La povertà e la clausura di santa Chiara e il suo coinvolgimento nel mondo. Chiara, Federico II e il regno di Boemia, Appunti di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 04 /09 /2022 - 23:20 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Francesco d’Assisi.

Il Centro culturale Gli scritti (4/9/2022)

Pala di Santa Chiara del cosiddetto Maestro di 
Santa Chiara, 1283 (Basilica di Santa Chiara in Assisi)

Autori moderni, come Chiara Frugoni, hanno proposto una loro visione di Chiara d’Assisi quasi che la “chiusura” fosse stata imposta a lei e alle sue sorelle obtorto collo dal papa[1].

A loro avviso Chiara avrebbe concepito una vita in tutto simile a quella di Francesco, con un primato dato all’itineranza e alla predicazione e con una centralità nel servizio ai poveri[2]. Ciò che dà scandalo agli storici che seguono tale filone è che Francesco stesso abbia concepito una modalità di vita per Chiara dove è l’amore di Dio, invece, ad avere il primato – ovviamente questo dovrebbe poi obbligare ad una rilettura più attenta di cosa sia la povertà francescana.

Taluni hanno addirittura ipotizzato che il primo monastero di San Damiano, da Francesco stesso affidato a Chiara, avesse incluso un lebbrosario o, comunque, una foresteria per l’accoglienza dei poveri[3].

Allo stesso modo, la stessa corrente storiografica ritiene che le monache di Chiara avrebbero potuto scegliere un lavoro esterno al monastero indifferentemente rispetto al lavoro che si deve compiere all’interno – lavoro che certamente Chiara volle come intrinseco alla Regola –, prima degli interventi pontifici.

Frugoni si è più volte pronunciata a favore della tesi che Chiara per prima avesse concepito un ordine di sorelle simile ai moderni ordini religiosi che si dedicano ai poveri o agli orfani o all’educazione[4].

Chiara stessa dichiara, invece, nella prima lettera alla beata Agnese di Praga: “Chiara, indegna serva di Gesù Cristo ed ancella inutile delle Donne recluse del monastero di San Damiano” (n. 2).

Chiara è una donna “reclusa”, è in San Damiano. Dall’anno della sua conversione, il 1211,  e fino alla morte, Chiara non uscì mai da quel luogo.

È “reclusa”, anche se la clausura antica non aveva le stesse forme che ha assunto poi nella storia – quando Chiara era vecchia, le sorelle la lasciarono sola per andare a partecipare alla celebrazione alla Porziuncola e lei ebbe la grazia di vederla “in visione”, segno che le monache uscivano per le celebrazioni più solenni dell’anno liturgico.

Se si vuole avere un’immagine della clausura di Chiara e delle sue sorelle basta guardare a quella cosiddetta “non papale” che esiste in tanti monasteri, dove le monache possono uscire per necessità mediche o per studi, ma anche per un periodi di visita alla famiglia, come per un periodo di riposo o di esercizi spirituali in un altro monastero.

Ma appunto la vocazione è a stare in comunità con le sorelle, assidue nella preghiera e nel lavoro interno al monastero, come la realtà più bella e grande – ed è questo lo scandalo che ancora oggi genera una vita come quella di Chiara – non per fuga dal mondo, ma per amore dello Sposo.

Le discussioni che esistettero per giungere alla Regola che Chiara ricevette da Innocenzo IV e baciò appena due giorni prima di morire non riguardavano l’apostolicità ad extra delle sorelle di Chiara[5], bensì il “privilegio della povertà”.

Chiara voleva con tutte le forze che nella Regola si affermasse che le sorelle non potevano possedere niente, nemmeno comunitariamente.

Il cuore della discussione verteva sull’essere poveri, non sul servizio dei poveri. Chiara ottenne, infine, di poter essere talmente libera da non possedere nulla e ottenne che l’intero monastero non possedesse nulla.

Ben diversa sarebbe stata la questione se al centro ci fosse stata la richiesta di prestare aiuto ai poveri, perché allora sarebbe stato utile poter ricevere donazioni e beni: ma Chiara li rifiuta. A lei interessava vivere come Cristo e tale era la volontà di Francesco per lei.

Ciò è evidente dalle sue stesse parole, nelle lettere ad Agnese di Boemia dove mai Chiara la invita a servire ai poveri, bensì costantemente la richiama a guardare se stessa come in uno specchio, contemplando il Cristo povero che lascia ogni cosa per lei.

La prima lettera è datata dagli storici intorno al 1234, la seconda e la terza dal 1234 al 1238, la quarta negli anni più vicini alla morte di Chiara[6].

Gli storici sottolineano giustamente la libertà assoluta di Chiara che si oppose a ben tre pontefici finché riuscì ad ottenere il “privilegio” della povertà[7]:se avesse voluto l’itineranza o il servizio al di fuori del monastero come caratteristiche centrali della vita delle “povere dame” con la stessa forza e decisione avrebbe lottato per esse, ma così non fu, perché era altro che Chiara voleva e che Francesco voleva per lei.

Ma, nonostante il fermo proposito di vivere nella preghiera e nella povertà in San Damiano con le sorelle, nuovissimo è lo stesso il proposito di Chiara rispetto alle fondazioni precedenti, anche se tale novità è in direzione diversa da quella che pretenderebbero taluni storici moderni.

La novità è data, innanzitutto, proprio dalla scelta radicale della povertà che differenzia la fondazione di Chiara da un monastero benedettino che prospera nel lavoro. Poiché ha un carisma diverso. Con Benedetto il primato è, oltre che alla preghiera, al lavoro e allo studio, in un monastero legato a Chiara è alla preghiera e alla povertà.

L’altra novità è data dalla vicinanza dei monasteri delle sorelle di Chiara alle città, a partire da San Damiano. I monaci precedenti, invece, vivevano distanti dalle città e sceglievano dei luoghi lontano dagli abitati, per cercare Dio e lavorare insieme fisicamente lontano dal mondo.

Il monastero di Chiara è subito fuori della città di Assisi, in un luogo dove i frati potevano averne cura. Ma anche lì dove la città poteva giovarsi della presenza, della preghiera e anche del consiglio delle monache, senza che esse uscissero. La vicinanza era data non dal fatto che le monache uscivano per il lavoro, ma perché la città accorreva in monastero, anche se di rado e in raccoglimento.

Accadde a Chiara ciò che era già stato del monachesimo di ogni tempo, anche se in forme diverse. Più qualcuno si mette alla ricerca del Signore, più il mondo corre a ricevere giovamento. Era già avvenuto con i monaci del deserto che, più si inoltravano in esso, più ricevevano la visita di chi chiedeva preghiere e consigli.

Nella vita di Chiara questo “movimento” che sembrerebbe impossibile – stare rinchiuse e allo stesso tempo che tale chiusura divenga una porta da tutti cercata – appare in maniera lampante da due avvenimenti enormi.

Praga: Convento di Sant'Agnese di Boemia, 
oggi Pinacoteca nazionale

Il primo è lo scambio epistolare con Agnese di Boemia: Chiara è ad Assisi e Agnese da Praga dialoga con lei e riceve i suoi consigli, a migliaia di chilometri di distanza e senza che le due donne mai si incontrino: Agnese è realmente sotto la protezione di Chiara e realmente Chiara le esce incontro, pur restando reclusa! È la potenza della comunione cristiana.

Agnese, che nacque e visse a Praga, era figlia del re di Boemia Premysl Otakar e sorella del re d’Ungheria Andrea II[8]. Fu promessa sposa ad Enrico VII, figlio dell’imperatore Federico II e poi richiesta in sposa dal re d’Inghilterra Enrico II e dallo stesso Federico II. Da parte di madre era cugina di santa Elisabetta di Ungheria, sovrana. 

Conobbe la spiritualità di san Francesco tramite frati francescani e fondò a Praga nel 1232-1233 l’ospedale di San Francesco e l’Ordine dei Crocigeri che lo doveva dirigere, ma, nel 1234, decise di entrare anche lei nelle “sorelle povere” o “damianite” e di abbandonare ogni possesso.

Il monastero divenne, in seguito, il luogo di sepoltura dei reali boemi[9].

Chiara, senza uscire da San Damiano, si trovò insomma a fare del bene in quella nazione così lontana e a seguirne le vicende. E Chiara chiama San Damiano “monastero”, proprio nella prima e nella quarta lettera ad Agnese.

Santa Chiara, Moroni

Il secondo episodio che mostra l’assoluta rilevanza ad extra di Chiara e delle sue sorelle è quello della sua difesa di Assisi in occasione del duplice assedio che Assisi dovette subire da parte delle truppe saracene – arabo-musulmane – al soldo di Federico II. Tutte le fonti – ma soprattutto le testimonianze del processo di canonizzazione - attribuiscono a Chiara e alla sua intercessione il fatto che i soldati nemici abbiano levato l’assedio senza attaccare la città[10] – iconograficamente l’evento è sempre stato rappresentato dall’immagine di Chiara che esce incontro alle truppe nemico con l’ostensorio.

C’è chi ha pensato ad un dialogo epistolare di Chiara con frate Elia che era consigliere dell’imperatore al quale la santa potrebbe avere fatto appello[11].

Certo è che nel Processo di canonizzazione tutte le sorelle dichiararono che fu grazie a lei che le truppe saracene levarono l’assedio e non distrussero la città.

Viene da pensare, di nuovo, all’esperienza che ha chiunque sia di casa in un monastero di clausura oggi: poiché tanti vi ricorrono per la preghiera, per chiedere l’intercessione, per chiedere consiglio e i sacerdoti per celebrare messa e per le confessioni delle monache, non è raro accorgersi che le suore conoscono le situazioni della chiesa e della città meglio di chiunque altro, poiché sono come un punto di riferimento, senza minimamente muoversi dal luogo dove stanno: conoscono la vita della gente non perché escono dal monastero, ma perché il mondo va in monastero!

Solo chi, invece, non ha esperienza della vita di clausura, oppone vita contemplativa e contributo attivo alla vita della società.

Certo è che quando si intende parlare della povertà di Chiara di Assisi – e di Francesco – non si deve dimenticare che essa è tutt’uno con la povertà di affetti (la verginità) e con la rinuncia alla piena disponibilità di se stessi (l’obbedienza), come disse Gesù: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29).

Chiara vuole essere povera per essere come Cristo e per essere con Cristo: certo essa ha dato tutti i suoi beni ai poveri, una volta che è entrata “in clausura”: da quel momento ha dato loro e a tutti testimonianza di essere “sposa” di Cristo, perché dell’amore di lui tutti abbiamo bisogno, anche i poveri. La preghiera del monastero avrà al primo posto i poveri e i loro bisogni materiali e ancor più spirituali, accompagnando la città e la chiesa che si occupano più direttamente di loro, perché i poveri ne hanno il diritto[12].

È il paradosso cristiano: le recluse di Chiara d’Assisi – e Chiara per prima – giovarono e giovano alla città e ai suoi poveri più di tanti altri, proprio con il loro vivere insieme dove il Signore le ha chiamate e le chiama.   

Note al testo

[1] P. Pietro Messa, in “Frate Francesco” 72 (2006), pp. 243-245, nella recensione a All'ombra della chiara luce, a cura di A. Horowski (Bibliotheca seraphico-capuccina, 75), Istituto storico dei cappuccini, Roma 2005, pp. 555+17 tavole fuori testo, ricorda F. Accrocca che, in conclusione, scrive: «La storia delle Clarisse, come viene prospettandosi agli occhi degli studiosi, appare […] sempre più, una storia 'senza Chiara', almeno fino alla metà del Novecento. Il presente volume costituisce, mi pare, una conferma evidente in tale direzione» (p. 516), a dire che molti autori propongono una Chiara che avrebbe vissuto con una spiritualità contraria a quella del movimento da lei nato.

[2] Molti non si rendono conto che se si accettassero le proposte di lettura moderne di Chiara, così facendo si dichiarerebbero le clarisse di oggi traditrici della loro sorella Chiara: secondo tale prospettiva, infatti, se Chiara avesse voluto vivere in San Damiano, avrebbe tradito Francesco e sarebbe mancata una vera apertura al mondo.

[3] Nella recensione in “Frate Francesco” 72 (2006), pp. 237-242, a Indagini archeologiche nella chiesa di San Damiano in Assisi, a cura di L.P. Ermini – M.G. Fichera – M.L. Mancinelli. In allegato F. Ermini, Guida ai santuari francescani di Assisi (1985) (Medioevo francescano. Collana della Società internazionale di studi francescani diretta da E. Menestò – S. Brufani. Arte, 1), Edizioni Porziuncola, Assisi 2005, p. Pietro Messa scrive: «Sono smentite dall’oggettività dei dati le affermazioni di Marina Righetti Tosti-Croce, Nicoletta Bernacchio e Paolo Castellani secondo i quali ci furono tre momenti fondamentali nello sviluppo: il primo è riconducibile ad un periodo precedente a Francesco in cui si avrebbe un “grande vano rettangolare coperto da volta a botte, corrispondente all’attuale navata – edificio sicuramente a destinazione non religiosa per il rinvenimento di una canalizzazione idrica e di frammenti di ceramica da cucina –” per il quale si ipotizza fosse un hospitia, forse un lebbrosario. Una seconda fase avrebbe portato alla costruzione del sovrastante dormitorio per le Clarisse ed, infine, ci sarebbe stato un momento di adeguamento del tutto all’imposizione della clausura da parte di Gregorio IX, con la costruzione del presbiterio, dell’Oratorio e del c.d. Laboratorio. A tali ipotesi – soprattutto per quel che riguarda un supposto primitivo ospizio, ipotizzabile come lebbrosario – le autrici delle indagini archeologiche rispondono che, «per quanto riguarda l’identificazione del supposto “corpo longitudinale” con un edificio a destinazione sicuramente non religiosa, comprovata dalla presenza di una canaletta e di ceramica da cucina, è necessario sottolineare che la canaletta, realizzata in rottura nel muro dell’edificio di pieno tredicesimo secolo, era sicuramente ad esso posteriore […] Relativamente, poi, alla presenza di ceramica da cucina, va precisato che tutti i materiali rinvenuti non sono pertinenti a momenti di vissuto, ma si tratta sempre di frammenti isolati ed in genere presenti negli strati di riempimento […]; l’unica eccezione è costituita dai materiali riferibili alla fase di frequentazione, individuata molto al di sotto di tutti i livelli pavimentali, collegata con il cantiere di costruzione della chiesa romanica» (p. 93). Infatti, i diversi elementi «confermano l’esistenza di almeno quattro fasi fondamentali, chiaramente successive l’una all’altra: alla costruzione della chiesa di S. Damiano, riferibile agli inizi dell’XI secolo, seguono gli interventi identificati con i restauri operati da Francesco, la ristrutturazione globale del complesso che è possibile collegare all’insediamento delle Clarisse, ed infine, in epoca tarda, la realizzazione del Laboratorio» (p. 94)».
Gli studi archeologici recenti smentiscono l’analoga ipotesi di M.P. Alberzoni: «A Chiara e ad Agnese si aggregarono ben presto Pacifica di Guelfuccio e Benvenuta da Perugia, così che la loro collocazione a San Damiano poté forse giustificare un impegno al fianco e in appoggio della presenza dei frati, agli inizi della loro esperienza non univocamente legati all’esercizio della carità, ma in essa attivamente impegnati, come testimoniano anche tanti passi delle biografie agiografiche di Francesco. Mentre si attendono i risultati definitivi dello scavo archeologico recentemente effettuato a San Damiano, sia l’intitolazione del luogo a un santo medico, sia la sua collocazione extraurbana nell’immediato suburbio, sia alcuni elementi finora emersi consigliano di non scartare del tutto l’ipotesi che si trattasse di una struttura aperta, ove potevano trovare accoglienza e conforto pellegrini e malati. Si trattava forse di un lebbrosario nel quale la fraternitas conviveva con i malati» (anche tale testo è citato da P. Messa da M.P. Alberzoni, Chiara e San Damiano tra ordine minoritico e curia papale, in Clara claris praeclara. L’esperienza cristiana e la memoria di Chiara d’Assisi. Atti del convegno internazionale in occasione del 750° anniversario della morte (Assisi, 20-22 novembre 2003), in “Convivium Assisiense”. Ricerche dell’Istituto Teologico e dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Assisi 6/1 (2004), 32-33). Messa sottolinea come Alberzoni e gli altri autori si rifacciano sempre a M. Righetti Tosti-Croce, La chiesa di Santa Chiara ad Assisi: architettura, in Santa Chiara in Assisi. Architettura e decorazione, a cura di A. Tomei, Cinisello Balsamo (Milano), 2002, pp. 21-41, soprattutto pp. 21-29, senza aggiungere alcuna novità, mentre sono le indagini archeologiche ad apportare nuova luce.

[4] È paradossale che Frugoni dichiari al contempo di essere diventata atea proprio a causa di un ordine femminile “aperto” al servizio del mondo: cfr. le sue affermazioni in merito in Frugoni: “Studio San Francesco e ho portato il cilicio, ma le suore sono state la mia scuola di ateismo”. Intervista a Chiara Frugoni di Antonio Gnoli su “La Repubblica” del 19/1/2014: “Sì, quelle suore  [della scuola dove fui mandata a studiare] - ossessionate dal sesso e dalla vita - volevano che avessimo delle visioni. Ci dicevano che se non avessimo visto l'ostia animarsi saremmo state dannate. Passavo il mio tempo nella penitenza e nella preghiera. Portavo il cilicio a insaputa dei miei”. E quando l’intervistatore le chiede: “Posso chiedere se crede in Dio?”, Frugoni rispose: “Dovrei? Dopo quello che mi è accaduto penso che le suore furono un'eccellente scuola di ateismo. Ho smesso di credere verso i 15 anni”.

[5] Erra Frugoni, quando dà troppa importanza alle sorelle laborantes all’esterno, quasi che ci fossero due vocazioni all’interno del monastero, quella delle sorelle dedite a permanere all’interno, come Chiara, e quelle invece dedite a lavorare all’esterno e ad accompagnare i frati nell’evangelizzazione. Se si legge con attenzione la regola e se si legge la vita di Chiara è evidente che la permanenza all’esterno è transitoria e accessoria, è dovuta a necessità e non vista come un primato: anche il “mandare per l’elemosina” non significa che talune monache si recassero a questuare, ma che tutte dovevano avere l’umiltà di chiedere il cibo alla città perché i cittadini amici del monastero lo portassero giorno per giorno per poter avere da mangiare.

[6] Per il testo delle lettere di Chiara ad Agnese, cfr. su questo stesso sito in appendice a La Praga delle origini della nazione boema, la Praga di Cirillo e Metodio, di Ludmilla e Venceslao, di Adalberto di Praga e Agnese di Boemia di cui nessuno parla (un’antologia di testi introdotta da Andrea Lonardo).

[7] J. Dalarun è solito richiamare tale ferma determinazione e libertà di Chiara.

[8] Ovviamente anche Chiara d’Assisi era di origini aristocratiche, a differenza di Francesco, ma certo non poteva vantare gli ascendenti di Agnese.

[9] Il Convento di Sant’Agnese di Boemia (Klášter sv. Anežky České) è uno degli edifici gotici più importanti di Praga. Fu da lei fondato negli anni trenta del XIII secolo insieme a suo fratello, il re Venceslao I (da non confondere con il duca Venceslao). Il convento medievale si è conservata in modo eccezionale, con i suoi spazi principali, compresi l'oratorio di Sant’Agnese, il Santuario del Redentore e la Chiesa di San Francesco, dove vengono conservati i resti del re Venceslao I, in modo da essere uno dei monumenti storici della Boemia più preziosi e uno dei più antichi in stile gotico. Purtroppo, sotto Giuseppe II, nel 1782, il monastero fu vittima delle soppressioni - l’imperatore decise di chiudere qualsiasi monastero o convento che non fosse dedito direttamente alla pastorale e fece pertanto trasformare il monastero in un magazzino, con l’espulsione forzata di tutte le francescane. Le reliquie della beata Agnese vennero così disperse. Negli ultimi decenni il monastero fondato da sant’Agnese è diventato sede della Galleria Nazionale dell'Arte medievale nella Boemia ed Europa centrale (1200 - 1550) e solo uno spazio simbolico oggi ricorda Agnese. Sui luoghi di Agnese di Praga, cfr. La Praga delle origini della nazione boema, la Praga di Cirillo e Metodio, di Ludmilla e Venceslao, di Adalberto di Praga e Agnese di Boemia di cui nessuno parla (un’antologia di testi introdotta da Andrea Lonardo).

[10] Cfr. su questo su questo stesso sito 1/ Santa Chiara con l’Ostensorio per fermare le truppe arabe di Federico II che assediava Assisi (dalla Vita di Santa Chiara di Tommaso da Celano) 2/ [L’assedio di Assisi da parte dei saraceni di Federico II e l’intervento di santa Chiara d’Assisi in difesa della città. Con l’ostensorio, ma anche con la diplomazia?]. Chiara con un personaggio tanto discusso [frate Elia], di Felice Accrocca 3/ Stupor Mundi [e il possibile Battesimo ricevuto da Federico II nel Duomo di Assisi, dove anche Francesco e Chiara vennero battezzati], di Elvio Lunghi 4/ Il Miracolo Eucaristico di Santa Chiara di Assisi dipinto nella parrocchia di Sant’Ippolito in Roma.

[11] Cfr. su questo stesso sito Chiara con un personaggio tanto discusso [frate Elia], di Felice Accrocca.

[12] Sul ruolo del Terz’Ordine francescano, anch’esso decisivo per comprendere la proposta di Francesco d’Assisi, cfr. Cfr. su questo