Il grido della fede di Niccolò dell'Arca [Il Compianto sul Cristo Morto di Niccolò d'Antonio dell'Apulia detto Niccolò dell'Arca], di Timothy Verdon

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 17 /03 /2019 - 22:43 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 3/3/2019 un articolo di Timothy Verdon. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.

Il Centro culturale Gli scritti (17/3/2019)

Di un virtuosismo formale pressoché unico, il Compianto sul Cristo Morto di Niccolò d'Antonio dell'Apulia detto Niccolò dell'Arca, è tra i capolavori assoluti della plastica di tutti i tempi. Queste «Marie sterminatamente piangenti» (come le chiamò nel Seicento lo scrittore d' arte bolognese Carlo Cesare Malvasia) furono modellate in creta per la chiesa ospedaliera di Santa Maria della Vita, governata sin dal Duecento da una confraternita di "battuti" o flagellanti, e rimangono fino a tutt' oggi una delle attrazioni irrinunciabili di Bologna.

È discussa la datazione, che le fonti collocano negli anni 60 del Quattrocento, mentre le testimonianze stilisti che parlano piuttosto degli anni 80, ma tra gli ammiratori quattrocenteschi ci fu certamente Michelangelo, presente negli anni 90 nel capoluogo emiliano, dove ultimò un'altra opera di Niccolò, l'"arca" che aveva dato il soprannome all'artista meridionale, cioè la cimasa del monumento funebre di san Domenico nell'omonima basilica bolognese.

Le sette figure di Santa Maria della Vita, di grandezza appena più del naturale e originalmente policrome, colpiscono soprattutto - come ha ben capito il Malvasia - per l'intensità emotiva del dolore che sei di esse esternano davanti al Cristo morto, deposto dalla croce e steso a terra. Il Compianto di Santa Maria della Vita è infatti l'espressione più estrema di quel verismo patetico tardomedievale ripensato da Donatello e Mantegna in chiave umanistica, che prepara l'arte teatrale dei Sacri Monti. L'evidente quadro di riferimento è infatti il teatro, e i personaggi di Niccolò sembrano gli interpreti della scena culminante dei Misteri della Passione dell'epoca, la conclamatio, in cui con fine analisi psicologica venivano distinte le diverse qualità di dolore nella madre e nell'amico, nelle pie donne che avevano accompagnato Cristo e nel ricco simpatizzante Nicodemo.

Anche il pubblico doveva esternare il proprio dolore, come insistono molti copioni del tempo. Nel Prologo di un "mistero" della fine del Quattrocento, per esempio, troviamo una frase straordinaria, pronunciata da un attore che, dopo aver accennato alle scene della Passione che verrebbero in seguito, si rivolge al pubblico, o meglio, a ogni singolo spettatore, e dice: «Si tu non piangi quando questo vedi, non so se a Yesu Cristo vero credi».

Tra esortazione e minaccia, l'ammonimento viene ribadito poco dopo, alla conclusione del prologo: «Quando el vedrete poi levar di croce, ciascuno divotamente alzi le mani rendendo grande addio cola sua voce». Più tardi nello stesso testo, la Madonna ripete l'invito: durante la conclamatio al piede della croce, in mezzo al lamento corale dei personaggi che descrivono le loro reazioni alla morte di Gesù, Maria dice agli astanti: «Homini e donne, voi non siate lenti alo gran pianto, hor me accompagniate [...] essendo qui in croce morto il vostro creatore, ciascum pianga e strida con dolore».

In un altro copione si trova l'esortazione: «Pianga ciascuno che giusto si trova, sicché ciascuno allagrimar si mova».

Questi testi, che suggeriscono l'impatto della disperata forza emotiva del Compianto di Niccolò, non nascono dalla sola "religiosità popolare". Oltre a echi bernardiani e francescani, l'idea base - che la fede dev'essere esternata con fortissime reazioni emotive - riprende certi temi del razionalismo scolastico. Con Aristotele, gli scolastici ritenevano che la volontà umana ricevesse e si nutrisse di "informazioni" fornite dai sensi, e che la libertà dell'uomo e la sua nobiltà come creatura fossero legate all' uso che consciamente egli fa dell'esperienza sensoria. Così san Tommaso, nella sua analisi della contrizione, elabora il concetto aristotelico di due livelli di razionalità: la ratio superior e quella inferior, che insieme determinano il carattere del dolore sperimentato dal peccatore penitente. «In contritione est duplex dolor», dice: nella contrizione c'è un doppio dolore. Una parte è nella volontà, e questa è la contrizione nella sua essenza, il dispiacere che proviamo per i peccati che abbiamo commesso. Ma c'è un altro dolore, quello dei sentimenti («in parte sensitiva»), che può scaturire o dalla riflessione sui peccati, che porta a una reazione spontanea («ex necessitate naturae»), o da una libera scelta per cui l'uomo che "fa penitenza" eccita il dolore in sé stesso, affinché possa sentirlo emotivamente («vel ex electione, secundum quod homo poenitens, in sé ipso hunc dolorem excitat, ut de peccatis doleat», Summa Theologiae, supplementum V, pars III, q. III).

Questa affermazione, che verrà divulgata da altri scrittori domenicani come il Passavanti (il quale la riassume dicendo che «il dolore procede nella mente e nella sensualitade»), ha un'importanza fondamentale sia per la storia della spiritualità che per quella dell'arte. Significa che la ragione, la ratio superior per cui prendiamo le decisioni che definiscono la nostra libertà, può e deve servirsi delle emozioni, eccitando nei sensi una predisposizione a compiere ciò che è percepito come dovere morale.

La forte espressività dell'arte tardogotica riflette questo principio, e ne sentiamo l'impatto forse anche nel libro Della Pittura, quando Leon Battista Alberti insiste sull'uso coerente, da parte dell'artista che fa una "istoria", di tutta l'esperienza fisica (ottica, spaziale, anatomica), emotiva (il gaudio, il dolore) ed esistenziale (giovinezza, vecchiaia) dello spettatore. Le "opere" in cui questa voluta eccitazione dei sentimenti ebbe il maggior sviluppo furono gli esercizi penitenziali, e soprattutto i riti di quelle compagnie e confraternite laiche fondate sotto la direzione dei predicatori mendicanti appunto per aiutare i fedeli a sentire in modo tangibile e personale la penitenza «vera, frequens, nuda et lacrimabilis» di cui parlano i manuali popolari, come lo Specchio de' Peccati di fra Domenico Cavalca.

Comandare alle reazioni fisiche ed emotive, applicando al corpo la disciplina e alle emozioni la frusta della colpevolezza, era un'espressione molto concreta delle idee di san Tommaso. Il Compianto di Niccolò dell'Arca apparteneva a questo ambiente: il gruppo fu commissionato da una compagnia flagellante per cui l'eccitamento di stati d'animo autosuggestionati era un'esperienza prevista e necessaria. Non si trattava di stati di esaltazione 'bacchica', però, ma di atti rituali solenni in cui i diversi fili di volontà, meditazione e memoria s' intrecciavano con il dolore fisico e la 'displicentia' affettiva, al servizio di una fede razionale.