Introduzione alla liturgia bizantina: un incontro con p. Matteo Cryptoferritis, ieromonaco, all’abbazia greca di S. Nilo a Grottaferrata (tpfs*)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 13 /10 /2022 - 20:12 pm | Permalink | Homepage
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Il testo che presentiamo on-line è stato trascritto dalla viva voce dell’autore e non è stato da lui rivisto. Prima di partecipare alla liturgia cattolica in rito bizantino, domenica 15 gennaio 2006, p. Matteo Cryptoferritis (al secolo Matteo Paparozzi) ha introdotto, con questo intervento, al significato della tradizione bizantina nella vita della Chiesa il gruppo di S. Melania, che si era recato a S.Nilo per questa celebrazione.

L’Areopago

 

Quando i nostri fondatori sono arrivati, nella tarda primavera del 1004, qui non c’era niente. C’erano solo le rovine di un’antica villa romana e un sacello, che era molto probabilmente una tomba del I secolo a.C., trasformata in chiesetta cristiana tra il V e il VI secolo d.C. e si sono fermati a pregare lì. Loro venivano da vicino Gaeta, diretti al monastero di S.Agata a Tuscolo, e si sono fermati a pregare in questa chiesetta. 

Poi, su domanda di S.Nilo, che era il capo del gruppo - e che era vecchissimo, aveva circa 95 anni - il conte Gregorio di Tuscolo, che era il proprietario di questa zona, ha regalato questo terreno a lui ed ai suoi monaci, perché ci facessero una chiesa ed un monastero. I lavori cominciarono subito. 

S.Nilo è morto poco dopo, la sera del 25 settembre di quell’anno. I lavori sono stati portati avanti da S.Bartolomeo, il suo discepolo più giovane, che a quell’epoca aveva 25 anni. La chiesa è stata consacrata il 17 dicembre del 1024. Ancora in alcuni punti come gli stipiti in marmo della porta grande della chiesa ci sono i segni delle croci della consacrazione. Quando una chiesa viene consacrata si mettono dodici croci come simboli dei dodici apostoli. 

Quello che vedete attraverso questa cancellata è la “Crypta ferrata”. Cosa significa “Crypta”? Oggi cripta è la parte sotterranea di una chiesa, ma anticamente non era così. In latino significa semplicemente una stanza coperta da volte. Ferrata perché ci sono ancora le inferriate del I secolo a.C., quelle romane. Dal nome “Crypta ferrata” deriva Grottaferrata, quindi le grotte non c’entrano nulla. 

I nostri monaci che sono arrivati qui venivano, attraverso tappe successive, durate una cinquantina di anni, dalla Calabria. Nel X secolo la Calabria era una regione che apparteneva ancora all’impero bizantino, continuamente oggetto di scorrerie arabe per cui era difficile vivere in quei luoghi. E’ una delle ragioni principali per le quali si sono spostati verso nord, prima verso i territori longobardi di Capua e poi vicino a Roma. Sono stati anche ospiti per una ventina di anni circa dei benedettini di Montecassino, i quali hanno dato loro una dipendenza che è l’attuale paese di S.Elia Fiume Rapido, poi si sono trasferiti vicino alla bellissima spiaggia di Serapo, che si trova alla Montagna Spaccata, dove hanno fondato un monastero e dove sono rimasti una quindicina di anni. Poi sono partiti anche da lì e sono arrivati qui dove siamo oggi. 

S.Nilo non è morto qui, ma nel piccolo monastero di S.Agata, che stava a qualche chilometro da qui sulle colline e che era un monastero di greci. Nell’Italia meridionale e anche centrale e nella stessa Roma c’erano molti monasteri orientali che sono rimasti fino al XII secolo. Sul monte Aventino c’erano S.Saba che esiste ancora come chiesa, il monastero dei SS. Alessio e Bonifacio che è l’attuale chiesa di S.Alessio e giù ai piedi del colle c’era S.Maria in Cosmedin. Erano tutte chiese tenute da orientali. Nel monastero di S.Alessio c’erano sia greci che latini. 

Noi da mille anni conserviamo la nostra tradizione bizantina quindi la messa a cui voi parteciperete è tutta cantata in greco. Avrete un libretto molto utile per seguire perché tutto quello che si sente e anche ciò che non si sente è trascritto con i caratteri latini così come è pronunciato. 

La liturgia bizantina apparentemente è molto diversa da quella alla quale voi siete abituati, ma fino ad un certo punto. Voi sarete abituati alle vostre messe parrocchiali che, quando va bene, durano diciotto-venti minuti nei giorni feriali. Ringraziate se i vostri sacerdoti celebrano messe più lunghe perché il tempo della preghiera non si deve lesinare al Signore. Non si va di fretta all’appuntamento con una bella ragazza o un bel ragazzo; ci si sta con piacere e a lungo. Il gioco è bello quando dura tanto! La divina liturgia è un gioco meraviglioso che scende dal cielo per noi, perciò il tempo per la preghiera deve essere calmo, tranquillo, ritmato. 

Prima ancora di parlare della liturgia faccio una domanda fondamentale: “Cos’è secondo voi il cristianesimo?”. Ieri era qui una famiglia di cari amici, persone che, come la maggior parte degli italiani, più o meno in Dio ci credono, ma in chiesa non vanno mai. Del cristianesimo hanno un’idea abbastanza vaga e se la fanno, in genere, leggendo Repubblica. I cristiani generalmente si informano sulla Chiesa dai nemici della Chiesa e questa non è una cosa intelligente. 
Queste persone più o meno vagamente credenti, non appartengono ad una comunità cristiana - cosa indispensabile per essere cristiani, perché il cristianesimo non è un fatto privato. Se si rivolge loro la domanda: “Cos’è il cristianesimo?”, la risposta di solito è: “Il cristianesimo è una serie di verità su Dio, su Cristo”, oppure “E’ voler bene al prossimo, fare il possibile per fare il bene”. Queste due cose sono vere, ma non sono la cosa essenziale, non sono per niente la cosa “prima”. 

Se voi vi fermate a una sola di queste due cose vedete perché. Se vi fermate alle verità della fede, (che poi in genere i cosiddetti “laici” considerano cose strane, un “salto nel buio”, come credere che “2+2=5”; semmai la fede invece è un “salto nella luce”), se esagerate questo aspetto viene fuori che il cristianesimo è una cosa intellettuale, una serie di fatti mentali, di verità astratte. Se esageriamo dall’altra parte viene fuori che il cristianesimo è una specie di filantropismo, di carità con il prossimo, dopo di che la gente però si stufa presto di fare il volontariato perché non si regge su niente. Ci sono queste due cose ma non sono l’essenziale. 

Il cristianesimo è l’accogliere dentro di noi, nella persona di Gesù Cristo - nella persona reale di Gesù Cristo nella quale, come dice la lettera ai Colossesi “abita corporalmente tutta la pienezza delle divinità” - la potenza di Dio che ci trasforma. Significa stare attaccati al Dio di Gesù Cristo e con Lui trasformare la nostra esistenza. Da questo derivano le verità della fede e l’amore per il prossimo. Se non c’è questo, l’amore per il prossimo diventa filantropia. La civiltà europea negli ultimi centocinquanta anni ha cercato di fondare un’etica senza Dio, fondata soltanto sull’uomo e tutti vediamo che fine ha fatto quest’etica. C’è lo sfascio completo dell’eticità profonda delle persone sempre più dilagante, sia detto senza nessun moralismo, per dire le cose come stanno. 

Ma come si comunica a noi la vita di Dio, di Gesù Cristo, per mezzo dello Spirito Santo? Nei santi Misteri, nei Santi segni dei Sacramenti. Osiamo per un momento metterci dal punto di vista di Dio: “Come faccio a comunicare me stesso a degli esseri che sono di carne, che sono materiali (e anche spirituali allo stesso tempo), quando io sono assolutamente diverso? Devo scegliere dei mezzi adeguati a come sono fatti loro”. Se io padre Matteo ora mi mettessi a parlare improvvisamente in russo, probabilmente nessuno di voi capirebbe. Per capirci dobbiamo comunicare in italiano che è la lingua che ci accomuna. La stessa cosa vale per la vita di Dio che ci viene comunicata, quello che i Santi Padri chiamano le “energie divine” di Dio. 

Ci vengono comunicate attraverso un sistema che è materiale e spirituale nello stesso tempo: i santi sacramenti. Ciascun sacramento è fatto di cose materiali. Il battesimo si fa con l’acqua, non si può fare un battesimo senza acqua. La cresima con l’olio profumato. Il matrimonio si fa con il corpo degli sposi, se non c’è l’unione corporale degli sposi il matrimonio praticamente non c’è. Le ordinazioni diaconali, presbiterali ed episcopali si fanno con l’imposizione delle mani sul capo dell’ordinando. La remissione dei peccati si fa con l’imposizione della stola sacerdotale sopra la testa del penitente (almeno da noi). L’unzione dei malati si fa con l’olio e così via. Attraverso questi segni passa la potenza rinnovatrice dello Spirito di Cristo che è lo Spirito del Padre che Lui ci manda, risorto dai morti per noi e con noi. Se questo non c’è le verità della fede diventano intellettualismo astratto e l’opera al servizio del prossimo diventa solo volontarismo, ma non amore, caritas, agape. 

Il centro della vita cristiana è la celebrazione dei santi misteri. Ecco perché non si può vivere una vita cristiana se non si partecipa alla divina liturgia. Non è un dovere. Sì, il comandamento dice: “Santificherai il giorno della festa”, ma è stato dato molto prima che esistesse la messa cristiana, al popolo ebraico. La santificazione della festa non comporta nessun obbligo di andare in sinagoga. Così non è semplicemente obbligatorio per un cristiano, è un piacere innanzitutto, se ha capito di cosa si tratta, cioè partecipare all’incontro con Cristo insieme a tutti i fratelli. Perché quel sacramento si chiama comunione? Si chiama eucaristia, che in greco vuol dire ringraziamento. E’ il Cristo stesso che noi offriamo al Padre per ringraziarlo di averci mosso attraverso lo Spirito Santo per arrivare fino a Lui. Ecco perché si chiama ringraziamento. E si chiama comunione perché mangiare e bere insieme quel corpo e quel sangue, quel pane e quel vino, serve non prima di tutto ad avere la nostra intimità con il dolce Gesù, ma a crescere come comunità cristiana. Questo è lo scopo precipuo di questo sacramento. Non è intimistico o misticheggiante. Per cui la reazione che generalmente hanno tutti dopo aver fatto la comunione di stare raccolti, a me fa un po’ sorridere: dobbiamo guardarci l’un l’altro, essere contenti, gioiosi, perché questo è il volto di Cristo, quello che sta nelle facce dei miei fratelli. 

Le sante icone servono solo a suggerire questo. La gioia non può che manifestarsi. Se i cristiani sono senza gioia, cosa volete che attiri gli altri? Quasi sempre i cristiani sono un po’ tristanzuoli, un po’ moralisti. Spesso non si sente questa gioia che ci trasforma la vita, anche quando siamo addolorati e tristi psicologicamente. Se mi è morta mia madre ieri, io oggi non posso essere psicologicamente contento, ma sono lieto in Cristo della resurrezione di Cristo, di mia madre, della mia resurrezione e di quella di tutti. Per noi cristiani d’Oriente è perciò essenziale la partecipazione al culto divino. Da questo discende tutto quanto il resto. 

In particolare voi forse sapete che il Credo è stato inserito nella messa molto tardi, in tutte le liturgie, tra il VI e il VII secolo. Ecco perché sta in posti diversi, nei diversi riti. Nella liturgia latina conclude la liturgia della Parola, nella nostra liturgia bizantina inizia l’anafora, inizia la preghiera di consacrazione; troverete così la professione di fede in un altro posto e nella forma antica, cioè senza il Filioque (“lo Spirito Santo che procede dal Padre”, e basta). Apparentemente le celebrazioni della divina liturgia di tipo bizantino e latino sono alquanto diverse, ma solo in apparenza, perché se guardate bene la struttura è assolutamente la stessa. 

Ci sono dei riti di introduzione, che da noi sono complicati, mentre nella tradizione latina il saluto sacerdotale è semplicissimo e si dà praticamente subito attacco alla liturgia delle letture. In mezzo c’è una caratteristica propria solo della liturgia romana da tempo antichissimo, l’atto penitenziale. E’ molto interessante, le altre liturgie non ce l’hanno. Neanche le altre liturgie d’origine latine, come quella mozarabica, gallicana ecc. Apparentemente quindi le cose sono diverse, ma la struttura è la stessa: delle liturgie d’inizio, una liturgia della Parola, una processione offertoriale, la preghiera di consacrazione che si chiama “anafora” (nella liturgia latina “canone”), la consumazione dell’Eucaristia e i riti di congedo. 

Alcune cose della liturgia bizantina vi meraviglieranno un po’. Innanzitutto c’è, come già sicuramente sapete, una parete che sembra separare il presbiterio dal corpo della chiesa. Non separa proprio niente, non è per niente antica questa parete. Così come si presenta comunemente oggi nelle chiese orientali risale alla fine del XIV o all’inizio del XV secolo. Anticamente c’erano soltanto dei parapetti che separavano il presbiterio dal resto, come a S.Sabina o a S.Maria in Cosmedin. Servivano semplicemente per il coro. Su questi parapetti si appoggiavano nel giorno di festa l’icona della festa del giorno che poi dopo si toglieva. A S.Marco a Venezia è ancora così. Perciò si vedeva tutto, questa parete non intende nascondere niente. 

Però, come voi forse sapete, nelle liturgie, ogni volta che c’è una cosa che ha un’origine puramente materiale, quando questa origine viene dimenticata, si fanno tante fantasie misticheggianti sulle interpretazioni. Vi faccio un esempio pratico. In tutte le liturgie cristiane, tranne quella armena, nel vino che serve per la celebrazione si mette un po’ d’acqua. Addirittura nella liturgia romana adesso c’è quella preghiera che voi sentite: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra natura che hai voluto assumere...”. Se voi ci pensate un momento, questa preghiera detta così, francamente è poco sana dal punto di vista dottrinale. Perché come ci insegna il Concilio di Calcedonia del 451, in Cristo le due nature, quella umana e quella divina, sono unite ma non confuse, non sono separabili, ma non sono nemmeno confuse. L’acqua unita al vino si confonde, non li potete più separare, non sono segno proprio di niente. La preghiera è infelicissima, scritta da liturgisti che probabilmente non sanno quello che dicono. Invece qual è il motivo? Il cristianesimo è una religione orientale e nel Mediterraneo i vini sono tutti molto forti, pensate al marsala; si metteva l’acqua, allora, per non bere il vino assoluto ed evitare così di ubriacarsi. Solo questa è l’origine. 

Oppure un’altra usanza curiosa. Quella di mettere un pezzo del pane eucaristico nel calice - c’è in tutte le liturgie. Voi sapete che nella liturgia romana nell’ostia grande ci sono incisi un tratto verticale e uno un po’ di sbieco per tagliare quel pezzettino, spezzarlo e metterlo dentro il calice. Se tu domandi alla gente cosa significa di solito ti risponde: “L’unione del corpo e del sangue di Cristo”. Ma se nel 1200 hanno speso 100 anni di teologia per dimostrare che in ciascuna specie c’è tutto Cristo, che bisogno c’è di unirli? Perché quel pane è il corpo, il sangue, l’anima e la divinità e quel vino lo stesso. E’ semplicemente un’usanza della Chiesa di Roma. Quando il Papa celebrava in Laterano mandava attraverso i diaconi un fermento, un pezzo della galletta che si usava a Roma - non le ostie da farmacista che si usano adesso - di pane azzimo, alle principali (pochissime) chiese di Roma perché quando poche ore dopo il prete locale avrebbe celebrato la liturgia avrebbe messo la comunione del Papa insieme alla sua per significare l’unione con il Papa, con il Patriarca. Se oggi il Papa fa la stessa cosa e mette un pezzetto di ostia nel calice, con chi deve unirsi? Lui non dovrebbe farlo. Tutti ignorano e vanno avanti a fare le cose come capita. 

Noi siamo un pochino più precisi su tante cose, perché la lex orandi, cioè la regola che governa la preghiera, diventa anche lex credendi. Noi dobbiamo credere così come preghiamo. Quando nella seconda metà del IV secolo c’è una tendenza ereticale a negare la divinità dello Spirito Santo, come S.Basilio, in una splendida opera dimostra che questa è un’eresia? Dice “Ma noi battezziamo in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Non possiamo battezzare in nome di due che sono divinità e uno che non lo è”. La formula stessa che il Signore ci ha detto alla fine del vangelo di Matteo è quella che garantisce che lo Spirito Santo è Dio come il Padre e come il Figlio. E noi diciamo, tra molte virgolette, che sono tre persone. Tre non numerico: non è uno, due e tre. Non funziona così, lo spiega S.Gregorio di Nazianzio nelle sue orazioni teologiche. Voi vedete che ogni volta che noi siamo costretti a parlare di Dio, dobbiamo usare un linguaggio analogico, un linguaggio che assomiglia a delle cose che noi conosciamo, ma non dobbiamo mai dimenticare che la differenza è grande. 

Dicevo che nella nostra liturgia l’inizio è quello che vi spiazzerà un pochino, perché subito dopo il saluto sacerdotale (dovrebbe farlo il diacono, ma se il diacono non c’è lo fa il sacerdote) c’è la preghiera generale, le grandi petizioni diaconali, che corrisponde alla preghiera dei fedeli che è stata rimessa, dalla liturgia latina, dopo il vangelo. Adesso nella liturgia latina ci sono tante formule, spesso si lascia alla spontaneità. Da noi non c’è nessuna spontaneità, non ce n’è bisogno. Perché come vi accorgerete, nella grande petizione diaconale, ci sono tutte le necessità umane messe dentro, non c’è bisogno di inventarsi niente. Noi non stiamo lì per fare i creativi, ma per ricevere le energie divine che scendono dall’alto. 

Allora semmai l’iconostasi - come si chiama quella parete che sembra separare il santuario dal resto della chiesa - non è fatta per separare. In origine nasce in Russia, semplicemente per tenere caldo il santuario. Caso mai, se vogliamo avere una simbologia è vero il contrario, che da lì dove c’è il corpo e il sangue di Cristo, si sprigiona la potenza di Dio che si manifesta verso l’esterno con le immagini della Madre di Dio, di Cristo e dei Santi: non serve a separare ma ad unire. 

Subito dopo la preghiera diaconale ci sono le cosiddette antifone, che sono tre. In origine, nella liturgia di S.Giovanni Crisostomo che è quella che celebriamo quasi tutto l’anno - è di origine antiochena (IV secolo) - si faceva una processione attraverso l’esterno di varie chiese importanti della città, fino a che si arrivava in cattedrale. Durante questa processione si cantavano dei salmi, tra una chiesa e l’altra. Arrivati davanti alla chiesa il diacono proponeva delle intenzioni di preghiera; il sacerdote che era sempre insieme a lui le concludeva con una preghiera finale e poi si continuava fino alla cattedrale. Arrivati in cattedrale il vescovo accoglieva tutti, tutti prendevano posto, c’era l’ingresso del vangelo che si teneva in un posto separato dall’altare. L’arcidiacono prendeva il vangelo e lo portava solennemente per appoggiarlo sulla santa mensa. Lì cominciava la liturgia della Parola. 

Noi abbiamo conservato la struttura delle antifone che non sono altro che il resto di queste processioni con le quali si arrivava in chiesa. Da un punto di vista razionalistico e logico dovremmo sopprimerle perché non c’è più nessuna processione, ma voi sapete che la liturgia orientale è straordinariamente conservatrice. Ma anche in quella latina, dopo la riforma del Concilio Vaticano II ci sono stati Lefebvre e i suoi compagni, che in nome di una Chiesa di 500 anni fa, fanno fatica a capire quella di oggi. La fedeltà alla tradizione non vuol dire bloccarsi. Tanto è vero che durante la liturgia settimanale noi saltiamo le antifone, diciamo solo le preghiere sacerdotali. Durante la liturgia domenicale che è quella solenne ci sono ancora, tra l’altro sono molto belle, sono cantate. 

Alla fine delle antifone ci sono i canti propri del giorno, poi segue la liturgia della Parola: lettura dell’Epistola e lettura del Vangelo. Voi sapete sicuramente che nella liturgia latina è stata reintrodotta la lettura dell’Antico Testamento, ma è stata reintrodotta non come era anticamente, quando si faceva una lettura continua. Ora si leggono brani scelti qua e là, in modo che corrispondano al vangelo. Il che francamente, da una parte è utile, dall’altra è fuorviante. Perché l’Antico Testamento non è valido solo perché si riferisce al vangelo. E’ Parola di Dio di per sé. Bisogna saperla accogliere per quello che è. Poi nella nostra ottica di cristiani, noi in filigrana vediamo tutto ciò che è relativo al vangelo. Ma ci accomuna ai nostri fratelli ebrei i quali non leggono così l’Antico Testamento, e hanno ragione anche loro. Perché è solo a partire da Cristo che quelle pagine sono cristologiche. Se uno non parte da Cristo quelle pagine forse parlano del Messia. Noi aspettiamo la stessa persona - per noi che ritorni, per loro che venga - ma è lo stesso Messia che aspettiamo. 

Dopo la liturgia della Parola c’è l’omelia e poi c’è la parte eucaristica vera e propria. C’è un secondo ingresso con le offerte, il pane ed il vino, che vengono preparati prima della messa. La preparazione si fa mettendo una particola di pane per ogni persona per la quale si intende pregare specialmente. Oltre a tante altre, perché per esempio oggi ci saranno circa novanta persone presenti in chiesa. Un tempo i santi doni venivano dalla sacrestia. Adesso nelle nostre chiese orientali c’è un piccolo altare laterale all’interno del santuario che si chiama prothesis, dove si fa la preparazione dei doni. Da lì si prendono e si fa l’ingresso dalla porta centrale. Gli slavi fanno tutto il giro della chiesa, noi facciamo semplicemente un breve giro dalla porta di sinistra a quella centrale. 

C’è poi l’anafora, la preghiera di offerta, che voi non sentirete, la dovrete leggere, perché il coro canta il Sanctus. Mentre il coro canta, il sacerdote legge l’anafora. Sentirete solo le parole dell’istituzione: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”. La liturgia “di S.Giovanni Crisostomo” si chiama così per via dell’anafora, che è quella che noi celebriamo quasi tutto l’anno; in realtà non è quella che anticamente veniva celebrata di più, che era invece quella di S.Basilio. Le due liturgie fino al punto dell’anafora sono uguali, dopo si differenziano per le preghiere sacerdotali, quelle che la gente non sente. 

L’anafora “di S.Basilio” è molto più lunga e molto probabilmente è di S.Basilio, perché hanno fatto tanti studi e il linguaggio usato corrisponde a tante frasi particolari che ci sono nelle opere sicuramente autentiche del Santo. Quella liturgia si recitava la domenica e in tutte le feste solenni. Anticamente la liturgia si celebrava solo la domenica, poi si è iniziato a celebrare anche il sabato. Nella nostra tradizione sabato e domenica sono i giorni nei quali è proibito fare penitenza, perché sono i giorni della gioia, non si digiuna mai di sabato da noi. 

Questa anafora è molto bella ed è stata il modello del canone IV della liturgia latina attuale, dove si racconta tutta la storia della Salvezza in dettaglio. La liturgia cosiddetta “di S.Giovanni Crisostomo” è una liturgia antiochena; S.Giovanni forse ha fatto qualche ritocco, ma è più antica di lui perché è quasi uguale anche nelle costituzioni apostoliche che sono un testo siriaco. Era una liturgia che si recitava quando capitava la memoria di un santo - hanno cominciato a celebrare la memoria dei martiri nel IV secolo, generalmente nel dies natalis del martire, cioè nel giorno in cui aveva subito il martirio (quando si conosceva). Piano piano si è cominciato a celebrare la liturgia anche nei giorni feriali, anche nella liturgia latina. 

Se voi prendete il Sacramentario leoniano (V-VI) secolo, ci trovate solo le formule per le messe del sabato e della domenica. Se invece prendete il Sacramentario cosiddetto gregoriano (VII-VIII secolo), ci trovate le formule per le messe di tutti i giorni. Il che vuol dire che tra il VI e l’VIII secolo si è cominciato a dire la messa tutti i giorni e cioè a celebrare tutte le memorie dei santi. Qualcosa del genere è successo anche in Oriente: la liturgia di S.Giovanni Crisostomo che si recitava in queste occasioni, è diventata predominante rispetto a quella di S.Basilio, che è rimasta nel periodo di Quaresima, nel Vespro solenne della vigilia di Natale, l’1 gennaio che è la memoria della morte di S.Basilio, nel Vespro solenne della vigilia dell’Epifania e nel Giovedì Santo. Questi sono i dieci giorni nei quali ancora celebriamo con questa liturgia. 

Faccio un passo indietro per quanto riguarda la lettura dell’Antico Testamento: era scomparsa anche dalla liturgia latina, l’ha reinserita il Concilio Vaticano II. Un resto di questa lettura che esisteva è dato da noi dal cosiddetto Prokìmenon, che sono alcuni versetti di Salmo, con un ritornello, che si cantano prima dell’Epistola e sono in realtà un Salmo responsoriale, che avevano senso quando c’era prima la lettura dell’AT; ora non avrebbe più senso, ma rimane lo stesso per il conservatorismo tipico soprattutto della liturgia orientale - ma anche in quella latina non si scherza! Anche l’anafora di S.Giovanni Crisostomo è molto bella, è essenziale, ma sottolinea fortemente la trascendenza di Dio, la distanza che c’è tra noi e Dio e che viene colmata da Gesù Cristo con lo Spirito Santo. 

C’è un’altra particolarità importante della nostra liturgia che è da sistemare in una concezione più ampia. E’ chiaro che ciò che fa diventare la nostra offerta del pane e del vino il corpo ed il sangue di Cristo non sono le parole magiche che diciamo noi preti come una bacchetta magica, ma è la potenza dello Spirito di Dio che opera questa trasformazione, è la preghiera di tutta la Chiesa, gerarchicamente costituita ma una, che chiede al Padre di trasformare queste cose. Qual è il momento esatto di questa trasformazione? Nella liturgia latina tutti stanno a capo chino durante le parole dell’istituzione. Anche qui lo fanno le persone, perché la gente che viene da noi è latina, ma nella nostra tradizione autentica, (addirittura in Oriente si prosternano per terra), è dopo le parole dell’istituzione, quando c’è la preghiera di invocazione dello Spirito Santo. Non lo sentirete perché c’è il coro che canta, ma lo leggerete nel libretto. Noi chiediamo al Padre che mandi il suo Spirito dopo aver detto “il Signore disse questo nell’ultima cena”: “Allora Padre manda il tuo Spirito su noi, noi tutti, e su questi santi doni, perché questo pane (è ancora pane fino a quel momento) diventi corpo del tuo Figlio, perché ciò che è in questo calice diventi il sangue di tuo Figlio”. E’ molto sottolineata la pneumaticità, la presenza dello Spirito Santo. 

Ad integrare questo voi sentirete molto spesso parlare della Madre di Dio, della Vergine Maria. Viene nominata moltissimo nel corso della divina liturgia perché è colei nella quale lo Spirito Santo ha rifulso nella maniera più piena ed è la nostra sorella e la nostra madre in questo senso. 

Non troverete difficoltà vera e propria nel seguire la liturgia. Noi qui a Grottaferrata teniamo ancora a celebrare la liturgia solenne delle 11, ma abbiamo anche altre liturgie lette perché il coro non può restare per tre messe. In realtà nella tradizione bizantina si celebra una sola liturgia; noi ne celebriamo tre la domenica perché vengono tante persone e la nostra chiesa è piccola. Di per sé, però, la liturgia dovrebbe essere una sola ed i sacerdoti dovrebbero concelebrare tutti. I nostri confratelli celebrano insieme alle 7.30 la domenica, alle 11.00 c’è solo uno che celebra. 

Il coro occupa molto spazio. Siete pregati di non cedere all’estetismo orientaleggiante per cui molta gente viene qui perché trova un clima “molto mistico”. Mistiche sono la morte e la resurrezione di Cristo, dove nessuno cantava ed in nessun tipo di rito! E’ vero che i canti sono belli, ma andate a sentire una messa latina a S.Anselmo fatta bene, senza chitarre, con un bel canto gregoriano e vi accorgerete che è altrettanto bella. Canti con chitarre da noi sono impensabili, non c’è nessuno strumento musicale, perché lo strumento musicale più nobile che esista è la voce dell’uomo; non sono i pezzi di legno, di corda o di metallo ad essere all’altezza. D’altra parte questa storia di queste musichette che vanno in giro da tanti anni nelle chiese latine: “Così è per i giovani...”. 

A parte che la liturgia non è per i giovani, è per tutti, ma se la liturgia non ci immette in un’atmosfera spirituale (non psicologica) diversa dal quotidiano, a cosa serve mai? Se io vado lì per ritrovare le stesse canzonette che sento tutto il giorno alla radio o alla televisione a che mi serve? Questa è una nota esplicitamente polemica che voglio fare, e tenete presente che io sono nato e cresciuto nella Chiesa latina. Battezzato a Roma, nato a cinquecento metri da S.Pietro. Con questo non sto dicendo che la liturgia bizantina sia migliore della latina, ma che una liturgia bizantina fatta male è peggio delle liturgia latina. Perché se nella liturgia latina il rischio è la sciattezza, nella liturgia bizantina è il teatro. Ve ne accorgerete. E non si può fare teatro con Dio. Così non si può essere sciatti quando si prega. “Sta attento a quello che fai quando vai nella casa di Dio, perché Lui è in cielo e tu sei sulla terra”, dice il Qoelet. E il Signore ci dice “Non moltiplicate le parole come fanno i pagani”. 

Purtroppo la liturgia bizantina moltiplica un po’ le parole perché è più lunga. Voi guardate tutto con molta serenità e con molto spirito critico. Non c’è nessuna liturgia cristiana che è migliore delle altre. Ognuna ha una sua ricchezza particolare, ecco perché la sinfonia di tutte le tradizioni liturgiche della Chiesa arricchisce il mistero della Chiesa una e plurima nello stesso tempo. 

Domanda: 
Ci parla un po’ di più della consacrazione? 

Nella liturgia latina del “Canone romano”, uno e unico per quasi duemila anni - che è una preghiera stupenda, una delle più belle anafore che esistano - ci sono due momenti epicletici. Il primo è il gesto che si fa con le mani sulle sante oblate (è lo stesso gesto che si fa nelle ordinazioni). E’ l’invocazione della discesa dello Spirito che viene fatta con il gesto che è obbligatorio. Non si può non farlo. Poi già S.Ambrogio, nel De mysteriis (Sui Sacramenti), che sono delle istruzioni date ai suoi catecumeni, spiegava che con la preghiera che c’è nel Canone romano dopo il ricordo dell’istituzione, “Jube hæc perferri per manus sancti angeli tui in sublime altare tuum” (comanda che questi doni siano portati dal tuo angelo santo al tuo altare sublime), si chiede al Padre di comandare allo Spirito Santo che porti queste offerte al suo altare invisibile, sublime, celeste, immateriale, e che faccia di questo pane e di questo vino il corpo ed il sangue di Cristo. L’angelo santo al singolare è lo Spirito Santo. 

L’epiclesi, anche nel Canone romano antico, c’era quindi dopo le parole dell’Istituzione, basta saperla leggere. Già S.Ambrogio diceva questo e così un grande commentatore della liturgia bizantina, nella forma nella quale ancora oggi si celebra, S.Nicola Cabasilas del XIV secolo, ripeteva. 
S.Nicola Cabasilas ha scritto un commento alla divina liturgia e cita S.Ambrogio, perché già ai suoi tempi latini e greci discutevano su questo. I greci accusavano i latini di non avere epiclesi e i latini accusavano i greci di avercela inutilmente perché bastano le parole dell’istituzione. S.Nicola Cabasilas dice che non è così, anche i latini hanno l’epiclesi: “Perfino S.Ambrogio lo spiega”. E’ quindi un falso problema. Quando si vuole litigare “on fait flèche de tout bois”, dicono i francesi, con ogni legno si fa una freccia. 
E’ questo il problema dell’ecumenismo, sono mille anni che vogliono litigare. 

Di Cabasilas dovreste leggere un libro bellissimo, “La vita in Cristo”, uno splendido trattato sulla vita spirituale vista in relazione ai sacramenti. Se voi prendete i trattati di spiritualità latino-occidentali, fino ad una ventina-trentina di anni fa, trovate che la vita sacramentale sta da una parte e la vita spirituale da un’altra: si appiccicano dall’esterno, diventano delle pratiche di pietà. La messa non è una pratica di pietà, tanto è vero che non si dice individualmente. Un prete non deve dire la messa da solo, salvo in casi eccezionali. La liturgia è comunitaria. 

(L’epiclesi è l’invocazione dello Spirito Santo, l’anamnesi sono le parole dell’istituzione. Sono i due momenti che insieme fanno la consacrazione. Si invoca lo Spirito e si dicono le parole: “Questo è il mio corpo”.) 

Domanda: 
Quali sono le differenze tra la liturgia latina e quella bizantina per quanto riguarda la Liturgia delle ore? 

L’Ufficio delle ore è completamente diverso in tutte le tradizioni liturgiche. Noi, gli armeni, i siriani, i copti, abbiamo grandi differenze. Ciò che è caratteristico della liturgia delle Ore latina è una preponderanza direi assoluta e molto sana della Parola di Dio, cioè dei Salmi. In un certo senso è la più ricca di Salmi, variando ogni giorno. Anche nella liturgia orientale ci sono tanti Salmi e ci sono delle cose fisse ogni giorno. Quelli che noi recitiamo ogni giorno sono una trentina, più quelli variabili che si inseriscono, ma che sono pochi. Solo in Quaresima noi abbiamo delle letture nel Mattutino, negli altri tempi dell’anno no. Letture bibliche noi le abbiamo nel Vespro che inizia certe feste solenni. C’è un bellissimo libro di P.Robert Taft, “La liturgia delle Ore in Oriente e in Occidente”, con tutti gli schemi, lo sviluppo storico delle diverse liturgie, se volete approfondire. 

Domanda: 
Lei ha detto che si cita Maria durante la vostra liturgia. In quali momenti?
 

Quasi sempre, nella conclusione delle parole sacerdotali, si fa menzione della Madre di Dio, e poi ad un certo momento, dopo la consacrazione e l’epiclesi, quando si fa la memoria dei Santi, la prima che si cita è lei. Il sacerdote esclama “In modo particolare per la tutta santa, intemerata, benedetta sopra ogni creatura, la gloriosa nostra Signora, Madre di Dio e sempre vergine Maria” e il coro canta il megalinario della Madonna, cioè la celebrazione della Vergine Maria propria di quel giorno. Nel frattempo il sacerdote va ancora avanti continuando a recitare l’anafora. Ogni giorno perciò c’è un canto mariano inserito dentro l’anafora che varia secondo i tempi liturgici. Sentirete cantare sia l’Epistola che il Vangelo, si cantano sempre, ma anche nel rito latino solenne si cantano. 

Domanda: 
Come mai non c’è l’atto penitenziale nella liturgia orientale?
 

Non dovete chiedervi perché non c’è nella liturgia orientale, ma perché c’è in quella latina. Perché in nessuna Chiesa c’è l’atto penitenziale, non è ancora spiegato nella storia liturgica della liturgia romana, perché c’è un atto penitenziale in un momento di solennità. Da quando poi si dice la messa tutti i giorni non meraviglia. Ma la messa non si dovrebbe dire tutti i giorni. 

Domanda: 
Come si svolge la vostra giornata?
 

Ti do l’orario tipico perché poi ci sono delle variazioni nel corso dell’anno. La sveglia suona alle 5.30, ma molti di noi si alzano prima, per pregare un po’ per conto proprio, per le proprie pulizie, per mettere a posto la stanza. Il mattutino inizia alle 6.00 e dura normalmente un’ora. Subito dopo c’è la divina liturgia che dura un’altra ora - quella feriale, perché quella della domenica dura un’ora e mezza. Facciamo una rapida colazione e poi ognuno si dedica al proprio lavoro fino a mezzogiorno. C’è chi si occupa del restauro dei libri, chi lavora in biblioteca, chi insegna (noi abbiamo un piccolo liceo). I nostri fratelli anziani non lavorano. Alle 12.30 abbiamo la preghiera dell’Ora Terza e dell’Ora Sesta, alle 13.00 andiamo a pranzo, alle 13.30 finiamo e c’è il riposo. Alle 15.45 c’è l’Ora Nona alla quale segue immediatamente il Vespro e si arriva così alle 17.00. Poi c’è un periodo di studio o per finire il lavoro della mattina. Alle 19.30 ci riuniamo di nuovo per recitare la quarta parte dell’Akatisto, cioè l’inno in onore della Madre di Dio. La nostra è una chiesa mariana, è dedicata alla Madonna. Poi ci sono venti minuti di lettura spirituale, una mezz’ora per la cena, recitiamo la compieta che dura mezz’ora e poi alle 21.00 ognuno va in camera. Se uno vuole continua a leggere, studiare, pregare. E’ una divisione del tempo molto equilibrata. Dalle 21.00 alle 5.30 del mattino ci sono otto ore e mezza se uno vuole dormirsele tutte, non sono poche. Ma nessuno dorme tutto questo tempo, non per ascesi, semplicemente perché è troppo. La giornata è molto scandita dalla Liturgia delle Ore, come in qualsiasi monastero, anche in quelli latini. Per i benedettini o cistercensi è lo stesso. C’è una distribuzione equilibrata del lavoro e dello studio. Siamo sempre anche a disposizione per chi viene a chiedere un accompagnamento spirituale o una confessione. 

Domanda: 
Il lavoro assegnato a ciascuno lo decidete voi? 

No, lo decide l’abate, il quale sa quali sono le esigenze della comunità. Noi qui siamo un’abbazia nullius, nel senso che l’abate è il capo della comunità e viene come tale eletto da noi, ma è anche vescovo, ha tutti i poteri di un vescovo all’interno delle mura che avete visto. Noi siamo una piccolissima diocesi. Ha i poteri giuridici, ma non può consacrare un sacerdote o un diacono perché non è stato consacrato vescovo. Ha i poteri di un vescovo, dà le lettere dimissorie quando uno deve essere ordinato, dà l’imprimatur per la pubblicazione di un libro e così via. Tutte quelle cose che sono di pertinenza di una Curia vescovile. Aggiungo una cosa che vi incuriosirà. Noi sacerdoti bizantini, fin da quando siamo ordinati, abbiamo immediatamente la facoltà di celebrare la cresima. Tanto che noi diamo Battesimo, Cresima ed Eucarestia ai battezzandi. Bambini o adulti. Io facevo il professore prima di diventare monaco, qualche anno fa ho battezzato un mio ex-alunno di trentotto anni, più alto di me. Abbiamo dovuto trovare una vasca grandissima per farcelo entrare, perché noi facciamo il Battesimo per immersione. I bambini che sono abituati al bagnetto stanno quasi sempre tranquilli, a volte gridano, a volte fanno la cacca. In greco si dice “copronymos” (copros è la cacca, onoma è il nome): Un imperatore bizantino, Costantino V, è stato chiamato così perché da bambino gli è successo questo. L’obiezione che in genere viene fatta è: “Ma come? Date i Sacramenti ai bambini che non capiscono niente?”. Ma perché i latini non danno il Battesimo ai bambini? E mica capiscono! La Cresima non c’entra nulla con la maturità, perché allora non mi dite che a quindici anni i ragazzi sono maturi, è il momento della scemenzialità massima, non bisognerebbe proprio dargliela! 

I latini hanno fatto di una prassi scorretta che deriva da una condizione di necessità, una petizione di principio. Di per sé il ministro ordinario dell’iniziazione cristiana, cioè battesimo e cresima inseparabili, è il vescovo che ti accoglie nella comunità. Nell’antichità i battesimi non si celebravano tutti i giorni, ma a Pasqua, mentre c’erano le letture dell’Antico Testamento. Il vescovo con i diaconi e le diaconesse andava nel battistero e battezzava i maschi assistito dai diaconi e le femmine dalle diaconesse, perché il battezzando era completamente nudo. Dopo i battezzati indossavano la veste bianca (“in albis”) e processionalmente rientravano in chiesa dal battistero che era sempre separato - perché prima diventi cristiano e poi entri in chiesa! Per questo è assurdo quello che fanno oggi quando mettono i battisteri vicino all’altare; è ridicolo. La risposta a questa obiezione è: “Ma così si vede bene!”. Va bene, allora mettiamoci anche un letto matrimoniale e un confessionale così vediamo tutti i sacramenti. Qui vedrete che il battistero è nel nartece, prima di entrare in chiesa. 

Nella chiesa latina è anche legittimo separare nel tempo il Battesimo dalla Cresima, ma purché la Cresima venga prima dell’Eucaristia, perché chi è che rende quel pane e quel vino il corpo e il sangue di Cristo? E’ lo Spirito Santo... e se uno non ha ricevuto la pienezza dello Spirito come fa ad accedere a questo? Allora succedeva questo: siccome il vescovo andava nei paesi di montagna raramente, allora hanno cominciato a dare la comunione in attesa che il Vescovo imponendo le mani mettesse tutto a posto. Da questa prassi, che per esempio a Roma non era osservata - quando io ero ragazzino il Vescovo veniva il sabato pomeriggio e cresimava i ragazzi che l’indomani mattina facevano la comunione insieme a tutti gli altri – è derivata la posticipazione della Cresima. Oppure nella stessa messa, dopo la liturgia della Parola, veniva impartita la Cresima e dopo si faceva la Comunione. 

La Taxis dei Sacramenti era conservata nel modo giusto. Nel Battesimo noi risorgiamo alla vita nuova in Cristo. Lo Spirito ci viene dato a completamento di tutto questo, per la pienezza della maturità cristiana, non umana. Perché altrimenti agli handicappati mentali non sarebbero mai dati i Sacramenti. Invece la Chiesa dà i Sacramenti e fa benissimo. Il Vescovo Apicella mi diceva anni fa commosso che esperienza era stata per lui andare a dare la Cresima ai bambini portatori di handicap in un istituto. Lui era profondamente emozionato perché lì vedi la presenza dello Spirito Santo, non dell’intelligenza delle persone. E pensate che ricchezza è per un bambino andare a messa con i genitori e fare la comunione! Noi diamo la comunione anche a bambini piccolissimi; quando ancora non masticano diamo il Santo Sangue con il cucchiaino. Perché la realtà dei sacramenti è una realtà oggettiva, non dipende dalla nostra soggettività. E’ la realtà vera di Cristo che viene dentro di noi nello Spirito Santo. Pensate che forza spirituale riceve l’anima di questo bambino, non la sua intelligenza, se ogni settimana riceve il corpo di Cristo! 

Nella liturgia latina adesso si concede talvolta di superare questa separazione operata per motivi pastorali. Si concede ciò che è normale, perché ciò che non è normale è diventata la regola. Da noi bizantini, siccome si è mantenuta l’unitarietà dell’iniziazione cristiana, nel momento stesso in cui veniamo ordinati preti noi riceviamo il permesso di fare la Cresima. Noi sacerdoti e monaci di qui possiamo farla solo all’interno della nostra diocesi. Se voglio andare a celebrare una Cresima ad Albano devo chiedere il permesso al vescovo di Albano. Ma capite come è diversa l’impostazione? Non è antropocentrica. E’ chiaro che tutto è fatto per la nostra Salvezza, ma è stato fatto da Dio. Se non guardiamo prima a Lui, ma solo a noi stessi qualcosa non funziona. 

Lo dico spesso in confessione alle persone che continuano a scavarsi dentro: “Ma sì, è vero, noi siamo proprio dei poveracci, facciamo tante cose che non vanno, ma guarda prima di tutto al Signore, che ti dà la sua potenza e la sua forza, non stare solo a cincischiare con te stesso”. Non siamo noi il principale argomento, ma la Grazia di Gesù Cristo. 

Domanda: 
Che differenze pratiche ci sono per quanto riguarda il Sacramento della Riconciliazione? 

C’è una preghiera lunga che sacerdote e penitente fanno insieme. Poi c’è un’allocuzione del sacerdote dove si dice: “Guarda io sono un poveraccio come te, non ti vergognare, andiamo a vedere cosa c’è che non va”. La nostra tradizione prevede che, senza curiosità, come il medico che chiede “Ti senti questo?”, il sacerdote faccia delle domande. C’è una ricerca dei sintomi della malattia spirituale e noi dobbiamo aiutare la persona che spesso non sa fare un vero esame di coscienza - e te ne accorgi subito. Non chiediamo “Quante volte? Con chi?”, ma “Sei capace di perdonare le offese? Sei generoso con il prossimo?”. Perché le persone ti dicono sempre subito i peccati di sesso, ma le cose più importanti se le dimenticano. Dopo la confessione dei peccati c’è un’allocuzione e la formula di assoluzione che è di tipo deprecatorio: “Il Signore che ha perdonato Davide quando ebbe confessato i suoi peccati al profeta, che ha perdonato Pietro che piangeva amaramente per averlo rinnegato tre volte, che ha perdonato la peccatrice che con le sue lacrime gli lavava i suoi santissimi piedi, che ha perdonato il pubblicano e il figliol prodigo, perdoni anche i tuoi peccati nella vita presente e nella vita futura per mezzo di me, suo indegno servo e ti renda degno di stare irreprensibile davanti al trono della sua Gloria, Lui che regna nei secoli dei secoli”. E’ una vera assoluzione che si dà davanti all’icona di Cristo e con la stola che si mette sulla testa del penitente. La sostanza è assolutamente la stessa. 

Domanda: 
Come mai lei, nato a Roma, ha scelto di diventare monaco di rito orientale? 

Perché il Signore fa bene tutte le cose. Io avevo diciannove anni e facevo l’università a Roma, facevo filologia classica. Conobbi uno studente del collegio greco che sta accanto alla chiesa di S.Atanasio di via del Babuino, che era fratello di un mio confratello, di uno che era monaco qui. Eravamo diventati amici, passeggiavamo insieme, e un giorno mi ha invitato ad andare ad assistere ad una delle loro liturgie a S.Atanasio. Era il 1965, tarda primavera: oltre alla bellezza della liturgia che mi colpì molto, un’altra cosa che mi colpì fu l’omelia di monsignor Fortino, che ancora oggi è Rettore della chiesa di S.Atanasio. Io non ricordo il Vangelo di quel giorno, ma ricordo l’inizio dell’omelia: “Questo Vangelo ci prende sulla terra e ci fa arrivare fino al trono di Dio”. Pensai che era quello che volevo sentire. I preti latini erano sempre pesantemente moralistici. Adesso non lo fanno per niente ed è ugualmente sbagliato, perché la gente non sa nemmeno più quali sono i comandamenti, cosa è lecito e cosa non lo è. La fede sta da una parte e la morale dall’altra e tutti fanno quello che vogliono, poi vanno e si comunicano tranquillamente. 

L’esortazione di Pio X a fare la comunione frequente, non vuol dire farla sciattamente, ma ciascuna come fosse la prima, l’unica e l’ultima. Vale per voi e per noi. Abituatevi a fare la comunione, ma non fate la comunione per abitudine. Questo è pessimo anche per i preti. Tanto è vero che in Quaresima noi facciamo una grande astinenza liturgica. Noi non celebriamo la messa durante la Quaresima nei giorni feriali, ma solo il sabato e la domenica. Digiuniamo del pane eucaristico. 

Quel giorno della primavera del 1965 sono rimasto affascinato e ho cominciato ad andare tutte le domeniche a S.Atanasio dove sono diventato uno dei cantori e a lavorare tutta la settimana nella mia parrocchia latina dove facevo il catechista. Sono uno dei pochi cristiani con due polmoni. Quando si è trattato di rispondere alla chiamata del Signore e di intraprendere la vita monastica tutto mi portava in questa direzione, in questo monastero dove c’era questa tradizione liturgica alla quale ero molto affezionato. Ma amo anche la tradizione latina. Ogni tanto prendo l’antifonale gregoriano e mi canto le antifone gregoriane che sono stupende. Prendete le antifone che preparano nella Novena di Natale al Magnificat. Sono stupende. Così è successo. 
Il Signore fa bene tutto.