Nicholas Sarkozy in Laterano. Per una laicità giunta a maturità, le religioni non sono un pericolo, ma un punto a favore... il battesimo di Clodoveo e la laicità sono un fatto per il nostro paese

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /09 /2022 - 21:31 pm | Permalink | Homepage
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Pubblichiamo il discorso pronunciato il 20 dicembre 2007 dal presidente francese Sarkozy nella basilica di San Giovanni in Laterano, dove ha ricevuto dal cardinale Ruini il titolo di canonico onorario. Riprendiamo il testo, per il progetto Portaparola, dalla traduzione redazionale di Avvenire del 21 dicembre 2007. Insieme al discorso integrale, mettiamo a disposizione l’editoriale scritto per Avvenire da Davide Rondoni lo stesso 21 dicembre e, per gentile concessione, la nota dell’agenzia di stampa Zenit, che presenta l’evento in breve. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (22/12/2007)

Indice

  • Discorso del presidente della Repubblica francese, Nicholas Sarkozy nella Sala della Conciliazione del Palazzo del Laterano, dopo la cerimonia per il titolo di Canonico onorario della basilica lateranense
  • La svolta attesa nelle parole di M. le President, di Davide Rondoni
  • Sarkozy: la laicità non ha il diritto di tagliare le radici cristiane, di Mirko Testa

Discorso del presidente della Repubblica francese, Nicholas Sarkozy nella Sala della Conciliazione del Palazzo del Laterano, dopo la cerimonia per il titolo di Canonico onorario della basilica lateranense

Signori cardinali, signore e signori, cari amici, consentitemi di rivolgere le prime parole al cardinale Ruini, per ringraziarlo molto calorosamente della cerimonia che ha appena presieduto. Mi hanno toccato le preghiere che ha voluto offrire per la Francia e la felicità del suo popolo. Voglio ringraziarlo anche per l’accoglienza che mi ha riservato in questa cattedrale di Roma, in mezzo al suo capitolo.

Le sarei parimenti riconoscente, Eminenza, di voler trasmettere a Sua Santità Benedetto XVI i miei sinceri ringraziamenti per l’apertura del suo palazzo pontificio che ci permette di ritrovarci questa sera. L’udienza che il Santo Padre mi ha concesso stamani è stata per me un momento emozionante e di grande interesse. Rinnovo al Santo Padre il mio attaccamento al progetto di un suo viaggio in Francia nel secondo semestre del 2008. In quanto presidente di tutti i francesi, mi faccio portatore delle speranze che tale prospettiva suscita nei miei concittadini cattolici e in numerose diocesi. Qualunque siano le tappe del suo viaggio, Benedetto XVI sarà il benvenuto in Francia.

Nel recarmi stasera in San Giovanni in Laterano, accettando il titolo di canonico onorario di questa basilica, che fu conferito per la prima volta a Enrico IV e che da allora è stato trasmesso a quasi tutti i capi di Stato francesi, assumo pienamente su di me il passato della Francia e il legame particolare che ha unito così a lungo la nostra nazione alla Chiesa.

Con il battesimo di Clodoveo la Francia è diventata Figlia maggiore della chiesa. È un fatto. Facendo di Clodoveo il primo sovrano cristiano, quell’evento ha avuto conseguenze importanti sul destino della Francia e sulla cristianizzazione dell’Europa. In seguito, a più riprese, nel corso della storia, i sovrani francesi hanno avuto l’occasione di manifestare quanto fosse profondo l’attaccamento che li legava alla Chiesa e ai successori di Pietro. (...)

Al di là dei fatti storici, è soprattutto perché la fede cristiana è penetrata in profondità nella società francese, nella sua cultura, nei suoi paesaggi, nel suo modo di vivere, nella sua architettura, nella sua letteratura, che la Francia ha con la sede apostolica una relazione così particolare. Le radici della Francia sono essenzialmente cristiane. E la Francia ha dato all’irradiamento del cristianesimo un contributo eccezionale. Contributo spirituale e morale tramite un’abbondanza di santi e di sante di portata universale: san Bernardo di Chiaravalle, san Luigi, san Vincenzo de’ Paoli, santa Bernadette di Lourdes, santa Teresa di Lisieux, san Jean-Marie Vianney, Frédéric Ozanam, Charles de Foucauld...

Contributo letterario e artistico: da Couperin a Péguy, da Claudel a Bernanos, Vierne, Poulenc, Duruflé, Mauriac o ancora Messiaen. Contributo intellettuale, tanto caro a Benedetto XVI, che si tratti di Blaise Pascal, Jacques Bénigne Bossuet, Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, Henri de Lubac, Yves Congar, René Girard... Mi sia consentito citare anche l’apporto determinante della Francia all’archeologia biblica ed ecclesiale, qui a Roma, ma anche in Terra Santa, così come all’esegesi biblica, in particolare con la Scuola biblica e archeologica francese di Gerusalemme.

Voglio inoltre rievocare tra voi questa sera la figura del cardinale Jean-Marie Lustiger che ci ha lasciati la scorsa estate. Il suo irraggiamento e la sua influenza hanno anch’essi di gran lunga oltrepassato le frontiere della Francia. Ho tenuto a partecipare alle sue esequie, perché nessun francese è rimasto indifferente alla testimonianza della sua vita, alla forza dei suoi scritti, al mistero della sua conversione. Per tutti i cattolici la sua scomparsa ha rappresentato un grande dolore. (...)

Quanto profondamente il cristianesimo sia iscritto nella nostra storia e nella nostra cultura è visibile qui a Roma nella presenza mai interrotta di francesi all’interno della Curia, con le più alte responsabilità. Voglio salutare stasera il cardinale Etchegaray, il cardinale Poupard, il cardinale Tauran, monsignor Mamberti, il cui operato onora la Francia.

Le radici cristiane della Francia sono visibili anche in simboli quali i Pii Istituti, la messa annuale di Santa Lucia e quella della cappella di Santa Petronilla. E poi c’è ovviamente la tradizione che fa del presidente della Repubblica francese il canonico onorario di San Giovanni in Laterano. San Giovanni in Laterano, niente di meno. È la cattedrale del Papa, è la 'testa e la madre di tutte le chiese di Roma e del mondo', è una chiesa cara al cuore dei romani. Che la Francia sia legata alla Chiesa cattolica da questo titolo simbolico è la traccia di una storia comune in cui il cristianesimo ha contato molto per la Francia e la Francia ha contato molto per il cristianesimo. È dunque con la massima naturalezza, come il Generale de Gaulle, come Valéry Giscard d’Estaing, e più recentemente come il presidente Chirac, che sono venuto a iscrivermi in questa tradizione.

Come il battesimo di Clodoveo, anche la laicità è un fatto nel nostro Paese. Conosco le sofferenze che la sua applicazione ha provocato in Francia nei cattolici, nei sacerdoti, nelle congregazioni, prima e dopo il 1905. So che l’interpretazione della legge del 1905 come un testo di libertà, di tolleranza, di neutralità è in parte una ricostruzione retrospettiva del passato. È soprattutto attraverso il loro sacrificio nelle trincee della Grande guerra, attraverso la condivisione delle sofferenze dei loro concittadini, che i sacerdoti e i religiosi di Francia hanno disarmato l’anticlericalismo; ed è la loro comune intelligenza che ha consentito alla Francia e alla Santa Sede di superare i loro dissidi e ristabilire le relazioni.

Tuttavia nessuno più contesta che il regime francese della laicità sia oggi una libertà: libertà di credere o non credere, libertà di praticare una religione e libertà di cambiarla, libertà di non venire offesi nella propria sensibilità da pratiche ostentatrici, libertà per i genitori di far impartire ai figli un’educazione conforme alle loro convinzioni, libertà di non essere discriminati dall’amministrazione in funzione del proprio credo.

Il nostro Paese è cambiato molto. I cittadini francesi hanno convinzioni più varie di un tempo. Perciò la laicità si afferma come necessità e opportunità. È diventata una condizione della pace civile. Ed è per questo che il popolo francese è stato tanto pronto a difendere la libertà scolastica quanto a voler vietare i segni di ostentazione nella scuola.

Stando così le cose, la laicità non potrebbe essere negazione del passato. Non ha il potere di tagliare alla Francia le sue radici cristiane. Ha cercato di farlo. Non avrebbe dovuto. Come Benedetto XVI, ritengo che una nazione che ignori l’eredità etica, spirituale, religiosa della propria storia commetta un crimine contro la propria cultura, contro quel miscuglio di storia, di patrimonio, d’arte e di tradizioni popolari che impregna profondamente il nostro modo di vivere e di pensare. Strappare le radici vuol dire perdere il significato, vuol dire indebolire il cemento dell’identità nazionale e inaridire ulteriormente i rapporti sociali che tanto hanno bisogno di simboli di memoria.

Per questo dobbiamo tenere insieme i due capi della corda: accettare le radici cristiane della Francia, e anche valorizzarle, continuando a difendere la laicità giunta a maturità. Ecco il senso del passo che ho voluto compiere stasera in San Giovanni in Laterano.

È giunto il momento che, in uno stesso spirito, le religioni, in particolare la religione cattolica che è la nostra religione maggioritaria, e tutte le forze vive della nazione guardino insieme alla posta in gioco del futuro e non più solo alle ferite del passato.

Condivido l’opinione di Benedetto XVI quando ritiene, nella sua ultima enciclica, che la speranza sia una delle questioni più importanti del nostro tempo. Dal secolo dei Lumi, l’Europa ha sperimentato molte ideologie. Di volta in volta ha riposto le speranze nell’emancipazione degli individui, nella democrazia, nel progresso tecnico, nel miglioramento delle condizioni economiche e sociali, nella morale laica. Ha deragliato nel comunismo e nel nazismo. Nessuna di quelle diverse prospettive – che chiaramente non metto sullo stesso piano – è stata in grado di rispondere al bisogno profondo degli uomini e delle donne di trovare un senso all’esistenza.

Certo, fondare una famiglia, contribuire alla ricerca scientifica o alle scienze umane e sociali, insegnare, lottare per le proprie idee, in particolare quelle della dignità umana, guidare un Paese, possono dare senso a una vita. Sono queste piccole e grandi speranze 'che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino' per riprendere le parole dell’enciclica del Santo Padre. Non rispondono però alle domande fondamentali dell’essere umano sul senso della vita, sul mistero della morte. Non sanno spiegare cosa accada prima della vita e dopo la morte.

Tali domande appartengono a tutte le civiltà e a tutte le epoche. Non hanno perso nulla della loro pertinenza. Al contrario. Gli agi materiali sempre maggiori nei Paesi sviluppati, la frenesia del consumo, l’accumulo di beni sottolineano ogni giorno di più la profonda aspirazione degli uomini e delle donne a una dimensione che li superi, perché la soddisfano meno che mai.

'Quando le speranze si realizzano, prosegue Benedetto XVI, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere [...] Se non possiamo sperare più di quanto è effettivamente raggiungibile, né più di quanto si possa sperare dalle autorità politiche ed economiche, la nostra vita si riduce a essere privata di speranza'. O ancora, come scrisse Eraclito: 'Se non si spera l’insperabile, non lo si riconoscerà mai'.

La mia profonda convinzione, che ho espresso in particolare nel libro di interviste che ho pubblicato sulla Repubblica, le religioni e la speranza, è che la frontiera tra fede e non-credenza non passi tra quanti credono e quanti non credono, ma attraversi ciascuno di noi. Anche chi sostiene di non credere non può dire di non interrogarsi sull’essenzialità. Il fatto spirituale è la tendenza naturale di tutti gli uomini a cercare una trascendenza. Il fatto religioso è la risposta delle religioni a tale aspirazione fondamentale.

Per tanto tempo la Repubblica laica ha sottostimato l’importanza dell’aspirazione spirituale. Perfino dopo il restauro delle relazioni diplomatiche tra la Francia e la Santa Sede, essa si è mostrata più diffidente che benevola di fronte ai culti. Ogni volta che ha fatto un passo verso le religioni, che si tratti del riconoscimento delle associazioni diocesane o della questione scolastica o delle congregazioni, ha dato l’impressione che agiva perché non poteva fare altrimenti. È solo nel 2002 che ha accettato il principio di un dialogo istituzionale regolare con la Chiesa cattolica.

Mi sia permesso ugualmente di ricordare le virulenti critiche di cui sono stato oggetto al momento della creazione del Consiglio francese per il culto musulmano. Ancora oggi, la Repubblica mantiene le congregazioni sotto una forma di tutela, rifiuta di riconoscere un carattere di culto all’azione caritativa o ai mezzi di comunicazione delle Chiese, le ripugna riconoscere il valore dei diplomi rilasciati dalle istituzioni di istruzione superiore cattolica mentre la Convenzione di Bologna lo prevede, non accorda nessun valore ai diplomi di teologia, considera che non deve interessarsi alla formazione dei ministri del culto.

Penso che questa situazione sia dannosa per il nostro Paese. Certamente, coloro che non credono devono essere protetti da ogni forma di intolleranza e di proselitismo. Ma un uomo che crede è un uomo che spera. E l’interesse della Repubblica è che ci siano molti uomini e donne che nutrono speranza. La disaffezione progressiva delle parrocchie rurali, il deserto spirituale delle periferie, la scomparsa dei patronati e la penuria dei sacerdoti non hanno reso i francesi più felici. Questa è un’evidenza.

Vorrei anche dire che, se esiste incontestabilmente una morale umana indipendente dalla morale religiosa, la Repubblica ha interesse a che esista anche una riflessione morale ispirata alle convinzioni religiose. Anzitutto perché la morale laica rischia sempre di esaurirsi o di trasformarsi in fanatismo quando non è appoggiata a una speranza che colma l’aspirazione all’infinito. Poi e soprattutto perché una morale sprovvista di legami con il trascendente è maggiormente esposta alle contingenze storiche e in definitiva all’arrendevolezza. Come scriveva Joseph Ratzinger nella sua opera sull’Europa nella crisi delle culture, 'il principio riconosciuto oggi è che la capacità dell’uomo sia la misura della sua azione. Ciò che sappiamo fare, possiamo anche farlo'. A un certo punto, il pericolo è che il criterio dell’etica non sia più quello di cercare di fare ciò che dobbiamo fare, ma di fare ciò che possiamo fare.

Nella Repubblica laica, l’uomo politico che io sono non deve decidere in funzione di considerazioni religiose. Ma importa che la sua riflessione e la sua coscienza siano illuminate specialmente dai pareri che fanno referenza a norme e convinzioni libere dalle contingenze immediate. Tutte le intelligenze, tutte le spiritualità che esistono nel nostro Paese devono farne parte. Noi saremo più saggi se coniughiamo la ricchezza delle nostre differenti tradizioni. È per questo che mi auguro profondamente l’avvento di una laicità positiva, cioè una laicità che, pur vegliando alla libertà di pensare, a quella di credere o non credere, non considera che le religioni sono un pericolo, ma piuttosto un punto a favore. Non si tratta di modificare i grandi equilibri della legge del 1905. I francesi non lo auspicano e le religioni non lo chiedono. Si tratta, in compenso, di cercare il dialogo con le grandi religioni di Francia e di avere come principio quello di agevolare la vita quotidiana delle grandi correnti spirituali piuttosto che di cercare di complicarla a loro. (...)

Vorrei rivolgermi a coloro che tra voi sono impegnati nelle congregazioni, presso la Curia, nel sacerdozio e l’episcopato e a coloro che in questo momento si stanno formando da seminaristi. (...) Mi rendo conto dei sacrifici che rappresenta una vita intera consacrata a Dio e agli altri. So che il vostro quotidiano è e sarà attraversato talvolta dallo scoraggiamento, dalla solitudine, e certamente anche dal dubbio. So anche che la qualità della vostra formazione, il sostegno delle vostre comunità, la fedeltà ai sacramenti, la lettura della Bibbia e la preghiera, vi permettono di superare queste prove. Sappiate che abbiamo almeno una cosa in comune: quella di avere una vocazione. Non si è prete a metà, lo si è in tutte le dimensioni della propria vita. Credetemi che non si è neanche presidente a metà. Capisco che vi siete sentiti chiamati da una forza incontenibile che veniva da dentro, perché io stesso non mi sono mai seduto per chiedermi se avrei fatto politica, l’ho fatto. Capisco i sacrifici che fate per rispondere alla vostra vocazione perché anch’io conosco quelli che ho fatto per realizzare la mia. (...)

È grande il vostro contributo all’azione caritativa, alla difesa dei diritti dell’uomo e della dignità umana, al dialogo interreligioso, alla formazione delle menti e dei cuori, alla riflessione etica e filosofica. Lo vediamo radicato nella profondità della società francese, con una varietà di modi spesso insospettata, così come si dispiega attraverso il mondo. (...)

Offrendo in Francia e nel mondo la testimonianza di una vita donata agli altri e riempita dall’esperienza di Dio, voi create speranza e sviluppate sentimenti nobili. È un’opportunità per il nostro Paese e da Presidente la considero con molta attenzione. Nella trasmissione dei valori e nell’apprendimento graduale della differenza tra bene e male, l’insegnante non potrà mai rimpiazzare il parroco o il pastore, anche se è importante che egli si accosti ad essi, perché gli mancherà sempre la radicalità del sacrificio della propria vita e il carisma di un impegno sostenuto dalla speranza.

Voglio inoltre evocare con voi la memoria dei monaci di Tibhérine e di monsignor Pierre Claverie, il cui sacrificio porterà un giorno frutti di pace: ne sono convinto. L’Europa ha troppo girato le spalle al Mediterraneo, anche se una parte delle sue radici vi affondano e se i Paesi rivieraschi di questo mare sono all’incrocio di un gran numero di sfide del mondo contemporaneo. Ho voluto che la Francia prenda l’iniziativa di un’Unione del Mediterraneo. La sua collocazione geografica, così come il suo passato e la sua cultura ve la conducono naturalmente. In questa parte del mondo in cui le religioni e le tradizioni culturali esasperano spesso le passioni, in cui lo scontro delle civiltà può rimanere allo stato di fantasma o rovesciarsi nella realtà, noi dobbiamo coniugare i nostri sforzi per raggiungere una coesistenza pacifica, rispettosa di ciascuno, senza rinnegare le nostre convinzioni profonde, in una zona di pace e di prosperità. Questa prospettiva incontra, mi sembra, l’interesse della Santa Sede.

Ma ciò che mi sta a cuore dirvi è che in questo mondo paradossale, ossessionato dal benessere materiale, ma sempre più in cerca di senso e di identità, la Francia ha bisogno di cattolici convinti che non temano di affermare ciò che sono e ciò in cui credono. (...) Come ha scritto Henri de Lubac, grande amico di Benedetto XVI, 'la vita attira, come la gioia'. E’ per questo che la Francia ha bisogno di cattolici felici che testimonino la loro speranza. Da sempre la Francia è nota nel mondo per generosità e intelligenza. E’ per questo che essa ha bisogno di cattolici pienamente cristiani e di cristiani pienamente attivi.

La Francia ha bisogno di credere di nuovo che non deve subire l’avvenire, ma costruirlo. E’ per questo che ha bisogno della testimonianza di quanti, condotti da una speranza che li sorpassa, ogni giorno si rimettono per strada per costruire un mondo più giusto e più generoso. Stamattina ho donato al Santo Padre due edizioni originali di Bernanos. Permettetemi di concludere con lui: 'L’avvenire è qualcosa che si domina. Non si subisce l’avvenire, lo si fa (…) L’ottimismo è una falsa speranza ad uso dei vili (…). La speranza è una virtù, una determinazione eroica dell’anima. La forma più alta di speranza è la disperazione dominata'.

Ovunque agirete, nelle periferie, nelle istituzioni, accanto ai giovani, nel dialogo interreligioso, nelle università, io vi sosterrò. La Francia ha bisogno della vostra generosità, del vostro coraggio, della vostra speranza.

La svolta attesa nelle parole di M. le President, di Davide Rondoni

Il segno è di quelli che restano. Le parole sono di quelle che fanno stringere gli occhi per vedere se si è capito davvero bene. Insomma, il colpo è arrivato, e forte. Monsieur le President era giunto in una soffusa nebulosa di gossip e di mezzi sorrisi. Avrà la testa altrove. Si sa, gli innamorati sono distratti… Nicholas Sarkozy ha dato l’idea invece di essere molto concentrato. E il discorso in San Giovanni in Laterano ha il sapore di svolta epocale.

D’ora in poi, la parola laicità prenderà un nuovo significato. Finalmente libero da odiose e gravi contrapposizioni con la parola 'religioso'. D’ora in poi chi userà il termine laicità opposto a religiosità si qualificherà come un appartenente al passato. Ad una archeologia del pensiero, ad una mummificazione. Al museo delle cere. Quello di Sarkozy non è stato il discorso di un filosofo, o di un sociologo. Non ha trattato il tema della laicità come se fosse un tema da dibattito filosofico. Per la sua svolta, non ha inventato nulla. Inventare non è mestiere dei presidenti. Semmai i buoni presidenti ascoltano, osservano quello che si muove nelle pagine dei filosofi e nelle chiacchiere al mercato.

Ed egli ha per così dire raccolto le tante riflessioni di filosofi, poeti, sociologi, taluni dei quali francesi, che hanno aperto la strada. Quello di ieri in San Giovanni è stato un discorso importante proprio perché è il discorso di un capo politico di stampo nuovo. Cioè di uno che legge la realtà sociale nel suo complesso, per interpretarne le forze positive e quelle disgreganti. Ha ripercorso la storia di Francia, il legame «essenziale» con la Chiesa, ha elencato i tanti francesi che al cattolicesimo han dato molto. E poi ha letto il presente. Dialogando con la recente enciclica di Papa Benedetto XVI sulla speranza, ha insistito sul fatto che la ricerca di un senso per l’esistenza è una questione presente in tutte le civiltà. E che nessun acquisto sociale, scientifico o morale soddisfa quella sete umana.

La «laicità positiva» di Sarkozy affonda le radici in tale considerazione della natura umana come domanda sul senso dell’esistenza. Perciò la laicità non può più considerare la religiosità come «un pericolo» ma come «un aiuto». Si tratta dunque di «facilitare la vita quotidiana delle grandi correnti spirituali piuttosto che cercare di complicarla». Senza giri di parole, il presidente ha indicato un presente in cui il «deserto spirituale» non ha reso «i francesi più felici». È una evidenza, ha detto Sarkozy. In tale deserto, senza cedere sul rispetto della libertà di credere o no, il presidente riconosce che «un uomo che crede è un uomo che spera». E di tale speranza la Francia ha drammaticamente bisogno. Le sue banlieues come i suoi cortili signorili.

In politica, monsieur Sarkozy non è un avventuriero. Ha indicato anche i metodi e i campi in cui tale «laicità positiva» trova espressione: dalla libertà di educazione ai rapporti istituzionali con le varie confessioni religiose, dal riconoscimento del valore sociale dell’azione caritativa, sino ai problemi della formazione teologica. E con realismo ha fatto menzione delle critiche e delle tensioni che ci sono su queste faccende. Ma le ha considerate come rigidità del passato, mentre ha il sapore del futuro l’appello a che i cattolici del suo Paese siano testimoni della loro speranza.

Al termine il presidente ha ripetuto il concetto a lui caro: la frontiera tra fede e noncredenza non passa in una divisione 'politica' o civile tra coloro che credono e coloro che non credono. Ma fede e interrogazione sull’essenziale sono le esperienze che segnano l’animo di ogni uomo. La «laicità positiva» di Sarkozy non è una formula magica, e non mancheranno reazioni, anche tra i nostri laicisti in servizio permanente effettivo. Ma questo modo di intendere il legame tra stato laico e fenomeno religioso assicura un maggiore spazio alla speranza. Maggiore responsabilità in una maggiore allegria.

Era un poeta francese a dire: se volete sapere cosa è un popolo cristiano guardate il suo contrario. E il contrario di un popolo cristiano è un popolo triste.

Sarkozy: la laicità non ha il diritto di tagliare le radici cristiane, di Mirko Testa

Roma, giovedì, 20 dicembre 2007 (da www.zenit.org)
Questo giovedì sera, il Presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha pronunciato un discorso storico nel quale ha presentato la sua visione di “laicità positiva”, che non va intesa come negazione del passato o delle radici cristiane del suo paese.
Nella famosa Sala della Conciliazione del Palazzo del Laterano, a Roma, dove nel 1929 Benito Mussolini e il Cardinale Pietro Gasparri hanno firmato i Patti Lateranensi, il Capo dell'Eliseo ha offerto un'ampia analisi del suo modo di concepire il rapporto tra Chiesa e Stato, sottolineando il contributo sociale e culturale offerto dalle religioni.
Dopo essersi incontrato con Benedetto XVI il Presidente Nicolas Sarkozy si è infatti recato alla Basilica lateranense per la Messa annuale per la Francia, ovvero la Missa pro felici statu Nationis Galliae, presieduta dal Cardinale Vicario Camillo Ruini, Arciprete della Basilica e per la presa di possesso del Capitolo del Laterano.
Secondo la tradizione, in occasione di una visita in Vaticano, il Presidente della Repubblica francese si reca nella Basilica del Laterano per assumere il titolo di “canonico onorario”.
Questo titolo è appannaggio di tutti i Capi di stato, a partire da Enrico IV, che offrì nel 1604 le entrate dell'abbazia di Clairac (Lot-et-Garonne) al Capitolo della Basilica. Ma la visita presidenziale a Roma e presso il Vaticano è stata istituita solo nel 1957, tra René Coty e Pio XII.
Nel suo discorso Sarkozy ha da subito evidenziato il “legame particolare” che unisce la Francia alla Chiesa e al successore di Pietro.
Il Presidente francese ha poi riconosciuto i malumori suscitati nei cattolici dalla legge promulgata nel 1905 in Francia dal presidente Emile Loubet, che, rimasta praticamente immutata fino ai nostri giorni, regola i rapporti tra Stato e Chiesa delineandone nettamente gli ambiti di influenza.
“Nessuno contesta più che il regime francese di laicità sia oggi una garanzia di libertà – ha detto Sarkozy –: libertà di credere o di non credere, di praticare una religione e di cambiarla, di non essere urtato nella propria coscienza da pratiche ostentatorie, libertà per i genitori di far dare ai loro figli un'educazione conforme alle loro convinzioni, libertà di non essere discriminati dall'amministrazione in ragione della propria fede”.
Tuttavia, ha detto il Presidente francese, “la laicità non può essere negazione del passato. Non ha il potere di tagliare la Francia dalle sue radici cristiane”.
Secondo Sarkozy “tagliare le radici significa perdere il significato, significa indebolire il fondamento dell'identità nazionale e disseccare ancor più i rapporti sociali che hanno tanto bisogno di simboli della memoria”.
“Per questo - ha aggiunto - dobbiamo tenere insieme i due estremi della catena: assumere le radici cristiane della Francia, e anche valorizzarle, difendendo al tempo stesso la laicità divenuta matura. Ecco il senso del passo che ho voluto compiere questa sera a San Giovanni in Laterano”.
“Così come Benedetto XVI – ha continuato –, ritengo che una nazione che ignori l'eredità etica, spirituale, religiosa della propria storia commetta un crimine contro la sua cultura, contro l'insieme della sua storia, del suo patrimonio fatto di arte e di tradizioni popolari che impregna in maniera così profonda il modo di vivere e pensare”.
“La Francia ha bisogno di cattolici convinti che non abbiano paura di affermare ciò che sono e ciò in cui credono – ha affermato – . Siamo in attesa di spiritualità, di valori, di speranza”.
La Francia, ha aggiunto, “ha bisogno di cattolici gioiosi che testimonino la loro speranza”; ha bisogno di “non subire l’avvenire ma di costruirlo”; ha “bisogno della testimonianza di chi, sostenuto da una speranza più grande, si rimette in marcia ogni giorno per costruire un mondo migliore”.
Per questo motivo, ha detto di essere a favore di “una laicità positiva”, che “non considera le religioni come un pericolo, ma come un vantaggio”.
Dopo la cerimonia al Laterano, in serata, il Presidente francese è stato quindi ricevuto al Quirinale dal Presidente Giorgio Napolitano, prima di incontrarsi con il Premier italiano Romano Prodi e più tardi con il Premier spagnolo José Rodriguez Zapatero.
[Con il contributo di Jesús Colina]