Università. La didattica ibrida spegnerà la luce degli studenti, di Gustavo Piga

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 23 /05 /2022 - 22:21 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire una lettera di Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università di Tor Vergata pubblicata il 19/5/2022. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Università.

Il Centro culturale Gli scritti (23/5/2022)

Caro Direttore,
l’Università è morta col Covid. Ha vissuto a lungo si dirà. Si legge sul sito dell’Alma Mater Studiorum come la sua nascita a cavallo tra XII e XIII secolo sia dovuta a «associazioni di mutua previdenza, dette Nationes, indispensabili per i tanti studenti stranieri bisognosi di ritrovare in città un nucleo di connazionali nel quale sentirsi tutelati e protetti», destinate a divenire, all’inizio del Duecento, cooperative sovrannazionali – chiamate appunto Universitates – che «eleggevano i loro rettori tra i migliori studenti, sostenuti dai rappresentanti della varie Nationes e da un più allargato consesso di scolari.

Queste figure rispecchiavano la natura studentesca dell’organizzazione universitaria e ne rappresentavano i valori nelle sedute cittadine, ne amministravano il corretto funzionamento interno e ne presiedevano l’apparato giuridico». Ormai da secoli gli studenti non eleggono più i rettori; oggi invece stanno addirittura scomparendo. Come le lucciole di Pasolini, sono cominciati a scomparire in maniera fulminea e folgorante, divenendo un ricordo, abbastanza straziante, del passato.

Questa scomparsa sembra ad alcuni da addebitare interamente alle moderne tecnologie, che hanno soppiantato il curioso e antico fenomeno del docente in presenza. Non ritengo sia così. L’uso massivo delle moderne tecnologie, introdotto per decreto dalla sera alla mattina per tentare di arginare gli effetti devastanti della pandemia da Covid, ha permesso che le lucine dei nostri studenti, seppure affievolite, non si spegnessero.

Tuttavia il fatto che non vi sia stato un analogo decreto per rimuoverle per il prossimo anno accademico è la dimostrazione che non sono state introdotte per proteggerci dal Covid ma banalmente per uccidere le ultime lucciole ancora in vita. Non è nemmeno da addebitare ai Rettori, ma ad un potere ben più 'reale' di cui, di nuovo parafrasando Pasolini, «noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali 'forme' esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l’hanno preso per una semplice 'modernizzazione' di tecniche».

Ma quando hanno cominciato a scomparire gli studenti? Tutto nasce certamente più di un decennio addietro, quando abbiamo voluto scrollarci di dosso la rilevanza della didattica e dell’istruzione come pilastro della missione universitaria, riorientando carriere e incentivi del personale (mi perdoni, ma mi è impossibile chiamarlo 'docente' oggidì) di fatto alla sola capacità di 'pubblicare'.

Direttore, sono pochi gli studiosi ancora desiderosi di insegnare in classi piene di giovani matricole del primo anno, per timore di perdere quel tempo così prezioso da spendere utilmente in altro; infatti ci si dedica piuttosto a classi piccine, con pochi esami e orari di ricevimento, se possibile a classi di dottorato, elitarie, in cui trovare giovani con cui pubblicare un articolo scientifico che in futuro nessuno ricorderà ma che assicura oggi il rapido riconoscimento con promozioni di carriera.

Chi si getta nella battaglia ardua ed avventurosa della crescita educativa della massa universitaria viene considerato inadatto al riconoscimento da parte della tribù. Ed eccoci all’oggi in cui assistiamo ad un’accelerazione nella decimazione della popolazione studentesca. Se sono ancora presenti come numero, non li vediamo più, lucciole senza luce, nei parcheggi delle nostre facoltà che – come le nostre aule – sono sempre più deserti. Il rifugiarsi dei tanti giovani, spaventati o annoiati, dietro telecamere spente che assomigliano, ai nostri occhi, a grotte buie senza fine, permette addirittura di attribuire loro la colpa di questa apparente sparizione. Sono loro i pigri, sono loro che desiderano rimanere a casa, evitare di spostarsi, fare domande, partecipare. Sono loro che ci abbandonerebbero se li (udite udite) obbligassimo al ritorno in presenza; non possiamo dunque fare altro che lasciarli rintanati nelle loro grotte. Ma nelle grotte i nostri giovani, Direttore, non studiano. Perché non si concentrano – è impossibile – specie quelli meno abbienti che sono costretti a vivere in ambienti angusti e congestionati da familiari.

Nelle grotte i giovani non si incontrano e non scoprono la diversità, ma la solitudine. Non trovano tutela e protezione, come nel Duecento, ma alienazione e depressione. La didattica del prossimo anno – confermata sempre più come 'ibrida' benché non motivata da una pandemia che pare abbiamo imparato a fronteggiare – peggiorerà la qualità dell’insegnamento e aumenterà le probabilità di abbandono e di ritardo nella laurea, fenomeni che ci piazzano già da anni agli ultimi posti nelle classifiche europee. Invece di approfittare di questo tempo per chiederci come rendere gli spazi universitari finalmente vivibili e attraenti, per riportare meglio di prima i nostri giovani ad una vita in comune, fatta di esplorazione e conoscenza reciproca e di lavoro in squadra, pensiamo invece a come migliorare le tecnologie per tenerli più lontani da tutto ciò.

Invece di generare persone che sappiano vivere con entusiasmo e carattere in comunità di diversi dove affinare il dialogo e la comprensione, stiamo ultimando il processo di creazione di persone incapaci di sfidarsi di fronte alle difficoltà inevitabili della vita. Al 'potere reale' va evidentemente bene così. Eppure sia chiaro: ci sono ancora – in quei luoghi ormai abbandonati che ci ostiniamo a chiamare ancora, impropriamente, Università – coloro che darebbero via l’intera tecnologia per uno studente in più in classe, seduto lì, sul banco, magari con la mano alzata. È da loro che dovremmo ripartire per farla rinascere.