Il kibbutz di Ginnosar sul lago di Tiberiade e la scoperta della “barca di Gesù”, del prof.Giancarlo Biguzzi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /10 /2022 - 10:30 am | Permalink | Homepage
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Presentiamo on-line una breve nota del prof.Giancarlo Biguzzi, docente di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Urbaniana, apparso sulla rivista Euntes Docete. Commentaria Urbaniana 2002/3, pagg.143-146, con il titolo originario La barca di Gesù, in una rubrica - che aveva lo scopo di raccontare, come in agili reportage giornalistici, l’attualità del nostro passato - intitolata “Archeologia delle origini”  (“archeologia” nel duplice senso di arte che attraverso trincee di scavo riporta alla luce ciò che fu, e poi di discorso su ciò che è antico).

Il Centro culturale Gli scritti (27/1/2007)

 

Non tutte le siccità vengono per nuocere

Il 1985 e 1986 furono annate di grande siccità in Palestina e il livello del lago di Galilea, il lago di Gesù, si abbassò come non capitava da molti anni. In queste condizioni la riva del lago assume un aspetto spesso disgustoso per la melma e i detriti di ogni genere che l’acqua lascia ritirandosi. Per altro verso, però, proprio quello che è disgustoso per alcuni, per i dilettanti archeologi diventa invece campo di appassionata ricerca, perché il lago può talvolta restituire quello che molti secoli fa ha inghiottito. Fu così che in un giorno di metà gennaio del 1986 Mosè e Yuval Lufan, due fratelli del kibbutz Ginnosar, i quali nei tempi persi erano soliti andare in esplorazione “archeologica”, notarono come la melma lasciata dal deflusso s’abbassava a formare una concavità ovale nell’area di una decina di metri, poco a sud del loro kibbutz. Era la sagoma di una barca.
I due fratelli subito cercarono di Mendel Nun, di Ein Gev, un kibbutz situato sull’altra riva del lago: il Kibbutz Ginnosar è sulla riva nord-ovest tra Magdala e Cafarnao, quello di Ein Gev è invece sulla riva sud-est. Mendel Nun conosce tutto del lago e nei periodi di livello basso delle acque perlustra ogni palmo delle rive lacustri alla ricerca degli antichi porti. Egli è riuscito a ricostruire il tracciato dei 15 porti maggiori del lago, tra cui (in senso antiorario) Cafarnao, Magdala, Emmaus, Tiberiade, Gadara, Sussita, e Gergesa. Mendel Nun, lo specialista del lago, fece le telefonate giuste sia ai competenti, sia alle persone che contano. La macchina del ricupero si avviò e la siccità stava per avere un risvolto positivo.

La barca antica nella melma del lago

Due giorni di indagini preliminari fecero capire che si trattava di una barca antica. La barca misurava circa 8 metri per 2, era in buono stato di conservazione, e la tecnica di costruzione (legni a incastro fissati con pioli e chiodi) era la stessa che nell’area mediterranea è stata in uso dal secondo millennio a.C. fino all’epoca bizantina esclusa.
Gli esperti coinvolti nel ritrovamento pensavano di ricoprire tutto e di mettersi alla ricerca degli sponsor per un futuro scavo. Ma la notizia finì sulla stampa della domenica 9 febbraio. I giornali e la televisione cominciarono a parlare della “barca di Gesù” o della barca carica d’oro affondata nel corso della prima guerra mondiale mentre trasportava le paghe per l’esercito turco. Addirittura ebrei ultra-ortodossi cominciarono a manifestare contro un eventuale ricupero della “barca di Gesù” perché non ci fosse in Israele uno sfruttamento della notizia da parte dei missionari cristiani.

Dalla melma al museo del kibbutz

A quel punto non ci fu possibilità di scelta. Il luogo non avrebbe avuto pace e i cercatori di tesori avrebbero potuto danneggiare per sempre “la barca di Gesù”. Si sorvegliò il sito giorno e notte finché il 16 febbraio 1986 cominciò lo scavo. Poiché nel frattempo aveva cominciato a salire di nuovo il livello dell’acqua e poiché si annunciavano piogge, si costruì un argine tutt’intorno al luogo che nascondeva la barca per prevenirne l’inondazione, e poi si lavorò non solo di giorno, ma, alla luce di lanterne a gas dei pescatori, anche di notte. Era relativamente facile scavare all’esterno della barca, mentre era invece proibitivo ripulire dalla melma secolare l’incavo dello scafo perché il legno imbevuto d’acqua avrebbe ceduto sotto il peso degli scavatori. Si dovette lavorare distesi orizzontalmente su lunghe travi appoggiate a sostegni piantati all’esterno. L’ultimo strato di melma fu tolto non con la paletta ma a mano, per non danneggiare in alcun modo il reperto.
Tra i molti problemi che si dovettero affrontare, il più delicato era il sollevamento e il trasporto della barca al laboratorio per gli interventi di definitiva pulizia e per le molteplici cure necessarie ad assicurare la conservazione del reperto e la sua sistemazione museale. La tecnica che si scelse fu quella di iniettare dentro la barca e tutt’intorno schiuma di poliuretene che poi, consolidata, protesse egregiamente il reperto come in un bozzolo, e anzi permise di farlo galleggiare sulle acque del lago fino al punto in cui una gru lo sollevò e lo depose sul luogo del restauro. Dopo sette anni di lenta sostituzione dell’acqua di cui il legno era imbevuto con cera sintetica, e dopo una sistemazione provvisoria, ora, dal febbraio 2000, “la barca di Gesù” è in mostra al centro Ygal Allon nel museo di Galilea.

Datazione e fattura della barca

L’ipotesi di antichità della barca aveva bisogno di verifica e una prima indicazione per datare la barca furono la casseruola trovata vicino alla barca e la lanterna trovata al suo interno, che erano da datare dalla fine del primo secolo a.C. al 70-80 d.C. Senza dover pensare che fossero appartenute ai padroni della barca, le due terrecotte indicavano che una qualche attività umana si era svolta sul quel luogo nel primo secolo d.C. Un secondo criterio di datazione fu la prova “al radiocarbonio 14”, e il responso fu che il taglio degli alberi (non necessariamente la costruzione della barca) era avvenuta dal 120 a.C. al 40 d.C. circa. Indizi diversi convergevano dunque a datare la barca davvero al tempo di Gesù.
La tecnica di costruzione degli incastri e dei pioli di legno era stata probabilmente importata da cantieri del mediterraneo ed era stata applicata non su un materiale ligneo unico, ma su materiali misti: cedro, quercia ecc. Sul luogo furono trovati resti di lavorazione del legno e due assi che erano appartenute ad altre due imbarcazioni. Questo può suggerire che nelle vicinanze ci fosse un piccolo cantiere per la riparazione delle barche del lago. Tra l’altro, la barca di cui stiamo parlando porta i segni, non solo di ripetuti rattoppi, ma anche della sua finale rottamazione: mancano infatti i castelli di poppa e di prua, l’orlo circolare superiore, assi interne ecc., così che tutti questi pezzi potrebbero essere stati riutilizzati per aggiustare qualche altra barca.
Alcuni fori e chiodi sul letto dello scafo dicono che la barca aveva un albero, così che la barca poteva muoversi sulle acque del lago non solo a remi ma anche a vela. Era una barca che con ogni probabilità serviva alla pesca, ma poteva essere utilizzata anche per il trasporto di persone o di oggetti. L’occhio degli esperti calcola che in una barca di quelle dimensioni trovassero posto quattro rematori, due per lato, e, a poppa, il timoniere. A questo proposito si può aggiungere che a Magdala gli archeologi francescani hanno messo in luce e poi esposto nel museo all’aperto di Cafarnao un mosaico pavimentale che rappresenta un’imbarcazione col suo bell’albero e la sua vela. Sul lato esposto all’osservatore, poi, poggiano quelli che sembrano essere tre remi, così che la barca del mosaico avrebbe avuto sei rematori e non quattro. Ma, a ben osservare, non è così. Due dei remi raffigurati terminano con una sola pala, mentre il terzo ha una pala doppia e dunque rappresenta qualcosa di diverso: probabilmente appunto il timone. Se ne può concludere che la barca-tipo del lago avesse un equipaggio di cinque persone, ma evidentemente aveva posto per più di 5 passeggeri: una quindicina, – dicono sia gli esperti che l’occhio –. Questo ci porta a fare confronti con i testi evangelici che parlano delle barche su cui Gesù saliva con i suoi discepoli per muoversi sul lago.

Gesù e i Dodici sul lago

Nei quattro vangeli la barca è messa in relazione con Gesù e con il gruppo dei suoi discepoli una cinquantina di volte. Dal racconto della pesca di Giovanni 21 si ricava che sulla barca salirono 7 discepoli di Gesù, di 5 dei quali è dato anche il nome: «Si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca ecc.». Da altri racconti si apprende che i discepoli di Gesù, senza precisazioni di numero, salgono con o senza di lui in barca. In Matteo 14,22 Gesù fa salire i discepoli in barca e lui resta a terra: «Ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla». In Marco 8,10 invece anche Gesù si imbarca: «… salì poi sulla barca con i suoi discepoli e andò dalle parti di Dalmanuta». In tutti questi testi con ogni probabilità si tratta dei Dodici i quali dunque, con Gesù, costituivano l’equipaggio di circa quella quindicina di persone di cui parlano gli esperti per la barca del kibbutz Ginnosar.
Nei vangeli non è mai detto che Gesù partecipi alle operazioni di pesca dei suoi discepoli, ma solo che talvolta egli comanda loro di gettare le reti. Accade così per esempio secondo Luca 5,4: «Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”». Se né qui né altrove la barca per Gesù non è mai luogo di lavoro, proprio nei versetti precedenti essa è invece luogo da cui egli insegna: «Poiché la folla faceva ressa intorno a lui per ascoltarlo, … salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca» (Luca 5,1-3; cf. Mc 4,1).
In altra circostanza l’insegnamento non fu rivolto alle folle ma a un singolo. Fu quando Pietro, vedendo Gesù venire sulla superficie del lago, gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque» (Matteo 14,28). Poiché Gesù gli replicò: «Vieni!», Pietro ci provò, ma poi fu preso dalla paura e cominciò ad affondare. E allora la lezione di Gesù per Pietro fu un rimprovero: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (Matteo 14,31).
Quella notte fu però molto di più: fu una notte di mistero e di rivelazione perché, dopo avere congedato la folla e dopo essersi ritirato sul monte in preghiera, Gesù si rivelò ai discepoli quale signore e dominatore delle acque: «La barca era agitata dalle onde a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare». E la reazione dei discepoli alla misteriosa teofania notturna fu un atto di fede. Di fede piena ed esemplare: «Appena Pietro e Gesù furono risaliti, quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti esclamando: “Tu sei veramente il Figlio di Dio”» (Matteo 14,32).
Gesù rivelò la sua signoria sul mare anche nel mezzo della tempesta. L’episodio della tempesta sul lago è narrato da tutti e tre i sinottici ma, nella sua solita vivezza, il racconto di Marco contiene un dettaglio di cui vogliamo parlare. Mentre la barca era sbattuta dal vento e dalle onde e mentre i discepoli erano nel panico perché imbarcavano sempre più acqua, «Gesù – dice l’evangelista Marco – se ne stava a poppa e, adagiato sul cuscino, dormiva» (Marco 4,38). Il cuscino è menzionato solo da Marco, e Marco dice sul cuscino (in greco: epi ton proskephàlaion), un cuscino ben preciso, non un cuscino qualsiasi: il cuscino che tutte le barche avevano. A noi viene da pensare a un bel cuscino bianco, riempito di soffici piume di gallina, come usava prima che i cuscini in serie cominciassero a essere venduti nei supermercati. Ma ci sbagliamo perché, detto in parole povere, quel cuscino era il sacco di sabbia che era a bordo di ogni imbarcazione come zavorra, per equilibrare la barca, oppure per tendere le vele nell’orientazione voluta. Nei momenti che non serviva, nel mezzo dello scafo sarebbe stato d’intralcio, e allora lo si metteva sotto il castello di poppa e lì, come accadde quel giorno per Gesù, qualcuno poteva servirsene per fare un sonnellino. Lo svegliarono a furia di grida d’aiuto e lui, destatosi, comandò al mare: «Taci! Calmati!» (Marco 4,39). Come faceva con gli indemoniati: «Gesù intimò al demonio immondo: Taci! Esci da costui!» (Luca 4,35).

Cos’era la barca per Gesù

La barca dissotterrata dalla melma del lago in secca nell’inverno del 1986, è una barca del tempo di Gesù e, in una delle sue molte traversate da una riva all’altra del lago, Gesù potrebbe avere posato il suo sguardo su quella carretta oramai malandata. Per questo, di fronte a quello scafo non si può non restarne emozionati. La barca di Gesù però ce l’hanno dipinta già egregiamente, anzi teologicamente, gli evangelisti quando ci hanno detto che era la cattedra del suo magistero, il tempio delle sue divine manifestazioni, e il giaciglio dove, da taumaturgo ed esorcista, ritemprava le sue forze per la prossima battaglia.


Testi dello stesso autore presenti sul nostro stesso sito www.gliscritti.it

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