San Matteo e l’Angelo di Caravaggio. Non fu un bombardamento a decretare la scomparsa della prima versione, ma l’incuria delle truppe sovietiche che avevano liberato Berlino. L’incendio della Flakturm Friedrichshain, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 07 /06 /2021 - 15:21 pm | Permalink | Homepage
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1/ San Matteo e l’Angelo di Caravaggio. Non fu un bombardamento a decretare la scomparsa della prima versione, ma l’incuria delle truppe sovietiche che avevano liberato Berlino. L’incendio della Flakturm Friedrichshain, di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sezione Caravaggio.

Il Centro culturale Gli scritti (7/6/2021)

Ai tradimenti della critica d’arte che inventa ovunque rifiuti delle sue opere e prostitute raffigurate nelle tele di Caravaggio, si debbono aggiungere anche i tradimenti relativi alla storia successiva.

La critica non solo non rende conto del fatto, - solo per fare un esempio – che nessuna fonte antica conserva il minimo accenno al fatto che la Madonna di Loreto porterebbe il volto di una cortigiana, ma, dimenticanza ben più grave, non si avvede nemmeno che la Vergine viene dipinta mentre atterra dal cielo, perché l’iconografia lauretana prevedeva il viaggio della Vergine portata dagli angeli (cfr. su questo A piedi nudi (e sporchi) nella tela. Caravaggio per le chiese romane. Una chiave di lettura a partire dai nuovi studi, di Andrea Lonardo).

Ma, appunto, ai tradimenti sull’opera stessa di Caravaggio stesso si aggiungono poi i tradimenti che si consumano per ignavia, anche quando si afferma che la prima versione del San Matteo e l’Angelo sarebbe stata distrutta dai bombardamenti alleati nel corso dell’assedio finale a Berlino. Se si verificano le fonti, ci si accorge, invece, che l’opera giunse indenne al 2 maggio, giorno della liberazione della capitale del Reich.

La causa della scomparsa dell’opera fu invece l’incuria delle truppe sovietiche che non si decisero ad inviare immediatamente un servizio di guardia alla Flakturm Friedrichshain dove erano stati raccolti e conservati con dispositivi a prova di bombardamento almeno 417 dipinti importanti: accadde così che divampasse un incendio – non si sa se fortuito o provocato – che le fece scomparire (e non è da escludere che ci sia stata anche una razzia nei giorni di mancata sorveglianza).

Tutto lascia ritenere che l’incendio sia divampato fra il 5 e il 7 maggio, poiché l’ultima visita alla Flakturm Friedrichshain trovò il deposito ancora intatto il 5 di maggio 1945.

Nessun bombardamento, quindi, fra le cause della scomparsa non solo della prima versione del San Matteo e l’Angelo, ma anche del Ritratto di cortigiana (Fillide Melandroni) e del Cristo sul Monte degli Ulivi del Merisi.

Ne ha scritto De Marchi affermando: la prima versione del San Matteo e l’Angelo finì «incenerita nel rogo della pressoché indistruttibile Flakturm Friedrichshain, divampato alcuni giorni dopo la resa finale della città, fra il 5 e il 10 maggio 1945. La storiografia italiana è stata finora sempre diplomaticamente pressappochista su questo punto, indicando in modo vago come vittime di azioni belliche quel capolavoro e gli altri 416 quadri di grandi maestri andati bruciati. Ma la fatalità dei bombardamenti appare una scusa stiracchiata e, in ultima analisi, deliberatamente falsa. Le ragioni di tale voluta approssimazione sembrano ricondurre a una radice tutta ideologica. Quello che è stato il maggior disastro di opere d’arte verificatosi in età moderna, "condito" da vasti saccheggi, avvenne invece a guerra finita, in una zona dell’ex capitale nazista controllata dalle truppe di Stalin e fu perpetrato con il concorso diretto di una parte di esse. Di qui l’esigenza avvertita da molti intellettuali organici nostrani, interessati a mascherare una responsabilità storica tanto grave, che avrebbe gettato un’ombra imperitura sulla "onda del futuro" comunista, egemone nella cultura italiana per oltre mezzo secolo. […] La bugia berlinese si configura, in tal senso, come una delle prime deviazioni già ascrivibili alla guerra fredda, meschinamente tradotta nei ristretti orizzonti nazionali» (A.G. De Marchi – C. Ammannato (a cura di), Muziano: il San Matteo Contarelli e altro, Roma, Campisano, 2016, pp. 24-26).

2/ L'incendio della Flakturm Friedrichshain  (da Wikipedia, al 28/5/2021)

La Flakturm durante i lavori di costruzione, 1942

L'incendio della Flakturm Friedrichshain del maggio 1945, è stato «il più grande disastro artistico della storia moderna, dopo la distruzione del Real Alcázar di Madrid, avvenuta nel 1734»[1]. Migliaia di opere d'arte (tra cui dipinti di Caravaggio, Rubens, Goya per citarne alcuni) furono distrutte dalle fiamme.

Cinque anni prima, nel 1940, su ordine di Hitler, in difesa delle città di Berlino, Amburgo e Vienna era iniziata la costruzione di torri in cemento armato, munite di radar e artiglieria contraerea, chiamate Flaktürme. Le Flaktürme di Berlino erano tre grandi complessi disposti a triangolo in tre zone strategiche della città: Berliner Zoo, Friedrichshain e Humboldthain. Data la loro straordinaria solidità e sicurezza, oltre che come rifugi antiaerei, le Flaktürme dello Zoo e Friedrichshain furono utilizzate per mettere al sicuro oggetti, sculture e dipinti provenienti dai musei berlinesi. Ma con grande sorpresa e costernazione di tutti, nel maggio del 1945, a guerra di fatto finita, la Flakturm Friedrichshain subì per giorni un incendio[2] devastante che distrusse quasi completamente le inestimabili opere che custodiva.

L'incendio divampò fra il 5 e il 10 maggio 1945, avvolgendo la Flakturm Friedrichshain quando si trovava sotto la custodia dell'esercito russo. Notizie si hanno da Christopher Norris, storico d'arte inglese che fece parte della Commissione Alleata per i Monumenti e le Arti e che fu a Berlino subito dopo la liberazione, in un articolo pubblicato nel fascicolo di dicembre della grande rivista d'arte inglese The Burlington Magazine[3], in seguito citato dalla rivista italiana Sele Arte[4]. Le perdite lamentate, che riguardano soprattutto le collezioni del Kaiser Friedrich Museum, lo Schloss Museum, il Deutsches Museum e il Museum für Völkerkunde, consistono in opere di scultura, bronzi, tessuti antichi, ceramiche, opere d'arte decorativa e di artigianato.

Caravaggio, Ritratto di cortigiana (Fillide Melandroni), una delle 417 opere andate perdute nell'incendio della Flakturm Friedrichshain

I danni maggiori riguardarono il settore della pittura: si trattò di ben 417 opere mancanti, fra le quali ben 158 d'arte italiana, 89 d'arte olandese, 54 d'arte fiamminga, 67 di arte tedesca, oltre a molti altri capolavori d'arte spagnola, francese, inglese.

In Germania, per le insistenze dei funzionari, già nel 1938 molte opere d'arte erano state rifugiate nella Zecca e in sotterranei armati di banche. Ma fu nel 1941, sotto la pressione degli eventi bellici, e anche per avere maggiori garanzie di conservazione e di sicurezza, che una parte delle raccolte artistiche fu trasferita nelle Flakturm dello Zoo e di Friedriehshain. A parte qualche trasloco di materiali particolarmente delicati, nella Friedriechshain restarono 735 metri cubi di casse contenenti opere d'arte. Durante i bombardamenti aerei dell'inverno 1943-44 alcuni musei soffersero molto, e considerati anche i danni che derivavano alle opere d'arte dagli ambienti inadatti, al principio del 1944 si cominciò a trasportare opere d'arte nelle miniere di sale di Grasleben[5] e nelle miniere di potassio di Schönebeck. Nello stesso tempo, nel marzo 1944, i direttori dei musei venivano avvertiti che le nuove bombe alleate rendevano le Flaktürme, ormai, distruttibili. La situazione bellica, a causa dei disastri militari a Est e poi dell'invasione della Francia, si faceva sempre più critica e confusa, e perciò vani riuscirono molti tentativi di evacuare le Flaktürme.

Venne così il febbraio 1945, con i grandi bombardamenti diurni[6]: troppo era rimasto a Berlino in edifici vulnerabili, e si preferì perciò ricorrere alla Flakturm Friedrichshain, dove furono portate, dal 21 al 24 febbraio, molte opere di pittura di grandi dimensioni. Dopo la decisione di difendere Berlino ad oltranza i funzionari dei Musei posero di nuovo il problema della salvaguardia delle opere al ministro nazionalsocialista Rust. Malgrado i bombardamenti e l'occlusione delle strade da parte dei convogli militari, dall'8 marzo si poté dare inizio all'evacuazione delle opere, con scarsi mezzi logistici. Il primo convoglio lasciò Berlino l'11 marzo, e il decimo e ultimo il 7 aprile. Le opere corsero continui pericoli (per esempio il convoglio che trasportava il Tesoro dei Guelfi fu bombardato) e subirono notevoli danni. Ma gli eventi precipitavano.

Il 21 aprile cominciò il bombardamento russo di Berlino circondata. Le artiglierie fecero danni enormi. Mentre la guardia alla Flakturm dello Zoo restò al suo posto, sembra che quella di Friedrichshain venisse ritirata o si sbandasse. Il 2 maggio la città capitolava, e subito i dirigenti dei musei si preoccuparono di salvaguardare i depositi. Il 3 maggio presero contatto con le autorità russe, perché provvedessero alla protezione delle Flaktürme. Il professor Kümmel parlò in proposito al generale Bersarin, al Quartier generale russo di Karlshorst. Il 5 maggio nessuna misura di protezione era stata presa; i depositi però furono verificati e trovati intatti. V'era tuttavia il pericolo immediato dei predoni e dei civili, in cerca di cibo, nonché dei gruppi di militari sbandati.

Dietro nuove pressanti richieste, il 7 maggio i funzionari dei musei, accompagnati da un ufficiale russo, visitarono la Flakturm di Friedrichshain, e si trovarono di fronte a uno spettacolo terribile: il primo piano della torre era incendiato e fiammeggiava. Fu provveduto allora, fra il 7 maggio e l’8 giugno, allo sgombero della Flakturm dello Zoo da parte dei Russi, ma intanto anche il secondo e il terzo piano della Flakturm di Friedrichshain erano stati divorati dall'incendio. L'edificio fu abbandonato: più volte vi furono veduti intorno e dentro civili e predoni, ma nulla si poté fare.

Quando, ancora nell'agosto 1945, il Norris poté visitare le rovine della Flakturm, vi trovò persone accampate, e soprattutto frammenti di terrecotte, marmi calcinati, bronzi semifusi, e soprattutto pezzi enormi di cemento armato caduti dai piani superiori, che attestavano la violenza dell'incendio. Gli ufficiali alleati ricorsero al comando russo perché fossero guardati e raccolti anche quei frammenti, e fossero organizzati scavi fra le macerie dell'edificio, ma ciò non si poté ottenere. In seguito all'accordo avvenuto al principio del 1946 sulla spartizione delle zone di Berlino[7] le truppe russe scelsero e raccolsero i residui, e fecero saltare ciò che restava della Flakturm.

Caravaggio, Cristo sul Monte degli Ulivi

Note al testo

[1] Christopher Norris, The Disaster at Flaturm Friedrichshain; A Chronicle and List of Paintings, in “The Burlington Magazine”, n. 597, dicembre 1952.

[2] C'è chi sostiene che l'incendio fosse volontario e chi invece lo ritiene accidentale. La questione resta controversa.

[3] “The Burlington Magazine”.

[4] “Sele Arte” n° 4 - Anno I - gennaio/febbraio 1953 - pp. 30-36.

[5] Storia dell'arte Einaudi, B – Berlino, p. 247.

[6] Jörg Friedrich, La Germania Bombardata, tit. or. Der Brand, Mondadori, Milano, 2004, Le Scie , pp. 520ss.

[7] L'occupazione quadripartita di Berlino (1945-1990), in Società internazionale, M.M. Beber - V.E. Parsi, 1997, Jaca Book, p. 195.