Giovanni Battista Montini-Paolo VI: L’idea di università, di Angelo Maffeis

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /12 /2018 - 22:29 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: , , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito il testo di una relazione tenuta da Angelo Maffeis  nel corso del Convegno "L'idea di università" (25-26 marzo 2011, presso l'Istituto Paolo VI a Concesio (Brescia). Il testo della relazione è stato ripreso dal sito del MEIC. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Università.

Il Centro culturale Gli scritti (29/12/2018)

Il 9 marzo 1964 Paolo VI, in un discorso rivolto ai partecipanti a un congresso di studenti di scienze economiche e commerciali, ricorda di essere stato anche lui studente e cappellano degli studenti. A distanza di quasi quarant’anni dall’inizio della sua attività come assistente ecclesiastico della FUCI, egli confida agli ascoltatori che «le ore migliori della nostra attività sacerdotale, in ogni caso quelle che ci hanno lasciato il ricordo più caro, sono quelle che abbiamo passato come giovane sacerdote in mezzo agli studenti, ascoltandoli, cercando di comprenderli, facendo del nostro meglio per aiutarli a scoprire la verità, il Vangelo, il Cristo, la Chiesa»[1].

Queste parole rivelano la prospettiva fondamentale secondo cui Giovanni Battista Montini ha considerato l’università e ha maturato nel corso degli anni una riflessione sulla missione ad essa affidata, sulle relazioni che al suo interno si intrecciano tra docenti e studenti e sulle forme della presenza cristiana nell’ambiente accademico. Si tratta di una prospettiva pastorale, che considera cioè l’università non primariamente nei suoi assetti istituzionali o nell’esercizio delle funzioni di ricerca e di insegnamento, ma come ambiente e come tempo vissuto da studenti ai quali la Chiesa è chiamata a prestare gli aiuti necessari perché questa stagione della vita non sia vissuta nel segno della dissipazione delle convinzioni religiose e morali acquisite in precedenza, ma favorisca al contrario un’autentica maturazione della fede e della vita cristiana[2].

La riflessione montiniana è dominata dal senso dell’urgenza di questo compito e dalla consapevolezza che troppo poco è stato fatto.

È eloquente al riguardo la risposta che nel 1930 egli dà all’interrogativo circa i modi in cui la Chiesa ha manifestato la sua attenzione per il mondo universitario. «Ebbene: qual è la cura che il clero italiano s’è preso della sua Università? La risposta è terribilmente semplice; perché, salvo qualche buona eccezione, si può dire, nessuna»[3].

Tra le eccezioni a questa diffusa assenza della Chiesa dal mondo accademico Montini menziona l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la FUCI. L’università fondata da padre Gemelli non persegue però l’obiettivo di assicurare la cura pastorale a tutti gli studenti universitari, ma intende formare i propri studenti e proporsi come soggetto in grado d’incidere nel panorama della cultura italiana. La FUCI si è invece assunta direttamente il compito «di assistere localmente gli Studenti delle ventitré città universitarie e di rintracciarli anche nelle loro sedi originarie»[4].

A quest’opera Montini si è dedicato con passione nei primi anni del suo ministero, affiancando l’attività in mezzo agli studenti al lavoro nella Segreteria di Stato e proprio tale impegno ha conferito una connotazione pastorale al suo interesse per l’università. Tale interesse non è venuto meno neppure in seguito, quando Montini, dopo aver lasciato l’incarico di assistente della FUCI, ha assunto responsabilità via via crescenti in Segreteria di Stato, rimanendo però autorevole punto di riferimento per il movimento dei Laureati Cattolici e si è manifestato in numerose occasioni durante l’episcopato milanese e il pontificato. Si fraintenderebbe tuttavia il senso della connotazione «pastorale» dell’interesse montiniano per l’università se lo si riducesse alla ricerca e alla pianificazione di interventi volti ad assicurare la cura pastorale degli studenti cattolici. L’orizzonte all’interno del quale Montini considera l’università è molto più ampio ed è dominato dalla convinzione che il mondo universitario rappresenti il crocevia delle fondamentali questioni della cultura contemporanea. A ragione Giuseppe Colombo sottolinea che nella visione di Paolo VI «l’Università assume quasi il valore di un simbolo, grave e delicato, perché tendenzialmente si identifica con la cultura (in senso umanistico) e quindi col pensiero e quindi con la ragione. In ultima analisi, l’Università dice lo stato di salute o di malattia della ragione»[5]. Senza mai perdere di vista la concreta esperienza dello studente universitario, Montini considera dunque tale esperienza come lo spettro attraverso il quale considerare le vicende storiche dell’università e la sua missione culturale, dal momento che essa rappresenta un luogo decisivo dell’incontro tra fede cristiana e cultura moderna[6].

LO STUDIO E LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA

L’attività di Giovanni Battista Montini tra gli studenti universitari è stata accompagnata da un’intensa produzione di scritti, apparsi sui fogli e sulle riviste della FUCI. Gli interventi più significativi sono stati raccolti nel 1930 nel volume dal titolo Coscienza universitaria, apparso per i tipi di Studium, ma la produzione è molto più ampia e si estende a diversi campi della vita ecclesiale e culturale. La lettura di Coscienza universitaria conferma che la prospettiva della riflessione di Montini sull’università è quella di chi si propone di accompagnare lo studente nel suo itinerario di studio.

Introducendo le sue considerazioni, egli richiama l’attenzione anzitutto sulla soglia – «il venerando limitare»[7] – che lo studente varca facendo il suo ingresso nell’università. Quando compie questo passo lo studente accede alla maggiore età: ai cambiamenti esterni corrisponde una trasformazione interiore che consiste nell’accettazione di un dovere e, al tempo stesso, è segnata dalla freschezza di una speranza ancora intatta per il futuro.

L’ingresso nel mondo universitario è descritto con toni lirici e l’inizio del cammino della conoscenza nei termini religiosi familiari alla cultura romantica, ma che Montini sente anche vicini alla visione cattolica della vita, consacrata alla «religione del vero». «Lo studente che s’affaccia per la prima volta all’Università è come un romantico che s’appressa ad un castello misterioso. Essa si presenta come qualche cosa di grande e indeterminato, e l’indeterminato grandemente sentito, come dicono i moderni, si traduce in sentimento; il sentimento gonfia le vele d’un’arcana poesia animatrice. Nasce così un grande desiderio di studiare, di agire interiormente. Palpita nell’anima un soffio infinito. La religione del vero si presenta nel suo fascino prepotente ed ispira subito un’austera riverenza a questa finora incompresa Parola, la Verità, immensa, secolare, immanente e trascendente, che ha nell’Università il suo tempio e nel genio il suo veggente profeta. La vita di studio sembra ammantarsi d’una veste sacra: sembra esigere una consacrazione totale, ed offrire ai suoi fedeli le ali per oltrepassare le vette, penetrare e librarsi nelle spirituali regioni, estremamente vivificanti, ed immensamente vaste, d’una comprensione unica e completa dell’universo»[8].

I toni lirici con i quali descrive l’ingresso nell’università non impediscono all’assistente della FUCI uno sguardo realistico sulle condizioni effettive della vita universitaria e sulla prevedibile delusione a cui l’entusiasmo di chi intraprende il cammino dello studio andrà incontro. Il dubbio soprattutto rischia di minare alla radice la fiducia nella possibilità di conquistare la verità alla quale l’animo aspira[9].

Bisogna perciò evitare che l’ingresso nel mondo universitario segni per lo studente una perdita della propria identità spirituale, formata negli anni precedenti attraverso l’opera educativa. Per ottenere questo risultato non ha però alcuna utilità indulgere a visioni pedagogiche che tentano – invano – di proteggere i giovani dal contatto con le diverse correnti di idee presenti nel mondo universitario[10]. Quello dell’università è infatti un tempo in cui lo studente sperimenta l’ebbrezza del pensiero autonomo, che non conosce confini, che tutto sottopone al vaglio della critica.

Questa libertà corre certo il rischio di essere superficiale e dissipatrice, ma non per questo può essere negata. Essa deve al contrario essere riconosciuta e apprezzata come cardine dell’università, che «rappresenta un beato periodo di perfetta libertà intellettuale»[11] e al tempo stesso «rappresenta l’ultima parola della verità»[12].

Proprio perché nella ricerca della verità trova la sua ragion d’essere, la formazione universitaria non può escludere la fede, se non vuole privarsi di un elemento decisivo per il pieno sviluppo della persona. La fede e la verità che essa dischiude portano infatti in sé un impulso verso la piena conoscenza della verità accolta e possono contribuire alla realizzazione dell’unità spirituale del soggetto.

«Non pensate voi che una religione che ha per cardine la fede, possesso implicito della Verità divina, debba averne necessariamente un altro, l’attesa, la ricerca, la passione, la tensione avida ed insaziabile verso questa Verità esplicitamente svelata, tensione che si chiama amore; e che tutto ciò è, nell’ordine del pensiero umano, limpidamente figurato nel processo logico della nostra parola studium? La quale, sotto l’attuale significato di meditazione conoscitiva, cela sempre quella radicale di ardore, di desiderio, di passione e di amore? E che allora il primo precetto della legge evangelica ama Dio con tutta la tua intelligenza è realmente il supremo precetto della vita universitaria?»[13].

Lo studio quindi non è solo processo, più o meno lungo e faticoso, di apprendimento di nozioni o di acquisizione di competenze[14], ma è atteggiamento spirituale che ha la sua radice nell’apertura alla verità e si traduce nella ricerca paziente e perseverante della sua conoscenza sempre più piena[15]. A questo riguardo, l’impianto della formazione universitaria manca della dimensione religiosa e morale e per questo è necessario che riceva un’integrazione.

Tale integrazione non si può chiedere all’istituzione universitaria, ma viene vista come contributo proprio della FUCI, la quale non può essere intesa semplicemente come un dopo-scuola, ma ambisce a coltivare un «pensiero cattolico universitario»[16]. I circoli degli studenti promuovono perciò in piena autonomia la formazione religiosa e morale degli studenti.

Tale formazione non può tuttavia seguire percorsi paralleli ed estranei alla formazione intellettuale che si compie attraverso gli studi universitari, ma deve essere in sintonia con essa e perseguire il fine ultimo dell’unità spirituale della persona[17]. «Una pratica religiosa, in un ambiente universitario, non può e non deve assolutamente disgiungersi da una vera, e vorrei dire scientifica, attività di pensiero, sotto pena di farsi più avversare che comprendere, e di approfondire la separazione fra la religione e la vita vissuta e pensata»[18].

Questa visione illumina i modi concreti di pensare il percorso di studi e le relazioni tra docenti e studenti all’interno dell’università. È necessario in primo luogo ridurre le distanze tra professori e studenti. Rispetto alle fasi precedenti della formazione, lo studio universitario si caratterizza per la conquista di una maggiore libertà, ma ciò non significa che venga meno il significato di maestri che con la loro autorevolezza guidano il percorso di ricerca.

«Libertà e magistero emergono come le due condizioni indispensabili al progresso scientifico universitario. Le costrizioni tolte alla prima sembrano travasarsi sulla seconda; il vincolo regolamentare è ridotto, il vincolo personale accresciuto; e perciò si sviluppa la libertà, ma essa si limita a funzione condizionale; si determina il magistero, ma esso accresce il suo potere causale; e così la compagine accademica da burocratica e impersonale si trasforma in spirituale e personale, da passiva e meccanica, in attiva ed amorosa. Sembra diminuito il disagio degli alunni e cresciuto il dovere dei professori»[19].

Montini attribuisce grande rilievo all’autorevolezza dei maestri, ma denuncia anche il pericolo che l’attrattiva del loro insegnamento e la forza di convinzione esercitata dalla loro proposta si sovrapponga alle convinzioni che lo studente porta con sé al momento del suo ingresso in università e distrugga il suo mondo spirituale. Lo studente deve perciò resistere alla tentazione della «servilità intellettuale»[20], che assume acriticamente tutto quello che è insegnato, soprattutto se la proposta è presentata in forme seducenti.

«Non bisogna mai assopirsi in una passiva accettazione di qualsiasi insegnamento; bisogna continuamente rendersi conto di ciò che si sta imparando, di ciò che si sta assimilando. Non vogliamo un’endosmosi incosciente del pensiero altrui! Vogliamo una revisione subitanea, cosciente e riflessa di ciò che si legge, e di ciò che si ascolta. Se tutto ciò che entra nel mio pensiero è fatto per dare unità al mio spirito e sviluppo alla mia attività, esso deve subito essere messo in armonia con le mie idee, con i miei bisogni spirituali: se questa armonia non è possibile crearla subito, devo isolare quella nozione disarmonica; devo circondarla di interrogativi, e metterla quasi in disparte nel mio spirito, ché non ne turbi il funzionamento e la vita»[21].

Rispetto e fiducia nei maestri e, insieme, vigilante spirito critico nei confronti del loro insegnamento sono dunque gli atteggiamenti di fondo proposti agli studenti. Tutto ciò è possibile se l’istituzione universitaria è in grado di creare le condizioni per la crescita di una vera comunione tra chi insegna e chi studia, uniti nel comune sforzo della conoscenza. C’è infatti un «condominio della verità» che rende «parimenti ricchi i piccoli ed i grandi intelletti: quelli più disposti ad entrare nella società benefica della Verità, questi più atti a goderne le inesauste bellezze»[22].

L’IDEA DI UNIVERSITÀ

Nella riflessione montiniana sulla condizione degli studenti e sulla cura pastorale che la Chiesa è chiamata a prestare loro l’orizzonte si allarga spontaneamente a considerare l’idea di università, che ne definisce l’identità e la forma istituzionale. E in questo orizzonte è centrale la questione del confronto tra fede cristiana e pensiero moderno per il quale l’università è uno dei luoghi decisivi.

Negli scritti del periodo fucino Giovanni Battista Montini accenna fugacemente alle correnti di pensiero dominanti nell’università italiana. Egli constata che l’università italiana è dominata dall’idealismo, dallo storicismo, dal positivismo[23]. Non sono dunque «fasci di luce divina» a rischiarare l’insegnamento universitario, ma «un illuminismo pretenzioso, soddisfatto delle proprie positive conquiste e dei propri cerebrali ardimenti, ma meschinamente incapace di sintetizzare nell’assoluto tutta la complessità della vita e della realtà»[24].

Negli scritti di Montini si incontrano giudizi sferzanti sullo stato deplorevole dell’insegnamento universitario insieme ad un’incrollabile fiducia che lo studio possa essere via alla scoperta della verità. Proprio la tensione tra i due elementi rappresenta un carattere tipico della riflessione montiniana. «L’Università intristisce perché manca di vita spirituale»[25].

A questa malattia dello spirito è possibile porre rimedio coltivando l’apertura alla totalità della realtà, intuita col sentimento prima che analizzata con la ragione. Non è casuale al riguardo l’insistenza sul mistero insito nella realtà. Nonostante la censura esercitata dalla cultura dominante nei confronti del mistero, l’università non può essere abbandonata al suo destino, per cercare altrove, nella libera espressione della genialità, una formazione in sintonia con la vita. Questa sembra essere l’opzione implicita nella critica al formalismo e alla ripetitività dominanti nella formazione universitaria contenuta nel Dizionario dell’omo salvatico di Domenico Giuliotti e Giovanni Papini, secondo i quali la vita accademica sarebbe atta più a inaridire che ad alimentare spiriti avidi di trovare nella scienza la vita piena[26].

«Al contrario – afferma Montini – noi crediamo che ogni contatto con la ragione, cioè ogni determinazione scientifica, non che diminuire deve accrescere, per un verso, il senso del limite nel saper umano e quindi del mistero che sta oltre quel limite, e per l’altro il senso della presenza di Dio custode esteriore del limite e del mistero nelle cose, e stimolo interiore a dilatare il primo, a indagare e venerare il secondo. Perché ogni movimento razionale, rispettoso del proprio bisogno di Necessario e di Assoluto, piega tendenzialmente all’adorazione, mentre proprio da ciò è acceso da un nuovo e rinascente stimolo alla ricerca e allo studio e gusta ad ogni passo il presentimento, insuperabile da qualsiasi comprensione filosofica, dell’ineffabile Vero Esistente, posto al vertice d’ogni parziale oggettiva conoscenza umana»[27].

Accanto all’idea di un sapere aperto alla totalità della realtà e che non rimuove la profondità misteriosa del mondo, in Montini si trova lo schema che distingue la conoscenza razionale e la conoscenza credente, l’ambito della natura e quello della soprannatura, tra i quali si deve mantenere la necessaria distinzione e cercare l’armonia. Il paradigma soggiacente è evidentemente quello tipico della teologia del tempo, imperniato sulla distinzione dell’ordine naturale e dell’ordine soprannaturale.

Esso ritorna anche in seguito negli scritti e nei discorsi di Montini, soprattutto quando serve a riconoscere l’autonomia della ricerca scientifica, anche se il tendenziale dualismo che lo caratterizza sembra essere neutralizzato dalla forza unificate della mistica della verità che deve animare la ricerca umana in tutte le sue forme ed espressioni e ne garantisce l’unità nel fondamento. È dunque necessario avere «un profondo rispetto e una sincera fiducia nella scienza, nella ricerca spassionata della verità, perché essa, lungi dall’esaurire l’aspirazione mistica, cioè la nostra sete di vita spirituale, ci benefica di una smisurata aspirazione all’Infinito»[28].

Come nella riflessione sulla condizione dello studente, anche nella definizione del compito dell’università rimane centrale per Montini la questione di come essa possa aiutare gli studenti a raggiungere l’unità spirituale. L’assistente della FUCI discute la risposta che a tale problema ha dato il pensiero idealista, il quale ha effettivamente l’ambizione di dare chiarezza al pensiero, sicurezza all’azione e di assicurare l’unità tra pensiero e azione. Per questa via sembrerebbe garantita anche l’unità spirituale dell’individuo, ma questo fine è perseguito eliminando ogni attenzione al contenuto oggettivo del pensiero e all’intenzionalità dell’azione e riducendo tutto al pensiero. Nella prospettiva idealista dunque «per giungere alla sospirata unità interiore bisogna tutto identificare: l’oggetto col soggetto; le diverse facoltà del soggetto con se stesse, e fare di tutto una cosa sola: lo spirito. Lo spirito risulta così incoronato d’onnipotenza. Questa onnipotenza si chiama l’autonomia assoluta. È la vetta dell’individualismo!»[29]

Il peso di questa autonomia è però insopportabile perché pone il soggetto nella condizione di creare la verità, non di scoprirla come già data. La ricerca universitaria è inseparabilmente legata all’esercizio della critica, che tuttavia corre il rischio di essere assolutizzata e di trasformarsi in atteggiamento distruttore della verità e parassita nei confronti delle forze dell’individuo.

Il criticismo, cioè l’esercizio di una critica in forme esorbitanti e prive di ogni limite, è all’origine – secondo Montini – delle malattie di cui soffre la ragione contemporanea. Dall’eccesso di critica l’intelligenza non viene dilatata, ma piuttosto ristretta e cede al gusto di distruggere tutto quello che di grande è stato realizzato nel passato e ci è consegnato dalla tradizione. «Allora la critica diviene corrosiva e incontentabile; la stroncatura più intrepida diventa regola per classificare tutta l’opera d’un pensatore, ed infallibile pugno nell’occhio per richiamare l’attenzione del pubblico»[30].

La conseguenza è l’atteggiamento di chi sciupa e deride tutto ciò che è grande e meriterebbe invece venerazione. Il criticismo può portare anche a un esercizio sterile dell’intelligenza, che perde ogni contatto con la realtà e con quanto di essa si è conosciuto e identifica il mondo con il proprio pensiero[31].

All’eccesso di critica è legata anche la rottura del legame con il passato. Montini osserva che la cultura contemporanea si caratterizza per un rifiuto della tradizione, dalla quale ci si vuole svincolare in tutti i modi, e al tempo stesso, siccome non è possibile per ogni individuo costruire qualcosa di originale, ci si dedica alla raccolta delle diverse opinioni, evitando la questione della verità[32].

Al contrario, un semplice atto come la frequentazione delle biblioteche è il simbolo eloquente del legame con la tradizione e della possibilità di comunicare con la storia del pensiero, così che attraverso i libri i «geni sommi dell’umanità si fanno amici quotidiani, discreti, pazienti dell’ultimo studente»[33].

Per quale ragione l’esercizio della critica può diventare causa di una malattia dello spirito?  Per Montini la ragione sta nel «fatto molto complesso per cui si è scambiato il metodo con il fine del metodo; la critica cioè con la verità; il movimento discorsivo e indagatore del pensiero con l’intelligenza statica, ma feconda, del vero. La critica, ed in genere l’esercizio del pensiero, non possono esser fine a se stessi: ma suppongono un qualche punto di partenza e un qualche punto di arrivo. Suppongono qualche cosa da difendere o da conquistare»[34].

Solo questo riferimento a una verità che si può conoscere rende possibile anche il superamento dell’individualismo che caratterizza il pensiero moderno e l’approdo alla possibilità di un’autentica comunità tra gli esseri umani. Contro l’assolutizzazione moderna e protestante dell’individualità e della soggettività, Montini difende la necessità di far convergere i soggetti nell’unica verità, riconosciuta insieme. «Tocca a noi fare dell’intelligenza un mezzo di unità sociale; tocca a noi rendere la verità tramite della comunione fra gli uomini; tocca a noi diffondere “l’unità di pensiero”»[35].

LA FEDE, LA CULTURA

La convinzione che la conoscenza credente della verità rivelata appartiene alla formazione integrale della persona porta, da una parte, ad affermare il principio che essa dovrebbe trovare spazio come oggetto di studio all’interno dell’università. D’altra parte, realisticamente, Montini riconosce che l’università si comprende come luogo «laico» di ricerca e, a partire da tale presupposto, ha bandito lo studio teologico della religione cristiana, conservando semplicemente qualche insegnamento di carattere storico. Il giudizio sull’abolizione delle facoltà di teologia nell’università italiana, deciso nel 1873, dopo il raggiungimento dell’unità d’Italia, è rivelatore di questo duplice punto di vista.

«L’abolizione delle cattedre di teologia, avvenuta dopo il Settanta, tutto sommato, fu certamente un bene, dal momento che un simile insegnamento, squisitamente delicato, in mano ad uno Stato liberale e massonico, e sottratto da un controllo autorizzato e da una direttiva ortodossa, avrebbe dato in breve cattedre di eresia, vale a dire di corrosione del patrimonio religioso e, in definitiva, di negazione. Ma sta il fatto che è mancata così all’Italia tutta una corrente di studi, che negli altri paesi civili assumeva in questi ultimi decenni proporzioni immense, e talmente significative (... le idee religiose sono in fondo quelle che più d’ogni altro differenziano un popolo, una razza dall’altra) da assurgere ad esponente del pensiero nazionale…»[36].

L’abolizione dell’insegnamento della teologia nell’università di Stato in Italia è stato un bene perché, secondo Montini, ha dissipato l’equivoco di un insegnamento che avrebbe continuato a denominarsi teologico, anche in assenza di un chiaro riferimento ecclesiale e confessionale. D’altra parte, il prezzo pagato per questa esclusione è stato alto perché «ha fatto esulare dalla Scuola italiana quello che c’era, indiscutibilmente, di più italiano, il cattolicismo, e [...] l’ha confortata a restringere le sue aspirazioni spirituali ai problemi immediati del sapere borghese»[37].

Il tema è al centro del discorso pronunciato a Torino da Giovanni Battista Montini l’1 settembre 1959 al Congresso della FUCI [38]. L’arcivescovo di Milano richiama il fatto che la religione è scomparsa dall’università italiana come materia di insegnamento. Citando John Henry Newman, egli osserva che ciò contraddice l’ambizione alla totalità del sapere che è inscritta nel nome universitas.

«L’Università nostra si professa indifferente, agnostica, piuttosto contraria, se volete, per dirsi libera e neutra: i problemi religiosi non esistono per essa; o esistono per farne una classifica estrinseca e tutt’altro che positiva»[39].

Rimane in Montini profondo il rispetto per lo «spirito» della ricerca universitaria e per l’esercizio della critica che tale ricerca richiede. Tale spirito critico è richiesto anche agli studenti nel non allinearsi in modo passivo a quanto viene insegnato, ma a giudicarne la verità, così che lo studio universitario possa essere una vera scuola di libertà del pensiero[40].

La libertà del pensiero deve essere fatta valere in particolare contro la pretesa totalitaria di un metodo scientifico che non si limita a dichiararsi incompetente riguardo alle questioni fondamentali di carattere filosofico e religioso, ma ne dichiara l’insensatezza[41].

Persino il dramma contemporaneo dell’ateismo può avere un significato positivo in quanto stimolo a purificare il concetto di Dio e a riconoscerne in modo più appropriato la trascendenza[42]. Ma quando la ricerca scientifica e lo studio universitario si chiudono in modo pregiudiziale nei confronti dell’esperienza religiosa è la stessa qualità scientifica della ricerca e della formazione che ne risulta impoverita.

Al contrario, dove l’esperienza credente entra in contatto con l’istituzione universitaria l’una non mortifica l’altra né si ignorano reciprocamente al fine di assicurarsi una pacifica convivenza. «Si direbbe anzi che una profonda simpatia avvicini questi due aspetti della vita, la religione ed il pensiero, la preghiera e lo studio, il culto di Dio e l’ammirazione del mondo, la teologia e la scienza, la razionalità della fede e la razionalità dello scibile umano»[43].

Il contributo che la religione porta alla ricerca scientifica è prima di tutto la fiducia,

«la fiducia cioè nella possibilità, sia soggettiva che oggettiva, del sapere, di quel sapere, che sarà sempre suscettibile di sviluppi e di progressi e avrà sempre perciò un aspetto problematico, ma che in ogni grado della sua onesta formulazione dà la certezza, dà il gusto della verità (gaudium de veritate)»[44].

La religione favorisce in particolare la fiducia nell’universalità e nell’unità del sapere, che un sistema universitario sempre più specializzato rischia di perdere completamente di vista. Il ricercatore e lo studente che si immergono nello studio sempre più specializzato traggono perciò beneficio dall’esperienza religiosa che

«tiene aperto e disteso il cielo della realtà totale, dell’ordine complesso e gerarchico delle varie discipline, dei principii filosofici assoluti e universali, della possibile collaborazione delle varie fonti di studio [...], e indirizza l’enciclopedia dello scibile umano a quell’armonia, a quell’intrinseca simpatia delle sue parti, a quella maestosa bellezza d’insieme, che i maestri medioevali designavano con una parola scolastica di superbo valore, la Summa, e che dava alla “Università degli Studi” nome non vano, pretesa non folle di far convergere il sapere, quanto più vasto e ramificato e profondo esso fosse, verso una superiore, celestiale unità»[45].

L’UNIVERSITÀ CATTOLICA

La laicità dell’istituzione accademica è riconosciuta da Montini come dato di fatto, frutto dello sviluppo moderno della filosofia e delle scienze e della perdita di un orizzonte unificante del sapere, garantito dalla teologia. Non mancano accenni di apprezzamento per la libertà della ricerca e per l’autonomia metodologica rivendicata dalle diverse discipline, ma nelle valutazioni di Montini si trova in primo piano soprattutto la preoccupazione che la censura decretata nei confronti dell’esperienza religiosa e della forma cattolica che essa ha assunto in Italia si traduca in un impoverimento della cultura e della formazione universitaria.

La riflessione sull’Università Cattolica del Sacro Cuore induce Montini ad affrontare la questione da un punto di vista differente. L’iniziativa di padre Gemelli è chiaramente espressione della volontà dei cattolici italiani di essere presenti nell’ambito della formazione universitaria e si basa sulla convinzione della fecondità della fede cristiana come fattore che promuove la conoscenza scientifica e la formazione integrale della persona. Se nell’Università Cattolica Montini vede realizzata istituzionalmente l’esigenza di composizione armonica tra fede e formazione universitaria, egli insiste sul rispetto che la Chiesa riconosce alla ricerca scientifica e sull’autonomia di cui essa deve godere anche in un’istituzione che si richiama ai principi cattolici. Gli accenni all’Università Cattolica presenti negli scritti di Montini assistente della FUCI rivelano anzitutto una convinta partecipazione al movimento dei cattolici italiani per la realizzazione della propria università. È stato un movimento di popolo quello che ha portato alla costituzione della Cattolica ed è il popolo cattolico che, sostenendo l’Università Cattolica, testimonia di sentirla propria[46].

E nel messaggio per la giornata dell’Università Cattolica del 1958 l’arcivescovo Montini ribadisce che l’ateneo è stato «opera di un Uomo di eccezionale vigore» e al tempo stesso nel suo sviluppo progressivo è diventata «un’affermazione collettiva di quanti hanno avvertito come essa costituisca la conclusione d’un lungo periodo di ascesa della vita cattolica nel mondo moderno, il simbolo e la fonte della maturità della cultura cattolica in Italia»[47].

Non mancano differenze tra Montini e Gemelli nel modo d’intendere l’impegno dei cattolici italiani nel campo della cultura e nell’atteggiamento da tenere nei confronti del pensiero moderno. L’impronta data da Montini all’attività svolta dalla FUCI in mezzo agli studenti universitari mostra come egli, di fatto, non sia disposto ad accettare la pretesa di monopolio che l’Università Cattolica tendeva ad attribuirsi in quanto espressione del cattolicesimo italiano nel mondo della cultura[48].

D’altra parte, Montini è sinceramente convinto della necessità di questa presenza cattolica e riconosce in padre Gemelli il determinato realizzatore di un progetto nato all’interno del movimento cattolico al quale, anche per ragioni familiari, si sentiva strettamente legato. Montini e Gemelli non possono dunque essere considerati come esponenti di «due schieramenti opposti della cattolicità italiana, l’un contro l’altro armati»[49].

Dopo una certa distanza iniziale, tra Montini e Gemelli, ai tempi dell’attività del primo come assistente della FUCI, si registra anzi con il passare degli anni un progressivo avvicinamento, così che il Sostituto Montini diviene un convinto sostenitore dell’Università Cattolica proprio nella delicata fase che si apre con la fine del pontificato di Pio XI, quando l’atteggiamento della Curia romana verso l’ateneo milanese si era fatto più distaccato[50].

Gli interventi di Montini durante l’episcopato milanese confermano la stima dell’arcivescovo per l’opera e la persona di padre Gemelli e lo additano come l’interprete e il realizzatore di un’aspirazione condivisa dai cattolici italiani. Nel discorso per le esequie di padre Gemelli, Montini ricorda la grandezza della sua figura e la sua personale scoperta di tale grandezza. «Lo abbiamo temuto, sì, ed ammirato, prima di conoscerlo da vicino; poi, quando ci fu maestro e padre, quando lo ascoltammo e lo capimmo, quando lo vedemmo volere, creare, perseverare, soffrire, amare, lo amammo»[51].

E la stessa conversione di padre Gemelli è letta come esemplare del dramma dell’epoca contemporanea, alla ricerca della conciliazione tra la fede, la cultura e la scienza. «Dramma suo, dramma nostro; vissuto il suo in solitaria ed esemplare grandezza, confortò in mille di noi la fiducia nello studio, la ricerca della verità, la gioia della certezza, il dovere della testimonianza. Ancor più che per le dottrine, dopo la crisi rigeneratrice da lui elaborate, Padre Gemelli ci fu maestro per questa iniziale potente affermazione della capacità del pensiero cattolico a venire non solo in lotta, ma in sintesi con la cultura moderna»[52].

Non la riproposizione dell’eredità medievale è dunque il messaggio che l’arcivescovo di Milano raccoglie dalla vita del fondatore dell’Università Cattolica, ma la fiducia nella possibilità di una sintesi tra pensiero cristiano e cultura moderna. In questa prospettiva, l’Università Cattolica è considerata dall’arcivescovo Montini strumento irrinunciabile per una presenza della Chiesa e dei cristiani nella società. È infatti la maturazione di orientamenti culturali validi e la capacità di creare consenso attorno ad essi che può incidere anche nell’ambito concreto della vita sociale.

Nel messaggio per la Giornata per l’Università Cattolica del 1958 Montini afferma perentoriamente che viviamo un tempo nel quale «le battaglie diventano ideologiche». «Si afferma e trionfa il movimento che trae, con più diretta ed operante evidenza, la sua energia da determinate dottrine. Ogni fatto, che non abbia una sua studiata e popolare giustificazione scientifica, subito decade, si evolve e scompare. Per costruire occorre pensare. Per pensare occorre un’organizzazione scolastica ad alto livello: occorre l’Università. Le sue funzioni scientifiche, dottrinali, pedagogiche, pubblicitarie sono di capitale importanza nella vita moderna. E tanto più lo sono per la vita cattolica, che fonda sui valori spirituali, la sua consistenza, e che, enormemente ricca della eredità dottrinale, che le viene dalla Rivelazione e dalla sua secolare meditazione, ha il meraviglioso potere e l’impellente dovere di rimettersi a contatto con la cultura profana, per trarne innumerevoli motivi di studio e di progresso, e per infondervi luce di verità e armonia d’unità»[53].

Nata dalle aspirazioni dei cattolici italiani, l’Università Cattolica è luogo per eccellenza nel quale la fede può esprimere la sua fecondità culturale e cerca di incidere positivamente nella vita della società. Nel primo incontro con l’Università Cattolica da arcivescovo di Milano, Montini porta con sé le convinzioni circa il ruolo pubblico dell’ateneo fondato da padre Gemelli maturate nei decenni precedenti e che saranno ribadite nel corso dell’episcopato, ma l’accento delle considerazioni proposte cade piuttosto sul rispetto da parte della Chiesa per l’attività che si svolge all’interno dell’università. Montini sottolinea che l’incontro con l’Università Cattolica avviene sulle soglie delle aule in cui si svolge l’attività didattica. E questo fermarsi del pastore della Chiesa ambrosiana sulle soglie intende significare il rispetto per la libertà del pensiero e l’autonomia della ricerca scientifica, che non sono una concessione, ma un fondamentale dovere di onestà richiesto a chiunque cerchi la verità. Il significato dell’incontro è illustrato con l’immagine dello scambio delle lampade tra chi è portatore della luce della fede e chi coltiva la scienza.

«La mia verità si ferma alle soglie: e che cosa avviene? Direi un rito, su queste soglie: ci scambiamo la lampada; io do a voi la lampada della mia fede, della mia dottrina che vi rischiarerà al di fuori della cerchia dei vostri studî tutti quei perimetri chiusi e tenebrosi che non avreste saputo da voi esplorare [...]. E voi mi date la vostra lampada che mi sarà cara, che mi sarà preziosa anche per il mio magistero e per il mio studio e il mio insegnamento e cioè mi insegnerà la scienza della parola, mi insegnerà ad approfondire quegli arcani accenti venuti da Dio e a tradurli in elementi e in alfabeto umano»[54].

Il tema dell’unità del sapere rimane qui sullo sfondo, mentre in primo piano si trova il riconoscimento dell’autonomia che la fede cristiana può e deve riconoscere alla ricerca scientifica della verità. La ragione di questa accentuazione è da vedere probabilmente nel fatto che un’università promossa dalla Chiesa è più facilmente esposta al rischio di essere vista come non totalmente libera nel perseguimento dei fini scientifici che le sono propri.

L’accento sull’autonomia della ricerca in ambito universitario trova conferma anche nell’intervento del cardinal Montini in occasione dell’inaugurazione della Facoltà di medicina dell’Università Cattolica a Roma, il 5 novembre 1961. La nuova facoltà non ha alcuna ambizione di superiorità rispetto alle altre che operano nel medesimo campo e la sua appartenenza a un’istituzione cattolica non la rende diversa dalle altre nel lavoro scientifico e nella ricerca dei migliori metodi di insegnamento perché «questa intrinseca radice, che fa cattolica questa scuola, [...] non le impone [...] altro programma, se non la verità. La verità è una sola, la scienza è uguale per ogni studioso, la medicina, in quanto disciplina sperimentale, è la medesima per tutti»[55].

D’altra parte l’arcivescovo di Milano è convinto che dall’identità dell’Università Cattolica discenda un carattere specifico della ricerca e della formazione. Lo studio della medicina è infatti parte di una «scienza dell’uomo» che ha ampiezza ben maggiore e le cui dimensioni ulteriori non devono essere ignorate. «Solidali con tutti quegli altri campi del sapere che studiano la vita umana sotto i suoi molteplici e misteriosi aspetti, gli Alunni di questa scuola saranno chiamati dalla loro fede religiosa alla scienza totale dell’uomo, alla sintesi, alla summa, che appunto la sapienza cristiana promuove e pronuncia su la vita, e vedranno non alterata, ma più e più illuminata di superiori e sublimi riflessi quella visione dell’uomo a cui la medicina li impegna. Riflessi che non restringono e mutano, dicevo, tale visione, ma la integrano e la sublimano»[56].

In termini più generali, Montini è convinto che uno studio onesto e una ricerca senza pregiudizi siano aperti a cogliere la trascendenza. Se dunque c’è una distinzione metodologica da mantenere e la ricerca scientifica non deve essere inquinata da condizionamenti ideologici, questa non deve neppure chiudersi all’orizzonte ulteriore che si apre al di là del campo delimitato dall’applicazione di un determinato metodo di indagine.

Questo pensiero è formulato fin dal primo incontro ufficiale dell’arcivescovo di Milano con l’Università Cattolica ed è da vedere come contrappunto al rispetto per l’autonomia accademica manifestato dal pastore con l’atto di fermarsi sulla soglia delle aule. Con un’implicita allusione all’accusa di «oscurantismo» spesso rivolta alla Chiesa, Montini sottolinea che essa, al contrario, apprezza il pensiero onesto e, proprio per questo, capace di conoscere la realtà e aperto alla trascendenza.

«Questa luce nella quale conosciamo, mediante la quale siamo capaci di intelligere, di capire, cioè di appropriarci l’essere che è al di fuori di noi, questa luce ci conduce alle soglie e sulla scala di Dio. E chi sa salire, voglio dire chi sa studiare, chi ha l’onestà di pensiero, chi ha il silenzio che il pensiero reclama, chi ha la generosità che il pensiero reclama (io non vado cercando me stesso, ma vado cercando la verità, vado cercando quello che è, non quello che sono), chi ha questa onestà e questa forza, arriva certamente ai confini del pensiero e si trova in ginocchio adorando, si trova in preghiera»[57].

La morte di padre Gemelli nel 1959 segna per l’Università Cattolica il passaggio dalla fase della fondazione, dominata dalla personalità del suo primo rettore, alla fase dell’assestamento istituzionale, che porta con sé inevitabilmente trasformazioni e interrogativi circa il futuro e l’identità dell’ateneo. Giovanni Battista Montini ha accompagnato questo delicato passaggio negli ultimi anni del suo episcopato milanese e durante il pontificato[58].

Rivolgendosi al Comitato permanente dell’Istituto Toniolo nel 1962 egli ricorda il duplice fine che l’Università Cattolica, secondo il suo statuto, è chiamata a perseguire: lo sviluppo della scienza e della cultura superiore secondo un indirizzo cristiano e la preparazione di professionisti formati culturalmente e cristianamente. La conciliazione delle due finalità non è facile e anche l’Università Cattolica si trova di fronte alle trasformazioni che investono l’università in generale. L’arcivescovo di Milano constata anche che il considerevole incremento del numero degli studenti negli ultimi due decenni ha assorbito quasi del tutto le energie, anche a scapito dell’incidenza culturale dell’ateneo.

«Forse – conclude Montini – è necessario che ora abbiamo a curare maggiormente anche l’altro aspetto, particolarmente in alcuni settori più vitali della cultura (filosofia, ad esempio), perché l’Università abbia a riprendere quell’influsso culturale che ha esercitato con tanto frutto in Italia nei decenni antecedenti la guerra. [...] Lo spirito che deve tutti animare, che deve animare gli organi direttivi dell’Università, che dobbiamo infondere anche nel Corpo Docente e negli stessi studenti, è uno spirito di servizio e di concordia. Chi lavora nell’Università Cattolica, lavora per la scienza e la cultura, e insieme lavora per la Chiesa: è titolo di grandezza, ma è pure titolo impegnativo»[59].

L’esortazione dell’arcivescovo riflette evidentemente la percezione di una minore influenza dell’Università Cattolica nel dibattito culturale italiano e l’emergere di tensioni e divergenze al suo interno, anche in conseguenza del venir meno delle figure dei fondatori Gemelli e Olgiati.

I medesimi temi ritornano anche nei discorsi rivolti da Paolo VI a diverse componenti dell’Università Cattolica negli incontri successivi alla sua elezione alla Sede romana. Egli insiste sulla necessità di cercare instancabilmente la sintesi tra ragione e fede[60], invita a mantenere ferma l’identità cattolica[61], si compiace per lo sforzo con cui l’ateneo cerca di rispondere alle nuove questioni, ispirandosi all’insegnamento del Vaticano II[62].

Un tono particolarmente preoccupato assume la parola di Paolo VI all’Angelus del 19 marzo 1972, nella ricorrenza della Giornata per l’Università Cattolica che si celebra in un contesto segnato, oltre che da difficoltà finanziarie, anche da un certo isolamento dell’ateneo milanese all’interno del mondo cattolico italiano. «Oggi abbiamo una preghiera da farvi: salvate l’Università Cattolica. Negli anni scorsi, in occasione della Giornata, che le è dedicata, facendo nostra la causa di questa istituzione, dicevamo anche noi con quanti la promuovono: aiutate l’Università Cattolica, oggi diciamo: salvatela. Perché la sua esistenza è in pericolo. Le esigenze per la vita d’una vera e moderna Università libera sono tali che richiedono mezzi d’ogni genere, ma ora specialmente finanziari, la cui misura eccede ogni ordinaria amministrazione. Succede presso a poco così anche in altri Paesi. Per superare la crisi presente occorre uno sforzo straordinario»[63].

Non è però solo questione di reperire i mezzi che permettano all’Università Cattolica di vivere e di superare una situazione difficile. Questi sono funzionali alla possibilità di continuare quella storia che ha visto i cattolici impegnati nella promozione del loro ateneo: «D’altronde questo faro della cultura cattolica in Italia non deve spegnersi. Quanto si è faticato per accenderlo! La storia più che cinquantenaria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore è stata scritta da personalità così buone, così nobili e grandi, e con tanti sacrifici e con tali benefici risultati per il pensiero e per la vita della Nazione e della Chiesa, che non deve ora esaurirsi in una languida sopravvivenza, o in una impotente rinuncia alla missione che le è propria, e che, possiamo dire, è stata intuita e sostenuta generosamente da tutto un Popolo in via di risveglio e di progresso. L’Università Cattolica è necessaria, affinché i tesori della tradizione umanistica, intellettuale, scientifica e pedagogica cattolica non restino sepolti in un inammissibile letargo, ma possano dimostrare ancora oggi la loro inesauribile vitalità; possano favorire quella sintesi fra il pensiero cristiano e quello profano, sulla quale sintesi si fonda la nostra civiltà; e possano contribuire all’incremento della cultura moderna, la quale costituisce uno dei massimi doveri del nostro tempo»[64].

PAOLO VI E L’UNIVERSITÀ

L’elezione pontificia di Giovanni Battista Montini, insieme alla dilatazione della responsabilità ecclesiale, porta con sé anche un ampliamento dell’orizzonte in cui ha considerato il tema dell’università. Le indicazioni che egli offre al riguardo sono in continuità con la riflessione maturata nei decenni precedenti e attingono all’insegnamento del Vaticano II sulla missione della Chiesa e sull’impegno al quale essa è chiamata in campo educativo.

L’attenzione di Paolo VI durante il pontificato si rivolge in particolare al significato e alla missione delle università ecclesiastiche, delle università cattoliche e dell’università in generale. Non è necessario illustrare qui in dettaglio la riflessione di Paolo VI sulle università ecclesiastiche e sulle facoltà di teologia operanti al loro interno. Basterà richiamare i temi proposti in occasione dell’incontro con alcune istituzioni accademiche romane, che denotano una precisa conoscenza delle problematiche specifiche di ciascuna di esse.

All’Università Lateranense, i cui professori nel corso degli anni ’50 erano stati protagonisti di aspre polemiche nei confronti di professori di altre università romane, in particolare dei professori del Pontificio Istituto Biblico, Paolo VI rivolge l’invito a collaborare con le altre istituzioni accademiche e ad evitare le polemiche[65]. Ai Gesuiti dell’Università Gregoriana ricorda il dovere di fedeltà e obbedienza al magistero della Chiesa[66]. Ai Salesiani, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede del loro ateneo, richiama la tradizione pedagogica di cui sono eredi e ricorda che le strutture sono solo strumento a servizio dell’opera educativa[67]. Agli Agostiniani dell’Istituto Patristico Augustinianum, infine, ricorda l’importanza dello studio della tradizione patristica per il rinnovamento teologico ed ecclesiale promosso dal Vaticano II[68].

Nel corso del pontificato Paolo VI ha incontrato in più occasioni i rappresentanti delle università cattoliche. Nei suoi discorsi egli ribadisce che il carattere confessionale di queste università non toglie nulla al valore scientifico degli studi condotti, ma è un aiuto all’opera educativa, che deve vedere uniti docenti e studenti nella comune ricerca della verità. Nel modo in cui conduce la ricerca, l’Università Cattolica deve perciò «manifestare anzitutto l’omaggio che la Chiesa intende testimoniare alla cultura, attraverso uno studio e un insegnamento leali, che si sforzano di cogliere il vero, il bene, il bello, a qualsiasi livello scientifico, letterario, artistico o filosofico, con il metodo proprio che conviene e senza lasciarsi fuorviare da sistemi a priori che ipotecano l’analisi e la sintesi autentiche di cui gli uomini hanno tanto bisogno»[69].

Una ricerca condotta in questo modo è di stimolo per il credente, che scopre le tracce della sapienza divina disseminate nel cosmo e cerca una sintesi armoniosa tra verità naturale e verità rivelata[70].

Attraverso l’opera delle università cattoliche, sottolinea Paolo VI, si realizza la volontà della Chiesa di entrare in dialogo con il mondo, dichiarata solennemente dalla Costituzione pastorale Gaudium et spes, nella consapevolezza di avere un contributo da dare e, insieme, qualcosa da imparare.

Esse perseguono in particolare il fine di aiutare il mondo contemporaneo a «risolvere le antinomie di fronte alle quali il progresso culturale si trova oggi in modo drammatico: come promuovere il dinamismo e l’espansione della cultura senza mettere in pericolo la sapienza ancestrale dei popoli, come salvaguardare, malgrado la frammentazione delle diverse discipline, la necessaria sintesi, come riconoscere la legittima autonomia della cultura, evitando al tempo stesso il pericolo di un umanesimo puramente terrestre, che diventerebbe presto disumano?»[71].

Queste considerazioni, in sintonia con l’enciclica Populorum progressio, insistono sulla coltivazione della cultura come elemento irrinunciabile della promozione integrale della persona e dei popoli. In particolare, l’invito a cercare una conciliazione tra il progresso scientifico e la tradizione culturale dei popoli lascia trasparire la chiara consapevolezza che le nazioni del sud del mondo si affacciano sulla scena mondiale e fanno sentire la propria voce, avanzando la richiesta legittima che l’Occidente abbandoni la via della colonizzazione culturale.

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 gli interventi di Paolo VI rivolgono l’attenzione anche ai movimenti di contestazione che, sorti all’interno delle università, hanno attraversato il mondo occidentale. Di fronte a questi fenomeni, il papa conferma l’attitudine maturata negli anni giovanili nei confronti delle correnti della cultura contemporanea: il giudizio critico non può essere disgiunto dallo sforzo di capire.

La via del discernimento è indicata da Paolo VI nel 1969 ai partecipanti al Congresso dei delegati delle università cattoliche. «In mezzo alle agitazioni che si sviluppano con violenza e asprezza, raccogliete il loro grido, ascoltate quello che c’è di vero nel loro appello, rispondete alle loro giuste istanze. Con coraggio e lucidità, accettate le messe in questione necessarie. Con saggezza e misura, operate i discernimenti indispensabili. Con audacia e fermezza, aprite le vie del futuro. A tutti sappiate insegnare, con la vostra vita come col vostro insegnamento, come e perché si vive, in una fede ardente, una speranza inconfondibile e un’ardente carità»[72].

Come pastore della Chiesa romana Paolo VI ha incontrato anche l’università di Roma. In occasione della visita del 14 marzo 1964 alla Sapienza egli ritorna sul tema già ripetutamente incontrato dell’università come luogo nel quale è possibile la ricerca di una sintesi armonica di fede e ragione. Al tempo stesso si sofferma sulla condizione di chi non è giunto alla fede, ma si impegna con onestà nella ricerca della verità.

Più che la laicità dell’istituzione accademica e l’esclusione metodologica della fede nell’ambito della ricerca, al centro dell’interesse di Paolo VI si trova la condizione personale di chi cerca la verità attraverso le vie della scienza, ma non è approdato alla scoperta della verità della rivelazione. Si direbbe anzi, osserva Paolo VI, che la permanenza nel dubbio sia atteggiamento tipico della vita universitaria, come se il dubbio fosse la condizione necessaria per continuare la ricerca. A chi si trova in tale condizione Paolo VI esprime anzitutto pieno rispetto e rivolge insieme l’invito a portare fino in fondo il loro dubbio. Quando infatti il dubbio non è atteggiamento pigro e convenzionale, ma è assunto con assoluta serietà, proprio nel rifiuto di accettare surrogati della verità, si manifesta la sua relazione con la verità e può essere inteso come attesa, non si sa quanto prolungata, della sua rivelazione.

«Carissimi, non temete, prolungate sino al convincimento la vostra vigilia, ma siate onesti, sempre. Se così sarà, non vi terrete paghi di uno stato di languida pigrizia, ma spingerete il vostro dubbio sino alle estreme conseguenze. I grandi maestri vi aiutano con quanto hanno esperimentato e detto: e, un giorno, anche le vostre esitazioni saranno benedette. “Rampolla a pie’ del dubbio il vero”: la stessa ricerca non è che un dubbio sistematico. Pascal esclama: “Non mi cercheresti, se già non mi avessi trovato”. Cosi la ricerca è già implicita conquista, e la verità conseguita appare di eccezionale valore. Siete nell’attesa, dunque, nella speranza. C’è, forse già al prossimo crocicchio, Uno che vi aspetta. È il Signore: e il suo giorno può essere vicino, imminente»[73].

Volendo raccogliere in sintesi il senso complessivo della riflessione di Giovanni Battista Montini sull’università, si possono ricordare due espressioni che ricorrono nei suoi scritti e discorsi. In un messaggio indirizzato a padre Gemelli il 15 febbraio 1959, in occasione della Giornata per l’Università Cattolica, Montini parla dell’università come espressione di «carità intellettuale, che può stare sul piano della carità missionaria, perché appunto è rivolta alla illuminazione ed alla salvezza degli spiriti umani»[74].

Il 10 febbraio 1964, incontrando i dirigenti e o soci dell’Editrice Studium, Paolo VI afferma che l’idea originaria da cui è nata l’Editrice è stata quella di «fare della cultura cattolica un principio di coesione, di comunione di idee, di amicizia spirituale, di collaborazione intellettuale»[75].

L’università come espressione di carità intellettuale e come luogo di amicizia spirituale possono valere come assi portanti della riflessione montiniana sull’identità e sulla missione dell’università. Essa incarna istituzionalmente questi valori in quanto offre una risposta qualificata al bisogno di sapere della comunità umana e si pone a servizio della formazione delle nuove generazioni. E al suo interno la ricerca e la formazione non sono impresa solitaria, ma presuppongono e richiedono la cooperazione di tutti i protagonisti coinvolti in un progetto comune.

Le espressioni carità intellettuale e amicizia spirituale alludono però anche a elementi che non sono riducibili alle attività, alle procedure, agli ordinamenti che formano l’istituzione universitaria, e che tuttavia sono essenziali per lo sviluppo di quella che Giovanni Battista Montini chiamava la «vita spirituale» dell’università, da cui dipende in larga misura la sua fecondità culturale.

Note al testo

[1] Cfr Discorso al XVI Congresso internazionale degli Studenti di Scienze economiche e commerciali [9 marzo 1964], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. II: 1964, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1965, pp. 166-167. Cfr. anche Discorso nella visita all’Università di Roma [14 marzo 1964], ivi, p. 1094.

[2] Cfr. E. GIAMMANCHERI, La «dimensione culturale» del pontificato di Paolo VI. Questioni di metodo, in A. CAPRIOLI-L. VACCARO (edd.), Paolo VI e la cultura, Morcelliana, Brescia 1983, pp. 17-33.

[3] Clero e universitari (1930), in G.B. MONTINI, Scritti fucini (1925-1933), a cura di M. Marcocchi, Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, Brescia-Roma 2004, p. 384.

[4] Ibidem. «Essa [la FUCI] ha cominciato a realizzare un grande fatto incontestabile: il desiderio, il proposito, l’aspirazione, la promessa. Ha realizzato un grande fatto spirituale: la coscienza cattolica nella vita studentesca. Ha risvegliato i bisogni e i disagi, che altri hanno con sapienza e con audacia cercato di colmare con la fondazione dell’Università Cattolica, ma che ancora e sempre reclamano nuove e svariate provvidenze» (Apologia breve [1927], ivi, p. 139).

[5] G. COLOMBO, Il senso cristiano della cultura in Paolo VI, in A. CAPRIOLI-L. VACCARO (edd.), Paolo VI e la cultura, cit., p. 125.

[6] Sul contesto in cui Montini ha svolto la sua attività tra gli studenti universitari cfr. G. ANICHINI, Cinquant’anni di vita della FUCI, Studium, Roma 1947, pp. 93-146; G. MARCUCCI FANELLO, Storia della F.U.C.I., Studium, Roma 1971, pp. 117-154; N. ANTONETTI, La Fuci di Igino Righetti: lettere ad Angela Gotelli, in Chiesa, Azione Cattolica e fascismo nell’Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922-1939). Atti del quinto Convegno di Storia della Chiesa, Torreglia 25-27 marzo 1977, a cura di P. Pecorari, Vita e Pensiero, Milano 1979, pp. 1061-1091; B. BERTOLI, I circoli della Fuci in Italia settentrionale di fronte al fascismo nel 1924-1925, ivi, pp. 1092-1111; M.C. GIUNTELLA, Circoli universitari cattolici e ambiente universitario nell’Italia settentrionale, ivi, pp. 1112-1132; G. AMBROSETTI, Amore dell’università e riflessione politica nella Fuci durante il pontificato di Pio XI, ivi, pp. 1133-1143. G.B. SCAGLIA, La stagione montiniana. Figure e momenti, Studium, Roma 1993; F. MALGERI, 100 anni di vita, in FUCI: coscienza universitaria, fatica del pensare, intelligenza della fede. Una ricerca lunga 100 anni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, pp. 15-46.

[7] Le citazioni da Coscienza universitaria sono tratte dalla seconda edizione: G.B. MONTINI, Coscienza universitaria. Note per gli studenti, a cura di G. Tonini, Edizioni Studium, Roma 1982, p. 23. Cfr. A. RIGOBELLO, Fede, ricerca e «coscienza universitaria», in «Studium», 78 (1982), pp. 297-299.

[8] G.B. MONTINI, Coscienza universitaria…, cit., p. 25. Un’eco del linguaggio della tradizione romantica si avverte anche nella descrizione dei rapporti tra l’università e la vita. «La scuola è sempre in ritardo su la vita, perché la scuola ha il grande compito di assimilare, digerire, diffondere le idee e le cose che la vita ha creato: ma in ritardo non dovrebbe essere la scuola alta, a immediato contatto con le supreme manifestazioni del mondo presente, e specialmente dovrebbe essere all’avanguardia nel campo suo proprio, la formazione delle coscienze delle classi intellettuali, e le discussioni delle idee prime del vivere e dell’operare. Ma invece lo è in ritardo; il mondo le sfugge, e non s’accorge che a stento che fuori, dove germoglia il pensiero genuino, è dovunque un richiamo ad un principio, lontano o storto forse, ma religioso» (Per la vita spirituale dell’Università [1929], in G.B. MONTINI, Scritti fucini…, cit., pp. 317-318).

[9] «L’indirizzo e il contenuto stesso dell’insegnamento sembrano smentire l’entusiasmo mistico dello studente per dargli, col pretesto di francarlo da ogni illusione, inesauribili fonti di dubbio. Il dubbio è l’unico mistero a cui si crede ancora nell’Università» (G.B. MONTINI, Coscienza universitaria…, cit., p. 27).

[10] «V’è chi non vede che rovine. Le affettuose cure dell’educazione domestica, e le complicate dissertazioni pedagogiche dei primi insegnanti, sono spazzate via, come bei fiorellini dal maestrale. Oh! le beate illusioni di tanti saggi che crescono i giovani deboli per averli docili, come sarebbero tristemente dissipate da questa indiavolata esperienza, solo che si volesse guardarla tal quale, nella violenta e quasi inevitabile esplosione!» (ivi, p. 44).

[11] Ivi, p. 31

[12] Ivi, p. 34.

[13] Ivi, pp. 39-40. Cfr. V. BRANCA, Cultura come preghiera in una «Direttiva» spirituale di Paolo VI, in A. CAPRIOLI-L. VACCARO (edd.), Paolo VI e la cultura, cit., pp. 93-101.

[14] G.B. Montini è convinto che la formazione alla professione non sia il solo fine dell’università, ma è altrettanto convinto che questo fine non debba affatto essere disprezzato: «Gli studenti hanno pur bisogno di essere avviati ad una professione: andiamo adagio a svalutare questa finalità della Scuola Universitaria, perché potrebbe proprio esser a questo modo che, invece di rimediare al lamentato distacco dell’Università dalla vita vissuta, lo si accentuasse fino al punto di farne un’accademia di placidi, artificiosi e rari autocontemplatori» (Discorso con i Professori [1928], in G.B. MONTINI, Scritti fucini…, cit., p. 160).

[15] «Siamo pazienti; sui libri; attorno ai maestri; nelle biblioteche; nei gabinetti scientifici. In patientia vestra possidebitis animas vestras. La verità non è folgorazione d’un lampo; è progressivo, graduale, quasi inavvertito albeggiare di luce. Capire vuol dire digerire, assimilare, rivivere. Essere studenti cattolici, cioè araldi di tutta la Verità, non vuol dire essere studenti pigri o improvvisatori, giocolieri di esami tentati con sfacciata superficialità. Vuol dire, e ciò meriterebbe una lunga meditazione, avere il “senso metafisico”. Cioè il senso della meraviglia, giovanissima risorsa dell’intelletto puro. Cioè una disposizione instancabile a trovare l’Essere, a venerarlo con amore, a studiarlo con stupore, a contemplarlo con gioia, a riconoscerne i limiti, ad avvertirne le forme, ad ossequiarne i diritti, a rintracciarne la Sorgente suprema» (G.B. MONTINI, Coscienza universitaria…, cit., pp. 109-110).

[16] «Prima di tutto noi vogliamo il pensiero cattolico universitario: per questo esistiamo, per questo lavoriamo. Ebbene questo pensiero cattolico, che si adatti alla nostra vita, alla nostra mentalità, ai nostri studi, che riveli le profonde affinità e relazioni con tutto quanto è vero; che mostri la provvida fecondità anche nelle questioni di vita e di cultura maturate nei tempi moderni; che dica la parola definitiva per fare dell’uomo un “Uomo”, dello studio una sapienza, della storia un destino, della fatica e del dolore un merito, della vita presente una preparazione alla futura, questo pensiero cattolico non lo possiamo attingere (se non forse parzialmente) dalla scuola che frequentiamo» (Logica di un’attività [1932], in G.B. MONTINI, Scritti fucini…, cit., pp. 568-569). Cfr. anche In nomine Domini [1932], ivi, pp. 543-544.

[17] Cfr. Parole chiare [1925], ivi, pp. 3-4.

[18] Per la vita spirituale dell’Università [1929], ivi, p. 319. Cfr. R. PIETROBELLI, La scelta universitaria della Fuci, in FUCI: coscienza universitaria, fatica del pensare, intelligenza della fede…, cit., pp. 127-166.

[19] Discorso con i Professori [1928], in G.B. MONTINI, Scritti fucini…, cit., p. 159.

[20] G.B. MONTINI, Coscienza universitaria…, cit., p. 38.

[21] Ibidem.

[22] Ivi, pp. 92-93. Cfr. R. ZAVALLONI, Prospettive pastorali nel pensiero di G.B. Montini, La Scuola, Brescia 1964, pp. 164-179; Educazione, intellettuali e società in G.B. Montini-Paolo VI. Giornate di studio (Milano, 1617 novembre 1990), Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, Brescia-Roma 1992.

[23] Cfr. Per gli Assistenti della F.U.C.I. [1928], in G.B. MONTINI, Scritti fucini…, cit., pp. 236-239.

[24] G.B. MONTINI, Coscienza universitaria…, cit., p. 27.

[25] Per la vita spirituale dell’Università [1929], in G.B. MONTINI, Scritti fucini…, cit., p. 315.

[26] Cfr. D. GIULIOTTI-G. PAPINI, Dizionario dell’omo salvatico. Volume primo (A-B), Vallecchi Editore, Firenze 1923.

[27] G.B. MONTINI, Coscienza universitaria…, cit., pp. 28-29.

[28] Ivi, p. 29. «Ed entriamo pertanto nelle nostre Università, dove ogni errore ha trovato una cattedra, dove ogni cattedra dissente dall’altra, donde Cristo, il Maestro che insegna in spiritu et veritate, è stato bandito, senza diffidenza e senza prevenzioni, sicuri che la nostra fede è non solo, in definitiva, armonicamente congiunta con la scienza degna di tal nome, ma è altresì capace dalle gloriose conquiste del pensiero, come dalle sue deplorevoli aberrazioni, di trarre per sé luminosa testimonianza» (ivi, pp. 29-30).

[29] Ivi, p. 54.

[30] Ivi, p. 63.

[31] «Dico del caso dello studente che diventa tutto cervello e tutto libri; che non sa più parlare di cose piane, chiare, umane; ma che tutto vede in funzione d’una qualche supermetafisica, combinata con non so quale legge universale, ribadita da non so quante citazioni e reminiscenze erudite. Pensiero dov’è rimasto tutto, fuorché la vita» (ivi, p. 66).

[32] «Un’età così scettica, così abile a eludere la fatica, così inetta alla fedeltà e alla certezza come la nostra, non può non gradire l’invito a conoscere l’altrui opinione, l’altrui sistema di vita, l’altrui perenne e sterile conato all’immortalità, senza che gli venga chiesto, in ricambio dello spettacolo contemplato: – ed ora dimmi la tua opinione! – La mia opinione è di elencare le altrui, la mia filosofia è la storia della filosofia –; risponderebbe un bravo studente iniziato agli ultimi portati dell’originalità personale, a cui l’idealismo educa i nostri rampolli» (ivi, p. 75).

[33] Ivi, p. 81.

[34] Ivi, p. 68.

[35] Ivi, p. 87. «È allora seguendo la dottrina tradizionale che noi ci mettiamo contro il mondo moderno, che ritiene e pratica una concezione opposta, e affermiamo risolutamente di tendere all’unione delle menti in un’unica verità. Anzi, è perché crediamo al fondamento oggettivo della verità che abbiamo fiducia d’incontrare in essa, come in unico punto di riferimento, le menti che vanno cercandola o che l’hanno trovata. È per questo che noi possiamo parlare di dottrina perenne, di scuola sempre identica e sempre nuova, di società degli spiriti» (ivi, p. 90). Cfr. M.C. GIUNTELLA, Influenze culturali nella riflessione dei movimenti intellettuali degli anni trenta, in M.C. GIUNTELLA- R. MORO, La Fuci degli anni ’30 verso la nuova democrazia, AVE, Roma 1991, pp. 7-30.

[36] Per la vita spirituale dell’Università [1929], in G.B. MONTINI, Scritti fucini…, cit., p. 316.

[37] Ibidem.

[38] Cfr Universitari e vita religiosa. Prolusione ai lavori del XXXV congresso nazionale della FUCI a Torino (1.IX.1959), in G.B. MONTINI (ARCIVESCOVO DI MILANO), Discorsi e scritti milanesi (1954-1963), vol. II: 19581960 [DSM II], Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, Brescia-Roma 1997, pp. 3014-3035. Cfr. G. COLOMBO, Il senso cristiano della cultura in Paolo VI, cit., pp. 128-129.

[39] Universitari e vita religiosa…, cit., p. 3020. Cfr. R.M. MAUTI, Newman nel pensiero e nella vita di Paolo VI, in «Istituto Paolo VI. Notiziario», n. 43 (2002), pp. 21-54.

[40] «Il quale spirito [universitario], per sé, merita davvero tutto il nostro rispetto. Esso comporta l’invito sistematico dello Studente a giudicare della validità originaria di ciò che gli è insegnato. L’insegnamento universitario conduce l’allievo alle fonti della verità. Il Professore più autorevole è quello che meno esercita l’argomento d’autorità; è il Maestro che pone fine alla sua funzione di intermediario tra l’alunno e la materia insegnata. Questa si pone da sé ormai allo spirito di quello; l’allenamento è finito; l’emancipazione è lo scopo dell’ultima scuola» (Universitari e vita religiosa…, cit., p. 3021).

[41] «Basta osservare il processo della mentalità scientifica per notare ch’essa non si contenta più d’essere agnostica rispetto ai problemi supremi dell’Essere, essa diventa totalitaria ed esclusiva; essa erige a scopo del sapere il metodo del suo sapere, ch’è metodo che prescinde dalla conoscenza metafisica della realtà; spegne nelle sue radici il bisogno di Dio, per limitare il campo dell’esplorazione conoscitiva al mondo della natura, di cui crede di attingere ormai l’intima costituzione e di dominarla» (ivi, p. 3022).

[42] «Se l’irreligiosità di cui è pervaso il mondo contemporaneo, e che si arma di pensiero scientifico nelle nostre Università, valesse a dare al nostro sentimento religioso, alla nostra dottrina religiosa, alla nostra pietà religiosa un più forte e sempre operante concetto della trascendenza e dell’ineffabilità del Dio che adoriamo e che amiamo, avremmo tratto non piccolo vantaggio dal presente dramma spirituale» (ivi, p. 3023).

[43] Ivi, p. 3029.

[44] Ivi, p. 3030.

[45] Ivi, p. 3032.

[46] «Prima di salire in cattedra, per dare altissimo insegnamento di verità, la “Cattolica” scende fra il popolo; e a lui chiede i mezzi di sussistenza; e questo popolo cattolico, che l’alta cultura profana deride quasi privo di problemi intellettuali e di some di volumi sulle spalle, questo popolo cattolico, che la tormentata religiosità protestante qualifica insensibile e festaiolo, questo buon popolo nostro ha tanta intelligenza e tanto cuore, tanta generosità e tanta fede da erigersi a sue spese quella cattedra da cui attende la salutare parola. Il popolo cattolico la sente e la dice sua, questa Università; ed è cosa che commuove ed esalta, per noi che desideriamo rivedere l’istituto universitario tornare al centro del pensiero e della vita sociale, osservare come l’istituto che più di ogni altro sappia conquistarsi questo posto centrale e superiore, sia la università che si chiama cattolica» (Giornata per la «Cattolica» [1931], in G.B. MONTINI, Scritti fucini…, cit., p. 474).

[47] Messaggio all’arcidiocesi per la Giornata dell’Università Cattolica [14.III.1958], in DSM II, p. 2004; cfr. Una cultura fondata sui principi dell’eterna sapienza. Messaggio a padre Agostino Gemelli in occasione della Giornata dell’Università Cattolica [7.III.1956], in G.B. MONTINI (ARCIVESCOVO DI MILANO), Discorsi e scritti milanesi (1954-1963), vol. I: 1954-1957 [DSM I], Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, Brescia-Roma 1997, p. 679. Sui rapporti tra Montini e l’Università Cattolica cfr. C. GHIDELLI, Giovanni Battista Montini e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, in C. GHIDELLI-G.E. MANZONI (edd.), Messaggi e discorsi di Giovanni Battista Montini all’Università Cattolica, Vita e Pensiero, Milano 2001, pp. 3-21.

[48] Cfr. R. MORO, La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), Il Mulino, Bologna 1979, pp. 8486; R. MORO, La FUCI di Giovanni Battista Montini, in M. MANTOVANI-M. TOSO (edd.), Paolo VI. Fede, cultura, università, LAS, Roma 2003, pp. 46-52.

[49] M. BOCCI, Giovanni Battista Montini e Padre Gemelli, in «Istituto Paolo VI. Notiziario», n. 58 (2009), p. 82. Cfr. anche ID., Agostino Gemelli rettore e francescano. Chiesa, regime, democrazia, Morcelliana, Brescia 2003.

[50] Cfr. ID., Giovanni Battista Montini e Padre Gemelli, cit., pp. 84-85. È dunque possibile parlare di «una specie di rapporto triangolare fra Gemelli, Pio XII e Montini, dove quest’ultimo fungeva in sostanza da intermediario ed anche da “parafulmine” per l’Ateneo del Sacro Cuore» (ivi, p. 85). Cfr. anche G. COLOMBO, La cultura e la fisionomia spirituale di Paolo VI, in A. CAPRIOLI-L. VACCARO (edd.), Paolo VI e la cultura, cit., pp. 81-82.

[51] Discorso per le esequie di padre Agostino Gemelli [17.VII.1959], in DSM II, p. 2927. Cfr. anche Discorso nella basilica di S. Ambrogio a Milano in occasione del 50o anniversario di sacerdozio di p. Agostino Gemelli [18.III.1958], ivi, pp. 2007-2014.

[52] Discorso per le esequie di padre Agostino Gemelli, cit., pp. 2928-2929.

[53] Messaggio all’arcidiocesi per la Giornata dell’Università Cattolica [14.III.1958], in DSM II, pp. 2004-2005. «La cultura non è soltanto al sommo della scala dei valori umani; è anche al primo posto (si dica quello che si vuole da chi non afferra la realtà totale del nostro dinamismo moderno) delle forze che guidano il mondo. Il pensiero, anche se scaturisce da una sequela di fatti e di esperienze che lo precedono, genera poi a sua volta altri fatti ed altre esperienze, prepara gli avvenimenti, alimenta la vita» (La Parola ha bisogno dell’Università. Messaggio a p. Agostino Gemelli per la Giornata dell’Università Cattolica [15.II.1959], ivi, pp. 2595-2596).

[54] Dio è la luce iniziale [18.I.1955], in DSM I, p. 91. Cfr. G.E. MANZONI, L’idea di università in Giovanni Battista Montini, in C. Ghidelli-G. E. Manzoni (edd.), Messaggi e discorsi di Giovanni Battista Montini all’Università Cattolica, cit., pp. 23-31; E. PREZIOSI, Giovanni Battista Montini e la cultura universitaria, in M. Mantovani-M. Toso (edd.), Paolo VI. Fede, cultura, università, cit., pp. 73-75.

[55] Studiando la materia si scopre lo spirito [5.XI.1961], in G.B. MONTINI (ARCIVESCOVO DI MILANO), Discorsi e scritti milanesi (1954-1963), vol. III: 1961-1963 [DSM II], Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, Brescia-Roma 1997, p. 4724. Cfr. E. DI ROVASENDA, Paolo VI e la ricerca scientifica, in A. CAPRIOLI-L. VACCARO (edd.), Paolo VI e la cultura, cit., pp. 35-49.

[56] Studiando la materia si scopre lo spirito, cit., p. 4724.

[57] Dio è la luce iniziale [18.I.1955], in DSM I, p. 93. Cfr. A. GHISALBERTI, La trasmissione della fede e i laici: Paolo VI e l’Università Cattolica, in La trasmissione della fede. L’impegno di Paolo VI. Colloquio internazionale di studio (Brescia, 28-29-30 settembre 2007), a cura di R. Papetti, Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, Brescia-Roma 2009, pp. 145-148.

[58] Sugli interventi di Montini dopo la morte di padre Gemelli cfr. le lettere pubblicate in M. BOCCI, Giovanni Battista Montini e Padre Gemelli, cit., pp. 98-102

[59] Per la scienza, per la cultura, per la Chiesa [27.X.1962], in DSM III, p. 5386.

[60] Cfr. Discorso al pellegrinaggio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore [5 aprile 1964], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. II: 1964, cit., p. 230.

[61] Cfr. Discorso al Senato Accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore [5 aprile 1964], ivi, pp. 237238.

[62] Cfr.  Lettera al Prof. Giuseppe Lazzati nel 50° di fondazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore [8 dicembre 1971], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. IX: 1971, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1972, pp. 1078-1082.

[63] Discorso per la recita della preghiera mariana [19 marzo 1972], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. X: 1972, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1973, p. 272. Sulla situazione dell’Università Cattolica cfr. P. ZERBI, L’Università Cattolica di fronte ai problemi degli anni Cinquanta e Sessanta, in L’Università Cattolica a 75 anni dalla fondazione. Riflessioni sul passato e prospettive per il futuro, Vita e Pensiero, Milano 1998, pp. 68-69; ID., Per una storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in Per una storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Settantacinque anni di vita nella Chiesa e nella società italiana, Vita e Pensiero, Milano 1997, pp. 66-68.

[64] Discorso per la recita della preghiera mariana [19 marzo 1972], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. X: 1972, cit., p. 272.

[65] «E i Nostri voti sono tanto più vivi in quanto, da un lato, auspicano che una perfetta regolarità di funzionamento, una rigorosa serietà di studio, un perseverante sforzo di miglioramento impegni tutti, Maestri ed Alunni, a dare a questa Università virtù e meriti pari all’eccellenza del suo nome; e, dall’altro, che la sua affermazione nel concerto dei grandi, celebri e benemeriti istituti romani di alta cultura ecclesiastica sia quella della sincera riconoscenza, della fraterna collaborazione, della leale emulazione, della mutua riverenza e dell’amica concordia, non mai d’una gelosa concorrenza, o d’una fastidiosa polemica; non mai!» (Discorso per l’inizio dell’anno accademico dell’Università Lateranense [31 ottobre 1963], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. I: 1963, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1964, p. 272).

[66] «Exinde manifesto patet, quanti facienda sit reverentia atque oboedientia Ecclesiae Magisterio debita, cui profecto ex divina institutione munus concreditum est fidei depositum fideliter custodire et infallibiliter declarare (cfr. Conc. Vat. Sess. III, c. 4). Idque minime detrahit dignitati vel praestantiae doctrinae sacrae. “Nam licet locus ab auctoritate quae fundatur ratione humana sit infirmissimus; locus tamen ab auctoritate quae fundatur super revelatione divina est efficacissimus” (S. Thomas, S.T.I., qu. 1, a. 8, ad 2). Quare ii, quibus munus docendi demandatum est, omni cura omnique contentione nitantur, ut ad hoc obsequium erga Ecclesiae Magisterium discipulorum animum conforment» (Discorso nella visita alla Università Gregoriana [12 marzo 1964], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. II: 1964, cit., p. 178). Cfr. anche Discorso ai docenti e allievi della Pontificia Università Gregoriana nel 400esimo centenario dell’elezione di Gregorio XIII [13 maggio 1972], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. X: 1972, cit., pp. 493-499; P. DEZZA, Paolo VI e gli studi ecclesiastici, in «La Civiltà Cattolica», 130 (1979) II, pp. 131-141.

[67] «Ma ricordiamo bene: questa nuova sede con tutte le sue moderne attrezzature non può considerarsi che come uno strumento. E come rispetto ad uno strumento musicale, per quanto bello e perfetto, ciò che maggiormente conta è l’artista che lo adopera e lo domina e la musica che per suo mezzo viene eseguita, così anche nel caso nostro non si deve sopravalutare lo strumento trascurando gli altri coefficienti dell’opera educativa» (Discorso per l’inaugurazione della nuova sede dell’Ateneo Salesiano [29 ottobre 1966], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. IV: 1966, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1967, p. 529).

[68] «Ma ciò che a Noi preme sottolineare in questo momento è soprattutto il fatto che questo Istituto Patristico risponde in pieno ai bisogni attuali della Chiesa. Il ritorno ai Padri della Chiesa, infatti, fa parte di quella risalita alle origini cristiane, senza la quale non sarebbe possibile attuare il rinnovamento biblico, la riforma liturgica e la nuova ricerca teologica auspicata dal Concilio Ecumenico Vaticano II» (Discorso nella Curia Generalizia dei PP. Eremitani di S. Agostino per l’inaugurazione dell’Augustinianum [4 maggio 1970], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. VIII: 1970, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1971, p. 437).

[69] Cfr Discorso ai membri del Consiglio e del Comitato della Federazione delle Università Cattoliche [6 maggio 1971], Insegnamenti di Paolo VI, vol. IX: 1971, cit., p. 384.

[70] Cfr. Discorso al II Congresso delle Università Cattoliche [27 novembre 1972], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. X: 1972, cit., pp. 1206-1207.

[71] Discorso ai partecipanti al Congresso dei delegati delle Università Cattoliche [26 aprile 1969], Insegnamenti di Paolo VI, vol. VII: 1969, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1970, p. 236. Cfr. anche Discorso a Manila a 150.000 universitari delle Filippine [28 novembre 1970], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. VIII: 1970, cit., pp. 1205-1207.

[72] Cfr Discorso ai partecipanti al Congresso dei delegati delle Università Cattoliche [26 aprile 1969], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. VII: 1969, cit., p. 238. Cfr. A. MAFFEIS, Introduzione, in G.B. MONTINI-PAOLO VI, La pedagogia della coscienza cristiana. Discorsi e scritti sull’educazione (1955-1978), a cura di A. Maffeis, Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, Brescia-Roma 2009, pp. XXVII-XXXII.

[73] Discorso nella visita all’Università di Roma [14 marzo 1964], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. II: 1964, cit., p. 1096. Cfr. anche Discorso alla Sapienza nel 40° del ripristinato culto liturgico in Sant’Ivo a Roma [12 marzo 1966], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. IV: 1966, cit., pp. 102-106.

[74] La Parola ha bisogno dell’Università. Messaggio a p. Agostino Gemelli per la Giornata dell’Università Cattolica [15.II.1959], in DSM II, p. 2596.

[75] Discorso ai dirigenti e soci dell’Editrice «Studium» [10 febbraio 1964], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. II: 1964, cit., p. 120.