Giuseppe e i suoi fratelli (Gen 37-50) (tpfs*), della prof.ssa Bruna Costacurta

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 17 /11 /2022 - 09:37 am | Permalink | Homepage
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Il nostro sito www.gliscritti.it ha già messo a disposizione on-line "Appunti per una lettura della storia di Giuseppe", un breve commento alla storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, nella sezione Brani di difficile interpretazione della Bibbia. Presentiamo ora una splendida meditazione della prof.ssa Costacurta che fornisce una lettura globale dell'intero racconto. Questa riflessione è stata tenuta ai preti del settore Sud della Diocesi di Roma, su invito di S.E.mons. Paolo Schiavon, il 27 maggio 2004. Il testo, trascritto da mons. Luciamo Pascucci, non è stata rivisto dall'autrice. Conserva, quindi, lo stile di testo parlato.

L'Areopago

Ho pensato di ripercorrere con voi una storia biblica, che è una storia di famiglia e di una famiglia problematica, in conflitto. E' la storia della famiglia di Giuseppe e la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, dove il problema che si pone è, innanzitutto, un problema di fratellanza. Conoscete la storia. Giacobbe, il padre di questi dodici fratelli, ha un amore di preferenza per Giuseppe. Non si sa bene perché, nel senso che in genere si dà la spiegazione che Giuseppe era nato nella sua vecchiaia. Però lo stesso vale anche per Beniamino, il fratello di Giuseppe, tutti e due i figli della moglie amata da Giacobbe, Rachele.

Dunque: Giacobbe ama Giuseppe con un amore di preferenza. Fondamentalmente senza motivo, perché sempre l'amore di preferenza è senza motivo. L'amore di preferenza dipende dal fatto che una persona ama un'altra più di tutte. Perché? Perché di sì! E' il problema che c'è alla base della scelta di Israele. Perché mai Dio ha scelto Israele e l'ha preferito rispetto a tutti gli altri popoli? Perché era il più grande? No! Perché era il migliore? No! Perché allora? Perché di sì! Perché ha scelto quello!
Le preferenze non hanno spiegazioni, però ci sono e nelle famiglie spesso è presente questo problema. Nelle famiglie, quando ci sono dei fratelli, inevitabilmente ci sono delle situazioni di differenza tra questi fratelli, che poi possono essere lette da ciascuno di questi fratelli come situazioni di preferenze di amore da parte dei genitori.

Se volete questo è anche il problema di Caino e di Abele. Anche quella è una famiglia, la famiglia dell'origine e anche quella è una famiglia segnata dalla tragedia, proprio a motivo di una preferenza non accettata. Lì la preferenza era quella di Dio nei confronti di Abele, che Caino non accetta. E anche quella era una preferenza non motivata. Non c'è nessun motivo che il testo dà per giustificare il fatto che Abele appaia come preferito da Dio rispetto a Caino. Non è vero che Caino era più cattivo di Abele, almeno fino all'omicidio. Sì, si vede poi che questo c'era, ma non che facesse sacrifici peggiori di quelli di Abele, non che avesse fatto cose particolari… C'è che l'amore di preferenza, come ogni amore, è gratuito e l'amore di preferenza non vuol dire che non si ami anche l'altro, ma vuol semplicemente dire che si amano le persone in modo diverso. Ora, chi non è capace di accettare questa diversità, legge la diversità come preferenza ingiusta nei confronti dell'altro. E questo vuol dire mancata accettazione dell'altro come diverso, quindi mancata accettazione del fratello, ma soprattutto perché c'è alla base una mancata accettazione del padre come padre, nel senso che Caino odia Abele, perché non è capace di accettare il modo con cui Dio lo ama; non solo il modo con cui ama Abele, ma anche il modo con cui ama Caino stesso. Se Caino fosse stato felice e contento del modo con cui Dio lo amava, non avrebbe avuto nessun problema nel fatto che anche Abele fosse amato in un modo diverso, che sembra persino migliore, ma questo non crea problemi. Se io sono contento di come mi ama Dio, poi non mi fa problema se Dio ama un altro in un altro modo, se quell'altro riesce meglio di me. Io sono contento di come sono, perché sono il risultato dell'amore di Dio. Quando dunque comincia la gelosia, l'invidia, la rivalità tra fratelli, c'è sì un problema di fratelli, ma c'è fondamentalmente un problema di padre e di accettazione del suo amore.

Allora, per Caino e Abele, il padre di riferimento era Dio, qui, per questi fratelli della storia di Giuseppe, il padre di riferimento è invece il padre carnale, Giacobbe, che ama in un modo particolare Giuseppe. Il testo – in questo senso – è molto raffinato anche da un punto di vista psicologico. Queste sono situazioni che si ritrovano continuamente nelle nostre famiglie. Giacobbe aveva avuto problemi di preferenza con suo padre Isacco… Il padre preferiva Esaù e Giacobbe era invece il preferito dalla madre, Rebecca. Giacobbe aveva avuto problemi di preferenza e adesso, come avviene spesso inconsciamente, li riproduce nella sua famiglia con i suoi figli. Così si pone questa situazione di una figliolanza mal vissuta, che è quindi anche una fratellanza mal vissuta.
Ricordate la storia: Giuseppe, amato dal padre, riceve in dono la tunica particolare. C'è tutta una serie di segni che dicono che lui è il preferito e lui, non si sa bene se, ingenuamente o meno, sembra non tentare di diminuire le tensioni, ma anzi addirittura le provoca, andandosene in giro a raccontare i suoi sogni, soprattutto quello dei covoni che si inchinano e quindi dei fratelli che dovrebbero rendergli omaggio. E allora, già questo era il preferito del padre, poi va in giro a dire che i fratelli dovranno omaggiarlo! Di per sé non è che questo aiuti molto le relazioni fraterne. Tanto non aiuta le relazioni fraterne, che i fratelli smettono definitivamente di essere fratelli di Giuseppe. Per cui Giuseppe viene inviato dal padre dove stavano i fratelli, che appunto non sono più fratelli, non lo salutano neppure e loro, invece di accoglierlo come fratello mandato dal padre, decidono di ucciderlo. Un po' perché non ne possono più - e quindi l'omicidio come manifestazione del rifiuto e della rabbia - un po' anche probabilmente per cercare di sfuggire a quest'ombra che incombe su di loro e cioè il rischio che i sogni di Giuseppe si avverino. C'è dunque una volontà di morte che è rifiuto dell'amore del padre e tentativo di mettersi in qualche modo in salvo. Vi ricordate che Ruben e Giuda intervengono. Non vogliono che il fratello sia ucciso e dicono: buttiamolo nella cisterna! Non è un granché come soluzione, però è un modo per tenerlo vivo e per prendere tempo, se non che passa la carovana e Giuseppe viene venduto. La vendita è una specie di trasposizione simbolica dell'omicidio. In realtà Giuseppe in questo modo è stato eliminato e quindi per i fratelli lui è definitivamente morto.
A questo punto c'è un'annotazione interessante che fa il testo: dopo averlo gettato nella cisterna, dopo aver compiuto un fatto veramente agghiacciante – questi che sono dei fratelli – si mettono a mangiare. Questo è un bel modo con cui il testo sottolinea l'assoluta crudeltà di questi fratelli e anche l'esasperazione radicale a cui ormai erano arrivati, per cui questi si mettono a mangiare tranquillamente. Ma questo crea anche un gioco perché loro lo gettano nella cisterna e mangiano e poi quando non ci sarà proprio più niente da mangiare, essi dovranno andare in Egitto e lì se lo ritroveranno davanti, vivo, senza saperlo, loro che pensavano in questo modo di essersene liberati per sempre. C'è dunque il cibo che fa da filo conduttore.
Non bisogna dimenticarsi che, quando Giacobbe, il padre di questi fratelli, aveva ingannato il fratello e il padre, anche lui aveva ingannato il padre con una questione di cibo, portandogli la cacciagione che il padre amava. Siamo davanti ad una famiglia divisa ed in realtà come famiglia è distrutta.
Nelle nostre famiglie non ci sono tanto figli e fratelli gettati nelle cisterne, però di famiglie distrutte ce ne sono tante e questa storia di Giuseppe può diventare una specie di paradigma, da assumere non nella sua materialità, ma per il senso che rivela. Qui noi siamo davanti ad una famiglia che non ha più nessun punto di coesione, perché la situazione è quella di fratelli che hanno la loro unità tutta basata solo sulla complicità in un delitto e, dall'altra parte, c'è un padre ingannato e disperato. Dunque, la famiglia non c'è più! C'è un padre che non è più capace di essere tale e che viene in qualche modo ridotto all'impotenza dai suoi stessi figli e questi figli che rifiutano il padre e non sono più fratelli, perché sono fratelli, solo perché complici. E la complicità non è fraternità.
E allora: ecco che si dipana tutta la nostra storia. Tra l'altro la notizia della morte di Giuseppe al padre viene data mandando la tunica di Giuseppe intrisa di sangue, così che lui pensi che Giuseppe è stato divorato da una belva feroce. Ed è significativo ancora una volta tutto il gioco, perché prendono del sangue di capretto per ingannare il padre e Giacobbe per ingannare suo padre Isacco aveva ugualmente usato il capretto. C'è questa specie di cicli che ritornano e che ritroviamo nella nostra storia e nelle nostre famiglie di uomini, proprio perché ciò che i padri hanno vissuto, poi comunque, in qualche modo, tendono a riprodurlo con i figli e questa è una dimensione che bisogna tenere d'occhio.
Giuseppe viene dunque venduto e portato in Egitto. Sappiamo lì di varie vicende; ci sono ancora di mezzo i sogni e proprio per l'interpretazione dei sogni Giuseppe diventa secondo solo a Faraone nel paese d'Egitto per tutta la nota faccenda del grano messo da parte che poi serve per il tempo della carestia. Carestia che tocca anche il paese di Canaan, cosicché a un certo punto Giacobbe deve inviare i suoi figli in Egitto a cercare il grano e li invia, però, tenendosi con sè Beniamino. Lui è l'unico altro figlio di Rachele, la moglie amata da Giacobbe… Giacobbe ha già perso Giuseppe, è chiaro che non vuole perdere anche Beniamino e se lo tiene a casa, perché è il più piccolo, e così gli altri fratelli partono. Arrivano in Egitto, si incontrano con Giuseppe, si inchinano davanti a lui e – questo è significativo – i sogni cominciano ad avverarsi - ma loro non lo sanno, perché loro non riescono a riconoscere Giuseppe. Ormai è passato del tempo, lui si è “egizianizzato”. Ma, soprattutto, l'impossibilità di Giuseppe di riconoscere i fratelli è simbolicamente l'impossibilità per questi fratelli di accettarlo come fratello. Essi lo hanno voluto morto e per loro è morto e quindi, quando se lo ritrovano davanti vivo, non riescono a riconoscerlo.
Ciò è simbolicamente molto significativo. Giuseppe decide di recuperare questi fratelli lui, che è ancora fratello, mentre loro non sono più fratelli di lui. E così decide di aiutare i suoi fratelli a ridiventare tali. E comincia allora il cammino di presa di coscienza che Giuseppe fa fare loro e che comincia con il mettere i fratelli in una situazione di difficoltà; non tanto per vendicarsi e per ripagarli con la loro stessa moneta, ma perché è necessario che il cammino di peccato che questi fratelli hanno percorso sia ripercorso a ritroso, sia recuperato e per trasformare il male in bene bisogna passare inevitabilmente attraverso la sofferenza. Allora Giuseppe crea una situazione di difficoltà e di sofferenza per i suoi fratelli, non per vendetta, ma per amore, perché vuole che i suoi fratelli facciano un cammino di conversione.
Così li accusa di essere spie ed essi davanti a questa accusa sono costretti a rivelarsi e a dire chi sono. Sono pieni di paura, perché sono davanti ad uomo straniero, che non conoscono, che parla una lingua diversa dalla loro, potente. Sanno che la vita è nelle sue mani e si sentono improvvisamente dire: voi siete spie! Come fare a dimostrare che non è vero? E allora dicono chi sono, dicendo più di quello che dovrebbero dire. Dicono: noi siamo figli di un solo padre; eravamo dodici, adesso un fratello non c'è più, l'altro è rimasto con il padre… No! Noi non siamo spie! Giuseppe li sta accusando di essere spie e loro dicono di non esserlo! Non siamo spie, perché siamo figli di un solo uomo! Non si vede bene perché mai l'essere figli di un solo uomo sia in contraddizione con il fatto di essere spie. Loro probabilmente stanno cercando di portare la cosa su un piano familiare; perché dunque sono accusati su un piano nazionale? Però il loro parlare non è pertinente e soprattutto che c'entra il fatto che un fratello non c'è più e che c'entra il fatto che l'altro fratello è rimasto in Canaan? Perché mai questo dovrebbe essere una prova della loro onestà? La loro risposta non è pertinente nei confronti dell'accusa di Giuseppe, ma è perfettamente pertinente, invece, nella misura in cui si capisce che, quando uno si porta dietro il peso del peccato, quando poi si trova in difficoltà e ha paura, in qualche modo cerca di confessarlo, in qualche modo il peccato ritorna su, in qualche modo si rivela, anche se uno non vuole. E questi cominciano a rivelare che un fratello non c'è più! Giuseppe coglie la palla al balzo e, prima li sconcerta, mettendoli in prigione, lasciandoli lì nel loro brodo per tre giorni, poi, operando un cambiamento di decisione, che li sconcerta ancora di più. Infatti prima aveva detto: uno di voi andrà a prendere l'altro fratello e voi rimanete qui. Poi li lascia in prigione e poi dice ancora: andate via tutti, uno solo di voi rimane qui! Essi capiscono sempre di meno e sempre più vivono il fatto di essere in balia di questo che, oltretutto, sembra uno che cambia idea continuamente, mezzo matto. Vai a capire questo cosa fa! Dunque cresce l'angoscia nei fratelli, questo sentirsi in balia di Giuseppe; uno allora viene tenuto e tutti gli altri vengono inviati ad andare a prendere Beniamino per portarlo da Giuseppe, con questo discorso che va nella linea dei fratelli, ma che è appunto del tutto non pertinente e che è quello di Giuseppe che dice: se voi mi riportate qui il fratello che avete lasciato in Canaan, io saprò che voi non siete spie. Giuseppe va nella linea tracciata dai fratelli, dove il fatto delle spie è molto chiaramente solo un modo perché questi si rendano conto. E loro si rendono conto. Perché loro a questo punto sanno di essere completamente in mano di questo potentissimo sconosciuto. “E allora si dissero l'un l'altro: certo su di noi grava la colpa nei riguardi di nostro fratello, perché abbiamo visto la sua angoscia quando ci supplicava e non lo abbiamo ascoltato, per questo ci è venuta addosso questa angoscia!” Il sangue del fratello pesa addosso e quello che sta avvenendo viene da loro percepito come una punizione, perché l'angoscia che stanno provando adesso ricorda loro l'angoscia di Giuseppe. E questo essere completamente in balia di questo qui ricorda quell'essere totalmente in balia di Giuseppe, gettato in fondo alla cisterna e poi addirittura venduto come se fosse un oggetto.
Giuseppe sta cominciando a ottenere i primi risultati, perché sta cominciando a far emergere la coscienza della colpa in questi suoi fratelli e contemporaneamente si prende cura di loro, perché gli dà il grano e consente quindi a loro di tornare in patria e di dare vita alle loro famiglie e quindi al padre Giacobbe. Allora: questi ritornano, ritornano da Giacobbe. Vi ricordate che c'è la strana scena, ripetuta due volte, di loro che aprono il sacco e trovano dentro il denaro. Così si spaventano ancora di più, perché quello là, mezzo matto, gli aveva detto: voi siete spie! Adesso avrà l'occasione per dire: voi siete anche ladri! Infatti si ritrovano con il denaro, come se avessero portato via il grano senza pagare. Non capiscono e hanno paura! Comunque tornano da Giacobbe e adesso in qualche modo loro si ritrovano nella stessa situazione dei tempi di Giuseppe, perché ancora una volta tornano dal padre e ancora una volta c'è un fratello in meno. A quei tempi c'era in meno Giuseppe e hanno detto: un leone lo ha sbranato! Adesso non c'è Simeone e se l'è sbranato un altro leone, cioè il potente, folle d'Egitto. Tornano senza uno e questo tornare senza uno, a motivo di quell'altro uno che è lì adesso, condiziona tutto. Perché loro tornano dicendo: se vogliamo riavere Simeone, dobbiamo tornare lì con Beniamino. E Giacobbe, davanti a questa prospettiva dice: no! Io Beniamino non lo lascio andare; anzi ancora di più! Giacobbe dice: voi mi avete privato dei figli. Lo dice solo perché è angosciato, addolorato e amareggiato, ma sta dicendo la verità senza saperlo! Voi mi avete privato dei figli, Giuseppe non c'è più! Simeone non c'è più e Beniamino me lo volete prendere! No! Perché tutto questo ricade su di me! Allora c'è Ruben che dice: mi faccio garante e lui dice: no! Il mio figlio non verrà laggiù con voi, perché suo fratello è morto ed egli è rimasto solo! Se gli capitasse una disgrazia, voi fareste scendere la mia canizie negli inferi! Allora: vedete che cosa è riuscito a fare Giuseppe! Giuseppe, che è vivo, sta guidando il gioco, perché è lui che ha tenuto lì Simeone, è lui che ha chiesto che gli riportino Beniamino! E' lui, dunque, che tira le file del gioco, perché è vivo, ma in realtà sta condizionando tutto, perché è creduto morto. Giacobbe non vuole mandare Beniamino, perché è convinto che Giuseppe sia morto e allora, avendo perso Giuseppe, non vuole perdere anche l'unico altro figlio di Rachele. Se Giacobbe sapesse che Giuseppe è vivo potrebbe mandare Beniamino, ma invece, siccome lui sa che Giuseppe è morto, allora non manda Beniamino; ma se non manda Beniamino, allora non riesce neanche a riprendere Simeone. Questo fatto che Giuseppe è morto impedisce la liberazione di Simeone, ma tutto questo sta avvenendo perché in realtà lui è vivo e sta facendo questo suo gioco. Allora, questo essere contemporaneamente vivo e morto di Giuseppe è ciò che condiziona tutto quanto e, d'altra parte, questo suo essere contemporaneamente vivo e morto è determinato dal fatto che i fratelli hanno commesso il loro peccato e non lo hanno confessato. Giuseppe è contemporaneamente vivo e morto, perché i fratelli hanno mentito, dicendo che è morto! Non hanno saputo confessare il fatto di averlo venduto e allora questo peccato non confessato dei fratelli, adesso fa' sì che Giuseppe sia contemporaneamente vivo e morto e che di fatto tutta la storia venga bloccata.
Beniamino non parte, Simeone rimane laggiù, loro rimangono lì e aspettano di morire, perché, quando poi il grano finisce, non resta che morire. Solo che poi, davanti alla morte, l'istinto di sopravvivenza prende il sopravvento e poiché finisce il grano Giacobbe cede e manda Beniamino. Questi devono necessariamente tornare in Egitto per prendere altro grano. I fratelli si rimettono in marcia e ritornano in Egitto; hanno il problema di quel denaro nei sacchi, si ingraziano il vice di Giuseppe. Questi li rassicura, ma loro non capiscono cosa sta succedendo, non sanno se credere o non credere a queste rassicurazioni, poi però vengono invitati al banchetto. Quindi prima sono lì che pensano: chissà adesso questi che cosa ci fanno per questa faccenda del denaro! Poi invece vengono invitati al banchetto e quindi cominciano a pensare che tutto sommato è vero; le parole che gli hanno detto sono vere, non devono temere nulla! Lì, nel banchetto, però cominciano a succedere cose strane: viene data una porzione doppia a Beniamino. Perché? Che cosa sta succedendo? Questi poi parlano un'altra lingua; quindi non riescono a capire cosa succede. Il pazzo là dovrebbe restituire Simeone, però dà la doppia razione a Beniamino. Che cosa sta succedendo? Si volesse tenere Beniamino! E l'angoscia cresce, finché vengono rimandati, partono… gran sospiro di sollievo! Non c'è più da avere paura e nel momento in cui la tensione si abbassa, nel momento in cui non sono più sulla difensiva, in cui si è più vulnerabili, Giuseppe dà l'ultima mazzata! Perché? Mentre loro sono tranquilli, perché finalmente è andata, e sono nel viaggio di ritorno, li fa inseguire, bloccare da quello stesso suo vice che li aveva rassicurati e che adesso invece è diventato una belva. E quindi ancora una volta questo sconcerta i fratelli, e vengono accusati di aver rubato la coppa di Giuseppe, che non è una coppa qualsiasi, ma che è la coppa attraverso cui Giuseppe fa le divinazioni e interpreta i sogni. I fratelli si sanno innocenti di questa colpa, come si sapevano innocenti del fatto di essere spie. Dunque, ancora una volta dicono: non è vero! E allora: aprite pure i sacchi e se trovate la coppa, chi ha la coppa sarà nostro prigioniero! Loro sono tranquilli, tanto non hanno commesso questa colpa. Ne hanno commessa un'altra molto peggiore, ma quella tanto non la sa nessuno! E allora: aprite pure i sacchi! Aprono i sacchi e la coppa viene trovata nel sacco di Beniamino e quindi ora Beniamino deve essere tenuto in ostaggio; ora è Beniamino quello che deve morire.
Davanti a questo i fratelli finalmente non sono più complici, ma diventano solidali e davanti alla prospettiva che Beniamino debba pagare, loro dicono: allora no! Paghiamo tutti insieme! La complicità è diventata solidarietà! Ora i fratelli sono ritornati ad essere fratelli, pronti a pagare insieme. Con una frase molto significativa che dice Giuda: che diremo al mio signore, come parlare, come giustificarci? Dio ha scoperto la colpa dei tuoi servi. Ed eccoci schiavi del mio signore noi e colui che è stato trovato in possesso della coppa. Dio ha scoperto la colpa dei tuoi servi, solo che la colpa di cui lui sta parlando non è quella della coppa, è quella di aver venduto il fratello, ma Giuda pensa che tanto colui a cui sta dicendo questa frase non possa saper nulla di quello che è avvenuto, lui non sa che quello è Giuseppe! E lui parla a Giuseppe di quello che hanno fatto a Giuseppe, convinto che tanto Giuseppe non possa capire e che Giuseppe avrebbe interpretato come la colpa della coppa. E invece Giuseppe capisce ed era lì che li voleva portare. E allora Giuseppe interviene e offre la libertà a tutti in cambio di Beniamino. A questo punto Giuda di nuovo interviene raccontando tutta la storia, gli incontri precedenti, di come loro avevano convinto il padre a lasciare Beniamino, del fatto che lui si era fatto garante, perché Beniamino potesse partire e dice Giuda: e adesso, se noi torniamo senza nostro fratello, per nostro padre è la fine, perché nostro padre ama Beniamino più di tutti. E c'è la frase: l'amore del padre per Beniamino è troppo grande, la vita dell'uno è legata alla vita dell'altro. Questo Giuda non lo può dire di se stesso e infatti può dire tranquillamente: tieni me, ma rimanda Beniamino! Perché, se Beniamino non torna, nostro padre muore. Se invece non torno io, nostro padre continua a vivere. Dunque, Giuda sta dicendo: Beniamino è amato più di me! Beniamino è amato più di tutti noi fratelli messi insieme. Ebbene, proprio a motivo di questo, Giuda dice: prendi me! Allora, l'amore del padre che, ai tempi di Giuseppe, era stata proprio la causa della decisione di uccidere Giuseppe, l'amore del padre, che era stato il motivo per quella decisione, adesso quello stesso amore di preferenza diventa invece il motivo per offrire la propria vita. L'amore di preferenza del padre era stato il motivo per uccidere, adesso diventa il motivo per consegnare la propria vita e morire al posto del fratello amato. Non si tratta più di uccidere il fratello amato dal padre, ma di morire al suo posto. E proprio a motivo del fatto che il padre lo ama di più!
La gelosia è completamente riassorbita ed è diventata amore fraterno ed è diventata anche amore filiale, perché è l'amore fraterno nei confronti di Beniamino, ma è soprattutto l'amore filiale nei confronti del padre. Giuda, per amore del padre, accetta di morire e per amore di un padre che ama Beniamino più di tutti gli altri; accetta di morire per amore di un padre che ama un altro più di lui.
Questo è il vero amore filiale; questa è la vera accoglienza del Padre e questo è anche il vero amore fraterno. E questo è, per i fratelli di Giuseppe, il compimento del cammino che Giuseppe voleva far fare loro. Voleva farli ritornare ad essere fratelli, perché voleva che tornassero ad essere figli ed ora questo è avvenuto. Il peccato è stato completamente riassorbito, perché quello che era motivo di peccato, adesso è diventato motivo dell'amore più grande, che è dare la vita per gli amici. La conversione ora è totale. Chi ha ucciso è diventato invece capace di morire per gli altri. Il peccato è stato completamente riassorbito e allora adesso Giuseppe può anche manifestarsi. Giuseppe si manifesta, i fratelli possono finalmente riconoscerlo, perché avendo finalmente riconosciuto il padre si possono anche riconoscere come fratelli e questo ricrea la famiglia. Ma questo è possibile solo perché Giuseppe ha perdonato! Non c'era cammino possibile per i fratelli, per convertirsi e non c'era cammino possibile perché la famiglia potesse ritornare ad essere tale, se non perché c'è stato qualcuno che ha subito l'ingiustizia, la violenza, qualcuno che è stato vittima e che invece di rispondere al male con il male, ha risposto al male con il bene, ha perdonato. Ed è solo su questo perdono di Giuseppe che si basa tutta la storia. Poiché Giuseppe ha perdonato, ha potuto aiutare i fratelli a fare il cammino della figliolanza e della fratellanza. E poiché Giuseppe ha perdonato, la famiglia è tornata ad essere famiglia.
E questo è paradigmatico, dove paradigma vuol dire che non è la materialità che è significativa, ma il senso che il testo rivela. Il senso che il testo rivela e che è significativo per le nostre famiglie è che, perché le famiglie siano tali, perché possano restare unite e perché possano eventualmente ricomporsi dopo la frattura, bisogna che ci sia qualcuno che perdona! Bisogna che ci sia qualcuno che rinuncia alle proprie rivendicazioni per far prevalere il bene dell'altro e il bene comune. Bisogna che ci sia qualcuno che cede, ma non per debolezza, quanto perché portatore di una forza più grande. Bisogna che il più forte, quello cioè che è capace di amare di più, perché quella è la vera forza, accetti di cedere. Il più forte accetti di difendere la debolezza, accetti di perdonare, di rinunciare anche ai propri diritti per salvaguardare invece il bene comune.
Questo è vero delle famiglie, ma questo è vero anche di quella grande famiglia che è la chiesa. E allora adesso, quando si è capito questo, i fratelli ridiventano fratelli, ridiventano figli e compare allora, a questo punto, il vero protagonista che è Dio. Dio che, da Giuseppe, viene proclamato come colui che si inserisce nella storia degli uomini per cambiarla. Dio come Colui che trasforma la storia di morte in storia di vita. “Dio che è Colui che mi ha mandato qui prima di voi, perché io potessi farvi vivere e se voi avevate pensato il male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire al bene per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso!” Il Dio della vita che entra dentro la storia di morte degli uomini per trasformarla. Ma questo è possibile perché il perdono di Dio si incarna nel perdono di un uomo. Dio può perdonare perché Giuseppe ha perdonato. Allora, cambiano le prospettive: il male è cambiato in bene e i sogni di Giuseppe si avverano, ma non come pensavano i fratelli. Perché effettivamente i fratelli si prostrano davanti a Giuseppe, ma non è per l'umiliazione, quanto perché l'hanno ritrovato. E il sole, cioè il padre, non si prostra. Il padre, Giacobbe, invece abbraccia Giuseppe. Ecco il compimento dei sogni di Giuseppe; il compimento dei sogni non è la prostrazione, ma è che finalmente Giuseppe entra nel suo ruolo di figlio e, da fratello, consente anche ai fratelli di entrare pienamente nella loro verità di fratelli e di figli capaci di lasciarsi amare come il padre vuole amare e come Dio vuole amarci.
Così la famiglia si ricompone e Dio può rivelarsi e può farsi presente dentro questa famiglia e può allora veramente ricolmarla del suo amore, che si incarna poi nell'amore del Padre, nell'amore dei fratelli, facendo definitivamente trionfare la vita, perché la vita – quella vera – è possibile solo quando è una vita perdonata.

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Il matrimonio nella Sacra Scrittura
Genesi 1-4: creazione, peccato e redenzione 

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