1/ Giannizzeri: storie di bambini-soldato, di Roberto Cavallo 2/ GIANNIZZERI, di Ettore Rossi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 14 /02 /2022 - 23:01 pm | Permalink | Homepage
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1/ Giannizzeri: storie di bambini-soldato, di Roberto Cavallo

Riprendiamo dal Corriere del Sud, n°8/2007 un articolo di Roberto Cavallo pubblicato il 2/7/2007 (https://www.recensioni-storia.it/giannizzeri-storie-di-bambini-soldato-corriere-del-sud-n%C2%B082007). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. le sezioni L’impero ottomano e Storia dell’Islam.

Il Centro culturale Gli scritti (14/2/2022)

Miniatura di registrazione di fanciulli per 
il devşirme, Matrakci Nasuh (1558)

Il termine “giannizzeri” deriva dal turco yeni ceri, che significa “nuova milizia” (altri traducono “giovane guerriero”). Si trattava di un corpo di fanteria istituito dal sultano Orkhan (1288-1359) nel 1329 (tra gli storici specialisti del settore vi sono comunque dubbi circa l’esattezza di questa data) e riorganizzato nel 1360 da Murad I (1326-1389).

I giannizzeri inizialmente furono reclutati fra i prigionieri di guerra cristiani più giovani e docili, e disposti alla conversione all’Islam. Ma le esigenze dell’esercito richiedevano sempre forze nuove. Per questo le regioni conquistate dai Turchi vennero sottoposte al devshirme, cioè al reclutamento forzato dei bambini cristiani (almeno uno per ogni quaranta famiglie) che venivano avviati alla carriera civile e militare. Sebbene si abbia notizia di casi in cui tale destino non sia stato avversato, e ciò avveniva specialmente per le famiglie più povere, che intravedevano nella carriera militare ottomana un’accettabile prospettiva di vita per i propri figli, generalmente questa specie di corveè costituiva uno strazio per le famiglie. Nei Balcani sono fioriti racconti, leggende e canti popolari che narrano il dramma di questi bambini strappati alle madri, al focolare domestico, alla patria

Una speciale commissione arrivava nei villaggi cristiani dei Balcani e sceglieva i ragazzi più forti ed intelligenti, in un’età compresa, generalmente, fra gli 8 e i 10 anni. Fino al 1700 il corpo fu dunque composto principalmente da prigionieri cristiani o da cristiani della penisola anatolica, arruolati fin da piccoli e costretti a passare all’Islam. Solo in seguito vi entrarono anche Turchi già Musulmani.

I ragazzini venivano acquartierati in appositi convitti-caserme che per tutta la vita diventava la loro unica casa. Erano educati ad una vita frugale, ad una disciplina severissima, ad un addestramento militare pesantissimo, alla fedeltà verso il sultano, che era il loro unico vero padre-padrone. La raffigurazione del cucchiaio che gli ufficiali portavano sul copricapo, e che stava a significare come essi ricevessero il cibo direttamente dalla mano del sultano, era uno dei simboli di tale assoluta fedeltà. Costretti al celibato, erano iniziati alla confraternita islamica tariqa bektasshiyya, ispirata dal mistico Haci Bektas.

Solo chi dimostrava il proprio valore accedeva al vero titolo di giannizzero, intorno all’età di 24-25 anni. In caso di invalidità, o al sopraggiungere della vecchiaia, ricevevano una specie di pensione. Alla loro morte il reggimento ereditava tutti gli averi, compreso il bottino di guerra di cui ognuno era eventualmente riuscito ad impossessarsi.

Il principe albanese Skanderbeg (1403-1468), come tanti suoi coetanei, fu preso in ostaggio e costretto a militare nei reggimenti dei giannizzeri. Distintosi per il valore delle sue imprese, riuscì però a non dimenticare la casa paterna e a fuggire verso la cristianità, in Albania, diventando una spina nel fianco dell’Impero ottomano.

Questa vera e propria “decima umana” garantì, nei 200 anni in cui fu applicata, una forza di circa 200.000 giovani che l’Impero ottomano potè scagliare a suo piacimento contro quell’Occidente da cui li aveva strappati.

Ordinariamente infatti il corpo contava 25.000 uomini, ma in certi periodi le forze al completo dei giannizzeri raggiunsero anche le 200.000 unità. Erano organizzati in orta, termine turco che significa “cuore”, e stava a significare la forza di un reggimento.

Il sultano Solimano I (1494-1566) aveva a propria disposizione 165 orta, ma il numero aumentò fino a 196. Il sultano era il loro comandante supremo, ma sul campo essi venivano organizzati e controllati da un aga, e cioè da un “generale”. Il corpo si divideva in tre reparti: i jemaat, le truppe di frontiera, con 101 orta; i beuluk, le guardie della sicurezza del sultano, con 61 orta; i sekban seimen, con 34 orta.

A questi si aggiungevano ulteriori 34 orta di ajami, che erano gli apprendisti. I giannizzeri potevano essere puniti solo dai propri superiori. I nomi dei gradi erano quelli usati tra i servi in cucina o tra i cacciatori, e questo per ribadire il loro stato di subordinazione nei confronti del sultano.

Adibiti anche al servizio del palazzo imperiale e dell’harem, divenuti nel tempo un corpo d’elite, più volte promossero rivolte e sbalzarono dal trono gli stessi sultani. Infine Mahmud II sciolse il corpo, facendoli addirittura mitragliare in occasione di una rivolta scoppiata nel 1826: circa 30.000 giovani in quell’occasione furono massacrati.

I giannizzeri si distinguevano per il loro valore in battaglia; d’altronde sin da piccoli venivano iniziati all’addestramento militare e alla guerra santa. Parteciparono come corpo d’elite a tutti i principali scontri con i Cristiani (battaglia della piana di Kossovo nel 1389, Nicopoli nel 1396, Varna nel 1444) e nel corso degli assedi (Costantinopoli, Rodi, Malta, Famagosta, ecc.) erano sempre in prima fila. In ciò erano preceduti soltanto dagli Iayalari, una milizia di musulmani suicidi che si gettavano nella mischia con lo scopo deliberato di morire per Allah e di guadagnare subito il paradiso.

Non bisogna pensare che tali milizie appartengano ad un passato oramai remoto Nella recente guerra Iran-Irak i miliziani Khomeinisti hanno costituito il corpo dei bassiji, ragazzini in divisa mandati lucidamente al massacro, come carne da cannone, per individuare i campi minati degli Irakeni.

2/ GIANNIZZERI, di Ettore Rossi - Enciclopedia Italiana (1932)

Riprendiamo dall’Enciclopedia Italiana della Treccani la voce GIANNIZZERI, di Ettore Rossi (1932). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. le sezioni L’impero ottomano e Storia dell’Islam.

Il Centro culturale Gli scritti (14/2/2022)

Disegno di giannizzero, Gentile Bellini (XV secolo)

GIANNIZZERI (in turco yenī čerī "nuovo soldato" e in senso collettivo "nuova milizia"). - Corpo di truppe a piedi dell'Impero ottomano, istituito per la prima volta al tempo del secondo sultano ottomano, Ōrkhān [1329 ca.]. È falsa la leggenda secondo la quale il santo musulmano Ḥāǵǵī Bektāsh avrebbe benedetto la nuova milizia. È vero però che i giannizzeri ebbero una particolare venerazione per Bektāsh e che la confraternita dei Bektāshī (che trasse nome da lui) si giovò a sua volta del prestigio che esercitava sulla forte milizia.

Nei primi secoli il corpo fu quasi esclusivamente alimentato da giovani presi nelle guerre contro i cristiani e dalle migliaia di fanciulli delle famiglie cristiane dell'Impero (specialmente quelle della Turchia Europea: i cristiani d'Asia erano per lo più esentati) raccolti con una levata detta devshirme. Essi erano istruiti nella religione musulmana e abituati a parlare in turco; prima di entrare nei giannizzeri passavano alcuni anni di tirocinio militare nel corpo degli 'Agem Oghlan (in qualche scrittore veneto giannizzerotti). Benché cristiani d'origine i giannizzeri diventavano sotto le armi i più fanatici difensori dell'Islām. La devshirme durò fino al 1700 circa; in seguito l'arruolamento dei giannizzeri si fece in certo modo eterogeneo, entrando a farne parte anche i figli dei Turchi e specialmente i figli dei giannizzeri stessi.

I giannizzeri erano divisi in tre classi: yayabeybulukluseymen (o seyban); ognuna delle tre classi comprendeva un certo numero di reggimenti, detti orta; alla fine del sec. XVII le orta erano 196; il numero dei componenti di ogni orta andò aumentando col tempo: da 100 circa, nei primi due secoli, a persino 800 nel sec. XVII; più tardi qualche orta ebbe anche più di mille soldati iscritti, ma non tutti presenti. I giannizzeri erano da 6 a 10.000 al tempo di Maometto II; furono aumentati di numero da Solimano il Magnifico (1520-1566). Nel 1592 giungevano alla cifra di 24-25.000, un secolo dopo erano 23.000; in periodi di guerre continuate pare che il loro numero salisse fino a 100.000 e oltre, contando anche i veterani e gli orfani; il loro aumento nel sec. XVIII era però fittizio; moltissimi erano soltanto iscritti senza prestare servizio. Il loro generale era l'"Agha dei giannizzeri" (yeničeri aghasï) assistito dal luogotenente detto kiāhyā (ketkhudā); ogni orta era comandata da un čorbagï, il quale era aiutato da ufficiali subalterni: odabashïvekīl-kharǵ, bairaqdār, ecc. Ogni orta era distinta con il proprio numero e di solito anche con particolari denominazioni, come seymenzaghargïturnagïsolaq; avevano funzioni e privilegi tradizionali; ad esempio i solaq costituivano la scorta personale del sultano nei viaggi e nelle cerimonie. Ogni orta aveva il proprio vessillo con distintivi speciali. I soldati portavano un'uniforme di panno e avevano in capo una specie di cuffia bianca di lana con un lungo lembo cadente sulle spalle; erano armati di lance, sciabole, pugnali, accette, archibugi.

Il corpo dei giannizzeri in generale era designato con il nome ogiaq, propriamente "focolare"; simbolo di coesione e di solidarietà erano le marmitte (qazan) nelle quali era cotto il loro cibo e che rovesciavano in segno di malcontento quando avevano motivo di lagnarsi dei loro capi. Molti titoli della gerarchia dei loro ufficiali e sottufficiali erano derivati da termini della cucina. Era consuetudine che i giannizzeri non prendessero moglie; tuttavia il matrimonio non era loro vietato; i figli nati dall'unione di giannizzeri con donne indigene nelle reggenze barbaresche finirono per formarvi un nuovo elemento etnico, i Cologhli (qul-oghlu "figlio di schiavo": i giannizzeri erano considerati schiavi del sultano). I giannizzeri diventati inabili per età o ferite erano detti oturaqlï e mantenuti dal Sultano; anche gli orfani ricevevano pensioni. Non tutti i giannizzeri stavano a Costantinopoli, dove abitavano in proprie caserme dette Odalar; circa la metà di essi erano dislocati nelle provincie.

I giannizzeri furono per molto tempo uno dei principali sostegni dell'Impero ottomano; però anche nei periodi di maggiore potenza di questo furono cagione di disordini e rivoluzioni; la loro disciplina andò man mano scadendo mentre crescevano le richieste di aumenti di paga; e più volte s'intromisero negli affari della corte e del governo e ottennero la deposizione e la morte non soltanto di ministri e gran visir, ma anche di sultani (‛Osmān II nel 1622 e Ibrāhīm nel 1648).

Il sultano Selīm III (1787-1807), l'iniziatore delle riforme dell'Impero, tentò di disfarsi di quella milizia; nel 1792-1793 egli introdusse nell'esercito un nuovo corpo di fanteria, istruito con i sistemi moderni europei, cui fu dato il nome di niẓām-i gedīd "nuovo ordinamento"; i giannizzeri, di fronte a quelle novità che apparivano loro come imitazioni degl'infedeli, si rivoltarono e (maggio 1807) deposero Selīm III facendo salire sul trono Muṣṭafà IV. Sotto il sultano Maḥmūd II, successo a Muṣṭafà IV, il gran visir ‛Alemdār Muṣṭafà pascià riprese il tentativo di trasformazione della milizia giannizzera, cercando di trarre dalla stessa il nuovo corpo dei seymen-i gedīd; la sua opera fu subito troncata (novembre 1808) da una nuova ribellione dei giannizzeri nella quale egli trovò la morte. Il sultano Maḥmūd II istituì nel 1826 il nuovo corpo di eshkingi che doveva essere rifornito mediante i migliori elementi dei giannizzeri. Questi si sollevarono; il gran visir li lasciò radunare nell'Ippodromo e li fece annientare con l'artiglieria (16 giugno 1826). Nella caccia data ai giannizzeri si calcola che 30.000 di essi fossero uccisi. La confraternita dei Bektāshī intimamente legata negli ultimi tempi ai giannizzeri fu abolita.

Bibl.: Oltre le storie generali dell'Impero ottomano di Hammer, Jorga, ecc.; Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti, s. 3ª; Barozzi-Berchet, Le relazioni degli stati euoropei lette al Senato, s. 5ª; Rycaut, The Present State of the Ottoman Empire, Londra 1670 (trad. italiana di C. Belli, Venezia 1672); L. F. Marsigli, Stato militare dell'Imperio ottomanno, Amsterdam 1732, in italiano e in francese; Sermed Mouktar, Musée Militaire Ottoman. Guide, Costantinopoli 1920-22. In turco: Es‛ad Efendī, Uss-i Ẓafer (Storia della distruzione dei giannizzeri), 1ª ed., Costantinopoli 1827, trad. franc., Parigi 1833; Aḥmed Gevād, Ta'rikh-i ‛askerī-i ‛osmānī, I, Yeničeriler (Storia militare ottomana, I vol., I giannizzari), Costantinopoli 1883.