La pubblicazione delle lettere di madre Teresa di Calcutta al suo direttore spirituale: «la notte della fede» accettata come un dono, di Raniero Cantalamessa

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 24 /09 /2022 - 06:36 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo, per il progetto Portaparola, da Avvenire di domenica 26 agosto 2007, l’articolo scritto da padre Raniero Cantalamessa dal titolo: Madre Teresa, «la notte» accettata come un dono. Le lettere finora inedite di madre Teresa ci fanno conoscere come anche lei abbia attraversato quella “notte dello spirito” che, secondo i grandi mistici, segue il periodo iniziale della conversione, quando Dio, insieme alla fede, dona anche quelle che san Giovanni della Croce chiama le “grazie sensibili”, cioè il gusto delle cose di Dio. Secondo il grande mistico spagnolo a quel momento iniziale segue un diverso momento della crescita nell’esperienza di DioIn esso l’anima crede senza sentire più la piacevolezza dei primi passi. All’occhio inesperto sembra che l’anima torni indietro – afferma san Giovanni della Croce – mentre essa, invece, si trova ad amare Dio per se stesso e non per la gioia che ne derivaLoreena McKennitt ha musicato, recentemente, alcuni versi del mistico spagnolo che parlano di “questa notte più luminosa del sole”, in The dark night of the soul.
Il quotidiano cattolico introduce il testo di Cantalamessa con queste righe redazionali:
Diceva: «Se la pena e la sofferenza, la mia oscurità e separazione da te, ti danno una goccia di consolazione, mio Gesù, fa di me ciò che vuoi». A dieci anni dalla morte di Madre Teresa di Calcutta giungono in libreria alcune delle lettere che la religiosa, ora beata, scrisse in diversi momenti ai suoi direttori spirituali e che attestano quella lunga fase della sua vita in cui, com’è noto ormai da tempo, ella sperimentò la «notte della fede». Il libro, che si intitola «Mother Teresa: come be my light» e sarà pubblicato il prossimo 4 settembre nel mondo anglosassone, è stato curato da padre Brian Kolodiejchuk, postulatore nella causa di canonizzazione di Madre Teresa. Già in occasione della beatificazione della suora, nel 2003, padre Brian aveva parlato delle crisi mistiche della religiosa e pubblicato su un sito internet brani delle lettere. La decisione di riproporle ora nel libro ribadisce la volontà del postulatore di rendere il più trasparente possibile il processo di canonizzazione. La decisione, infatti, è stata commentata favorevolmente da più parti. Il cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, si è detto «molto contento della pubblicazione di questo libro». «Mi sembra – ha proseguito – di poter rilevare che anche nell’esperienza di santità più elevata, anche quando tocca i vertici di preghiera e di contemplazione di Madre Teresa, non si può prescindere dalla libertà finita e limitata dell’uomo». La beata albanese, ha spiegato, «è una di noi, che ha fatto tutte le sue fatiche come facciamo noi. Inoltre quando uno è nella prova, in questo caso la prova dell’aridità perché a Madre Teresa sembrava di non percepire più la presenza di Gesù, ha sempre come risorsa la forma più elementare di esercizio della volontà, che è la domanda quotidiana a Gesù di rivelare il suo volto». Un plauso anche dall’arcivescovo di Calcutta, Lucas Sirkar. «Nonostante avesse affrontato il lato oscuro della vita – ha dichiarato – rimase ben salda sulla strada verso la santità e fu quella la sua grandezza».

Il Centro culturale Gli scritti (29/8/2007)

 

Cosa successe dopo che Madre Teresa disse il suo sì all'ispirazione divina che la chiamava a lasciare tutto per mettersi a servizio dei più poveri dei poveri? Il mondo ha conosciuto bene ciò che avvenne intorno a lei - l'arrivo delle prime compagne, l'approvazione ecclesiastica, il vertiginoso sviluppo delle sue attività caritative -, ma fino alla sua morte nessuno ha conosciuto ciò che avvenne dentro di lei.

Lo rivelano i diari personali e le lettere al suo direttore spirituale, di cui è imminente la pubblicazione a cura della Postulazione della causa per la canonizzazione. Non credo che gli editori, prima di decidersi a darli alle stampe, abbiano dovuto superare la paura che tali scritti possano suscitare sconcerto o addirittura scandalizzare i lettori. Lungi da diminuire la statura di Madre Teresa, essi infatti la ingigantiscono, ponendola a fianco dei più grandi mistici del cristianesimo.

«Con l'inizio della sua nuova vita a servizio dei poveri - scrive il gesuita Joseph Neuner che le fu vicino -, una opprimente oscurità venne su di lei». Bastano alcuni brevi stralci per darci un'idea della densità delle tenebre in cui si venne a trovare: «C'è tanta contraddizione nella mia anima, un profondo anelito a Dio, così profondo da far male, una sofferenza continua - e con ciò il sentimento di non essere voluta da Dio, respinta, vuota, senza fede, senza amore, senza zelo… Il cielo non significa niente per me, mi appare un luogo vuoto».

Non è difficile riconoscere subito in questa esperienza di Madre Teresa un caso classico di quello che gli studiosi di mistica, dietro san Giovanni della Croce, sono soliti chiamare la notte oscura dello spirito. Taulero fa una descrizione impressionante di questo stato: «Allora veniamo abbandonati in tal modo da non aver più nessuna conoscenza di Dio e cadiamo in tale angoscia da non sapere più se siamo mai stati sulla via giusta, né più sappiamo se Dio esiste o no, o se noi stessi siamo vivi o morti. Cosicché su di noi cade un dolore così strano che ci pare che tutto quanto il mondo nella sua estensione ci opprima. Non abbiamo più nessuna esperienza né conoscenza di Dio, ma anche tutto il resto ci appare ripugnante, sicché ci pare di essere prigionieri tra due mura».

Tutto lascia pensare che questa oscurità accompagnò Madre Teresa fino alla morte, con una breve parentesi nel 1958, durante la quale poté scrivere giubilante: «Oggi la mia anima è ricolma di amore, di gioia indicibile e di una ininterrotta unione d'amore». Se a partire da un certo momento non ne parla quasi più, non è perché la notte è finita, ma perché ella si è ormai adattata a vivere in essa. Non solo l'ha accettata, ma riconosce la grazia straordinaria che racchiude per lei. «Ho cominciato ad amare la mia oscurità, perché credo ora che essa è una parte, una piccolissima parte, dell'oscurità e della sofferenza in cui Gesù visse sulla terra».

Il silenzio di Madre Teresa

Il fiore più profumato della notte di Madre Teresa è il suo silenzio su di essa. Aveva paura, parlandone, di attirare l'attenzione su di sé. Anche le persone a lei più vicine non hanno sospettato nulla, fino alla fine, di questo interiore tormento della Madre. Su suo ordine, il direttore spirituale dovette distruggere tutte le sue lettere e se alcune se ne sono salvate è perché egli, con il permesso di lei, ne aveva fatto una copia per l'arcivescovo e futuro cardinale Trevor Lawrence Picachy, tra le cui carte furono trovate dopo morte. L'arcivescovo, per nostra fortuna, si era rifiutato di accondiscendere alla richiesta di distruggerle, fatta anche a lui dalla Madre.

Il pericolo più insidioso per l'anima nella notte oscura dello spirito è di… accorgersi che si tratta, appunto, della notte oscura, di quello che grandi mistici hanno vissuto prima di lei e quindi di far parte di una cerchia di anime elette. Con la grazia di Dio, Madre Teresa ha evitato questo rischio, nascondendo a tutti il suo tormento sotto un eterno sorriso. «Tutto il tempo a sorridere, dicono di me le sorelle e la gente. Pensano che il mio intimo sia ricolmo di fede, fiducia e amore…Se solo sapessero come il mio essere gioiosa non è che un manto con cui copro vuoto e miseria!». Un detto dei Padri del deserto dice: «Per quanto grandi siano le tue pene, la tua vittoria su di esse sta nel silenzio». Madre Teresa lo ha messo in pratica in maniera eroica.

Non solo purificazione

Ma perché questo strano fenomeno di una notte dello spirito che dura praticamente tutta la vita? Qui c'è qualcosa di nuovo rispetto a quello che hanno vissuto e spiegato i maestri del passato, compreso san Giovanni della Croce. Questa notte oscura non si spiega con la sola idea tradizionale della purificazione passiva, la cosiddetta via purgativa, che prepara alla via illuminativa e a quella unitiva. Madre Teresa era convinta che si trattasse proprio di questo nel caso suo; pensava che il suo «io» fosse particolarmente duro da vincere, se Dio era costretto a tenerla così a lungo in quello stato.

Ma non era certo questo. La interminabile notte di alcuni santi moderni è il mezzo di protezione inventato da Dio per i santi di oggi che vivono e operano costantemente sotto i riflettori dei media. È la tuta d'amianto per chi deve andare tra le fiamme; è l'isolante che impedisce alla corrente elettrica di disperdersi, provocando corti circuiti…

San Paolo diceva: «Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne» (2 Cor 12,7). La spina nella carne che era il silenzio di Dio si è rivelata efficacissima per Madre Teresa: l'ha preservata da ogni ebbrezza, in mezzo al gran parlare che il mondo faceva di lei, perfino al momento di ritirare il premio Nobel per la pace. «Il dolore interiore che sento - diceva - è talmente grande che non provo nulla per tutta la pubblicità e il parlare della gente». Quanto è lontano dal vero Christopher Hitchens quando nel suo saggio velenoso Dio non è grande. La religione avvelena ogni cosa (Einaudi 2007) fa di Madre Teresa un prodotto dell'era mediatica!

C'è una ragione ancora più profonda che spiega queste notti che si prolungano per tutta una vita: l'imitazione di Cristo, la partecipazione all'oscura notte dello spirito che avvolse Gesù nel Getsemani e in cui morì sul Calvario, gridando: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?». Madre Teresa è giunta a vedere sempre più chiaramente la sua prova come una risposta al desiderio di condividere il Sitio di Gesù sulla croce: «Se la pena e la sofferenza, la mia oscurità e separazione da te ti da una goccia di consolazione, mio Gesù, fa di me ciò che vuoi…Imprimi nella mia anima e nella vita la sofferenza del tuo cuore…Voglio saziare la tua sete con ogni singola goccia di sangue che puoi trovare in me. Non ti preoccupare di tornare presto: sono pronta ad aspettarti per tutta l'eternità».

Sarebbe grave errore pensare che la vita di queste persone sia tutta tetra sofferenza. Nel fondo dell'anima, queste persone godono di una pace e gioia sconosciute al resto degli uomini, derivanti dalla certezza, più forte in esse del dubbio, di essere nella volontà di Dio. Santa Caterina da Genova paragona la sofferenza delle anime in questo stato a quella del Purgatorio e dice che essa «è così grande, che solo è paragonabile a quella dell'Inferno», ma che c'è in esse una «grandissima contentezza» che sola si può paragonare a quella dei santi in Paradiso. La gioia e la serenità che emanava dal volto di Madre Teresa non era una maschera, ma il riflesso dell'unione profonda con Dio in cui viveva la sua anima. Era lei che si «ingannava» sul suo conto, non la gente.

A fianco degli atei

Il mondo d'oggi conosce una nuova categoria di persone: gli atei in buona fede, coloro che vivono dolorosamente la situazione del silenzio di Dio, che non credono in Dio ma non si fanno un vanto di ciò; sperimentano piuttosto l'angoscia esistenziale e la mancanza di senso del tutto; vivono anch'essi, a loro modo, in una notte oscura dello spirito. Nel suo romanzo La pesteAlbert Camus li chiamava «i santi senza Dio». I mistici esistono soprattutto per essi; sono loro compagni di viaggio e di mensa. Come Gesù, essi «si sono assisi alla mensa dei peccatori e hanno mangiato con loro» (cf. Lc 15,2).

Questo spiega la passione con cui certi atei, una volta convertiti, si sono buttati sugli scritti dei mistici: Claudel, Bernanos, i due Maritain, L. Bloy, lo scrittore J.-K. Huysmans e tanti altri sugli scritti di Angela da Foligno, T.S. Eliot su quelli di Giuliana di Norwich. Vi ritrovavano lo stesso paesaggio che avevano lasciato, ma questa volta illuminato dal sole. Pochi sanno che l'autore di Aspettando Godot, Samuel Beckett, nel tempo libero leggeva san Giovanni della Croce.

La parola «ateo» può avere un senso attivo e un senso passivo. Può indicare uno che rifiuta Dio, ma anche uno che - almeno così gli sembra - è rifiutato da Dio. Nel primo caso, si tratta di un ateismo di colpa (quando non è in buona fede), nel secondo di un ateismo di pena, o di espiazione. In quest'ultimo senso possiamo dire che i mistici, nella notte dello spirito, sono degli a-tei, dei senza Dio e che anche Gesú, sulla croce, era un «ateo», un senza-Dio.

Madre Teresa ha parole che nessuno avrebbe sospettato in lei: «Dicono che la pena eterna che soffrono le anime nell'Inferno è la perdita di Dio… Nella mia anima io sperimento proprio questa terribile pena del danno, di Dio che non mi vuole, di Dio che non è Dio, di Dio che in realtà non esiste. Gesù, ti prego perdona la mia bestemmia». Ma si rende conto della natura diversa, di solidarietà e di espiazione, di questo suo «ateismo»: «Voglio vivere in questo mondo così lontano da Dio e che ha voltato le spalle alla luce di Gesù, per aiutare la gente, prendendo su di me qualcosa della loro sofferenza». Il rivelatore più chiaro che si tratta di un «ateismo» di ben altra natura è la sofferenza indicibile che esso provoca nei mistici. Gli atei comuni non si tormentano in questo modo per il loro ateismo!

I mistici sono giunti a un passo dal mondo dove vivono i senza Dio; hanno sperimentato la vertigine di buttarsi giù. È ancora Madre Teresa che scrive al suo padre spirituale: «Sono stata sul punto di dire No… Mi sento come se qualcosa un giorno o l'altro dovesse spezzarsi in me». «Prega per me, che io non rifiuti Dio in quest'ora. Non lo voglio ma temo di poterlo farlo». Per questo i mistici sono gli ideali evangelizzatori nel mondo post-moderno, dove si vive etsi Deus non daretur, come se Dio non esistesse. Ricordano agli atei onesti che non sono «lontani dal regno di Dio»; che basterebbe loro spiccare un salto per ritrovarsi dalla sponda dei mistici, passando dal nulla al tutto. Aveva ragione Karl Rahner di dire: «Il cristianesimo del futuro, o sarà mistico, o non sarà». Padre Pio e Madre Teresa sono la risposta a questo segno dei tempi. Non dobbiamo «sprecare» i santi, riducendoli a distributori di grazie, o di buoni esempi.