I martiri di Marzabotto sono le donne, i bambini, gli anziani e gli uomini, che morirono nelle loro parrocchie e con i loro preti, non a Marzabotto, ma in realtà nei diversi borghi di Monte Sole (de Gli scritti con schede dell’App disponibile presso il Sacrario di Marzabotto)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 04 /09 /2022 - 23:01 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

N.B. de Gli scritti (4/9/2022)

Riprendiamo sul nostro sito, dalla App disponibile presso il Sacrario di Marzabotto, le schede che presentano i diversi luoghi nei quali le SS naziste compirono la terribile strage detta di Marzabotto (770 Vittime).

I diversi paesi dell’eccidio appartenevano e appartengono tuttora al comune di Marzabotto, ma mentre Marzabotto è situato al fondo della valle, l’eccidio venne compiuto nei diversi borghi della montagna di Monte Sole, quindi spesso la strage è conosciuto come eccidio di Monte Sole.

Il nome di Marzabotto si è imposto perché nel 1961 tutti i resti già sepolti nei diversi cimiteri della montagna vennero radunati nel sacrario di Marzabotto a fondo valle.

Nelle montagne fra Firenze e Bologna era nascosta la Brigata Stella Rossa dei partigiani, che giunse a contare fino a 1000 unità.

Per spaventare la popolazione e generare terrore, i nazisti sterminarono la popolazione civile che era nei borghi e non si era rifugiata in montagna o nei boschi.

Tutti vennero uccisi insieme ai loro preti, nelle chiese, negli oratori, nei cimiteri o nelle piazze dinanzi alle parrocchie di Monte Sole/Marzabotto, come già era avvenuto a Sant’Anna di Stazzema, dall’altro versante dell’Appennino.

Una precisa conoscenza dei fatti deve portare non tanto a criticare la Resistenza armata, che giocò un ruolo importante, quanto a comprendere come il tributo pagato per la liberazione dalla gente semplice e dalle parrocchie fu altissimo.

Non furono solo i vescovi a salvare i civili nelle diverse città e a tessere rapporti perché non si combattesse nei centri abitati, al punto che la resa dei nazisti alla Resistenza avvenne spesso dinanzi al vescovo della città che si era posto come garante, come nel caso di Milano (cfr. su questo

Ma, dove ci fu il maggior tribuito di sangue, a Monte Sole/Marzabotto e a Sant’Anna di Stazzema, esso fu pagato dai sacerdoti insieme alla popolazione civile (cfr. anche

L’Italia che resisteva al nazismo pagò in questo modo, nelle parrocchie emiliane e toscane il prezzo più alto di morti per la liberazione dell’Italia (cfr. Sul 25 aprile, ancora più in sintesi. Breve nota di Andrea Lonardo).

Le schede che seguono sono tratte dall’App 
disponibile presso il Sacrario di Marzabotto

Botte di Pioppe di Salvaro

Il 29 settembre 1944, sin dalle cinque del mattino, a Salvaro è tutto un agitarsi convulso di persone. Monte Salvaro è percorso dai soldati tedeschi che fanno strage e incendiano le case. In un vano dietro la sagrestia maggiore della chiesa vengono nascosti più di settanta uomini. Un armadio monumentale mimetizza l’ingresso e, pregando ad alta voce, i bambini e le donne cercano di coprire eventuali rumori provenienti dal nascondiglio. Altri uomini vengono nascosti in una cantina chiusa da una botola.

Don Elia Comini celebra la messa e appena ha finito arriva un uomo che chiede aiuto per i rastrellati a Creda, dove è in corso il massacro. Don Elia e padre Martino Capelli prendono la stola e l’olio degli infermi e partono alla volta di Creda, ma vengono fermati dai tedeschi che li considerano spie e li utilizzano per il trasporto delle munizioni.

Intanto a Carviano, Calvenzano, Malfolle, Sibano, Pian di Venola e frazioni vicine i tedeschi rastrellano diverse decine di uomini e li rinchiudono a Pioppe di Salvaro, tra la scuderia e la chiesa. In tutto sono un centinaio di persone, tra cui sei religiosi: padre Basilio Memmolo, don Vincenzo Venturi, don Giovanni Fornasini, padre Artusi, don Elia Comini e padre Martino Capelli.

Il 30 settembre 1944 i prigionieri vengono divisi in due gruppi: gli abili al lavoro e gli inabili. Secondo la testimonianza di padre Basilio Memmolo la selezione avviene in seguito a un interrogatorio al quale partecipano un ufficiale italiano della Repubblica Sociale e un ex partigiano che ha tradito i compagni ed è passato con i tedeschi.

Il gruppo degli abili al lavoro viene condotto a Bologna, alle Caserme Rosse: in parte è inviato in Germania, in parte è destinato a governare le bestie. Il gruppo degli inabili, composto da circa cinquanta uomini, di cui fanno parte anche don Elia e padre Martino, è mitragliato sul ciglio della botte della canapiera di Pioppe.

Prima di essere uccisi i prigionieri vengono derubati di orologi, portafogli, scarpe. Sotto i corpi dei caduti si salvano Pio Borgia, Gioacchino Piretti e Aldo Ansaloni, altri tre riescono a uscire dalla botte ma successivamente muoiono per le ferite riportate (Luigi Comelli, Guido Nannetti e un uomo di Carviano). I tedeschi vietano il recupero delle salme. Solo dopo diversi giorni vengono aperte le griglie e i poveri resti sono trascinati via dalla piena del Reno.

Caprara di Sopra

Il nucleo di Caprara era insediato già nel IX secolo attorno all’omonimo castello che dominava le valli del Reno e del Setta. A Caprara di Sopra si trovavano due grandi edifici in pietra, una stalla e un fienile, era abitato da una decina di famiglie. Nei pressi dell’abitato era una fontana per abbeverare il bestiame e lavare i panni. Caprara di Sotto ospitò fino al 1828 in un grande edificio in pietra il Comune di Caprara Sopra Panico, poi spostatosi a Marzabotto in fondovalle, pur mantenendo la denominazione di Caprara sino al 1882. Qui si trovava una fornace per manufatti in laterizio; presso l’abitazione del custode si lavoravano i bachi da seta. A Caprara vivono nel complesso tredici famiglie, suddivise tra Caprara di Sotto e di Sopra. In buona parte si tratta di mezzadri che coltivano i terreni agricoli appartenenti al marchese Beccadelli. La terra dà buoni frutti e durante la cattiva stagione i contadini si dedicano alla raccolta e alla lavorazione delle castagne e a semplici attività artigianali, come la produzione di cesti di vimini. A Caprara di Sopra c’è anche un’osteria-drogheria, gestita dalla famiglia Massa, dove trascorrere qualche ora in compagnia.

Il 29 settembre 1944, nei pressi di Caparra, i soldati tedeschi scoprono la famiglia Tondi, venuta da Castellino. La moglie di Eligio Tondi, Maria Bernardoni, e i loro sette figli vengono trucidati. Eligio, che si è nascosto nel fosso di Campedello, non viene scoperto e sopravvive.

A Caprara i tedeschi consumano un massacro: una quarantina di persone vengono ammassate nella cucina di una casa e trucidate con lanci di bombe dalla finestra e raffiche di mitraglia. Chi tenta di scappare nei campi viene inseguito e ucciso. L’intera famiglia di Primo Iubini viene sterminata: la moglie Maria Fini e i sette figli Ines, Lucia, Giorgio, Emma, Giuseppe, Bruno, Roberto, tutti sotto i 14 anni.

Arrigo Astrali, partigiano della Stella Rossa, perde la moglie Cesarina Parenti e le figlie Anna Rosa, Gabriella e Ida. La casa viene minata e in parte crolla.

I superstiti trovano a Caprara un groviglio di bimbi e donne consumati dal fuoco; vengono sepolti tutti in una grande buca. Amalia Musolesi e la figlioletta Bruna, di due anni, vengono invece colpite da una granata e sepolte nella buca scavata dall’esplosione. I corpi delle vittime di Caprara, insieme a quelli del Castellino, vengono sepolti in una fossa comune subito fuori dal borgo di Caprara di Sopra.

Casaglia con la sua chiesa e il cimitero

Nel 1936 la parrocchia di Casaglia conta 123 famiglie e 716 persone, dedite soprattutto ad attività rurali e abitanti i vari casolari della zona. I boschi offrono legname, castagne e funghi, le stalle sono piene di animali. La chiesa trecentesca era stata riedificata nel ‘600 e da quel momento ospita sull’altare maggiore un dipinto di Elisabetta Sirani rappresentante l’Assunzione di Maria; l’ultimo importante restauro termina nel 1936. Accanto ad essa sono la canonica, una piccola casa e, poco lontano, il cimitero. La chiesa è il punto di incontro principale, specialmente in occasione della messa domenicale e delle festività religiose. Tra il parroco di San Martino don Ubaldo Marchioni e i fedeli si è stabilito un sincero legame di cooperazione e solidarietà. Don Ubaldo si sente il parroco di tutti e perciò ha contatti anche con i partigiani, ai quali non manca tuttavia di esprimere anche critiche e motivi di dissenso.

Il 29 settembre 1944 gli abitanti delle case intorno a Casaglia, terrorizzati dagli spari e dal bagliore degli incendi, corrono in chiesa dove si stringono attorno al parroco nel disperato tentativo di avere salva la vita. Sono soprattutto donne e bambini, perché gli uomini fuggono nei boschi, convinti che il rastrellamento sia soprattutto rivolto contro la Stella Rossa ed eventualmente indirizzato alla cattura di uomini abili al lavoro.

A un tratto la porta della chiesa si spalanca e le SS intimano a tutti di uscire fuori. Elena Ruggeri fugge attraverso la sagrestia; sua madre Maria Assunta Rocca corre sul sagrato e la chiama, temendo di vederla stramazzare a terra. I tedeschi invece uccidono lei, lungo il declivio che scende sotto la chiesa, mentre Elena, insieme a un piccolo gruppo di persone, riesce a mettersi in salvo. Una ragazza paralizzata, Vittoria Nanni, viene uccisa all’interno della chiesa, sulla sua sedia, perché non è in grado di spostarsi. Nel campanile vengono scoperti e uccisi Giovanni Betti ed Enrica Marescalchi.

Le altre persone presenti in chiesa, quasi tutte donne e bambini, vengono fatte uscire e avviate verso il cimitero davanti al quale sostano circa mezz’ora sorvegliate da una SS. Con loro esce anche don Marchioni, che dopo pochi metri viene fatto tornare indietro e ucciso sull’altare. La chiesa è incendiata.

Dopo questa angosciosa attesa, appare un soldato che ordina alle persone di entrare nel cimitero. All’interno del cimitero i più piccoli vengono disposti davanti e i più grandi dietro e vengono poi investiti da raffiche di mitraglia e bombe a mano. Molti muoiono dopo un’atroce agonia; pochissimi si salvano sotto i cadaveri. Il 2 ottobre 1944 le vittime vengono sepolte in una fossa comune dentro il cimitero da Luigi Massa, Antonio Ceri, Attilio e Giulio Ruggeri (che tra i morti hanno i più stretti familiari).

Cerpiano

Durante la guerra Cerpiano diventa un punto di riferimento per la zona alta della parrocchia di Casaglia, soprattutto in seguito all’arrivo di varie famiglie sfollate da Murazze e Gardelletta, borghi situati lungo la valle del Setta e quindi più esposti a bombardamenti e rastrellamenti. Il piccolo nucleo si compone di una casa colonica, della casa padronale (un edificio più imponente denominato “Palazzo”) e di un oratorio dedicato agli angeli custodi. Tutt’intorno si estendono boschi e campi coltivati, con ampi vigneti e filari di ciliegi. A Cerpiano ha sede una pluriclasse elementare e si è da poco trasferito l’asilo di Gardelletta, gestito dalla suora orsolina Antonietta Benni, e insieme ai bambini nel paese sono arrivate anche le loro mamme, spesso portandosi dietro anche le nonne e i nonni. La cantina del “Palazzo” si trasforma in un rifugio per tutti: in una sala viene allestito con dei materassi un gran letto per mettere a dormire tutti i bambini. Tra le famiglie sfollate c’è quella dei Pirini, che hanno lasciato Murazze, occupata dai tedeschi, per andare incontro a una tragica fine (si salvano soltanto il capofamiglia Filippo Pirini e due nipoti, Francesco e Lidia Pirini, gravemente ferita nel massacro del cimitero di Casaglia).

Il 29 settembre 1944, quando ha inizio il rastrellamento, gli uomini si nascondono nei boschi. Le SS, giunte a Cerpiano, fanno entrare una cinquantina di donne e bambini nel piccolo oratorio attiguo alla casa, poi iniziano a gettare dalla finestra e dalla porta delle bombe a mano che lacerano i poveri corpi. Chi tenta di uscire viene falciato, chi si lamenta viene freddato con un colpo ravvicinato.

Sotto i cadaveri si salvano Antonietta Benni e due bambini, Paola Rossi e Fernando Piretti. La mattina del 30 settembre 1944, visto che non sono ancora tutti morti, le SS entrano nell’oratorio e dicono: “Tra 20 minuti tutti kaputt!” e riprendono a sparare, poi passano in mezzo ai cadaveri depredandoli degli oggetti personali. Passano anche vicino alla Benni, che si finge morta.

Tra i cadaveri e i feriti agonizzanti, i tre sopravvissuti restano in silenzio sino a sera, senza poter fuggire perché i tedeschi fanno la guardia. Vengono infine posti in salvo da un giovane di Vado, che si accosta alla carneficina dopo che i tedeschi si sono allontanati. Il 2 ottobre Massimiliano Piretti, che tra i morti ha la moglie, una figlia e molti parenti, e Luigi Massa procedono alla sepoltura dei corpi in una fossa comune vicino all’oratorio.

Poggiolo

Nel 1944 il Poggiolo era un podere agricolo in cui si producevano grano, uva e frutta e comprendeva un esteso bosco da cui si ricavava legna da ardere e un castagneto da frutto. Rendeva una media di 200 quintali di frumento all’anno. La famiglia che vi abitava non era proprietaria della terra, ma la lavorava a mezzadria, un patto agricolo allora molto diffuso nella zona che prevedeva una divisione delle spese e dei prodotti del lavoro fra il proprietario del terreno e chi di fatto lo lavorava. Gli abitanti della casa del Poggiolo, di cui oggi restano solo poche macerie, ebbero numerosi morti nella strage nazista compiuta nell’area di Monte Sole dal 29 settembre al 5 ottobre 1944. Il nuovo edificio del Poggiolo sorge a poca distanza dalla vecchia casa colonica e offre ai visitatori ospitalità, ristoro e materiale informativo.

Pozza Rossa

Don Ferdinando Casagrande e la sua famiglia si salvano dalla strage nascondendosi in un rifugio ricavato sotto il cimitero. Nei giorni successivi all’eccidio le testimonianze ricordano il giovane parroco impegnato nel portare aiuto ai pochi superstiti e nella sepoltura dei morti. Come i suoi colleghi don Giovanni Fornasini e don Ubaldo Marchioni ha sempre svolto con profondo senso di appartenenza alla comunità la sua missione pastorale e, secondo monsignor Luciano Gherardi, “corrispondono probabilmente al vero le voci che lo accreditano di una funzione di collegamento con i parroci del vicariato, con la popolazione e, all’occorrenza, anche con il Lupo, il comandante della Stella Rossa”.

Il 9 ottobre 1944 don Ferdinando e la sorella Giulia si recano al comando tedesco per ottenere il permesso di cambiare rifugio: la situazione a San Martino è così disperata che la famiglia Casagrande rischia di morire di fame. Don Ferdinando e la sorella non tornano indietro e nulla si apprende circa la loro sorte. I loro corpi vengono rinvenuti da Armando Monari in località Pozza Rossa il 4 dicembre 1944, ma solo dopo la liberazione diviene nota la loro triste sorte e le salme vengono recuperate. Due giorni dopo moriranno colpiti dalle cannonate anche la madre di don Ferdinando e i fratelli Lina, Gabriella, Giovannino.

Chiesa di San Martino

Il borgo di San Martino è un centro di aggregazione per tutti gli abitanti della zona, soprattutto in occasione della messa domenicale e delle feste religiose (nel 1938 la parrocchia conta 432 abitanti). Il podere San Martino e quello sottostante di Calvane sono tra i più fertili della montagna e la zona abbonda di castagneti. I terreni, di proprietà della chiesa, sono coltivati a mezzadria dalle famiglie Lorenzini e Luccarini, che saranno tra le più colpite.

Il 29 settembre 1944, la località di San Martino viene risparmiata dalla squadra di tedeschi che l’attraversa, ma il 30 settembre 1944 giungono altri soldati e viene consumata la strage.

Secondo le testimonianze di Elena Ruggeri e di Duilio Paselli, quel giorno Dante Paselli esce dal bosco dove si trova nascosto per andare a vedere i suoi, che sono a San Martino, e incontra la moglie, Maria Naldi, davanti alla chiesa, mentre giungono dall’altra parte anche i soldati. Sospettato di essere un partigiano Dante Paselli viene ucciso davanti alla moglie, che come impazzita si mette a gridare. La donna e il suo bimbo Franco, di 40 giorni, vengono ammazzati sul posto, mentre una quarantina di persone che si trovano a San Martino sono portate di fronte alla casa dei Lorenzini e mitragliate. Sono in gran parte donne e bambini, perché gli uomini sono fuggiti nei boschi.

I corpi degli uccisi vengono bruciati mediante alcune fascine cosparse di liquido infiammabile. Anche il borgo viene incendiato. Duilio Paselli, che perde nel massacro la moglie Ester Pantaleoni, il figlio Dante, le figlie Fedelia e Malvina Paselli, tre nuore e tre nipoti, ha raccontato che una delle SS parlava nel dialetto locale. Anche Giuseppe Lorenzini ha l’intera famiglia sterminata: la moglie Antonietta Barbieri e i figli Augusto e Pietro Lorenzini sono uccisi il 29 settembre a San Giovanni di Sotto, mentre a San Martino Lorenzini perde la madre Ersilia Marchetti, le sorelle Maria Luisa, Nerina e Rita Pia, tre cognate e quattro nipoti. Partecipa insieme ad altri alla sepoltura dei poveri resti: due giorni di indicibile sofferenza e terrore per i continui spari e il pericolo di essere scoperti e fucilati. Maria Tonelli perde la vita insieme ai figli Albina, Anna, Cesare, Luigi, Prima, Rita Luccarini. Guerrino Avoni ricorda di avere visto, fissato su un’asta il cartello: “Ciò serva di monito agli antinazisti e antifascisti”. Nella strage muoiono anche la sorella e la madre di don Ubaldo Marchioni, parroco di San Martino. I resti delle vittime vengono sepolti in una fossa comune vicino al cimitero. Tra quanti partecipano alla pietosa azione c’è Antenore Paselli, che ha tra le vittime i familiari più stretti.

Cippo di San Martino

L’edicola di fianco al cimitero è dedicata ai religiosi uccisi nel contesto dell’eccidio di Monte Sole. Essi rappresentarono sempre un importante punto di riferimento per la comunità, in particolare in un periodo di guerra, caratterizzato da difficoltà di comunicazione, lutti, uomini al fronte o nelle formazioni partigiane. Dietro al cimitero si trova una piccola lapide nel punto in cui vennero rinvenuti nel dopoguerra il corpo del parroco di Sperticano don Giovanni Fornasini (ucciso il 13 ottobre 1944), insieme a quello di un uomo invalido. Don Giovanni si era probabilmente recato a San Martino per seppellire gli uccisi nella strage. Sotto il cimitero c’era un rifugio dove trovarono riparo per alcuni giorni don Ferdinando Casagrande e la sua famiglia. Don Ferdinando e una sorella morirono il 9 ottobre 1944 a Pozza Rossa, dopo essere usciti dal rifugio per chiedere ai tedeschi il permesso di spostarsi dalla zona. Un’altra sorella venne colpita da un colpo di artiglieria alleata all’interno del rifugio l’11 ottobre 1944 e anche la madre, una terza sorella e il fratello del parroco morirono quello stesso giorno poco lontano, sempre a causa delle cannonate. Gli altri religiosi ricordati sono don Ubaldo Marchioni, ucciso sull’altare della Chiesa di Casaglia, padre Martino Capelli e don Elia Comini, uccisi nella canapiera di Pioppe di Salvaro. Ricordiamo anche la religiosa Suor Maria Fiori, uccisa dai nazisti insieme ai suoi familiari e ad altri civili nel podere di San Giovanni di Sotto, poco distante da San Martino.

Sperticano

Il 29 settembre 1944 i tedeschi saccheggiano la parrocchia di Sperticano. Sotto i mitra spianati un gruppo di donne è obbligato a portare galline, maiali e vino alla scuola di Pian di Venola, dove si trova un gruppo di soldati.

Tutt’intorno al sagrato della chiesa i tedeschi piazzano le mitragliatrici e le donne tremano, temendo che i tedeschi possano scoprire gli uomini che sono nascosti sotto una botola dell’edificio della scuola, davanti alla canonica. Prima di mezzanotte i tedeschi se ne vanno e allora le donne liberano gli uomini che prendono la strada dei boschi.

A Sperticano viene, tuttavia, ucciso il partigiano Dante Tonioli (Tugnoli). L’8 ottobre 1944 si insedia nella canonica di Sperticano il comando di un reparto di SS. I militari di truppa sono invece alloggiati nei locali della scuola, dove si contano circa 40 brandine. Al bivio tra la chiesa di Sperticano e Borgo Fontana, presso il lavatoio, viene allestita un’infermeria da campo. Le donne sono costrette a cucinare e a tenere in ordine le divise dei soldati. Le SS rimangono nella canonica sino al 18 ottobre, quando sono sostituite da una formazione della Wehrmacht.

Il 12 ottobre, compleanno del comandante tedesco, le donne vengono obbligate a preparare un banchetto e due ragazze sono costrette a partecipare alla festa che si svolge nell’aula della scuola. Don Giovanni Fornasini, che teme il peggio, si autoinvita alla festa e verso mezzanotte riesce ad accompagnare le ragazze a casa, suscitando odio e desiderio di vendetta. La mattina del 13 ottobre 1944 il comandante si reca a casa di don Giovanni per ricordargli il suo appuntamento, poi si allontana. Don Giovanni esce di casa, portando con sé il breviario, l’aspersorio, le ostie e il vino, e si dirige verso San Martino, nonostante le suppliche della madre che cerca di trattenerlo. Non si sa ciò che è accaduto nelle ore successive, ma solo che il comandante tedesco torna a casa per il pranzo e la sera, di fronte alla richiesta di notizie, dichiara: “Pastore kaputt!”. Il corpo di don Fornasini viene individuato nei pressi di San Martino il 14 ottobre, ma è recuperato solo il 22 aprile 1945, a liberazione avvenuta.

Monte Sole e la strage di Marzabotto

Il Parco Storico di Monte Sole ricopre quasi interamente l'area coinvolta nell'eccidio di Monte Sole del 1944, quando la violenza nazifascista portò la morte per centinaia di inermi civili, anziani, donne e bambini. Proprio per mantenere viva la memoria degli eventi drammatici che colpirono il territorio, delle vicende della brigata partigiana Stella Rossa, delle distruzioni apportate dalla guerra, nel 1989 è stata istituita questa area protetta, i cui principali obiettivi, oltre alla tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale, sono conservare il patrimonio storico e mantenere aperta la riflessione su quanto accaduto, per contribuire alla costruzione di una cultura di pace rivolta soprattutto alle giovani generazioni. All'interno del Parco si trova infatti anche la Scuola di Pace di Monte Sole, nata nel 2002. Alla vigilia della seconda guerra mondiale l'area dell'attuale Parco Storico di Monte Sole registra aspetti comuni a quelli della media collina bolognese. Oltre alla coltivazione dei campi, altra occupazione rilevante è l'allevamento del bestiame, per il consumo o come aiuto nei lavori agricoli. Gli effetti diretti della guerra su questo territorio cominciano a essere avvertiti in particolare a partire dal 1943. Dopo la firma dell'armistizio fra il governo italiano e gli Alleati, resa nota l'8 settembre 1943, nell'area del Parco Storico di Monte Sole, nasce una brigata partigiana allo scopo di combattere contro i tedeschi e i fascisti, denominata Stella Rossa e comandata da Mario Musolesi “Lupo”. L'interesse dei tedeschi per l'altopiano di Monte Sole cresce in proporzione all'avanzata degli Alleati. Fino all'agosto (ovvero sostanzialmente fino alla liberazione di Firenze) il nemico si trova ancora in una zona relativamente lontana, ma dopo lo sfondamento delle difese lungo l'Appennino tosco-emiliano, nell'agosto-settembre 1944, il controllo del crinale Setta-Reno diviene di vitale importanza per l'esercito tedesco: l'area di Monte Sole è infatti l'ultimo ostacolo naturale prima di Bologna e la prospettiva peggiore per i tedeschi è di rimanere imprigionati in un duplice attacco partigiano e alleato. In questo mutato contesto strategico, per preparare la difesa e un'eventuale ritirata, i tedeschi hanno bisogno di eliminare qualsiasi ostacolo all'esercizio della loro autorità.

Tra la metà e la fine di settembre 1944, il comando della 16° Divisione Corazzata Granatieri delle SS decide una operazione militare per l'annientamento dei gruppi partigiani e il rastrellamento del territorio nemico. Questa operazione, affidata al comando del maggiore Walter Reder, si svolge tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944. Tutta l'area viene circondata da circa 1000 soldati, tra cui elementi italiani appartenenti alla Guardia nazionale repubblicana.

Divisi in 4 plotoni rastrellano l'intera zona da sud, da nord, da est, da ovest. Bruciano le case, uccidono gli animali e le persone. Il bilancio dei 7 giorni di eccidio è di 770 vittime di cui 216 bambini, 142 ultrasessantenni, 316 donne.

L'eccidio viene compiuto in 115 luoghi: paesini, case sparse, chiese. L'eccidio di Monte Sole non si configura come una rappresaglia bensì come un rastrellamento finalizzato al massacro. Esso si inserisce in una strategia ben più ampia applicata nel '44 e nel '45 dalle truppe tedesche in Italia. Questa strategia mira a terrorizzare la popolazione civile, al fine di evitare la formazione di qualsiasi forma di resistenza o di disperdere gruppi di resistenza già formati: la “dominazione del terrore”.

Sacrario di Marzabotto

Il Sacrario fu terminato nel 1961. All’esterno numerose lapidi ricordano stragi della seconda guerra mondiale e di tempi più recenti. Esse circondano i volti di una parte dei caduti dei comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana. Parte di queste vittime riposano all’interno dell’edificio, protetti da lapidi in parte divise per località d’eccidio e riportanti nomi ed età delle vittime. Quattro targhe richiamano le medaglie d’oro conferite a Don Giovanni Fornasini, Francesco Calzolari, Mario Musolesi e Gastone Rossi. Alcune lapidi ricordano inoltre caduti i cui nominativi non sono presenti o che non sono stati identificati.