L'isola di Barnaba. Cipro e le rotte marine del primo cristianesimo, di Fabrizio Bisconti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 17 /07 /2010 - 22:53 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 3/6/2010 un articolo scritto da . Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (17/7/2010)

I cristiani, ancora in età apostolica, in seguito alla persecuzione seguita al martirio di Stefano, si rifugiarono nell'isola di Cipro, dove era una fiorente comunità giudaica (Flavio Giuseppe, Antiquitates Judaicae, 16, 129). Da Cipro proveniva Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Barnaba, che significa "figlio dell'esortazione", un levita giudeo ed ellenista, appartenente alla famiglia della tribù di Levi, il quale appare, per la prima volta, nello scenario movimentato descritto dagli Atti degli Apostoli (4, 36), in quanto padrone di un campo, che vendette per donare il ricavato agli apostoli.

Le prime gesta di Barnaba sono legate a Paolo, il quale fu accreditato presso gli apostoli, che in un primo tempo lo temevano, proprio dal levita di Cipro, che prese con sé l'apostolo delle genti e lo presentò alla comunità di Gerusalemme, raccontando come, durante il viaggio, che avevano fatto insieme, il Signore gli aveva parlato, come era successo sulla via di Damasco (Atti, 9, 26-27).

Nel primo viaggio missionario, che deve essersi svolto tra il 44 e il 49, Barnaba, in compagnia di Paolo e di Marco, evangelizza proprio l'isola di Cipro, percorrendola da Salamina a Paphos, dove risiedeva il proconsole Sergio Paolo, alla cui presenza si svolse una disputa, narrata dettagliatamente dagli Atti degli Apostoli: "Giunti a Salamina, cominciarono ad annunziare la parola di Dio nelle sinagoghe dei giudei, avendo con loro anche Giovanni come aiutante. Attraversata tutta l'isola fino a Paphos, vi trovarono un tale mago e falso profeta giudeo di nome Bar-Jesus, al seguito del proconsole Sergio Paolo, persona assai saggia, che aveva fatto chiamare a sé Barnaba e Saulo e desiderava ascoltare la parola di Dio. Ma Elimas, il mago - ciò, infatti, significa il suo nome - faceva loro opposizione, cercando di distogliere il proconsole dalla fede. Allora Saulo fissò gli occhi su di lui e disse: "O uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore? Ecco, la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole". Di colpo piombarono su di lui oscurità e tenebre e, brancolando, cercava chi lo guidasse per mano. Quando vide l'accaduto il proconsole credette" (Atti, 13, 4-12).

In occasione del secondo viaggio paolino, che si svolse tra il 49 e il 52, Barnaba espresse il desiderio di farsi accompagnare da Giovanni Marco, contro il parere di Paolo. Fu così che Barnaba si separò da Paolo, imbarcandosi per Cipro insieme al cugino (Atti, 15, 37). Il distacco deve forse essere legato al cosiddetto "incidente di Antiochia" (Galati, 2, 11-13), da riferire al delicato problema dell'osservanza della circoncisione.

Dopo queste rapide notizie relative all'età apostolica, le certezze storiche diventano più rare, anche se pare probabile che, al tempo di Diocleziano, alcuni cristiani palestinesi furono esiliati a Cipro, mentre è sicuro che i vescovi Cirillo di Paphos, Gelasio di Salamina e Spiridione di Tremithos parteciparono al primo concilio di Nicea del 325. Anche se, quasi vent'anni dopo, al concilio di Sardica, il numero dei vescovi ciprioti sale a dodici, il paganesimo è ancora molto vivace nell'isola, come dimostrano i rinvenimenti archeologici effettuati a Paphos, relativi ad abitazioni riferibili al pieno quarto secolo, con decorazioni pavimentali musive , che accolgono i miti di Dioniso, Apollo, Marsia, Teti e Peleo.

Il presunto passaggio per Cipro di Elena, che tornava dalla Terra Santa, sembra aver innescato un processo di cristianizzazione dell'isola, che, secondo gli studiosi, dovette manifestarsi con la costruzione di un discreto numero di chiese, che si incrementerà per la presenza del vescovo Epifanio di Salamina, che, nel 403, fu sepolto in una basilica ancora incompiuta, con il permesso dell'imperatore Arcadio. La basilica era organizzata in sette navate, munita di atrio ed era lunga oltre sessanta metri; l'arredo, che comportava colonne e capitelli finemente lavorati, fu eseguito in loco da maestranze autoctone e in pietra locale.

Ma la basilica più importante, forse concepita ancora nel quarto secolo, ma definita nel corso del quinto, è quella di Santa Ciriaca Chrysopolitissa a Paphos, che dovette rivestire il ruolo di cattedrale. Anche questo monumentale edificio di culto - dove si fermerà in preghiera il Papa - si sviluppava in sette navate, anche se oggi è stata molto ridimensionata. Gli archeologi e i visitatori possono ancora ammirare i molti materiali dell'arredo liturgico del sontuoso edificio di culto e, segnatamente, le colonne in granito, i capitelli corinzi in marmo, la pavimentazione musiva, che presenta motivi geometrici e zoomorfi, tra i quali emerge il tema battesimale dei cervi al fonte, in riferimento al salmo 42, ma anche un tralcio di vite, commentato dalle parole del vangelo di Giovanni, che recita: "Io sono la vera vite" (15, 1).

Tra il quinto e il sesto secolo fu costruito un importante complesso basilicale a Kourion: si tratta di una chiesa a tre navate, fornita di catechumèneia, diakònikon e palazzo episcopale. La basilica presenta un pavimento in mosaico e in opus sectile, mentre della decorazione parietale rimangono piccoli frammenti musivi relativi a una teoria di santi e di angeli. Il complesso comprendeva anche un battistero monumentale a pianta basilicale, sontuosamente decorato con transenne e plutei marmorei.

L'isola - come si diceva - è costellata di chiese paleocristiane e bizantine: da quella dell'acropoli di Amanthous a quella di Campanopetra a Salamina; da quella di Ayios Yeoryos a Peja presso Paphos a quella di Panaya Angeloktisos a Kiti, che mantiene ancora il mosaico parietale con Maria e il Cristo tra due arcangeli.

Nei musei dell'isola si conservano anche molti materiali archeologici provenienti dai diversi siti paleocristiani, a cominciare da un frammento del bordo di una mensa marmorea istoriata con il sacrificio di Isacco e riferibile a una bottega costantinopolitana attiva in età teodosiana. Preziosissimi risultano gli undici piatti argentei, con marchi che li datano al 613 e al 630, decorati a rilievo con scene ispirate alla vita di Davide.

Tutti questi materiali, ma anche un cospicuo numero di lucerne e di altro vasellame ceramico tardoantico dimostrano il ruolo dell'isola come crocevia di culture, religioni, genti e traffici mercantili. L'incontro delle culture permise, comunque, al cristianesimo di innestarsi naturalmente in un sostrato sociale composito, ma aperto ad accogliere la nuova religione, che produsse un sistema di evangelizzazione precoce, che risale - come abbiamo rilevato in apertura - all'età apostolica, ma che cresce e si sviluppa tra il quarto e il quinto secolo, trovando il suo apice in età bizantina, quando l'isola diverrà una vera e propria nebulosa di edifici basilicali complessi, sontuosamente decorati, estremamente articolati, denunciando l'attività e la presenza di una committenza ecclesiastica e privata elevatissima, sia dal punto di vista culturale, sia per quanto attiene il livello del potenziale economico.

(©L'Osservatore Romano - 3 giugno 2010)