel sepolcro; i dolenti apostoli della Morte della Vergine; il vetusto sant’Andrea della Crocifissione di Cleveland. Non è un caso […] che abbiano le calzature i due protagonisti della Vocazione di San Matteo e della Conversione di san Paolo (in entrambe le versioni)»[5].

Sempre a piedi nudi sono rappresentati in Caravaggio i santi dei primi secoli: «A queste figure evangeliche vanno associati i martiri del primo cristianesimo, con un’unica eccezione: il san Lorenzo posto sulla sinistra della Natività con i santi Lorenzo e Francesco (realizzata a Palermo nel 1609, trafugata nel 1969 e mai ritrovata), le cui calzature sono forse giustificate dal fatto che il santo diacono veste ricchi abiti liturgici, composti dal candido camice e dalla rilucente dalmatica diaconale con le nappe»[6].

Vale la pena sottolineare subito che tale chiarissima scelta non dipende da un intento scandalistico, quasi che il Merisi volesse sempre mostrare ciò che potrebbe risultare sgradevole o sporco nell’uomo, perché anzi, spesso, i piedi dei personaggi neotestamentari sono semplicemente nudi, ma eleganti e pulitissimi, come quelli della Vergine nel Riposo durante la fuga in Egitto o nella Madonna dei Pellegrini.

    Caravaggio, Riposo durante la fuga in 
Egitto con i piedi nudi puliti di Maria e Giuseppe

Zuccari ricorda in proposito che nel Riposo durante la fuga in Egitto «la condizione itinerante della sacra famiglia richiederebbe la raffigurazione dei piedi sporchi almeno per Maria e per Giuseppe; ma non è così, probabilmente per attribuire a essi un valore simbolico di "santità" o di "divinità". È inoltre significativo che in generale le figure di Gesù, di Maria e degli angeli non rechino segni di caducità (a differenza di quelli rugosi di Giuseppe). Lo stesso avviene anche nella Morte della Vergine, dove l’intero corpo di Maria ha un evidente aspetto giovanile»[7].

Insomma i soggetti scelti da Caravaggio sono ritratti in maniera ora “popolana” e rozza, ora raffinata, senza cedere sempre al gusto dell’“impietoso”, come scrive ancora Zuccari: «I soggetti prescelti prevedevano personaggi umili e rozzi, dalle sembianze marcatamente “popolane”, alla pari di figure dal nobile aspetto (come molti protagonisti dei suoi ritratti e dei suoi quadri “di storia”) o di seducenti esempi di bellezza femminile (quali la giovane della Giuditta e Oloferne e la modella che ha posato per la Madonna di Loreto e la Madonna dei Palafrenieri. Ed è noto a tutti il modo crudo, quasi impietoso, con cui l’artista ha dipinto le imperfezioni dei corpi, le membra emaciate dei poveri, le rughe dei vecchi, lo spasmo dei morenti»[8].

Resta dunque la domanda sul motivo di questa scelta così onnicomprensiva della raffigurazione a piedi nudi dei personaggi cristiani dell’antichità. Per rispondere a tale questione si deve subito comprendere che tale scelta iconografica è condivisa dalla stragrande maggioranza dei pittori precedenti o a lui coevi, per cui non è nemmeno da imputare alla frequentazione di circoli legati a Carlo e Federico Borromeo, e a Roma all’Oratorio di San Filippo Neri e ai padri filippini, - con intenti pauperistici ad esso connessi, come si tende a ripetere a partire dalla proposta del Calvesi[9], senza un’analisi iconografica che contestualizzi le scelte del Merisi e senza avvedersi del fatto che egli è un pittore che dipinge cicli insieme ai grandi del suo tempo senza che nessuno avvertisse allora alcuna rottura se non di stile[10].

Lo stesso Zuccari, in un passaggio che è rivelativo della ambiguità della sua posizione critica, dopo aver sottolineato splendidamente che la scelta iconografica dei piedi nudi non può avere un intento “politico”, bensì simbolico, rimandando “all’umiltà, alla fede o alla divinità dei personaggi raffigurati”, subito ricade nel cliché del pauperismo filippino, quando scrive: «Trattandosi di una costante del corpus caravaggesco, tale opzione non può essere dettata dal caso o da una semplice valenza estetica e neppure ricondotta a un atteggiamento “politico”, come vorrebbero alcune letture anacronistiche e semplificate del Novecento volte a presentare il Merisi quale pittore “proletario”, antesignano della lotta di classe. In realtà […] la raffigurazione dei piedi nudi presuppone un intento simbolico che rinvia di volta in volta all’umiltà, alla fede o alla divinità dei personaggi raffigurati. È stato infatti dimostrato che tali simbolismi sono connessi all’orientamento filo-pauperista di alcuni circoli religiosi del tempo (lo si è già notato per l’Adorazione dei pastori dipinta per i cappuccini di Messina) e in particolare di quello borromaico e oratoriano, che il Merisi si trovò a frequentare»[11].

2/ La raffigurazione dei piedi nudi nei pittori precedenti o coevi a Caravaggio smentiscono la tesi del “pauperismo filippino”

La rappresentazione dei piedi nudi per la figura di Gesù, della Vergine e degli apostoli è una costante nell’arte cristiana, anche se esistono eccezioni e, raramente, essi calzano sandali.

Giovanni Baglione, Pentimento di San Pietro

Solo per fornire qualche esempio di studi su figure neotestamentarie scalzate si può fare riferimento alla rappresentazione del pentimento di Pietro in pittori precedenti o coevi a Caravaggio - e, in particolare, a Baglione - recentemente studiata da Gallo[12]. Fra gli infiniti esempi possibili di ritratti con piedi nudi del principe degli apostoli - ma anche di altre figure neotestamentarie legate all’iconografia del pentimento - lo studioso rimanda a G. Figino, Pala Solomon o Il primato di Pietro (nota anche come Madonna con Bambino, traditio clavium a San Pietro e San Paolo), 1530-1535 ca., Cambridge (Massachusets), Fogg art Museum; L. Lotto (attribuito), Pentimento di Pietro, 1540 ca., Milano, Collezione privata; F. Fiori detto il Barocci, Cristo risorto appare a Maria Maddalena presso il Sepolcro, 1590, Firenze, Galleria degli Uffizi; C. Procaccini, Pentimento di Pietro, ca. 1590-1600, Collezione privata; G. Baglione, La disputa di Pietro e Paolo sul primato apostolico, 1600 ca. Roma, Santa Cecilia in Trastevere; G. Baglione, San Giovanni Evangelista indica la luce a San Pietro penitente (dipinto noto anche come Disputa di Giovanni e Pietro o ancora Le due vite della Chiesa), 1606, Roma, Collezione privata; G. Reni, Pala Sampieri o Disputa di Pietro e Paolo (nota anche come Paolo redarguisce Pietro penitente), 1609 ca., Milano, Pinacoteca di Brera; A. Tiarini, Negazione e pentimento di Pietro, ca. 1610, Bologna, Pinacoteca Nazionale; B. Schedoni, L’apostolo Pietro, 1611, Napoli, Palazzo Reale; B. Schedoni, L’apostolo Paolo, 1611, Napoli, Palazzo Reale.

Simone Peterzano,
San Matteo e l'angelo
Romanino, San Matteo e l'angelo

Per quel che riguarda, invece, l’apostolo Matteo, si può fare riferimento a Zuccari che ricorda come fra gli illustri predecessori dei piedi nudi del San Matteo e l’angelo stanno Peterzano, Romanini e altri: «Caravaggio […] non aveva creato un’immagine particolarmente difforme dalla tradizione: lo provano gli illustri precedenti iconografici, da tempo segnalati in vari studi, dove ricorrono i piedi nudi posti in evidenza. Esempio eloquente è il San Matteo eseguito a fresco da Simone Peterzano nel presbiterio della Certosa di Garegnano, che ha le gambe accavallate, il piede destro con la pianta vista di scorcio e la figura angelica che si accosta a Matteo per suggerire l’ispirazione divina del suo Vangelo. Di diversa impostazione, ma di analogo significato, è la tela di Girolamo Romanino in San Giovanni Evangelista a Brescia. L’Angelo detta il testo sacro a un San Matteo dall’aspetto rurale, che appoggia il piede sinistro su uno sgabello. La luce che sfiora le dita del piede evidenzia le unghie sporche di chi cammina scalzo; un’invenzione, quest’ultima, che non si può attribuire al Caravaggio, perché già compare nella pittura padana del Cinquecento. Un’altra possibile fonte, indicata da Maselli, è l’incisione di Agostino Veneziano ispirata al Giove che bacia Cupido ideato da Raffaello per la Loggia di Psiche alla Farnesina, che trasforma le due divinità in un san Matteo con l’angelo»[13].

Zuccari aggiunge - pur senza arrivare inspiegabilmente alla conclusione che tale raffigurazione è assolutamente normale nella storia dell’arte - la constatazione che ciò che si verifica per Matteo vale anche per altri contemporanei di Caravaggio:

«Tra le pale di Jacopo Bassano (uno dei pittori veneti cui il Merisi attinse) ad esempio si vedano l’Adorazione dei pastori con i santi Vittore e Corona del Museo Civico di Bassano e il Martirio di san Lorenzo della cattedrale di Belluno, sul cui proscenio compaiono le piante dei piedi sporche di un pastore e di un aguzzino che anticipano quelle caravaggesche del pellegrino della Madonna di Loreto e del carnefice inginocchiato della Crocifissione di san Pietro. Analoga notazione vale per le versioni “da stanza” dell’Adorazione dei pastori, come quella della Galleria Nazionale di Palazzo Corsini a Roma»[14].

E prosegue aggiungendo che «ai precedenti finora ricordati per il primo San Matteo e l’angelo se ne possono aggiungere altri che ostentano i piedi scalzi: le figure di Profeti che Cesare Nebbia e altri hanno dipinto nell’Oratorio del Crocifisso a Roma e una delle figure dipinte da Muziano attorno al 1550 sulla volta della cappella Gabrielli in Santa Maria sopra Minerva. In quest’ultimo l’evangelista è rappresentato di sotto in su con la gamba sinistra sollevata e la pianta del piede del tutto in vista. È un altro caso in cui lo schema già collaudato subisce un’accentuazione. D’altra parte, Muziano e lo stesso Caravaggio avevano presenti celebri esempi di evangelisti con i piedi nudi mostrati di scorcio, come quelli disegnati da Perin del Vaga ed eseguiti in due tempi da lui e da Daniele da Volterra»[15].

È questa costante iconografica a rendere non necessario e anzi fuorviante il riferimento ad un presunto pauperismo che il Merisi avrebbe fatto proprio a partire dalla frequentazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Il che non implica che non si pensasse allora ad un Gesù povero o alla sobrietà della vita della Vergine, degli apostoli o della comunità primitiva. Con tale rilievo si intende piuttosto sottolineare che in nessuna raffigurazione Gesù e i suoi sono mai presentati come splendidi e ricchi signori, vestiti di bisso o riccamente ornati di gioielli.

L’insinuazione, invece, che sia esistito uno specifico rapporto con un pauperismo filippino riappare anche negli studi che apparentemente orientano in altro senso, come è evidente in questo passaggio di Zuccari:

 «Anche le scelte relative alla raffigurazione dei piedi[16] sembrano confermare come la pittura del Merisi sia carica di precisi sottintesi, spesso informati dalla fedeltà al testo biblico, dal rispetto della “verità storica”, nonché dai principi evangelici di umiltà e povertà - valori peraltro condivisi dai circoli religiosi frequentati dal pittore»[17].

Ma qual è allora il motivo di tale raffigurazione a piedi nudi, se essa non dipende dal pauperismo di uno specifico circolo?

Il “preciso” sottinteso della raffigurazione di Gesù e di Pietro a piedi nudi che incontrano Matteo e gli altri esattori delle tasse vestiti alla maniera seicentesca consiste nel pretendere di ritrarre “oggettivamente” il fatto che il Cristo storico è un contemporaneo. Egli è in grado di chiamare l’uomo di milleseicento anni a lui successivo[18].

La contemporaneità di Cristo è il sottinteso della Vocazione di San Matteo, così come del Martirio nel quale l’apostolo ha i piedi nudi e, insieme, veste gli abiti sacerdotali del clero successivo al Concilio di Trento, ad indicare la presenza dell’antica vocazione nella figura del prete ordinato in età contemporanea al Merisi.

L’incontro fra lo scalzato Gesù e il calzato Matteo al banco delle imposte certamente sottolinea lo status di benestante che aveva l’apostolo prima di essere chiamato, come ricorda Zuccari: «Lo storico oratoriano [Cesare Baronio] aveva dimostrato - sulla base di autorevoli fonti classiche - che i pubblicani come Matteo non erano modesti esattori, ma qualificati funzionari dell'impero che prendevano in appalto le imposte del fisco e che la loro professione “non veniva conferita se non a membri dell’ordine equestre”. Da questa dotta precisazione può dipendere la scelta di presentare Levi, il futuro apostolo ed evangelista, come un "cavaliere" o una persona di rango che veste abiti lussuosi. Il portamento e l’abito, dunque, contraddicono la vulgata che vedeva in Matteo un vile gabelliere e ne evidenziano il ceto elevato, sottolineato anche dall'elegante cappello che reca una medaglia d'oro. Nella pala d’altare, invece, l’apostolo indossa una semplice tunica e un mantello all'antica (nel Martirio ha gli abiti liturgici, ma è pur sempre a piedi nudi) per indicare il radicale cambiamento di vita, e di costumi, avvenuto con la sua conversione. Ed è significativo che questa marcata distinzione introduce elementi di novità nell’iconografia della “Vocazione”: il pubblicano Levi dipinto non molti anni prima da Muziano e Nebbia, nella cappella Mattei di Santa Maria in Aracoeli, indossa già gli abiti umili, tipici del ceto popolare, che lo contraddistinguono negli episodi del suo apostolato»[19].

Ma la potenza espressiva dell’opera non è data dal contrasto ricchezza-povertà, quanto dalla contemporaneità del Cristo che parla ad un uomo del seicento. Qui è la “punta di diamante” dell’iconografia caravaggesca: egli cerca l’istante, l’avvenimento, il reale contatto, l’attimo dell’evento[20].

Fra l’altro, chi esagera, alla maniera del Calvesi, il pauperismo del Merisi ispirato ai filippini, dovrebbe poi spiegare come Filippo Neri, personalmente poverissimo, abbia voluto poi la chiesa di Santa Maria in Vallicella (la Chiesa Nuova) esattamente così come essa si presenta ai nostri sguardi, bella nelle sue linee corrispondenti ai gusti del tempo e, in fondo, anche a quelli dei secoli a venire. Dovrebbe spiegare come mai san Filippo abbia celebrato la Messa con dei paramenti identici a quelli con il quale è vestito il San Matteo del Martirio e, per di più, calzato e non scalzo come l’evangelista.

Zuccari coglie bene, invece, come un’adeguata contestualizzazione della nudità dei piedi nella rappresentazione abituale dei personaggi neotestamentari sia un dato che conferma la tesi, ormai accolta dagli studiosi più avveduti, che il primo San Matteo e l’angelo non sia un “rifiuto”, bensì semplicemente una tela di prova, nemmeno delle giuste misure per la Cappella Contarelli. È evidente, comunque, che, quanto ai piedi, il definito San Matteo e l’angelo non ha nulla da invidiare al suo primo abbozzo

Scrive Zuccari: «Osservazioni ancor più severe [rispetto alla Madonna dei Pellegrini] sono espresse dal critico seicentesco [il Bellori] sulla prima versione del San Matteo e l’angelo per San Luigi dei Francesi (distrutto a Berlino durante il secondo conflitto mondiale): “Questo quadro fu tolto via dai preti con dire che quella figura non aveva decoro né aspetto di Santo, stando a sedere con le gambe incavalcate e co' piedi rozzamente esposti al popolo”. Tale dipinto - a differenza della Madonna di Loreto, che suscitò soltanto “estremo schiamazzo” - sarebbe stato rifiutato per le sembianze volgari dell’evangelista che accavallava le gambe e, senza ritegno, poneva i rozzi piedi in faccia agli spettatori. Ma in realtà, com’è stato chiarito da circostanziati studi, la vicenda del “rifiuto” non è accertata e il cosiddetto scandalo suscitato dal Caravaggio riguardava la formulazione stilistica del dipinto più che quella iconografica. A distanza di molti decenni Bellori, partigiano del classicismo dei Carracci, di Poussin e di Guido Reni, giudicava le opere del Merisi con la lente dell'ideale ritorno alla classicità di Raffaello e degli antichi: i suoi principi estetici, assommati a un malcelato atteggiamento “perbenista”, lo spinsero a confermare l’illazione malevola stilata da Baglione a danno del maestro lombardo. L’iconografia dell’evangelista proposta da molti artisti (come il San Matteo in mosaico disegnato da Cesare Nebbia per una sede ufficiale come la cupola di San Pietro)[21] sembra avvalorare la tesi avanzata da Spezzaferro, che nega il rifiuto della prima versione del San Matteo e l’angelo e considera il dipinto acquistato da Vincenzo Giustiniani quale “prova” eseguita dal Merisi per ottenere - grazie a una formulazione “scultorea” che gareggiava con la statua da tempo ordinata a Cobaert - la commissione della pala d’altare della cappella Contarelli[22]. Caravaggio, infatti, non aveva creato un'immagine particolarmente difforme dalla tradizione: lo provano gli illustri precedenti iconografici, da tempo segnalati in vari studi[23], dove ricorrono i piedi nudi posti in evidenza»[24].

Vero è, invece, - prosegue Zuccari - che «il motivo del piede nudo esibito dal primo evangelista ricorre in numerosi dipinti cinquecenteschi, sia padani sia romani, e mostrano come il Merisi traesse spunto da un filone iconografico consolidato riformulandolo con l’estro inventivo e l’avvincente realismo che lo contraddistingueva»[25].

3/ Alcuni piedi nudi “peculiari”: il caso della Madonna dei Pellegrini o Madonna di Loreto

Nel caso di alcune opere caravaggesche è invece opportuno ricorrere al “realismo” del Merisi per interpretare correttamente il motivo di tale rappresentazione.

Caravaggio, Madonna dei Pelllegrini, con
i piedi nudi pulitissimi di Maria appena giunta
dal cielo ed i piedi sporchi dei due pellgrini
che hanno fatto a piedi nudi, secondo l'usanza
del tempo, l'utimo tratto del pellegrinaggio

Il riferimento è alla Madonna dei pellegrini o Madonna di Loreto che rappresenta l’inginocchiarsi di due anziani pellegrini giunti dopo un lungo peregrinare alla Santa Casa, custodita nella Basilica di Loreto, che, secondo la tradizione, sarebbe la casa stessa di Nazaret nella quale la Madonna ricevette la visita dell’angelo che le annunciava la nascita del Figlio di Dio nel suo grembo, chiedendole l’assenso.

Per spiegare tale iconografia non è sufficiente fare riferimento all’adesione del Merisi alla devozione tipicamente cattolica per la Vergine e per i santuari a lei dedicati - una tale iconografia della Madonna che appare alla porta della Santa Casa di Loreto e che benedice due pellegrini che si recano al suo santuario è ovviamente impensabile in un ambiente protestante del tempo - ma si deve rinviare alle modalità di tale pellegrinaggio all’epoca.

È stato Pupillo[26] a studiare quali fossero le forme di tale pellegrinaggio, che venne compiuto dal Cavalletti poco prima della morte e che fu il motivo della commissione dell’opera. L’ultimo tratto del pellegrinaggio da Roma a Loreto, quello che andava dall’ingresso dell’area del Santuario mariano alla Santa Casa stessa, veniva allora compiuto a pedi nudi. I pellegrini che giungevano da Roma, dopo aver percorso l’Italia da ovest ad est, si scalzavano all’ingresso dell’area, giungendo a piedi nudi davanti alla Santa Casa. Questa fu l’esperienza vissuta da dal Cavalletti e a tale ricordo si collega esplicitamente Caravaggio.

Zuccari così sintetizza le ricerche di Pupillo in merito:

«Un […] elemento che aiuta a comprendere le vicende e l'iconografia della Madonna di Loreto riguarda le pratiche devozionali relative al pellegrinaggio a Loreto; pratiche che i membri della Trinità dei Pellegrini rispettarono puntualmente nel corso della loro visita al santuario del 1602. Una dettagliata relazione di quel pellegrinaggio riporta che i confratelli, accolti dal cardinale Antonio Maria Gallo, entrarono nella città di Loreto "scalzi" e "a capo scoperto", e precisa che, nel giungere davanti alla chiesa, "si basciava in terra su il scalino della porta, et il simile si fece nell’entrare nella cappella della Santa casa".
Tali indicazioni conducono a un immediato accostamento ai due pellegrini raffigurati dal Caravaggio: sono entrambi scalzi e l’uomo ha il capo scoperto; il fatto che la sua compagna indossi la cuffia deriva probabilmente dalla nota tradizione che richiedeva alle donne di "velarsi" all’interno di un luogo di culto. I due personaggi si trovano in ginocchio davanti al gradino della Santa Casa: nel sollevare lo sguardo, e forse anche il busto, vedono apparire come in una visione la Vergine in persona. Il movimento che il pellegrino compie puntando a terra le dita del piede sinistro indica lo sforzo di chi si è chinato a baciare il gradino dell’antico sacello e si sta risollevando, esattamente come aveva fatto Ermes Cavalletti insieme ai suoi confratelli.
La permanenza di queste pratiche è documentata sino a tempi recenti, attraverso alcune fotografie scattate attorno al 1960: vi appare l’uso di attraversare in ginocchio e a piedi nudi la piazza antistante alla basilica di Loreto, oppure di percorrere allo stesso modo il gradino marmoreo che circonda la Santa Casa, oggi consunto per il passaggio secolare di un gran numero di persone»[27].

E aggiunge: «L’immagine della Madonna del Caravaggio non corrisponde - come talvolta è stato detto - a quella di una popolana: il suo aspetto, invece, è nobile sia nelle movenze sia nell’abbigliamento. Le sue vesti sono poi in contrasto con quelle umili dei pellegrini: lo mostra ancor più la recente pulitura della splendida manica di raso rosso. L’ispirazione a una scultura classica, identificata da Hess nella cosiddetta Tusnelda (che fu utilizzata anche per la Sant’Anna nella Madonna dei Palafrenieri), dimostra la volontà del pittore di impostare su differenti registri la presenza divina e quella umana. Nel contesto delle controversie con i protestanti - com’è noto - la Vergine è anche l’immagine della Chiesa che consente ai fedeli di aver accesso al Salvatore»[28].

Chi scrive ha suggerito che il riferimento a cui si ispira il Merisi nella raffigurazione della nobiltà pura della Madonna sia molto più vicino e che vada rintracciato nella Madonna del Parto di Jacopo Sansovino, veneratissima nella stessa chiesa di Sant’Agostino per la quale venne dipinta la Madonna dei Pellegrini: la dimensione e la posizione del Bambino, così come la postura della mano della Madonna, in particolare, ma in realtà tutta intera la figura di Maria, rimandano alle immagini rinascimentali presenti nello stesso luogo di culto[29].

Note al testo

[1] Lo sottolinea Zuccari: «È interessante osservare che gli apostoli risultano a piedi nudi al momento del loro martirio anche quando il contesto non lo rende necessario: è ovvio nella Crocifissione di san Pietro e nella Crocifissione di sant’Andrea, ma non nel Martirio di san Matteo, dove l’evangelista indossa i paramenti liturgici e sta celebrando (ho ha appena celebrato) la messa» (A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 268).

[2] Caravaggio trasforma l’abituale iconografia della Vergine in volo che si trasferisce da Nazaret a Loreto portandovi la sua casa, con l’immagine della Vergine che appare ai due anziani giunti in pellegrinaggi a Loreto, discendendo dal cielo incontro a loro: resta fisso il punto caratterizzante il motivo del pellegrinaggio, l’“apparire” della Vergine in quel luogo.

[3] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 255. Zuccari ricorda come alle figure neotestamentarie già ricordate vadano aggiunti altri personaggi del corpus pittorico del Merisi: «Alle figure evangeliche elencate più sopra si assommano il cosiddetto Nicodemo che sorregge le gambe del Cristo nella Deposizione della Pinacoteca Vaticana, dipinta a Roma per la Chiesa Nuova degli oratoriani; il giovane Lazzaro seminudo e la sorella che gli si accosta nella Resurrezione di Lazzaro del Museo Regionale di Messina, proveniente dalla chiesa dei Crociferi. L'elenco si estende ad altri soggetti sacri che non contemplano solo figure bibliche o di santi - quali il Davide del Prado e il San Francesco che riceve le stimmate di Hartford -, ma anche personaggi di altro genere, come il celebre pellegrino della Madonna di Loreto (Roma, Sant’Agostino), i devoti inginocchiati della Madonna del Rosario (Vienna, Kunsthistorisches Museum), i due nerboruti spalatori del Seppellimento di santa Lucia (Siracusa, Santa Lucia al Sepolcro) e altre figure secondarie i cui piedi scalzi e ruvidi sono posti in evidenza sul primo piano di non pochi dipinti» (A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, pp. 256-257).

[4] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 264.

[5] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, pp. 264-265.

[6] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 256. Zuccari scrive ancora: «Riguardo ai martiri si può osservare che nella pala di Siracusa compariva un piede nudo di Lucia (ora illeggibile), accertato in particolare da una piccola replica su rame attribuita a Mario Minniti; analogo discorso vale per il perduto San Sebastiano citato da Bellori, la cui immagine è documentata da copie. Cfr. M. Marini, Caravaggio “pictor praestantissimus”. L’iter artistico completo di uno de massimi rivoluzionari di tutti i tempi, Roma, 2001, pp. 320, 298-299. Di altri martiri, come la Santa Caterina Thyssen o la Sant’Orsola ora a Napoli, i piedi non sono resi visibili» (A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 265). E aggiunge: «Si noti soprattutto il carnefice in primo piano della Crocifissione di san Pietro, che volge allo spettatore le piante dei piedi marcate dal terriccio; ma anche il sicario e i "neofiti" del Martirio di san Matteo, il lanciere della Conversione di san Paolo Odescalchi, il mendicante seminudo e uno dei due “seppellitori” delle Sette opere di misericordia, i carnefici della Flagellazione (Napoli, Museo di Capodimonte), il servo che tenta di sciogliere l’apostolo nella Crocifissione di sant' Andrea, il boia della Decollazione del Battista, l’uomo che sorregge Lazzaro nella Resurrezione di Messina. Naturalmente mancano all’appello altri personaggi che il pittore non ha rappresentato a figura intera, ma che altrimenti avrebbero avuto i piedi» (A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 265).

[7] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 265.

[8] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 255.

[9] M. Calvesi, Le realtà del Caravaggio, Torino, Einaudi, 1990, p. XXXII: «La tesi fondamentale del libro è appunto l’adesione del Caravaggio agli estremi ideali religiosi di Carlo e Federico Borromeo». La tesi è articolata dal Calvesi anche in relazione ai piedi nudi del San Matteo e l’angelo, alle pp. 50-51 dello stesso volume. La posizione di Calvesi è rovesciata da Bologna che, incapace di fidarsi dell’oggettivo linguaggio delle opere del Caravaggio, ne ricostruisce un’immagine diametralmente opposta e irrealistica di figura distante dal cattolicesimo (cfr. F. Bologna, L’incredulità di Caravaggio e l’esperienza delle «cose naturali», Torino, Bollati Boringhieri, 2006, pp. 107-137). Per una contestualizzazione storica adeguata del Merisi come tipico esponente del cattolicesimo del tempo, cfr. A. Lonardo, Caravaggio: un pittore controriformista?, in Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose, A. Rodolfo (a cura di), Città del Vaticano, Edizioni Musei Vaticani, 2014, pp. 73-80; A. Lonardo, Tornare per desiderio nella Roma papale dopo l’esperienza crociata maltese, in Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose, A. Rodolfo (a cura di), Edizioni Musei Vaticani, Città del Vaticano, 2014, pp. 263-269. Anche la vita “sregolata” del Merisi non si differenzia dal modus vivendi di altri pittori dell’epoca, invitando piuttosto ad una riconsiderazione del cliché abitualmente proiettato sulla Roma controriformista del tempo, ignorandone la vita reale così evidente dai “fatti” delle vite dei pittori del tempo; cfr. su questo 1/ Caravaggio: opere straordinarie, ma all’interno di un programma iconografico dettato dai committenti e realizzato insieme ad altri artisti 2/ Come altri pittori dell’epoca nella vita sregolata 3/ Da Caravaggio al barocco: Roma ed i suoi bassifondi. Tre testi di Andrea Lonardo.

[10] Cfr. su questo: A. Lonardo, Caravaggio: opere straordinarie, ma all’interno di un programma iconografico dettato dai committenti e realizzato insieme ad altri artisti.

[11] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 257.

[12] M. Gallo, Piedi nudi sulla pietra. Giovanni Baglione e l’iconografia penitenziale di San Pietro, Roma, Gangemi, 2013.

[13] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 259.

[14] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, pp. 265-266. Zuccari rimanda poi a possibili approfondimenti: «Per queste e altre immagini bassanesche con i piedi nudi, cfr. L. Alberton Vinco da Sesso, Jacopo da Bassano, i Dal Ponte: una dinastia di pittori, Bassano del Grappa, 1992, pp. 25, 27, 31, 42, 47; L. Alberton Vinco da Sesso – V. Romani (a cura di), Sulle tracce di Jacopo Bassano, Bassano del Grappa, 1994, pp. 24, 37, 39, 43, 55. Di un certo interesse è anche la figura di Sansone, con le robuste gambe accavallate e la pianta del piede destro ripresa di scorcio, affrescata da Jacopo nel duomo di Cittadella, Padova (cfr. ibidem, p. 25)».

[15] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 266.

[16] Il Merisi ha dipinto i piedi nudi anche in alcune immagini mitologiche, come il Cupido dormiente di Palazzo Pitti, o le figure di Giove, Nettuno e Plutone della volta del Camerino alchemico del cardinal Del Monte, nell’attuale villa Ludovisi. Ma è evidente la diversa valenza che tale dettaglio assume in questi soggetti, motivato anche dalla completa nudità dei personaggi raffigurati.

[17] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 264.

[18] Zuccari ricorda come si sia fatta questione da parte di taluni autori, subito dopo il Concilio di Trento, della rappresentazione dei piedi del Cristo e degli apostoli, ma la rappresentazione di personaggi scalzi è così frequente da lasciar ritenere che tale discussione sia rimasta riservata a pochi dotti:  «Un motivo di tale scelta - già esplicitato in altra occasione (Cfr. Zuccari 2002, pp. 89-91) - è rintracciabile nel dibattito sviluppatosi dopo il concilio di Trento sulle immagini degli apostoli e, in particolare, sull’opportunità di rappresentarli con o senza calzature. Suscitato da Giovanni Molano (il gesuita fiammingo Jan Vermeulen) nel noto libro sulle immagini sacre edito nel 1570, tale dibattito aveva richiamato l’attenzione sulle fonti evangeliche, patristiche e medievali che attestavano l'uso di camminare a piedi scalzi da parte di Gesù e degli apostoli. A seconda delle diverse interpretazioni delle Sacre Scritture e delle tradizioni, con le dovute specifiche, si dichiararono favorevoli il Molano (che proprio nel Vangelo di Matteo registrava il precetto dato ai discepoli di non portare oro, né argento, né bisaccia, né due tuniche, né calzari ... - Matteo 9,10), Cesare Baronio (che affrontò l’argomento da un punto di vista storico e non iconografico) e Federico Borromeo (che ne propose una lettura simbolica). Una voce fuori dal coro, rafforzata da confronti testuali e soprattutto iconografici, fu quella dell’erudito Jean L’Heureux, detto Macario, secondo cui gli apostoli solevano indossare i sandali» (A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 260).

[19] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 263.

[20] Meno convincente appare pertanto la seguente affermazione di Zuccari che attribuisce troppa importanza al look di Pietro, rispetto alla celebra “lama di luce”, essa sì decisiva a sottolineare l’attimo della contemporaneità: «All’interno della stessa Vocazione lo si ravvisa nel contrasto istituito tra la nobile e quasi altezzosa figura di Levi e quella umile di san Pietro, che entra nella scena a piedi nudi come il Cristo. Non per nulla “il pescatore galileo - abbigliato all’antica e poveramente - è raffigurato con i capelli sporchi e arruffati, mente il pubblicano appare azzimato e pulito: addirittura sembra che la fluente barba e i lunghi baffi siano lavati di fresco” (Zuccari, Fonti antiche e moderne per le iconografie di Baronio, in Baronio e le sue fonti, L. Golia (a cura di), Sora, 2009, pp. 869-932). A rendere leggibili i disparati elementi del dipinto e i relativi significati interviene, irrompendo dall’alto, la celebre lama di luce, invenzione geniale del pittore che è al contempo simbolo della grazia divina e fattore unificante della composizione» (A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 264).

[21] C. Puglisi, Caravaggio, London-Hong Kong, 1998, p. 183.

[22] Cfr. L. Spezzaferro, Caravaggio rifiutato? Il problema della prima versione del “San Matteo”, in “Ricerche di Storia dell’Arte”, 10, 1980 pp. 49-64. Per un recente riesame del San Matteo e l’angelo e degli altri dipinti della cappella Contarelli, cfr. ora H. Röttgen, Die Contarelli-Kapelle im Spiegel der Historiographie und der historischen Forschung von vierhundert Jahren, in Da Caravaggio ai Caravaggeschi, M. Calvesi – A. Zuccari (a cura di), Roma, 2009, pp. 187-212, 500-508.

[23] Per una sintesi delle diverse proposte si veda M. Marini, Caravaggio “pictor praestantissimus”. L’iter artistico completo di uno de massimi rivoluzionari di tutti i tempi, Roma, 2001, p. 465.

[24] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, pp. 258-259.

[25] A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 260.

[26] M. Pupillo, La SS. Trinità dei Pellegrini di Roma. Artisti e committenti al tempo di Caravaggio, Roma, Edizioni dell’Associazione culturale Shakespeare and Company 2, 2001; M. Pupillo, La Madonna di Loreto di Caravaggio: gli scenari di una committenza, in C. Volpi (a cura di), Caravaggio nel IV centenario della Cappella Contarelli. Atti del Convegno Internazionale di Studi Roma 24-26 maggio 2001, Città di Castello, CAM Editore, 2002, pp. 105-121; M. Pupillo, Lo schiamazzo e la preghiera. Nuove considerazioni sulla Madonna di Loreto e il pauperismo caravaggesco, in M. Calvesi - A. Zuccari, Da Caravaggio ai Caravaggeschi, Roma, CAM Editrice, 2009, pp. 213-234.

[27] A. Zuccari, Caravaggio, i suoi committenti e il culto lauretano, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira editore, 2011, pp. 189-190.

[28] A. Zuccari, Caravaggio, i suoi committenti e il culto lauretano, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira editore, 2011, p. 193. I biografi antichi, per quanto diano una lettura faziosa dei piedi nudi dei due pellegrini giunti alla Santa Casa di Loreto dove appare loro la Madonna con Bambino, niente hanno comunque da ridire sul fatto che la Vergine stessa abbia i piedi nudi: «Giovanni Baglione nelle Vite de’ pittori, scultori et architetti (1642) si sofferma sui “piedi fangosi” e sulla “cuffia sdrucita e sudicia” dei due pellegrini ritratti in primo piano nella Madonna di Loreto - realizzata per la cappella Cavalletti di Sant’Agostino - e testimonia che “per queste leggierezze in riguardo delle parti, che una gran pittura havere dee, da popolani ne fu fatto estremo schiamazzo”. A pochi decenni di distanza Giovan Pietro Bellori (1672), dopo aver passato in rassegna i “rifiuti” delle opere del Merisi, biasima “le sozzure dei piedi” ostentate dalla figura del pellegrino, concordemente alla testimonianza di Baglione» (A. Zuccari, I piedi nudi nelle raffigurazioni del Caravaggio: realtà e simbolo, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira, 2011, p. 258). Zuccari, sulla scorta di Pupillo, precisa anche altri dati storici utili per una comprensione contestuale e non artefatta dell’opera: «La cosiddetta Madonna dei Pellegrini, secondo i primi documenti rintracciati, fu commissionata al Caravaggio dagli eredi del bolognese Ermes Cavalletti, "ratiocinator" della Camera apostolica, morto il 21 luglio 1602. Nel testamento stilato il 19 luglio, cioè due giorni prima del decesso, Cavalletti aveva espresso la volontà di essere sepolto nella prima cappella di sinistra in Sant’Agostino, che si sarebbe dovuta acquistare e ornare per una somma di cinquecento scudi. Dall’atto di acquisto del sacello, stipulato con i padri agostiniani il 4 settembre 1603, risulta che i figli del defunto, Pietro Paolo e Agostino Cavalletti, dettero seguito alle volontà testamentarie del padre. Queste prevedevano l'erezione di un altare “cum pictura”, intitolato alla beatissima Vergine di Loreto “sub cuius invocatione nuncupari voluit”.
Tuttavia, nuovi dati documentari chiariscono che la commissione del dipinto al Caravaggio non si deve ai figli di Ermes, che a quel tempo erano ancora minorenni, ma a sua moglie Orinzia de Rubeis (de Rossi o de Rossis) tutrice e amministratrice dei loro beni. Il primogenito Pietro Paolo Cavalletti, nato il 5 luglio 1591, era appena dodicenne al momento dell'acquisto della cappella. Suo fratello Agostino era più giovane di lui di almeno due anni: infatti, nel 1592 era nato il secondogenito, di nome Antonio, che quasi certamente morì in tenera età dato che non compare nel testamento del padre. Ermes Cavalletti fu provvisoriamente sepolto nella chiesa di San Pantaleo (risiedeva nell’area di quella parrocchia) e la sua inumazione nella nuova cappella avvenne dopo la fine dei lavori. Queste notizie riconducono, dunque, a Orinzia de Rossi l’attuazione delle volontà testamentarie del marito e non è da escludere che lei stessa abbia avuto un qualche peso sulla loro formulazione.
Non è stato finora rintracciato il contratto di commissione della tela e il terminus ante quem del suo completamento è stabilito, com’è noto, dal fatto che i padri del capitolo di Sant'Agostino il 2 marzo 1606 decisero di donare al cardinal Scipione Borghese “L’immaggine antica della Pietà che già stava all’altare della Fiammetta hora delli Cavalletti”. Si deduce, dunque, che a questa data il quadro del Caravaggio aveva già preso posto sul nuovo altare.
La scelta del soggetto della pala - come risulta dall'atto di acquisto della cappella - risale alla volontà di Ermes Cavalletti. Nel testamento non compare alcuna indicazione in proposito, ma è evidente che Orinzia de Rossi, al momento di stipulare l'accordo con gli agostiniani, abbia voluto dichiarare la nuova intitolazione del sacello facendosi interprete della volontà del marito. La devozione di Ermes per la Vergine lauretana viene ora confermata da alcuni documenti rintracciati da Marco Pupillo, che ne attestano la partecipazione a un pellegrinaggio a Loreto svoltosi nella primavera del 1602 e conclusosi il 3 maggio, cioè a meno di tre mesi dalla sua morte (IN NOTA Ringrazio Marco Pupillo per avermi con­sentito di utilizzare documenti inediti da lui rintracciati (tra i quali il diario: Ordini presi e decreti fatti per l'andata a Loreto et viaggio fatto dalla Ven. Arch.ta della San­tissima Trinità de' Convalescenti di Roma. Anno 1602. Scritto per Gio. Batt.a Capace­fali fratello di detta Arch.ta) poi pubblicati in Pupillo 2002, pp. 116-117). Il patrizio bolognese aveva forse fatto un voto alla Madonna lauretana e intendeva scioglierlo con la visita del santuario marchigiano e con la dedicazione della cappella di Sant’Agostino.
Di particolare interesse è il fatto che il Cavalletti, per recarsi a Loreto, si sia unito a un pellegrinaggio organizzato dalla nota arciconfraternita romana della Santissima Trinità dei Pellegrini: vi parteciparono trecento persone, in gran parte confratelli, accompagnati da alcuni servitori e da una banda di musici. Dai registri del sodalizio si evince che egli fu presente ad alcune riunioni, svoltesi tra il gennaio e l'aprile di quell’anno, nelle quali i confratelli affrontarono le questioni relative alla preparazione del pellegrinaggio.
Alla luce di queste notizie, l’appellativo di "Madonna dei Pellegrini" usato per la pala di Sant'Agostino - derivato dalla presenza dei due personaggi inginocchiati davanti alla Vergine - può essergli oggi applicato con maggiore pertinenza, in riferimento all'ambiente religioso frequentato da Cavalletti. Si tratta di un rapporto con l’arciconfraternita costante e prolungato nel tempo, che vide il nobile bolognese tra gli aderenti delle prime generazioni: infatti la sua iscrizione avvenne prima del 1579. Lo chiariscono i registri della Trinità dei Pellegrini che riportano il suo nome senza la data di ammissione, perché tale uso entrò in vigore per tutti i nuovi membri soltanto a partire da quell’anno. È interessante rilevare che anche i suoi figli, Pietro Paolo e Agostino, fecero il loro ingresso nel medesimo sodalizio nel gennaio del 1600, in occasione dell’anno giubilare, ed è possibile che ne facesse parte pure Orinzia de Rossi. Tali informazioni mostrano quanto la famiglia Cavalletti fosse coinvolta nel sodalizio fondato da san Filippo nel 1548, ed è molto probabile che Ermes abbia conosciuto e frequentato il Neri nel corso dei due decenni precedenti alla sua morte, avvenuta nel 1595.
Questi dati offrono un’ulteriore conferma di quanto è stato proposto da Calvesi, da chi scrive e da altri studiosi intorno allo stretto rapporto di numerosi committenti del Caravaggio con l’ambiente oratoriano e borromaico. Lo stesso Pupillo ha documentato l’attiva appartenenza alla Trinità dei Pellegrini di una serie di personaggi che coincide in modo impressionante con i collezionisti e committenti romani del pittore: Ciriaco e Girolamo Mattei, Vincenzo e Benedetto Giustiniani, Ottavio Costa, Giovan Battista Crescenzi, Tiberio Cerasi, Massimo Massimi, Francesco de' Rustici, e i Cavalletti. A essi va aggiunto Francesco Contarelli, che nominò la medesima associazione erede universale dei suoi beni. È inoltre noto che nel 1602 fu chiesto al Caravaggio di realizzare "Una S.ma Trinità con dei bei capricci" che l’arciconfraternita romana voleva donare a un sodalizio messicano a essa affiliato. Il dipinto che fu spedito in Messico era stato eseguito dal Cavalier d'Arpino e l'opera compiuta dal Merisi (come documentano successivamente gli inventari borghesiani) finì probabilmente nella collezione del cardinal Scipione Borghese» (A. Zuccari, Caravaggio, i suoi committenti e il culto lauretano, in A. Zuccari, Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Milano, Skira editore, 2011, pp. 187-189).

[29] Cfr. A. Lonardo, Nella Madonna dei Pellegrini il classico incontra il moderno, in Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose, A. Rodolfo (a cura di), Città del Vaticano, Edizioni Musei Vaticani, 2014, pp. 171-178 e, on-line, La Madonna dei Pellegrini di Caravaggio nella basilica di Sant’Agostino in Roma: dalla leggenda alla realtà storica, di Andrea Lonardo.