Il tempo dell’università non è un limbo, un tempo che devo attraversare per forza, il più in fretta possibile, di Rosa Tucci

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 21 /02 /2021 - 23:50 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo su nostro sito la trascrizione di una riflessione di sr. Rosa Tucci per il gruppo degli universitari della parrocchia di San Tommaso Moro, nel febbraio 2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Università.

Il Centro culturale Gli scritti (21/2/2021)

Solo un breve pensiero, più una condivisione, perché parlando di cammino universitario non credo ci siano ricette per viverlo bene… quello che va bene ed è buono per una persona e per una facoltà non è detto che vada bene per un altro.

Allora ho pensato solo di raccontarvi qualcosa che nel mio percorso di studi è stato significativo e ha dato una svolta al mio modo di viverlo.

C’è una circostanza di tempo e di luogo: a metà del periodo di tempo che ho trascorso all’università ho visto una locandina che annunciava una celebrazione eucaristica nell’Aula Magna dell’università in preparazione alla Pasqua (il “famoso” precetto pasquale) e ho deciso di partecipare. Non ricordo in realtà niente altro, non mi ha colpito qualcosa dell’omelia o della celebrazione in sé e comunque ero già impegnata in parrocchia, quindi non c’è stato un cambiamento nella mia vita di fede o una conversione.

Ma ricordo che ho avuto una percezione chiarissima e forte che la mia vocazione in quel momento era lo studio. Provo a spiegarmi e prima di tutto forse è necessario dire che se parlo di vocazione non intendo parlare della scelta di consacrarmi a Dio che non era nei miei pensieri, né di una scelta particolare lavorativa o affettiva come comprensione o decisione di quello che avrei voluto fare nel futuro: vocazione era in quel momento e continua ad essere la chiamata ad essere il meglio che potevo essere, a vivere una vita piena di senso, chiamata a una vita non trascinata stancamente, ma vissuta puntando in alto.

Penso che è quasi naturale per chi frequenta l’università vivere proiettato nel futuro, tutto teso verso la meta della laurea, verso il momento in cui finalmente con la pergamena in mano ci si può affacciare nel mondo degli adulti per impegnarsi, per fare qualcosa di bello, di utile, considerando un’ottica cristiana, per cominciare a essere parte attiva nella costruzione del Regno di Dio.

Certo che è giusto e bello avere dei sogni, dei desideri, delle aspettative, ma proiettarsi nel futuro non ci permette di vivere bene il presente: in questo modo vediamo solo il traguardo ma per arrivare lì dobbiamo vivere bene ogni secondo (vivere ogni momento presenti a sé stessi): già ora, questo è quello che ho sentito forte dentro di me, io ho un lavoro, un impegno, una responsabilità: studio per preparami al futuro, studio per essere quello che devo essere quando uscirò dall’università, quello di cui il Signore ha bisogno per il suo Regno.

Lo studio è il mio lavoro, ora, e io sono responsabile di come mi preparo per fare la mia parte dopo, in qualsiasi posto sarò chiamata a fare la mia parte.

Il tempo dell’università non è un limbo, un tempo che devo attraversare per forza, il più in fretta possibile, in attesa di vivere davvero, di impegnarmi davvero.

Mi viene in mente un paragone: pensate al tempo di Avvento o di Quaresima: non sono solo il tempo che ci separa dal Natale o dalla Pasqua, ma il tempo in cui io mi preparo a vivere il Natale e la Pasqua e dunque non sono meno importanti

Ecco questa chiarezza che il mio compito, la mia vocazione era prepararmi al futuro mi ha aiutato a vivere con molta più serenità: non ho più messo in discussione la scelta della facoltà ogni volta che gli esami non andavano bene. La bocciatura a un esame non era più il segno che avevo sbagliato tutto, semplicemente perché se anche lo studio è una vocazione allora ero sicura che il Signore mi avrebbe aiutato a comprendere molto più chiaramente (cioè non facendomi andare male gli esami) se stavo sbagliando scelta.

E a pensarci ora in questo modo io ho consegnato tutto il mio studio e il mio percorso universitario al Signore: è diverso pregare perché un esame vada bene, chiedere aiuto nello studio o la benedizione di Dio per la scelta della facoltà, oppure consegnare tutto nelle sue mani: esternamente non è cambiato niente, andavo all’università tutti i giorni per seguire i corsi e per studiare in biblioteca e ho continuato a fare la stessa cosa, ma è cambiata la convinzione dentro di me, è cambiato il mio modo di vivere tutto, non da sola, ma con il Signore.

E allora le bocciature non erano fallimenti e non mi scoraggiavo ma un’occasione per fidarmi di più, e gli esami riusciti non erano motivo per esaltarmi ma occasione per ringraziare il Signore.

Lo studio e la vita di fede camminano insieme non c’è l’impegno universitario e poi anche il cammino di fede, l’impegno in parrocchia e il volontariato e poi lo studio che viaggiano su binari paralleli.