Perché una cappella inter-religiosa (o inter-culturale) è, per ora, una soluzione troppo facile e non utile ad un vero dialogo e ad un vero incontro? Breve nota di Giovanni Amico

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 19 /04 /2021 - 00:23 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sezione Dialogo fra le religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (18/4/2021)

La meravigliosa Cappella di Vence di Matisse

Spesso si sente parlare dell’ipotesi di cappelle inter-religiose quando qualcuno intende realizzare un edificio di culto in luoghi pubblici.

1/ Chi propone tali soluzioni non è cosciente, innanzitutto, del carattere comunitario e non individuale dell’utilizzo di tali luoghi. Un luogo di culto non è una stanza per singoli, bensì un luogo in cui risplendono i segni, gli odori, i colori, gli oggetti, i libri, i sacramenti anche, che caratterizzano una religione.

Chi pensasse ad un luogo di culto inter-religioso dovrebbe innanzitutto essere cosciente di questo: per un ebreo è giustamente necessaria l’arca della Torah, per un cristiano le immagini, per un musulmano il mihrab e così via.

Di solito chi pensa ad un lungo inter-religioso si immagina invece, in maniera tipicamente occidentale - è il colonialismo culturale dell’occidente che non capisce gli altri e le differenze -, una stanza il più possibile spoglia, con solo la luce a farla da padrona[1].

Che piaccia o no, le religioni sono un evento comunitario e non individualista ed hanno senso proprio perché sono comunitarie e non danno il primato all’individuo che medita solo con se stesso[2]. Realizzare uno spazio vuoto non è costruire una cappella inter-religiosa, bensì occidentalizzare le concrete religioni esistenti, quasi pretendendole di trasformarle in pratiche individuali.

2/ Ma c’è una seconda grande questione. Chi pensa una cappella inter-religiosa in maniera così semplicistica si dimostra ancora una volta figlio dell’occidente. Tipica del cristianesimo è, infatti, l’intuizione che non solo si può pregare insieme fra ortodossi, cattolici e protestanti, ma che anche nello stesso luogo si possono celebrare le liturgie ora degli ortodossi, ora dei cattolici ora dei protestanti (ed anche questo non è così scontato in taluni monasteri dell’oriente cristiano).

Ma l’atteggiamento ecumenico, che è tipico della tradizione occidentale, non esiste ancora nel dialogo inter-religioso. Non è assolutamente facile che un musulmano sunnita utilizzi per la preghiera comunitaria lo stesso luogo dove ha pregato una comunità islamica sciita. Non è assolutamente scontato che una volta che un luogo di culto è stato utilizzato da una comunità musulmana sunnita, possa poi essere concesso per la preghiera di un gruppo di ebrei. Similmente non si può dare per scontato che dove ha pregato un gruppo di induisti possa poi celebrare la sua preghiera comunitaria un gruppo di musulmani.

Si può pensare facilmente ad una cappella ecumenica – cioè dove si celebrino liturgie delle diverse confessioni cristiane – ma non è così scontato che ciò sia possibile in chiave inter-religiosa e non sono ancora chiari i passi per realizzarla.

Una cappella che venisse in maniera arbitraria definita inter-religiosa, senza aver consultato pima le comunità delle diverse religioni per ascoltare il loro punto di vista su tale questione, si rivela un progetto occidentalista e di corto respiro, un progetto astratto elaborato da chi non ha abituale frequentazione con le comunità concrete dei migranti delle diverse religioni, bensì ragiona con la testa astratta e uniformante del pensiero occidentale. 

Con ciò non si intende negare l’ipotesi di un luogo dove tutti possano celebrare le liturgie proprie, ma si vuole piuttosto sottolineare che esiste una realtà previa che è da esplorare. Chi ha intenzione di realizzare il progetto di un tale luogo è bene che frequenti e ascolti a lungo gli esponenti delle diverse religioni, sunniti e sciiti, ebrei e cristiani, induisti e buddisti, e così via, per ricevere il loro aiuto su quale contributo progettuale darebbero all’elaborazione di un luogo di culto inter-religioso.

Mentre si attende che tali discussioni vengano avviate, si potrebbe nel frattempo ragionare e incamminarsi per passi previi e possibili. Ad esempio, realizzare un luogo di culto per quelle confessioni che ritengono di poter già condividere dei luoghi di culto. Solo per fornire un esempio romano, la storia della basilica romana di San Paolo si è caratterizzata nell’ultimo secolo, come simbolo dell’ecumenismo, cioè della preghiera congiunta di cattolici, ortodossi e protestanti: si potrebbe ipotizzare una cappella ecumenica all’interno dell’Università di Roma Tre dove sia possibile celebrare una liturgia cattolica, ma anche una protestante, ma anche una ortodossa. Non sarebbe la meta, ma sarebbe un passo e un segno importante che la cultura laica potrebbe dare di realismo ed, insieme, di apertura e di incontro.

Note al testo

[1] Immaginò un locale bianco, senza alcun segno, padre Bruno Hussar in Israele: il suo non fu un progetto occidentalista perché nacque da una vita comune previa, durata decenni, nella condivisione dei pasti e del lavoro, di cristiani, ebrei e musulmani. Comunque tale cappella fu pensata innanzitutto per la meditazione personale e non per le celebrazioni comunitarie.

[2] Si pensi alla Cappella di Rothko a Houston, bellissima, ma adatta ad una meditazione personale, anch’essa tipicamente occidentale, ma non fruibile da celebrazioni comunitarie vuoi islamiche o induiste.