Cos’è il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci. Non c’entra nulla col thriller di Dan Brown

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 02 /12 /2019 - 23:06 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Il Post del 4/4/2019 un articolo (https://www.ilpost.it/2019/04/04/codice-atlantico-leonardo-da-vinci/) che non recava l’indicazione dell’autore. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.

Il Centro culturale Gli scritti (2/12/2019)

Leonardo da Vinci, "Argano a leva", 
1478-1480, dal Codice Atlantico f 30v, conservato
alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano
(©Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori)

Nonostante il nome suggestivo, che richiama storie di oceani e continenti diversi, il nome del Codice Atlantico, la più grande e importante raccolta di disegni di Leonardo da Vinci al mondo, non c’entra niente col suo contenuto. Più prosaicamente indica il formato dei grandi fogli che lo compongono, che peraltro non fu scelto da Leonardo ma arrivò soltanto decenni dopo la sua morte, in uno dei molti passaggi di mano e peripezie a cui fu sottoposto il Codice.

La mostra Leonardo da Vinci. La scienza prima della scienza, fino alla fine di giugno alle Scuderie del Quirinale di Roma, è costruita intorno a dieci disegni autografi del Codice Atlantico, scelti tra i circa 1.750 che lo compongono.

La mostra, come il Codice, racconta la grandezza di Leonardo al di fuori dei campi a cui viene tradizionalmente associato, dalla pittura alle invenzioni. Testimonia infatti l’enorme contributo che l’artista toscano diede all’ingegneria, all’architettura, all’idraulica, alla meccanica, all’urbanistica e in generale alla cultura scientifico-tecnologica. Insieme ai disegni, la mostra espone più di 200 opere tra modelli, manoscritti, volumi, stampe e dipinti provenienti da varie istituzioni italiane ed europee.

Il disegno di un filatoio ad alette mobili, in grado di distribuire il filo in modo uniforme sul rocchetto. Leonardo lo disegnò con un sacco di particolari, riproducendo a parte il duplice albero che muove in senso contrario fuso ed alette, l’elemento più innovativo della macchina. (©Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori)

Il Codice Atlantico, in particolare, arriva dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano: nei suoi 1.119 fogli sono inclusi disegni, progetti, annotazioni e studi che vanno dal 1478, quando Leonardo stava appena entrando nell’orbita dei Medici a Firenze, fino al 1519, l’anno in cui morì in Francia, e di cui ricorre nel 2019 il 500esimo anniversario. L’origine del Codice Atlantico per come lo conosciamo è successiva a quella data: comincia infatti quando, nel suo testamento, Leonardo lasciò tutti i suoi manoscritti a Francesco Melzi, un suo allievo originario di una nobile famiglia lombarda che lo seguì a Roma e in Francia, diventando uno dei suoi discepoli più affezionati.

Melzi riportò i manoscritti in Italia conservandoli «come reliquie», secondo le parole del celebre critico d’arte Giorgio Vasari. Ma nessuno dei suoi eredi fece altrettanto, e i manoscritti – nella forma di fogli sciolti e non rilegati – furono dimenticati alla sua morte nel sottotetto della villa di famiglia. Una volta ritrovati, iniziarono un percorso tortuoso, passando di mano in mano e di acquirente in acquirente – tra cui lo stampatore veneziano Aldo Manuzio – finché arrivarono a Pompeo Leoni, un artista che in quel periodo, la fine del Cinquecento, viveva nella Milano governata dagli spagnoli.

Uno studio di un carro semovente probabilmente da utilizzarsi 
per una macchina teatrale, in grado di muoversi per un breve
tratto su un palco o in una piazza. A lungo fu erroneamente
interpretato come una specie di antenato dell’automobile.
(©Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori)

Leoni decise di incollare i fogli autografi di Leonardo, che avevano forme e dimensioni diverse, su fogli più grandi, di quelli normalmente usati per fare gli atlanti: da cui il nome, Codice Atlantico. Leoni diede così uniformità a una raccolta vasta e disomogenea, arrivando a incollare fino a dieci disegni per foglio (nel caso di quelli più piccoli) e ritagliando il foglio di supporto quando i disegni erano fronte-retro, in modo da renderne visibili entrambe le facciate. Con la sua operazione Leoni contribuì in maniera determinante a far sì che il Codice Atlantico arrivasse fino a noi senza disperdersi per strada, dall’altro organizzò i disegni spesso senza criterio. L’ordine dei manoscritti scelto da Leoni, per quanto casuale, è ancora oggi quello a cui si fa riferimenti negli studi del Codice.

Dopo essere finito in Spagna, il Codice Atlantico tornò in Italia dove il conte Galeazzo Arconati, aristocratico milanese, lo donò alla Biblioteca Ambrosiana, con spirito da mecenate, il 22 gennaio 1637. Leonardo, del resto, aveva vissuto a Milano per quasi vent’anni, tra il 1482 e il 1500, alla corte di Ludovico il Moro. Il Codice fu poi requisito dalle truppe napoleoniche e, al momento in cui avrebbe dovuto essere restituito, rischiò di restare a Parigi: l’anziano e un po’ incompetente barone incaricato dalla casa d’Austria di selezionare le opere da riportare in Lombardia, infatti, scambiò la celebre scrittura speculare di Leonardo per cinese, giudicando il testo non di sua competenza. Ci mise una pezza lo scultore Antonio Canova, commissario del Papa, che si accorse dell’errore e convinse il barone a riportare il Codice a Milano.

Negli anni Sessanta del Novecento, il Codice Atlantico fu restaurato e rilegato in dodici volumi. Ci si accorse però che era stata una scelta problematica, che “bloccava” l’opera e ne limitava le possibilità di esposizione nelle mostre. Per questo nel 2009, in occasione del quarto centenario dell’apertura della Biblioteca Ambrosiana, i 1.119 fogli furono “sfascicolati” permettendone il prestito in giro per l’Italia e anche all’estero e facendolo conoscere al grande pubblico.

Le gru usate da Filippo Brunelleschi per realizzare la cupola del 
Duomo di Firenze, uno dei più grandi e rivoluzionari cantieri
del Rinascimento. Sfruttavano le tecnologie della vite e dei
contrappesi. (©Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori)

Dalle rappresentazioni delle gru utilizzate dal Brunelleschi per la costruzione della cupola del Duomo di Firenze al dettagliato disegno di un filatoio ad alette mobili in assonometria, fino allo studio di un carro semovente che in passato fu erroneamente considerato un antenato dell’automobile, la mostra Leonardo da Vinci. La scienza prima della scienza espone alcuni dei più bei fogli del Codice Atlantico, fondamentale per apprezzare interamente la capillare influenza e la stupefacente genialità di uno degli artisti più importanti della storia dell’umanità.