Il mitreo di Sutri e la chiesa rupestre di Santa Maria del Parto: appunti per una visita a partire dalla questione metodologica della datazione dei due edifici, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /09 /2022 - 00:21 am | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito uno studio di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Arte medioevale e Paleocristiano, ma anche Roma e le sue basiliche.

Il Centro culturale Gli scritti (4/9/2022)

1/ Premessa sul turismo dozzinale

Nelle ultime due visite al mitreo/chiesa di Santa Maria del Parto a Sutri mi sono capitati due episodi che vale la pena raccontare per mostrare la confusione che esiste a riguardo del luogo.

Primo episodio: terminata la visita, un gruppo di sette persone voleva sostare ancora all’interno e cercava di trovare una scusa per far uscire il custode: dopo poco divenne chiaro che il gruppo intendeva recitare delle preghiere neopagane nel luogo.

Secondo episodio: dopo le prime parole di spiegazione da parte della guida turistica, una turista commenta ad alta voce dinanzi a tutti: “Certo è la chiesa che, con la sua abituale violenza, ha convertito il mitreo cacciandovi i fedeli di Mitra”.

Cosa pensare di tutto questo?

2/ Per un approccio scientifico

Se si desidera offrire non fake news ma qualcosa di solido dal punto di vista scientifico e archeologico, è bene attenersi ai dati.

Innanzitutto ciò che è certo: lo stato attuale della chiesa di Santa Maria del Parto - in particolare i suoi affreschi – sono oggi unanimemente datati fra il XIII e il XIV secolo[1].

Prima di fornirne una descrizione, è bene riflettere sul dato cronologico della loro realizzazione: ad oggi non sono state rinvenute tracce di affreschi o di decorazioni che siano precedenti a tale data, cioè antecedenti al basso medioevo. Non c’è niente, insomma, che sia pertinente all’età in cui era vivo il mitraismo, ma soprattutto niente che sia pertinente al cristianesimo di quei secoli.

Nei secoli in cui era ancora vivo il mitraismo, la zona era una necropoli etrusco-romana e questo fatto depone con forza contro il fatto che lì sia potuta sorgere una chiesa , nei primi secoli del cristianesimo.

I primi autori che nell’ottocento si occuparono della chiesa[2] credevano che la chiesa fosse di origine paleocristiana[3], la collegavano al periodo delle persecuzioni e taluni ritenevano addirittura che l’edificio fosse collegato ad una rete di catacombe nelle quali, secondo le errate visioni di allora, i cristiani si sarebbero rifugiati in caso di pericolo.

Ma presto, man mano che gli studi sulle origini del cristianesimo avanzavano, vennero avanzate serie riserve sul fatto che lì potesse sorgere un edificio cristiano che avrebbe avuto senso solo in presenza della tomba di un martire o di un cimitero cristiano.

Gli studi scientifici moderni, infatti, anche quando esitano a datare Santa Maria del Parto, hanno reso chiaro che, finora non è stata rinvenuta traccia certa di decorazioni o elementi costruttivi che facciano pensare ad un utilizzo cristiano antico.

A tutti era, comunque, chiaro già da allora che l’edificio aveva tutto intorno una necropoli prima etrusca e poi romana. Si vedrà più avanti che questo è il vero argomento che rende difficile ipotizzare che i cultori di Mitra vi abbiano costruito un luogo di culto, ma certo rende impossibile che proprio lì, in un cimitero, i cristiani abbiano deciso di celebrare le loro liturgie.  

Nel prosieguo degli studi, altri ricercatori ipotizzarono invece che l’edificio, in precedenza una tomba, fosse stato cristianizzato in età longobarda[4]. Anche di tale tesi non vi è a tutt’oggi fondamento né nelle fonti, né soprattutto dal punto di vista di materiale poiché non vi è alcun reperto che possa essere datato con sicurezza a quel periodo.

L’ipotesi longobarda dipende dalle conoscenze storiche del tempo in cui nacque e che sono state poi superate dagli studi successivi: per decenni si è, infatti, ritenuta vera una supposta donazione di Sutri tramite la quale i longobardi avrebbero donato al vescovo di Roma i primi possedimenti che avrebbero poi dato origine al potere temporale della chiesa di Roma. Tale visione poco storica, unita al fatto che nella chiesa vi è un affresco riguardante l’arcangelo Michele e che il culto micaelico ha venerato alcune grotte e che i longobardi veneravano l’arcangelo ha creato il corto circuito che ha portato a datare la chiesa al periodo longobardo.

Chi scrive ha studiato a lungo l’origine del potere temporale del vescovo di Roma: dalle fonti emerge chiaramente che tale autorità non ebbe origine a partire dal possesso di un luogo preciso, bensì dall’assenza della autorità bizantina che stava lottando per la sopravvivenza a Costantinopoli, assediata ora dagli arabi ora dagli avari. Questa debolezza dell’impero generò un vuoto di potere: il vescovo di Roma, pur invocando continuamente l’intervento dell’imperatore romano che risiedeva allora da secoli a Costantinopoli, poiché egli era assente, si dovette muovere ripetutamente a Sutri come a Sora, a Narni come a Perugia, a Blera come a Ravenna, a Orte come a Polimarzio, per ottenere indietro le città che i longobardi via via occupavano[5]. Sutri non è, quindi, un luogo chiave per le origini del potere temporale del vescovo di Roma, bensì uno dei tanti centri che dimostrano come l’unica autorità che agiva sul territorio per recuperare i territori imperiali insidiati dai longobardi era ormai solo il vescovo di Roma.

Quanto detto non esclude a prori che la chiesa di Santa Maria del Parto possa essere divenuta tale nell’età in cui i longobardi cercavano di divenire i signori della penisola, cioè nella prima metà dell’VIII secolo, quando i seguaci di Mitra erano scomparsi da secoli, né intende negare l’evidente iconografia micaelica presente nell’atrio attuale della chiesa, bensì intende ricordare che non vi sono a tutt’oggi segni che possano dare conferma letteraria o archeologica a tale ipotesi.

Furono poi negli anni trenta, indipendentemente l’uno dall’altro, Claudio Pellegrino Sestieri[6] e Franz Cumont[7], ad ipotizzare e sostenere per primi che il luogo fosse stato in precedenza un mitreo.

Essi non presero posizione sulla questione di come mai in un sepolcreto etrusco e poi romano una tomba fosse stata trasformata in mitreo, ma si basarono su quanto si sapeva dell’architettura di un mitreo, notando una qualche somiglianza tra la chiesa di Santa Maria del Parto e i mitrei conosciuti.

Altri proposero che la chiesa fosse stata in origine solo una tomba e che solo secoli dopo la scomparsa della religione mitraica, ma anche secoli dopo la presenza longobarda, l’edificio sarebbe stato adibito al culto cristiano[8].

La tesi che il luogo sia stato, dopo un primo utilizzo come tomba, utilizzato come mitreo, prima di diventare chiesa è quella accolta oggi dai più[9], senza che vi sia stata ancora alcuna conferma archeologica[10]. Insomma una primitiva destinazione a mitreo non ha dati scientifici a supporto, ma potrebbe essere assolutamente vera – a breve torneremo sulla questione, sui reperti mitraici della zona e sulla vera obiezione seria a tale ipotesi.

3/ La questione storica riconsiderata

Come si è detto, è possibile che l’attuale chiesa sia stata in origine un mitreo.

L’edificio potrebbe aver accolto nei primi secoli dopo Cristo seguaci di Mitra – la fede mitraica venne portata a Roma da legionari ed era riservata solamente ai maschi, con l’interdizione delle donne - che avrebbero partecipato ai riti seduti nei due lati lunghi della costruzione.

È la conformazione di tale luogo, “ipogeo” e con la possibilità originaria di banconi ai lati, ad essere l’indizio a favore di tale tesi.

Chi obietta a tale ipotesi sostiene che la prova sarebbe la forma difforme da qualsiasi altro mitreo conosciuto: se si confronta il luogo con i mitrei romani conosciuti, ad esempio, non se ne conoscono altri con pilastri.

A nostro avviso, invece, tale elemento non è decisivo, perché i fedeli di Mitra potrebbe aver utilizzato una tomba che aveva già tale struttura e potrebbero averla ritenuta adatta. Il luogo potrebbe aver visto sacrifici animali in onore di Mitra, con la necessità di far colare il sangue al centro.

Ciò che si oppone veramente all’identificazione è un elemento a cui non si dà peso e che è invece decisivo: l’ubicazione. Ciò che andrebbe spiegato è perché un mitreo sarebbe stato costruito in una zona cimiteriale e non in una casa privata o a fianco di impianti termali.

È vero che il culto di Mitra si sviluppa, nella crisi del paganesimo, quando gli uomini del tempo, desiderando una risposta più convincente alla morte di quella fornita dal paganesimo ufficiale, cercano dei culti più intimi che convincano dell’immortalità dell’anima e delle buone disposizioni della divinità che la condurrebbero alla vita eterna e alla rinascita, come avviene con il ciclo solare.

Ma tale fede, legata al desiderio di sconfiggere la morte, non portò mai i seguaci di Mitra, secondo le indagini fin qui condotte sui mitrei in tutto l’impero romano, a costruirne uno in una necropoli.

Esistevano dei riti che gli antichi romani compivano a fianco delle tombe dei loro cari, con refrigeria e altro, ma non è questa l’ipotesi che gli studiosi favorevoli all’ipotesi mitraica hanno fatto, bensì quella di un vero e proprio mitreo a fianco di tombe.

Gli studiosi del sito sostengono che la necropoli etrusca e poi latina fu continuativamente in funzione dal I secolo a.C. al III-IV secolo d.C. ed è questo il vero ostacolo all’ipotesi, prima ancora dell’assenza di elementi probanti.

Si è insistito poi sul presunto collegamento con i due bassorilievi di Mitra che sono conosciuti nei pressi di Sutri - uno è oggi presso il Museo Nazionale Romano (inv. 126284), l’altro è invece murato sulla facciata del cosiddetto Casale delle colonnacce, dedicato da L. Avillius Rufinus: il luogo è unanimemente identificato con il Vicus Matrini, una delle antiche stazioni di posta della via Cassia[11].

Bassorilievo del Casale delle Colonnacce

La presenza di tali reperti indica che esistevano certamente mitrei nell’area, come esistevano dovunque ci fossero legionari romani, ma non che essi appartenessero all’ipotetico mitreo presente nell’antica necropoli di Sutri.

Fra l’altro la presenza dei due reperti indica con chiarezza che le due lastre non vennero intenzionalmente distrutte, ma semplicemente asportate.

4/ La vera questione, quella della datazione cristiana dell’edificio

Ma c’è un elemento ancora più importante, che viene assolutamente ignorato e che è invece decisivo per comprendere l’evoluzione dell’edificio.

Se anche si riuscisse a provare che la Chiesa di Santa Maria del Parto sia stata in origine, dopo un primo utilizzo funerario, un mitreo, questo significherebbe che allora i cristiani avrebbero trasformato a forza quel luogo in chiesa, imponendo la propria presenza, come lasciano intendere talvolta le guide?

Qui si può rispondere con certezza: questo è impossibile, perché i cristiani dei primi secoli si sono sempre rifiutati di celebrare in luoghi già adibiti ad un culto pagano.

Certo i cristiani riutilizzarono via via gli edifici pagani, man mano che il numero dei cristiani aumentava, ma l’utilizzo di architetture religiose pagane non iniziò se non a partire dal VII secolo, poiché era inconcepibile per i cristiani di allora celebrare il mistero di Cristo dentro luoghi di culto riservati a divinità estranee al cristianesimo – come ha dimostrato Valenti studiando la trasformazione di destinazione degli edifici pubblici e privati nell’urbe[12].

Alcuni edifici templari vennero distrutti dopo Teodosio – e sempre lontano da Roma, in Egitto o nelle Gallie, ma mai nell’urbe[13] -, ma non vi si celebrò mai all’interno in quei secoli. Si possono ipotizzare ricoperture, non dimenticando che chi le ipotizza in alcuni luoghi dell’urbe le data a partire appunto dal VII secolo, ma non ad un riutilizzo in età paleocristiana.

È noto che il primo Tempio pagano ad essere utilizzato dai cristiani fu il Pantheon, convertito in chiesa nell’anno 609[14]. Nel VII secolo il culto di Mitra era già scomparso e prima di quella data mai si sarebbe convertito un tempio in chiesa. Ciò avvenne solo dopo che da secoli non si celebrava più il culto pagano in quegli edifici.

Inoltre le prime chiese cristiane, dopo le domus ecclesiae del I e del II secolo d.C., prendono, già prima di Costantino[15], la forma basilicale proprio per non essere destinate più, come le domus ecclesiae, ad un numero piccolo di fedeli, perché già durante le persecuzioni tale numero è talmente grande da non ha niente a che fare con il piccolo numero degli aderenti ad un gruppo mitraico.

Inoltre gli stessi cristiani, come si è già detto, non avrebbero celebrato una liturgia in mezzo ad una necropoli, se non sulla tomba di un martire e con sepolture cristiane all’intorno.

Con questo intendo dire che se anche fosse stato possibile l’utilizzo a mitreo di una tomba antica, mai sarebbe stato possibile l’utilizzo di un mitreo come chiesa cristiana in età paleocristiana, quando il culto mitraico era ancora vivo.

La datazione, invece, longobarda è teoricamente possibile. Siamo negli anni che vedono già il Pantheon diventare una chiesa e, se vi fossero reperti a favore, si potrebbe ipotizzare una continuità della dedicazione a San Michele dal VII secolo in avanti.

Molto più sensata è, comunque, la datazione della chiesa al basso medioevo, poiché tutti i dipinti oggi presenti nella chiesa di Santa Maria del Parto appartengono, precisamente, ad un periodo che va dal XIII al XIV secolo.

Tutto lascia ritenere, insomma, che se il nostro sito fosse stato in origine un mitreo, esso sarebbe prima caduto in abbandono per secoli e poi in età longobarda o, molto più probabilmente nel XIII-XIV secolo, ossia circa mille anni dopo l’abbandono dell’ipotetico mitreo, avrebbe conosciuto una dedicazione cristiana.

Questa insomma, l’ipotesi di cronologia che è possibile fare: in origine, dal I secolo a.C. fino al II secolo d.C., una tomba etrusca e poi latina, che potrebbe esser servita poi come mitreo dal II al IV secolo d.C., il quale sarebbe stato poi abbandonato dal IV-V secolo fino al VII (nell’ipotesi longobarda) o più probabilmente fino al XIII, ed essere allora trasformato in chiesa.

Bisogna essere molto cauti ad identificare il luogo con un mitreo, fino al ritrovamento di un qualche reperto archeologico che possa attestare tale funzione, ma certo non vi fu una sostituzione immediata di tale uso con il culto cristiano.

Solo mille anni dopo, quando nemmeno si sapeva più bene cosa fossero la religione etrusca o il culto mitraico, quel luogo divenne la chiesa di Santa Maria del Parto

L’ipotesi è confermata dal fatto che tutta l’antica necropoli etrusca è stata riutilizzata nel corso del medioevo dagli abitanti di Sutri: ogni vano scolpito nel tufo è stato riadattato a stalla o a cantina, ad abitazione o a riparo.

5/ Gli affreschi del XIII e XIV secolo

Nell’atrio della chiesa di Santa Maria del Parto stanno gli affreschi meglio conservati[16]. Qualcuno vuole che essa fosse un locale annesso o una cappella minore e che l’ingresso principale avvenisse da una porta che è riconoscibile nella chiesa in fondo a sinistra, ma è più plausibile pensare che l’ingresso avvenisse in antico, come oggi, lì dove è l’ingresso attuale e che l’altro fosse un ingresso secondario.

Nel vestibolo è al centro la raffigurazione di una teoria di pellegrini che ascende al monte Gargano, mentre più grande a sinistra è rappresentata la leggenda che dà origine a tale devozione. Si vede, infatti, un cacciatore le cui frecce tornano indietro.

La tradizione vuole che un toro si allontanasse dagli armenti di un ricco signore: egli lo ritrovò sul monte accanto a una grotta. Cercò di abbatterlo, ma le frecce tornarono indietro. Si pensò ad un miracolo e venne informato il vescovo che, dopo tre giorni di preghiere, vide in sogno l’Arcangelo Michele che rivelò come si dovesse lì consacrare un santuario a lui. L’arcangelo è dipinto in grande alla sinistra.

A destra dell’affresco di San Michele sta un altro riquadro con San Cristoforo (il nome significa “Colui che porta il Cristo”), colui che scoprì di portare il Cristo Bambino nell’attraversamento di un fiume, ed è considerato patrono dei pellegrini.

A sinistra, invece, sta la Madonna con a fianco l’arcangelo ed san Giacomo (il “Santiago” di Compostela).

Si comprende subito come le tre raffigurazioni del vestibolo della chiesa abbiano temi che ben si relazionano ad una chiesa posta su di una via di pellegrinaggio, la via Francigena.

Entrati nella chiesa vera e propria si vede in fondo l’affresco della Natività che è quello che ha dato il nome alla chiesa come la Chiesa del Parto.

L’iconografia è quella tradizionale con il Bambino che è deposto in una mangiatoia. La Madonna è adagiata su di un telo bianco e lo accarezza sulla testa con una mano. A destra, come sempre discostato, sta Giuseppe, ad indicare anche pittoricamente che quel bambino non è nato dalla sua carne, ma è Figlio di Dio.

Vicino alla mangiatoia stanno il bue e l’asinello, segno che il creato intero partecipa all’evento dell’incarnazione, mentre sopra i due animali si vede l’angelo che dà l’annunzio ai pastori.

Sulla volta, invece, è la figura di San Michele, dipinta con particolari in rilievo: lo si vede mentre schiaccia il serpente, che rappresenta il diavolo.

Nella chiesa sono poi diverse figure di santi che debbono farla immaginare interamente affrescata.

Immediatamente a sinistra dell’entrata si vedono alcuni dei “misteri” della vita di Cristo e questo deve far pensare che fossero tutti rappresentati uno di seguito all’altro[17].

Sono oggi ancora chiaramente riconoscibili La Fuga in Egitto più in alto con la Madonna che regge il bambino su di una cavalcatura, mentre Giuseppe li accompagna nel viaggio in Egitto e sotto la Flagellazione, con Cristo legato alla colonna, e la Crocifissione.

Note al testo

[1] Cfr. su questo L. Gregori, I dipinti murali del presbiterio della chiesa di Santa Maria del Parto a Sutri, in “Informazioni, Pubblicazione periodica semestrale del centro di catalogazione dei beni culturali della Provincia di Viterbo”, XVI, 8, 1999, pp. 32-40 e R. Cantone – F. Scirpa, Un ipogeo Mariano ed il culto Micaelico sulla via Francigena. Restauro e nuova lettura dell’apparato decorativo, Viterbo, Quatrini, 2009 (le due studiose sono le autrici dell’ultimo restauro di Santa Maria del Parto).

[2] Un solido status quaestionis sulla storia delle ricerche storico-archeologiche è fornito da A. Pergoli Campanelli, Comune di Sutri – Santa Maria del Parto (o la Madonna del Parto) – cosiddetto Mitreo di Sutri – relazione storica, disponibile on-line, che passa in rassegna tutti gli studi di carattere accademico riguardanti l’edifico e sintetizza le posizioni di ogni autore: basta il confronto fra tale recensione scientifica degli studi e i numerosissimi articoli divulgativi reperibili su guide scritte oppure on-line, per accorgersi di come siano poco fondate e cronologicamente assurde le considerazioni dei non addetti ai lavori.

[3] Furono i primi autori dell’ottocento che si occuparono del sito ad indicare la chiesa come un edificio paleocristiano, collegandolo al “Colosseo” di Sutri, quasi che la chiesetta potesse essere servita a nascondersi e a rifugiarsi dalle persecuzioni. Così Bondi (P. Bondi, Saggio storico sull'antichissima citta di Sutri, Firenze, Tipografia Calasanziana, 1836, pp. 155-58), Dennis (G. Dennis, The Cities and Cemeteries of Etruria, II voll., London, J. Murray, 1848, pp. 62-69), Nispi Landi (C. Nispi Landi, Storia dell’antichissima città di Sutri, Roma, Desideri-Ferretti, 1887), Frothingham (A.L. Frothingham, An early rock-cut church at Sutri, in “American Journal of Archaeology”, 5 (1889), pp. 320-330 e tav. X). La tesi venne ripresa poi più recentemente negli anni cinquanta da Marrou (H.-I. Marrou, F. Cabrol, H. Leclercq, Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie, XV, 2, Smyrne-Zraïa, Paris, Librairie Letouzey et Ané, 1953, coll. 1738-1742). I primi autori, in maniera assolutamente fantastica, collegavano la chiesa a delle catacombe che avrebbero avuto addirittura uno sbocco a Roma o in altri luoghi circumvicini. Era insomma un’idealizzazione dei primi secoli del cristianesimo che li portava a retrodatare la chiesa.

[4] Il primo ad ipotizzare un origine longobarda e non paleocristiana di Santa Maria del Parto fu Tomassetti (G. Tomassetti, Della campagna romana nel medio evo, Roma, Società romana di storia patria, 1885), seguito da Armellini (M. Armellini, Li antichi cimiteri cristiani di Roma e d’Italia, Roma, Tipografia Poliglotta, 1893), e poi da Bargellini che si pronunziò a favore di un’edificazione dal VI al IX  secolo (S. Bargellini, Etruria Meridionale, Bergamo, istituto italiano d’arti grafiche, 1909, pp. 132-141).

[5] Per approfondire tutto questo, cfr. A. Lonardo, Il potere necessario. I vescovi di Roma e il governo temporale da Sabiniano a Zaccaria (604-752), Rom, Antonianum, 2012, pp 535-558 e, in particolare, pp. 556-557, disponibile on-line al link Il potere necessario. I vescovi di Roma e la dimensione temporale nel “Liber pontificalis” da Sabiniano a Zaccaria (604-752), di Andrea Lonardo (file PDF) e, più sinteticamente, Il potere necessario: come nacque il potere temporale della Chiesa?, di Andrea Lonardo.

[6] P.C. Sestieri, La chiesa di S. Maria del Parto presso Sutri e la diffusione della religione di Mitra nell’Etruria meridionale, in “Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma”, LXII, 1934, pp. 33-36.

[7] F. Cumont, Mithra en Étrurie, in Scritti in onore di Bartolomeo Nogara, Città del Vaticano, 1937, pp. 95-103.

[8] Nibby fu il primo a sostenere che la chiesa non poteva essere di età paleocristiana ma doveva essere del XIII o XIV secolo (A. Nibby, Analisi storico-topografico-antiquaria della Carta de’ dintorni di Roma, Roma, 1849, III, p. 142). Lo stesso Sestieri, che per primo propose che il sito fosse in origine un mitreo, sosteneva al contempo che le pitture erano del secolo IX (dunque sosteneva l’ipotesi longobarda, quanto alla decorazione della chiesa, quando il culto mitraico era scomparso da secoli).

[9] Dopo Sestieri e Cumont si dichiararono a favore di una primitiva destinazione mitraica Stacchiotti (T. Stacchiotti, Cos’è e dov’è il Mitreo Etrusco, in “Il Saturno”, settembre 1957, Associazione Pro-Sutri, pp. 5ss), Vermaseren (M.J. Vermaseren, Corpus inscriptionum et monumentorum religionis mithriacae, La Haye, Martinus Niijhoff, 1956), e recentemente Piazza (S. Piazza, Pittura rupestre medievale: Lazio e Campania settentrionale (secoli VI-XIII), Rome, Publications de l’École française de Rome, 2006) e Cantone – Scirpa (R. Cantone – F. Scirpa, Un ipogeo Mariano ed il culto Micaelico sulla via Francigena. Restauro e nuova lettura dell’apparato decorativo, Viterbo, Quatrini, 2009): anche questi ultimi ne trattano come di un dato acquisito, senza sostenere l’onere della prova che è, invece, decisiva da un punto di vista accademico e scientifico.

[10] Altri autori, a partire da questa assenza di dati, si sono dichiarati decisamente contrari all’ipotesi che la chiesa sia stata in precedenza un mitreo, così B.M. Apollonj Ghetti, Notizie su tre antiche chiese in quel di Sutri: la cattedrale, S. Michele Arcangelo (la Madonna del Parto), S. Fortunata, in “Rivista di Archeologia Cristiana”, LXII (1986), 1/2, pp. 61-107: a suo avviso tutto ciò che si trova nella chiesa è tardivo e non compatibile con l’ipotesi mitraica. Altri dichiarano, correttamente, che non è ancora possibile chiarire una destinazione originaria mitraica, come Morselli (C. Morselli, Sutrium, 1980; Sutri, 1991).

[11] Cfr. M. Andreussi, Vicus Matrini, in Enciclopedia dell' Arte Antica (1997), Treccani, disponibile on-line.

[12] Cfr. Trasformazione dell'edilizia privata e pubblica in edifici di culto cristiani a Roma tra IV e IX secolo, di Marco Valenti, in particolare il capitolo Templi pagani trasformati in luoghi di culto cristiano in Trasformazione dell'edilizia privata e pubblica in edifici di culto cristiani a Roma tra IV e IX secolo, di Marco Valenti: Valenti analizza tutti i siti dell’urbe classica riutilizzati dai cristiani e mostra come le ultime ad essere reimpiegate furono le architetture religiose pagane, secoli dopo che si era dato inizio al reimpiego delle architetture civili.

[13] Cfr. su questo A. Lonardo, La chiesa dopo la svolta costantiniana, il paganesimo e la cultura del tempo.

[14] Per approfondire tutto questo, cfr. A. Lonardo, Il potere necessario. I vescovi di Roma e il governo temporale da Sabiniano a Zaccaria (604-752), Roma Antonianum, 2012, pp 535-558 e, in particolare, pp. 556-557, disponibile on-line al link Il potere necessario. I vescovi di Roma e la dimensione temporale nel “Liber pontificalis” da Sabiniano a Zaccaria (604-752), di Andrea Lonardo (file PDF), pp. 70-73 e il capitolo Templi pagani trasformati in luoghi di culto cristiano in Trasformazione dell'edilizia privata e pubblica in edifici di culto cristiani a Roma tra IV e IX secolo, di Marco Valenti.

[15] Sull’esistenza di chiese già prima della svolta costantiniana, cfr. A. Lonardo, L’utilizzo delle fonti letterarie , in P. Filacchione – C. Papi (edd.), Archeologia cristiana. Coordinate storiche, geografiche e culturali (secoli I-V), LAS, Roma, 2015, pp. 47-54.

[16] Per una recensione completa degli affreschi, cfr. L. Gregori, I dipinti murali del presbiterio della chiesa di Santa Maria del Parto a Sutri, in “Informazioni, Pubblicazione periodica semestrale del centro di catalogazione dei beni culturali della Provincia di Viterbo”, XVI, 8, 1999, pp. 32-40. Per il loro restauro ed un’ulteriore presentazione, cfr. R. Cantone – F. Scirpa, Un ipogeo Mariano ed il culto Micaelico sulla via Francigena. Restauro e nuova lettura dell’apparato decorativo, Viterbo, Quatrini, 2009.

[17] Sulla storia dei “misteri” di Cristo, cfr. A. Lonardo (insieme a L. Mugavero), La Parola si è fatta carne e non libro. I “misteri” della vita di Gesù tra Scrittura, liturgia e arte, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2019.