Chiediamoci perché siamo (più) felici. I dati dell’Istat e del World Happiness Report, di Leonardo Becchetti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 25 /04 /2021 - 15:06 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo da Avvenire del 20/3/2021 un articolo di Leonardo Becchetti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Giustizia e carità.

Il Centro culturale Gli scritti (25/4/2021)

Qualche giorno fa il consueto rapporto Istat sul benessere equo e sostenibile (Bes) in Italia per il 2020 ci ha offerto una fotografia sorprendente. Da una parte i dati purtroppo attesi sulla povertà assoluta in crescita (dal 7,7 al 9,4%) e sull’aspettativa di vita (in calo di un anno come media nazionale) che segnalano le conseguenze drammatiche della pandemia che ha fatto più di 100mila morti e ha paralizzato economia e lavoro.

Dall’altra la sorpresa di una quota di persone che dichiarano di essere molto soddisfatte della loro vita che aumenta leggermente (dal 43,2% del 2019 al 44,5% del 2020). Questi dati sono confermati dall’indagine del World Happiness Report che segnala un’incredibile resilienza della soddisfazione di vita con dati di tutti i Paesi del mondo. La risposta di benessere soggettivo degli italiani allo choc della pandemia è stata completamente diversa da quella della crisi dello spread, quando nell’anno dei sacrifici del governo Monti si passò dal 45,8% del 2011 al 35,2% del 2012.

I dati sulla soddisfazione di vita sono di solito rilevati dall’Istat nei primi sei mesi dell’anno e quindi distribuiti lungo un arco di tempo investito in pieno dalla pandemia per almeno 4 mesi su sei. Come è possibile che la soddisfazione di vita non sia crollata e sia addirittura aumentata in un momento così difficile per il Paese in cui siamo stati travolti dalla paura per il nostro futuro, profondamente colpiti dalla morte e dal lutto che ci circondava e che in molti casi ha colpito anche cari e conoscenti in una situazione economica per moltissimi in forte peggioramento? Se è vero che i dati economici ci dicono che c’è una parte del Paese che non ha risentito economicamente del colpo (sicuramente una percentuale molto inferiore a quel 44,5% di molto soddisfatti per la propria vita), i lutti e le paure sono stati di tutti.

L’enigma dunque resta. L’approccio dell’economia civile può aiutarci a trovare qualche risposta. Il suo punto di partenza è che ciò che rende la nostra vita soddisfacente e 'ricca' è la capacità di attribuirgli un significato forte. Anche se il benessere economico è ovviamente importante la nostra felicità non cresce al crescere dei soldi che abbiamo o dei beni che possiamo consumare. È la nostra capacità di attivare la nostra espressività e le nostre energie verso un fine che può renderci felici e quindi paradossalmente non l’eliminare dall’orizzonte qualunque problema, ma lo sceglierne uno o alcuni facendosene carico per essere generativi, ovvero per contribuire con i nostri sforzi ad accrescere il benessere di altri.

La tragedia della pandemia ha arricchito di senso le nostre vite. In quei terribili giorni ci siamo sentiti tutti parte di una comunità coesa con un copione ben preciso. Dovevamo combattere assieme la pandemia, rispettare alcune regole per provare a uscirne insieme. E sono arrivate le bandiere sui balconi, gli inni nazionali che suonavano dai palazzi (non è un caso che sempre i dati del Bes ci dicono che la partecipazione civile e politica ha fatto un balzo in avanti dal 57,9% del 2019 al 62,5% del 2020). Un altro fattore che può aver contribuito è stata la sperimentazione forzata e massiccia di lavoro a distanza, che ci ha fatti entrare di colpo in una nuova dimensione che ha annullato i costi di spostamento e ci ha reso più ricchi di tempo e capaci di conciliare vita di lavoro e di relazioni. Infine, anche il senso del sopravvissuto può avere in parte contribuito.

Vedendo attorno a noi lutti e dolore abbiamo rivalutato quanto sia preziosa e importante la nostra vita, apprezzando il fatto di trovarci – quasi sicuramente per gli intervistati – tutto sommato in buona salute. Il paradosso della felicità ai tempi della pandemia deve insegnarci qualcosa. Non dovremmo avere bisogno di una tragedia per riscoprire il senso di comunità, per attribuire un significato forte alla nostra esistenza e capire quanto la vita è preziosa. La dimensione religiosa è di per sé una risposta compiuta alla domanda di senso, ma la fede non è un dono di tutti.

Esistono anche laicamente tante sfide e missioni che in tempi ordinari possiamo abbracciare per rendere la nostra vita soddisfacente e ricca di senso. La sfida climatica che ci coinvolge tutti ci pone di fronte a scelte altrettanto importanti nel prossimo futuro, la lotta contro povertà e diseguaglianze, l’impegno di relazione e di cura per aiutare gli 'scartati' a riacquisire la loro dignità. Più in generale è proprio l’impegno contro il rischio di povertà di senso del vivere che dovrebbe impegnarci tutti in una società molto concentrata sui mezzi e poco capace di offrire ricchezza di fini.

La battaglia contro la povertà di senso è la grande frontiera dei prossimi anni. Alimentare il senso di comunità, aiutare i cittadini a trovare occasioni di senso al proprio esistere attraverso forme di partecipazione che scuotano dalla passività e dal circolo vizioso dei tifosi e delle bandierine che prima innalzano sul trono e poi precipitano nella polvere uomini soli al comando è la grande occasione di progresso della nostra vita politica per i tempi a venire.