La presa di Roma e la breccia di Porta Pia: gli eventi del 1870 nelle carte dell'Archivio Segreto vaticano
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 16/9/2010 gli articoli scritti per illustrare le novità emerse negli ultimi studi sulle carte dell'Archivio Segreto Vaticano relative ai fatti del 1870. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (27/11/2010)
1/ E il Papa si accollò le colpe del generale, di Sergio Pagano
Il brano che segue (Archivio Segreto Vaticano, Carte Soderini-Clementi, b. 11, cap. LXXXIV, pp. 3-27) è tratto da un'opera inedita di don Giuseppe Clementi (1865-1944) e del conte Edoardo Soderini (1853-1934), Pio IX e il Risorgimento italiano, frutto di un lungo lavoro e di un altrettanto lungo braccio di ferro giudiziario fra i due autori, che causò l'arresto della pubblicazione nel 1927; i manoscritti e i dattiloscritti della corposa opera (ben 103 capitoli) furono acquistati dagli eredi di Soderini e di Clementi dalla Santa Sede nel 1955 e versati all'Archivio Segreto Vaticano (Sergio Pagano, La mancata pubblicazione dell'opera "Pio IX e il Risorgimento italiano" di Giuseppe Clementi ed Edoardo Soderini, in Dall'Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari, IV, Città del Vaticano, 2009, pp. 279-434).
I farraginosi e disordinati dattiloscritti, nonché la medesima redazione dell'opera in più riprese e in diversi schemi, l'hanno resa in pratica inconsultabile. A essa, tuttavia, attinse per il suo Pio IX Giacomo Martina, ma non per il capitolo sulla presa di Roma.
L'opera di Clementi e Soderini, pur presentandosi in uno stato ancora imperfetto per una degna pubblicazione, merita attenzione per la dovizia di fonti su Pio IX, la Roma papale e la politica europea cui fa ricorso; fonti edite e inedite, alcune anche manoscritte (i manoscritti Ubaldini, per esempio), giunte al vaglio del conte Soderini o di don Clementi.
È evidente che il ritratto storico del 20 settembre che pubblichiamo riflette l'ottica degli storici Clementi e Soderini, entrambi molto legati al papato e a Pio IX, quanto avversi ai "piemontesi": il primo in maniera critica (i suoi giudizi sull'entourage di Papa Mastai e su alcuni atti dello stesso Pontefice sono taglienti), il secondo in maniera accomodante. Si avrà modo di osservare, tuttavia, la buona tenuta del racconto storico, comprovato dalle fonti che conosciamo, con talune divergenze o sfumature.
Per esempio, quanto alla tesi sostenuta da Clementi e Soderini sulla duplice versione della delicatissima lettera di Pio IX a Kanzler del 19 settembre 1870 sulla difesa di Roma (di cui l'Archivio Vaticano possiede la minuta e l'ultima redazione: Arch. Part. Pio IX, Sovrani e particolari 1474), noteremo l'approssimazione della data, che i nostri autori ritengono sicura al 19 settembre, mentre la minuta ha la data del 14 settembre (corretta poi in 19); essi credono che le modifiche al testo siano avvenute quantomeno il 20 settembre, se non il 21, quando il testo doveva essere consegnato al gesuita Piccirillo per la pubblicazione su "La Civiltà Cattolica", che infatti recepì la versione emendata.
È questa una delle due tesi sostenute da Rodolfo Kanzler, figlio del generale Hermann, il quale però, cadendo in contraddizione, com'è noto, disse pure che le modifiche alla lettera sarebbero state compiute il 19 settembre su pressione di Kanzler e di altri due generali pontifici. Certo è che con le modifiche alla sua lettera, compiute per giustificare in qualche maniera la troppo lunga resistenza di Kanzler alle truppe italiane, causa di oltre 60 morti dalle due parti, Pio IX salvò l'onore del generale pontificio (cui era veramente unito da affetto), ma finì per attirare sopra di sé la responsabilità (che invece cercò di evitare fino all'ultimo) dello spargimento di sangue (così pensa anche Martina).
Giova qui precisare ciò che lo storico gesuita afferma a proposito del manoscritto di Rodolfo Kanzler (209 pagine, senza frontespizio e titolo): il manoscritto sarebbe stato recuperato da monsignor Enrico Pucci su una bancarella romana, donato al conte Paolo Dalla Torre che lo avrebbe a sua volta donato all'Archivio Segreto Vaticano (e qui avrebbe assunto la segnatura Carte Kanzler a 41), dove però Giacomo Martina non riuscì a trovarlo e lo disse "irreperibile" (Martina, Pio IX, cit., p. 566).
In verità il manoscritto di Kanzler non pervenne mai in possesso dell'Archivio Segreto Vaticano; Martina confuse il dono di altre carte di Hermann Kanzler, effettivamente compiuto da Paolo Dalla Torre il 14 giugno 1946, ovvero una cartella di pelle contenente alcuni documenti del generale, oggi Carte Kanzler, b 16.
Nel pomeriggio del 19 (settembre 1870) il passaggio fu animatissimo su la strada di Porta Pia; né vi mancarono preti, frati, fin qualche vescovo: questa è stata sempre una delle passeggiate predilette dagli ecclesiastici. Qualche colpo di moschetto, sparato dagli avamposti a Villa Patrizi si faceva sentire, ma non impressionava; né maggior impressione producevano i rari colpi di cannone tirati dall'Aventino in direzione di Porta San Sebastiano. C'era da domandarsi se si era proprio alla vigilia di un bombardamento o non piuttosto di una festa.
Con siffatte manifestazioni dello spirito pubblico si poteva pensare sul serio a una lunga resistenza? C'era bene chi andava spargendo notizie che, se vere, l'avrebbero giustificata, anzi imposta: si sussurava che il Cadorna dovrebbe levar presto il campo per correre a rinnovare le gesta di Palermo a Firenze dove affermavano scoppiata una rivoluzione e proclamata la repubblica; girava anche un'altra fola: quarantamila austriaci sbarcati in Ancona si dirigevano su Roma per raffermare in soglio il Pontefice-re.
Pio IX nel pomeriggio, accompagnato dai camerieri segreti De Bisogno e Samminiatelli, si andò alla Scala Santa; sebbene grave di anni e d'incomodi, volle salirla ginocchioni, appoggiandosi al braccio di monsignor De Bisogno. Giunto alla cappella del sancta sanctorum pregò a voce alta e commossa. Uscito dal santuario, pregatone dallo Charette, benedì le truppe accampate sulla spianata della basilica (...). Mentre in carrozza se ne tornava in Vaticano, da vari gruppi di persone gli fu gridato: "Santità, non partite". Si temeva che nella notte s'imbarcasse a Ripagrande per l'estero.
Rientrato nei suoi appartamenti, diresse al Kanzler l'ordine di cessare la resistenza non appena si fosse fatta rilevare la violenza, di cui andava a esser vittima. Il testo esatto della lettera è questo:
"Signor generale, Ora che si va a consumare un gran sacrilegio e la più enorme ingiustizia, e la truppa di un re cattolico senza provocazione, anzi senza nemmeno l'apparenza di qualunque motivo cinge di assedio la capitale dell'Orbe, sento in primo luogo bisogno di ringraziare lei, signor generale, e tutta la truppa nostra della generosa condotta finora tenuta, dell'affezione mostrata alla Santa Sede e delle volontà di consacrarsi interamente alla difesa di questa metropoli. Sieno queste parole un documento solenne che certifichi la disciplina, la lealtà, il valore della truppa al servigio di questa Santa Sede. In quanto poi alla durata della difesa, sono in dovere di ordinare che questa debba unicamente consistere in una protesta, atta a constatare la violenza e nulla più, cioè di aprire trattative per la resa ai primi colpi di cannone. In un momento in cui l'Europa intera deplora le vittime numerosissime, conseguenza di una guerra fra due grandi nazioni, non si dica mai che il Vicario di Gesù Cristo, quantunque ingiustamente assalito, abbia ad acconsentire a qualunque spargimento di sangue. La causa nostra è di Dio, e noi mettiamo tutta nelle sue mani la nostra difesa. Benedico di cuore lei signor generale e tutta la nostra truppa. Dal Vaticano, 19 settembre 1870. Pius pp. IX".
Questo testo è stato pubblicato la prima volta dal De Cesare, II, 450-1. Come il Pontefice fosse ubbidito, or ora vedremo.
La mattina del martedì 20 settembre dai colli Albani il sole si levò limpidissimo sull'orizzonte di Roma. Il Ferrero alle 5½ cominciava il cannoneggiamento contro i Tre Archi e un quarto d'ora dopo l'Angioletti apriva il fuoco contro Porta San Giovanni. Seguirono tosto il Mazè de la Roche e il Cosenz con i loro tiri contro Porta Pia e Porta Salaria. Così in breve Roma alla sinistra del Tevere fu circondata da un cerchio di fuoco e di fumo. Sulla destra c'era manco da fare, essendo preciso l'ordine di non offendere la città Leonina, anzi di neppure rispondere al fuoco.
Alle 8 la situazione si presenta gravissima e il Cadorna da Villa Albani telegrafa a Firenze: "breccia tra Porta Pia e Salaria già bene inoltrata". La Porta San Giovanni brucia, sebbene l'Angioletti sia tenuto molto in rispetto dai magnifici tiri della batteria pontificia di Daudier. Ai Tre Archi il muro che sostiene il piccolo terrapieno, su cui son posati i cannoni di difesa, si sta riducendo in frantumi; ancor un poco e sarà impossibile agli artiglieri il maneggio dei pezzi. Già nella notte da questo lato c'erano state delle scaramucce, con morti e feriti dalle due parti.
A Porta Pia, fin dalle 6,45 "dal gabinetto del ministro" l'Ungarelli comunica avere il maresciallo Sterbini segnalato al comando di piazza "che a Porta Pia è stato smontato un pezzo (ce n'erano due soli), e che detta posizione è in pericolo". Alle 8,13 da Santa Maria Maggiore il generale Zappi telegrafa: "Porta Pia perduta, nostra sezione artiglieria ritirata, cioè un pezzo smontato, l'altro mandato a Monte Cavallo, perché difenda la strada di Porta Pia, ove nemico ha impiantata artiglieria". Grazie alle bombe di Bixio, alle 7,35 nel quartiere della Lungara si levano alte le fiamme da tre diversi gruppi di case incendiate. Pare ce ne fosse d'avanzo per non tardare oltre a ubbidire a Pio IX che nella lettera sua al Kanzler dopo detto dover la difesa limitarsi "a una protesta atta a constatare la violenza e nulla più", prescriveva "di aprire trattative per la resa ai primi colpi di cannone". Il Papa non voleva acconsentire a qualunque spargimento di sangue e di questo per poco che potesse sembrare ai combattenti, se n'era sparso anche troppo quando si rifletta agli ordini dati da lui!
Egli (Pio IX) s'attendeva da un momento all'altro di veder eseguiti gli ordini impartiti al Kanzler nella lettera del giorno precedente: invece il fuoco proseguiva incessante dalle due parti; se i cannoni dei pontifici valevano poco, i loro fucili Remington, per gli effetti che producevano, si appalesavano di molto superiori ai Carcano di cui facevano uso gli avversari. Il cuore di Pio IX sanguinava per il prolungato micidiale combattimento: conoscendo la fedeltà del Kanzler, non poteva sospettare che il generale, per malinteso decoro militare, pensasse a disubbidirgli; inclinava invece a credere che il fuoco, malgrado gli ordini da lui dati, continuasse per ragioni indipendenti dalla volontà del comandante. Lo spirito esacerbato del Pontefice infine non poté contenersi. Eran le 9½ e già da 4 ore il fuoco aveva cominciato la sua opera distruggitrice. Pio IX comandò che, senza attendere l'avviso del Kanzler, fosse issata sulla cupola di San Pietro la bandiera bianca. Occorse del tempo prima che si riuscisse a comunicare l'ordine sovrano al colonnello Azzanesi, comandante la zona, per farlo trasmettere al Carletti (tenente). Quando alle 10 il dispaccio Azzanesi giunse, sulla cupola, da qualche minuto la bandiera bianca sventolava sull'asta della croce dominante la basilica.
Non appena apparve il primo segnale di resa i più caldi tra i patrioti, smesse le prudenti riserve dei giorni precedenti, a gruppi, vociando e imprecando s'avvicinarono verso Porta Pia. Alla breccia il fuoco cessò alle 10,10, quando un ufficiale, spedito dal de Tourssures, ebbe innalzata la bandiera bianca. Da una parte all'altra si era combattuto con grandissimo vigore e non pochi morti giacevano sul terreno. Tra gli altri vi lasciò la vita il maggiore cavaglier Pagliari colpito da una palla mentre montava all'assalto in testa al suo battaglione. Primo a superare la breccia fu il sottotenente Federico Cocito. Del resto o che la bandiera, come è più probabile, non fosse vista, o che non se ne tenesse conto, le truppe che avevan superata la breccia, fecero prigionieri quanti zuavi trovarono per la villa Bonaparte, nelle cui adiacenze si era aperta la breccia. Poi, proprio quando non poteva esserci più la scusa della bandiera non vista, contro tutte le regole della guerra, secondo le quali alzato il vessillo bianco, ciascuno è obbligato ad arrestarsi dove si trova, tirarono diritto in città spingendosi a piazza del Quirinale, a piazza di Spagna, al Pincio e a piazza del Popolo.
Il Pontefice rimasto solo, pieno di fiducia che la protezione divina sulla Chiesa non verrebbe mai meno, comunque volgessero gli umani eventi, ricuperò una perfetta serenità. Convinto di aver compiuto tutto il suo dovere, non smentiva neppure in quell'ora il fondo tranquillo e bonario della sua indole vivace e impetuosa. Poi, facile all'arguzia, scorgendo in qualcuno dei cortigiani gran senso di paura, egli a correggerlo con la burla e infondere coraggio con l'esempio, si diede a comporre una sciarada: innocente svago nel quale soleva compiacersi. Sul tema tremare buttò giù questa terzina: "Il tre non oltrepassa il mio primiero / È l'altro molto vasto e molto infido / Che spesso spesso fa provar l'intiero" (l'autografo è posseduto da monsignor De Bisogno, dei marchesi di Caraluce, allora cameriere segreto del papa e in quel giorno di servizio in Vaticano).
Il Cadorna, felice di essere uscito da un brutto ginepraio, ripreso il colloquio con il Carpegna, si mostrò più maneggievole; s'abboccherebbe col Kanzler nel pomeriggio per stipulare la capitolazione; intanto le truppe pontificie dovrebbero ritirarsi nella città Leonina, che resterebbe al Papa.
Sottoscritta appena la capitolazione, Pio IX, edotto della disubbidienza più o meno volontaria del Kanzler ai precisi ordini circa la resistenza che gli aveva dato con la lettera del 19, pensò nella generosità del suo animo a cercare un qualche palliativo che scagionasse il generale e impedisse insieme che si conoscesse pubblicamente aver gli stranieri al servizio della Santa Sede, per un malinteso punto d'onore, prolungato la resistenza di almeno quattro ore, nonostante la contraria volontà del sovrano. Il governo pontificio da ben 10 anni aveva sostenuto esser calunniosa la voce che gli stranieri militanti a difesa del Papa fossero ostacolo a ogni misura conciliatrice con l'Italia: ora come si poteva lasciar correre per le stampe un documento da cui apparisse chiaro in qual strano modo una parte dell'alta ufficialità aveva ubbidito a Pio IX? D'altra parte era impossibile passar tutto sotto silenzio: bisognava giustificare in qualche guisa l'ordine di resistere che il Papa avrebbe dato anche contro ogni speranza di buon esito, e malgrado dovesse premergli tanto il rimanere in ogni caso il Princeps pacis per eccellenza. Dopo alquanto riflettere, fosse il Papa a farlo da solo o ve lo consigliasse l'Antonelli o qualche altro di Segreteria di Stato, venne scritta una seconda lettera in tutto simile alla prima, meno che in due frasi le quali furono così modificate. Là dove era detto "ai primi colpi di cannone" si sostituì "appena aperta la breccia", frase che per se stessa svela la rappezzatura e in ogni caso stona con la verità storica. Dove poi si leggeva "a qualunque spargimento di sangue" fu tolto il qualunque mettendovi "a un grande spargimento di sangue". La lettera, così emendata, fu pubblicata ne "La Civiltà Cattolica" (7 gennaio 1871, pp. 107-8). Così per un senso cavalleresco che non ci periteremmo di giudicare esagerato e fors'anche dannoso, il Pontefice preferì lasciar ricadere su se stesso la responsabilità di una settantina di morti (i regi ebbero 48 morti e 141 feriti; i pontifici 20 morti e 55 feriti) e di tutti i danni causati alla città da 5 ore di fuoco.
Con il tramonto del sole il 20 settembre segnò l'estremo fato del principato civile della Chiesa. La mattina del 21, non appena al chiarire del giorno furono aperte le bronzee porte della basilica Vaticana, vi si affollarono i militari pontifici, anelanti di pregare sulla tomba di san Pietro, di baciare il piede della statua del Principe degli Apostoli. Di lì a qualche ora l'esercito pontificio sarebbe stato un mero ricordo storico: ufficiali e soldati, disarmati, sarebbero stati tratti prigionieri a Civitavecchia, donde rimpatriati, i più non sarebbero tornati mai a Roma.
(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2010)
2/ Come e perché Pio IX corresse la lettera a Kanzler, di Nello Vian
Sulla doppia versione della lettera scritta da Pio IX al generale Kanzler pubblichiamo un articolo apparso su "L'Osservatore della Domenica" del 5 febbraio 1978 (p. 12) e poi ristampato nel volume Il leone nello scrittoio. Aneddoti e curiosità letterarie, Reggio Emilia, Città Armoniosa, 1980, pp. 163-165 ("Graffiti", 15).
Il 14 settembre del 1870, Pio IX prese un doppio foglio grande e scrisse il testo di una lettera, lasciando in bianco la metà a sinistra, come usava una volta nelle minute d'ufficio. Questo originale autentico, interamente autografo (Archivio Segreto Vaticano; Archivio Particolare di Pio IX, Stato Pontificio, Particolari, n. 180), è documento drammatico e commovente, poiché denota al vivo l'animo del vecchio Papa, dinanzi allo storico evento. Porta in testa, a sinistra, l'indirizzo "Al Generale Kanzler Pro Ministro delle Armi" (Ermanno Kanzler Pro Ministro delle Armi che comandava le truppe pontificie) e occupa la prima e seconda pagina. Come scritta, si direbbe di getto, la lettera reca esattamente: "Sig. Generale, ora che si va a consumare un gran sacrilegio e la più enorme ingiustizia; e la truppa di un Re Cattolico senza provocazione, anzi senza nemmeno l'apparenza di qualunque motivo cinge di assedio la Capitale dell'Orbe Cattolico, sento in primo luogo il bisogno di ringraziare Lei Sig. Generale, e tutta la truppa nostra della generosa condotta finora tenuta, dell'affezione mostrata alla S. Sede e della volontà di consacrarsi interamente alla difesa di questa S. Sede. Siano queste parole un documento solenne che certifica la disciplina, la lealtà, ed il valore della truppa al servizio di questa S. Sede. In quanto poi alla durata della difesa sono in dovere di ordinare che questa debba unicamente consistere in una protesta atta a constatare la violenza, e nulla più; cioè di pochi colpi da tirarsi contro il nemico. In un momento in cui l'Europa intiera deplora le vittime numerosissime, conseguenza di una guerra fra due grandi Nazioni, non si dica mai che il Vicario di G. C. quantunque ingiustamente assalito, abbia ad acconsentire ad un grande spargimento di sangue. La causa nostra è di Dio, e Noi mettiamo tutta nelle sue mani la nostra difesa. Benedico di cuore Lei Sig. Generale e tutta la nostra truppa. 14 settembre 1870".
Le parole di benedizione e la data sono scritte sulla metà di sinistra, bianca, della seconda pagina, traversalmente; manca la firma, in luogo della quale valeva certo l'autografia. Quando rilesse, a togliere l'insistente (e significante) ripetizione della parola "S. Sede", sulla metà della lettera, il Papa sostituì, la seconda delle tre volte, quella di "Metropoli". Ma due altre correzioni, assai più importanti, introdusse, sempre di suo pugno, nella minuta. Dove aveva scritto "pochi colpi da tirarsi contro il nemico", cancellata la frase, con un grosso tratto di penna, vergò sopra "aprire trattative per la resa appena aperta la breccia". E la data "14" mutò in "19", con un forte 9 sovrapposto al 4. Un amanuense o segretario trascrisse l'autografo sopra un doppio foglio uguale al primo, con il quale la copia si conserva. Curiosamente, vi si notano alcuni ritocchi ortografici, uno sintattico e qualche maiuscola in più, di protocollo (di che si preoccupano gli uomini di penna, fino in certi momenti!). Ma con tutta fedeltà riprodusse cassature e correzioni, all'atto della copia o successivamente. Aggiunse alla fine il nome del Papa, in forma italiana, non conforme questa volta al protocollo: "Pio PP. IX".
Il minuto esame ha ragione di essere, perché le correzioni sostanziali danno indizio dello svolgimento degli avvenimenti e fanno quasi cogliere gli stati d'animo dell'ultimo sovrano del millenario Stato della Chiesa, in quei giorni più critici. La sera del 14 settembre, il ripiegamento delle truppe pontificie di copertura fuori della città era terminato, e si apprestava l'estrema difesa, dietro le mura. I soldati di Cadorna erano 50.000, quelli di Kanzler poco più di 13.000, con 150 pezzi d'artiglieria, un terzo in Castel Sant'Angelo. Pio IX, espressamente, volle dare un attestato di riconoscenza a questo suo esercito, in parte di volontari, accorsi da più Paesi. Ritenne la difesa moralmente legittima, ma la limitò "a pochi colpi da tirarsi contro il nemico", per dimostrare la resistenza all'aggressione (egli aveva pur giurato di mantenere lo Stato della Chiesa, come garanzia della sua spirituale libertà). Il pensiero che la "causa" era di Dio gli restituì la serenità, e in uno di quei giorni riuscì a comporre fino la famosa sciarada. Come risulta ora da una testimonianza immediata, ciò accadde il 18, non il 20, asserito ancora malamente per mancanza d'informazione.
La correzione e trasmissione della lettera rimangono alquanto oscure. Ne esiste un altro originale, con la sola firma autografa del Papa, e che sarebbe quello consegnato al Kanzler la sera del 19, nella sede del suo ministero, in piazza della Pilotta. Esso porta appunto quella data, e la modifica alla disposizione sulla difesa da opporre. L'ordine di attendere che fosse "aperta la breccia" per le trattative di resa comportava certo una più lunga resistenza, in confronto di quello precedente di tirare "pochi colpi". Pio IX, ripugnante al sangue, avrebbe compiuto la sostituzione, per sottrarre i comandanti militari pontifici alle conseguenze di aver trasgredito l'ordine dei "pochi colpi", provocando le perdite (49 morti di parte italiana, una ventina di pontifici).
La lettera, antidatata al 19, avrebbe avuto in realtà la sua redazione finale posteriormente al 20. Ciò che farebbe pensare anche l'espressione "appena aperta la breccia", perché il Papa non poteva prevedere alla vigilia quanto accadde la mattina del 20, e l'espugnazione avrebbe potuto essere effettuata in altra maniera che aprendo il famoso varco a cannonate. Un nipote del capo di stato maggiore dell'esercito pontificio, maggiore Fortunato Rivalta, ha anzi narrato recentemente che la restituzione della lettera con l'ordine primitivo sarebbe avvenuta per mano di dame, con qualche coloritura romanzesca, Il testo della minuta primitiva riprodotto, testimonia in ogni maniera la più genuina disposizione di Pio IX, e la correzione rappresenta forse la conseguenza di circostanze che andarono al di là dei suoi intendimenti. Un corrispondente di Giovanni Battista De Rossi gli riferì, in uno di quei giorni: "E dicono che il Papa non vuole neppure una fucilata ". E fu egli, irritato e impaziente della durata della resistenza, a ordinare d'issare bandiera bianca sulla croce che sovrasta al vertice San Pietro in Vaticano.
(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2010)
3/ La capitolazione e il mistero delle carte smarrite, di Sergio Pagano
Conclusa la resa o capitolazione di Roma a Villa Albani il 20 settembre fra il generale pontificio comandante le armi a Roma Hermann Kanzler e il luogotenente generale italiano comandante il IV Corpo d'Esercito Raffaele Cadorna, non senza una ardua trattativa, lo stesso Kanzler sottoscriveva l'atto di capitolazione e riceveva l'esemplare a lui destinato, che Pio IX fece poi riporre nell'archivio della Segreteria di Stato (rubr. 165).
L'articolo I della capitolazione prevedeva la consegna alle truppe del re d'Italia di tutta Roma, salvo "la parte limitata al sud dai bastioni Santo Spirito, e che comprende il monte Vaticano e Castel Sant'Angelo, costituenti la città Leonina". Le mosse di Antonelli verso Cadorna, onde ottenere, subito dopo il 20 settembre, la protezione delle armate italiane in Borgo per evitare scorribande e tutelare la sicurezza del Papa e dei cardinali, condussero a una situazione ibrida, illustrata di recente, con dovizia di documenti vaticani ritrovati in Archivio Segreto, da Saretta Marotta (L'occupazione di Roma e della città Leonina: rapporti tra la Santa Sede e autorità italiane dal 20 settembre alla vigilia del plebiscito del 2 ottobre 1870, in "Cristianesimo nella storia", 31/1, 2010, pp. 33-77).
È noto poi che con il plebiscito del 2 ottobre 1870 gli abitanti della città Leonina soggetta al Papa votassero in massa per l'annessione al regno d'Italia, anche se Pio IX dichiarò subito nullo e invalido il seggio approntato in Borgo, su un territorio che la capitolazione riconosceva sotto la giurisdizione del Pontefice.
Per molto tempo, ovvero fra il 1930 e il 2007, tanto l'esemplare vaticano originale della capitolazione, quanto il carteggio fra Antonelli e Cadorna su Borgo risultarono introvabili agli storici, e anche Giacomo Martina non poté servirsene per il suo monumentale Pio IX e anzi dubitò che una lettera del cardinale Antonelli del 23 settembre a Cadorna fosse mai esistita (Pio IX, 1867-1878, p. 246).
Il motivo dello "smarrimento" di quelle preziose carte è oggi chiarito mediante nuovi riordinamenti archivistici che si stanno compiendo in Archivio Vaticano. Sappiamo così che il fascicolo di Pio IX contenente la Capitolazione e le lettere di Cadorna ad Antonelli e di questi al generale furono trasferiti dalla rubrica 165 dell'archivio della Segreteria di Stato in una cartella separata collocata fra i Concordati, i quali si conservavano e si conservano ancora nell'archivio della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari.
Al principio del 1928, quando ripresero le trattative fra Pio XI e Mussolini per la Conciliazione, interrotte alla metà del 1927, Papa Ratti chiese a monsignor Borgongini Duca, segretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, di fargli pervenire gli originali anzidetti, che il Borgongini tolse dalla posizione del suo archivio e consegnò al Papa: "Al principio del 1928 - scriveva Borgongini nelle sue memorie - queste vertenze (del 1927) potevano dirsi superate, sicché il Santo Padre mi ordinò di far pervenire all'avvocato Pacelli (Francesco), perché le trasmettesse al Comm. Barone (consigliere di Stato italiano Domenico Barone), le copie di cinque documenti. E ciò per dimostrare, in risposta al comunicato del Foglio d'ordine del Partito Fascista, che anche nel 1870, lo Stato Italiano aveva lasciato al Papa i Borghi e che, se le truppe italiane erano entrate nella Città Leonina, ciò era stato - come dichiarò Cadorna - per desiderio di Sua Santità il Santo Padre e sarebbero state ritirate ad ogni cenno. Quindi lo Stato Pontificio, sia pure in formato ridottissimo, erasi preveduto dagli stessi occupatori di Roma nel 1870" (AES, Italia, Pos. 702 P. O., fasc. VII, f. 3rv).
Per eseguire le copie, i cinque documenti furono tolti dalla propria posizione e consegnati all'avvocato Pacelli, che se ne servì per le trattative con Mussolini. Pio XI, com'è noto, intendeva far valere l'articolo I della Capitolazione del 1870 e i riconoscimenti di Cadorna per trattare con il duce la zona della futura Città del Vaticano non limitandola al solo Borgo, ma anche a Villa Pamphili e a parte del Gianicolo.
Nel maggio 1928 il Barone disegnava una pianta dei territori che Mussolini sarebbe stato disposto a cedere al Papa: il Vaticano e piazza San Pietro; quanto a Villa Pamphili si sarebbe ceduta in uso perpetuo e irrevocabile alla Santa Sede con il principio di extraterritorialità, e così si sarebbe potuto stabilire nei confronti di talune proprietà della Santa Sede sul Gianicolo (si veda da ultimo, ben fondato sulla documentazione vaticana, il saggio di Luca Carboni, I Patti Lateranensi, in Ottanta anni dello Stato della Città del Vaticano: 1929-2009, Città del Vaticano, 2009, pp. 73-88). Così si spiega perché la capitolazione e il carteggio Antonelli-Cadorna del 1870 siano finiti fra le carte di Pio xi e poi siano stati sistemati in ASV, Segr. Stato, Spoglio Pio IX, 32, fasc. 1, con la camicia che ancora reca lo stemma di Pio xi.
Com'è noto agli storici più accorti, è ben evidente che la mossa di Pio XI volta a trattare con Mussolini il territorio romano della futura Città del Vaticano, che fosse un poco più ampio della città Leonina, non mirava tanto al conseguimento di tale territorio, quanto piuttosto a dimostrare che se il Papa, in possesso di certi titoli giuridici (sebbene non tutti formali), pur potendo trattare su certa ampiezza del suo futuro Stato, alla fine era disposto (come poi accadde in effetti) a rinunciarvi, ciò accadeva perché il primum bonum in tutta la vicenda della Conciliazione non era già lo Stato del Papa, quanto la sua libertà e un territorio minimo che gli consentisse piena autonomia.
A Pio XI premeva ben altro che Borgo o il Gianicolo, o Villa Pamphili, tant'è che quando Mussolini il 17 aprile 1928 emanò il decreto sui Balilla, nocivo all'Azione Cattolica, Papa Ratti diede ordine tassativo di interrompere le trattative. Anche dopo il 1929, e in diverse occasioni, è noto che Pio XI si dicesse pronto (in taluni suoi momenti "focosi" ma motivati) a "stracciare" Concordato e Trattato pur di affermare la libertà di azione del Papa. Non era tanto lo Stato che stava a cuore a Papa Ratti, quanto la libertà del Papa in materia di fede, educazione e costumi.
Che è poi quello che forse pensava, in fin dei conti, anche Pio IX, al di là di tutte le manifestazioni di dolore dopo il 20 settembre 1870 e della sua visione realistica della situazione di pericolo in cui veniva a trovarsi la Santa Sede rispetto all'ingerenza del regno d'Italia.
Racconta il conte Edoardo Soderini che il 21 marzo del 1913, tornando egli dalle funzioni del venerdì santo in Santa Croce in Gerusalemme, entrando in discorso con il principe Mario Chigi (1832-1914), "questi mi ha raccontato che un giorno, andando da Pio IX con un ricevimento delle parrocchie, dopo il 1870, verso il 1877, il Papa, senza che pur gliene fosse stato offerto lo spunto, venne a parlare dell'occupazione di Roma e disse: "Se dopo la venuta a Roma avessi veduto che non si toccava la religione, che questa anzi si rispettava, avrei detto: Orbene salite pure al Campidoglio e governate dal Campidoglio", come per dire - soggiungevami il Chigi - tanto a me, sapete, di governare non importa niente" (ASV, Carte Soderini-Clementi, b. 78, fasc. 2).
Rapportata al 1870 tale confessione di Pio IX sarebbe poco credibile; ma sette anni dopo, quando fu pronunciata, essa dimostra forse una maturazione che degli eventi della presa di Roma si stava compiendo nell'animo del vecchio Pontefice, al quale, in fondo, non era crollato il mondo, né erano stati gettati in Tevere cardinali, né assaliti conventi (come diceva il focoso Bixio), ma era stato tolto un ormai troppo pesante fardello temporale (reso per giunta ingovernabile), per il quale - come disse Paolo VI novantasei anni dopo - "non abbiamo alcun rimpianto, né alcuna nostalgia".
(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2010)
4/ Dopo la resa ancora colpi di fucile
Partiti da Roma il 21 settembre 1870 per Toulon, tre ufficiali che avevano comandato i "corpi esteri" dell'esercito pontificio (o almeno un buon gruppo di essi), il 27 settembre scrissero una lettera aperta al generale Davricau, comandante la IX divisione militare di Marsiglia, chiedendo i suoi buoni uffici presso il governo francese in loro difesa; la lettera fu pubblicata su "La Gazette du Languedoc" e ripresa integralmente da "L'Osservatore Romano" del 7 novembre 1870 (n. 225, p. 2). I militari, "senza entrare nei dettagli della inqualificabile aggressione di cui sono state vittime la Santa Sede e il suo piccolo esercito", rilevavano il contegno dei soldati italiani dopo che fu innalzata la bandiera bianca: "Avvenne che la colonna d'assalto disposta contro la breccia di Porta Pia, abusando della tregua accettata, non solo occupò la breccia, ma si portò in avanti tirando anche qualche colpo di fuoco sulla truppa pontificia, che rimase sorpresa da sì inopinato attacco. Fu in conseguenza di questo fatto che il generale Cadorna, pretendendo che la città fosse stata presa di assalto e così occupata, impose condizioni dure ed ingiuste". La lettera dei militari recava le firme del colonnello degli zuavi Appelt, del colonnello della legione di Antibes Perrault e del luogotenente colonnello dei carabinieri esteri Castella. Il testo risultava "approvato dal generale Kanzler". Irritato per questa presa di posizione, il ministro della guerra italiano Cesare Francesco Ricotti-Magnani fece scrivere dal tenente generale del Comando territoriale di Roma Enrico Cosenz una lettera di richiesta di informazioni al generale Hermann Kanzler. La risposta di Kanzler in data 16 novembre 1870, sebbene forse pubblicata su qualche giornale dell'epoca, è solitamente ignorata dalla critica storica, mentre ha il suo interesse. Abbiamo la minuta autografa di tale risposta nelle "Carte Kanzler" dell'Archivio Segreto Vaticano. Ne riprendiamo il testo (Archivio Segreto Vaticano, Carte Kanzler, b. 16) pressoché sconosciuto.
"A. S. E. il Tenente Generale Cosenz, Roma.
La lettera pubblicata nella Gazzetta di Languedoc non fu da me firmata. Sono però pronto di attestar la verità, cioè che una parte delle truppe assedianti la Piazza di Roma entrarono in Città, dopo esser stata per ordine di Sua Santità inalberata la bandiera bianca con ingiunzione di far cessare il fuoco mentre si avviavano i miei parlamentari al Quartier Generale nemico.
È altresì vero che unitamente alle truppe regie entrarono nella Città buon numero di fuorusciti che commisero gli eccessi noti a tutta Roma.
Tanto doveva in riscontro al pregiato foglio di V. E. n. 72, pervenutomi oggi stesso.
Generale Kanzler".
(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2010)
5/ Una fonte inesauribile di sorprese, di Sergio Pagano
Indagato ormai da più di centotrent'anni da tutti i ricercatori del mondo, l'Archivio Segreto Vaticano è ben lungi dall'aver esaurito le proprie risorse e anche le sorprese che gli storici attenti e pazienti sanno inseguire, per poi gustarne i frutti. Ciò è dovuto al fatto che l'Archivio Vaticano, così come quasi ogni altro grande Archivio di Stato, procede di necessità con tempi assai lunghi a sistemare, rivisitare, riordinare e inventariare in maniera sempre più scientifica e particolare i propri fondi. Accade così che, tacendo nuovi apporti in ambito di storia medievale, umanistica e contemporanea, anche per il Risorgimento italiano l'Archivio Vaticano abbia nell'ultimo decennio portato in luce, mediante la redazione di nuovi inventari analitici che prendono il posto di quelli precedenti, assai più sommari e qualche volta imprecisi, una cospicua, varia e ricca documentazione concernente il periodo storico che condusse all'unità d'Italia, ovvero, a grandi linee, dai primi moti carbonari alla presa di Roma (1870), con gli anni a seguire del lungo pontificato di Pio IX. Per questo arco cronologico si sono nuovamente inventariati alcuni ricchi fondi, si sono compiuti per la prima volta accurati controlli sullo stesso Archivio particolare di Pio IX (nelle sue serie diverse); si sono riservati tempo e fatica agli spogli dei Papi Gregorio XVI, Pio IX e Leone XIII, così come agli spogli di alcuni cardinali che nelle vicende italiane ebbero parte significativa; sono stati inventariati completamente diversi archivi di nunziature, consultabili prima solo in parte; si è ordinato e reso accessibile dalla Segreteria di Stato il ricco e rilevante Archivio della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari; si sono tolte dal "sonno" nel quale giacevano in virtù del periodo ancora "chiuso alla consultazione", diversi fondi di carte risorgimentali; si sono già inventariati (almeno in parte) più recenti donazioni di documenti.
Affiora così un ricco patrimonio di memorie e scritti relativi - per restare al nostro tema - alla prima guerra d'indipendenza italiana e alla seconda Repubblica Romana (1848-1849), ovviamente agli atteggiamenti di politica italiana di Pio IX, alla seconda guerra d'indipendenza, alla spedizione dei Mille e all'unità d'Italia (1859-1861), al sorgere e protrarsi della Questione romana, ai tentativi garibaldini del 1867, al concilio Vaticano I, alla presa di Roma del 20 settembre 1870, per continuare poi alla legge delle Guarentigie, al conflitto fra Stato e Chiesa in Italia negli ultimi anni di Pio IX e durante il pontificato di Leone XIII. Durante il riordino di taluni fondi documentari sono tornati in luce scritti che erano dati per "dispersi" dagli storici che operarono negli ultimi decenni del Novecento.
Da così ricca documentazione togliamo alcuni brani inediti o rari che possono per la loro parte contribuire alla già doviziosa pubblicazione di fonti sulla presa di Roma del 1870 raccolta e pubblicata tanto da parte laica, quanto da parte ecclesiastica.
(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2010)