Chiesa e Primato di Dio. Antologia minima di Benedetto XVI, di Ugo Feraci

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 08 /01 /2023 - 23:17 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito Madre nostra un articolo di Ugo Feraci pubblicato l’1/3/2013 (https://madrenostra.blogspot.com/2013/03/chiesa-e-primato-di-dio-antologia.html). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Cristianesimo.

Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2023)

Gli alunni del Collegio Capranica 
salutano il papa che lascia Roma

Mentre il papa sorvolava Roma nella commozione generale il professore apriva il seminario biblico con una barzelletta. Pronunciata in inglese da un tedesco assumeva toni piuttosto stranianti, ma la riciclo comunque perché, dopotutto, mi sembrava azzeccata.

Karl Rahner, Joseph Ratzinger ed Hans Küng (per chi non lo sapesse Rahner, gesuita, è stato uno dei più importanti teologi del ‘900, Küng, teologo anche lui e coetaneo di Ratzinger – lo chiamò ad insegnare a Tubinga - ha poi molto criticato la chiesa Cattolica fino a proporre tesi non ortodosse) vanno in pellegrinaggio in Terra Santa.

Giunti in Galilea, davanti al Lago di Tiberiade Rahner propone audacemente: “Forza, facciamo come Gesù! Camminiamo sulle acque!”. Dopo qualche esitazione Rahner è invitato a provare per primo. Parte e… attraversa il lago avanti e indietro! Poi tocca a Ratzinger che senza troppa preoccupazione parte e attraversa il lago avanti e indietro. Alla fine tocca a Küng. Parte e dopo qualche passo... affonda nell’acqua! Gli altri due restano subito stupiti, poi Rahner rivolgendosi a Ratzinger dice: “Ma come? Non gli avevi detto dov’erano le pietre sotto il pelo dell’acqua?” e Ratzinger: “Quali pietre?”

In questi otto anni non l’abbiamo visto camminare sulle acque ma, saldo nella fede, Papa Benedetto ha guidato la Chiesa attraverso momenti non facili. L’immagine del mare in cui la barca della Chiesa rischia di affondare ha accompagnato molti dei suoi discorsi, a partire da quella memorabile Via Crucis del 2005, quando Papa Wojtyla, ormai allo stremo e aggrappato alla croce, seguì dal suo appartamento il commento e le preghiere del Cardinale Ratzinger:

“Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo”.

Le cadute di Adamo non sono mancate: alcune, più recenti, particolarmente vistose. L’ottobre scorso, quando una grande fiaccolata ha ricordato il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Benedetto è tornato sulla stessa immagine:

“Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha dimenticato... Abbiamo visto che il Signore non ci dimentica... Cristo vive, è con noi anche oggi, e possiamo essere felici anche oggi perché la sua bontà non si spegne; è forte anche oggi!”.

Anche nel 2010, quando chiudeva l’Anno dedicato al Sacerdozio, il buio e la tempesta avevano agitato le acque:

“proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, sono venuti alla luce i peccati di sacerdotiSe l’Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio, dono che si nasconde “in vasi di creta” e che sempre di nuovo, attraverso tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore” (11 giugno 2010).

L’ultima udienza di Papa Benedetto ha fatto sintesi, attraverso parole semplici e commosse, di due aspetti chiave del pontificato: il primato di Dio e la riflessione sulla Chiesa.

Oggi possiamo dirlo senza timore di smentita: Pietro ha confermato i fratelli, indicando con insistenza il primato di Dio. Nella Chiesa - lo ha ribadito spesso- non è possibile adottare la logica del potere o del successo. Soltanto nella logica del servizio, del “cuore che vede”, possiamo realizzare la vocazione cui ci chiama il Signore. È Lui il protagonista e se è Lui che chiama donerà anche la forza di compiere ciò che chiede:

“Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto la ferma certezza che mi ha sempre accompagnato: questa certezza della vita della Chiesa dalla Parola di Dio. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, perché mi chiedi questo e che cosa mi chiedi? È un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai, anche con tutte le mie debolezze. E otto anni dopo posso dire che il Signore mi ha guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. È stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare”.

Il primato di Dio non si traduce in cieca sottomissione. Si tratta, piuttosto, di entrare in un rapporto intimo e profondo con Dio, lasciarsi catturare da una relazione originaria, che realizza l’uomo e lo rende felice, fin quasi a renderlo semplice e fiducioso come un bambino. Nella piazza gremita per l’ultima udienza la commozione era palpabile. Il papa teologo si è mostrato ancora di più il padre, anzi, il nonno che apre il cuore ai nipoti:

"Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…»”.

È la preghiera che ci ripeteva la zia quando, piccini, ci insegnava a pregare.

A Madrid, nella memorabile veglia travagliata da vento e acquazzoni, il Papa indicava ai giovani l’essenziale, il rapporto con Dio che cambia e realizza pienamente ogni esistenza:

“Sì, cari amici, Dio ci ama. Questa è la grande verità della nostra vita e che dà senso a tutto il resto. Non siamo frutto del caso o dell’irrazionalità, ma all’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio. Rimanere nel suo amore significa quindi vivere radicati nella fede, perché la fede non è la semplice accettazione di alcune verità astratte, bensì una relazione intima con Cristo … Se rimarrete nell’amore di Cristo, radicati nella fede, incontrerete, anche in mezzo a contrarietà e sofferenze, la fonte della gioia e dell’allegria. La fede non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li perfeziona. Cari giovani, non conformatevi con qualcosa che sia meno della Verità e dell’Amore, non conformatevi con qualcuno che sia meno di Cristo”.

Chi mette Dio al primo posto sa di non amputare l’umano. La ragione stessa, illuminata dalla verità si affaccia su orizzonti infiniti. Un altro grande capitolo del pontificato di Benedetto è l’impegno profuso a dimostrare la ragionevolezza del Cristianesimo ed a rilanciare il dialogo con il mondo della cultura in un tempo di crisi e ripiegamento. Una preoccupazione particolarmente legata al mondo occidentale e alla cultura di riferimento del papa, ma cruciale per il mondo intero. Nell’omelia per l’apertura dell’anno della fede Benedetto XVI tornava a parlare della crisi del nostro tempo. “In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale”: l’antidoto più efficace è “La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo”. Il primato di Dio si traduce in un’espressione ormai celebre del suo pontificato:

“Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura” (Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008).

Nella sua Parola Dio si è comunicato all’uomo, si lascia trovare. La sua esortazione post-sinodale Verbum Domini, ad esempio, dovrà essere ancora a lungo meditata. Non è però il momento di sintesi esaustive sul magistero di Benedetto, mi accontento qui di qualche citazione che ricordo in modo speciale e di segnalare le parole della sua ultima udienza:

“la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia”.

Il riferimento al primato di Dio assumeva toni programmatici fin dalla prima omelia, per l’inizio del pontificato, il 24 aprile 2005:

È proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. È proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo”.

Ma il passaggio più toccante dell’ultima udienza propone una riflessione sul mistero della Chiesa che ribalta ogni chiacchiera sulle logiche di potere e sgombra il campo dalle insistenti accuse sui complotti e le dinamiche da apparato della Chiesa visibile.

È vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi!”

A Cuatro Vientos, durante la veglia con i Giovani di cui sopra, Benedetto parlava ancora della Chiesa:

“Non si può seguire Gesù da soli. Chi cede alla tentazione di andare «per conto suo» o di vivere la fede secondo la mentalità individualista, che predomina nella società, corre il rischio di non incontrare mai Gesù Cristo, o di finire seguendo un’immagine falsa di Lui.

Aver fede significa appoggiarsi sulla fede dei tuoi fratelli, e che la tua fede serva allo stesso modo da appoggio per quella degli altri. Vi chiedo, cari amici, di amare la Chiesa, che vi ha generati alla fede, che vi ha aiutato a conoscere meglio Cristo, che vi ha fatto scoprire la bellezza del suo amore”.

L’anno precedente, ad Erfurt, (24 settembre 2011) in occasione del suo ultimo viaggio in Germania lo aveva già espresso con chiarezza:

“La fede è sempre anche essenzialmente un credere insieme con gli altri. Nessuno può credere da solo... Il fatto di poter credere lo devo innanzitutto a Dio che si rivolge a me e, per così dire, “accende” la mia fede. Ma molto concretamente devo la mia fede a coloro che mi sono vicini e che hanno creduto prima di me e credono insieme con me. Questo grande “con”, senza il quale non può esserci alcuna fede personale, è la Chiesa”.

Il noi della Chiesa è però accompagnato da testimoni speciali, i santi, gli amici che ci hanno preceduto nella fede tracciando una scia luminosa. Forse non è un caso che Benedetto abbia dedicato le sue udienze ai santi – dagli apostoli, ai padri della chiesa, ai santi del nostro tempo- e alla preghiera dei Salmi.

“Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, - diceva rivolgendosi ai giovani durante la Messa conclusiva della GMG di Colonia -  e il Signore stesso ce l'ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell'Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni”.

La grande famiglia dei santi chiama all’appello. Aderire al Signore e seguirlo con il dono di sé non ci estrania dal mondo, ma ci rende capaci di trasformarlo. La via che conduce alla trasformazione deve passare attraverso le purificazioni della preghiera, vedere in essa il centro gravitazionale della nostra esistenza. Benedetto XVI ha ribadito con insistenza, soprattutto con l’esempio, il valore della liturgia e la sensibilità per il sacro dettato dalla presenza. Ma se sorge la tentazione di parlare di devozione esteriore o si glorifica una tradizione si percorrono piste sbagliate e superficiali. Il primato è di Dio ed esige una conversione profonda e sincera:  

“L’amore di Dio può effondere la sua forza solo quando gli permettiamo di cambiarci dal di dentro. Noi dobbiamo permettergli di penetrare nella dura crosta della nostra indifferenza, della nostra stanchezza spirituale, del nostro cieco conformismo allo spirito di questo nostro tempo. Solo allora possiamo permettergli di accendere la nostra immaginazione e plasmare i nostri desideri più profondi. Ecco perché la preghiera è così importante: la preghiera quotidiana, quella privata nella quiete dei nostri cuori e davanti al Santissimo Sacramento e la preghiera liturgica nel cuore della Chiesa. Essa è pura ricettività della grazia di Dio, amore in azione, comunione con lo Spirito che dimora in noi e ci conduce, attraverso Gesù, nella Chiesa, al nostro Padre celeste. Nella potenza del suo Spirito, Gesù è sempre presente nei nostri cuori, aspettando quietamente che ci disponiamo nel silenzio accanto a Lui per sentire la sua voce, restare nel suo amore e ricevere la “forza che proviene dall’alto”, una forza che ci abilita ad essere sale e luce per il nostro mondo” (Veglia con i giovani, Gmg di Sydney, 2008).

La preghiera non isola, ma apre ad una vita pienamente immersa nella comunione della Chiesa. Per questo la scelta del Papa non si può interpretare come una resa:

“Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio”.

La rinuncia al ministero petrino, pronunciata l’11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, pone sotto il sigillo di Maria la decisione del papa, nato il 16 aprile, giorno in cui si celebra Santa Bernadette Soubirous.

“Nel giorno del mio compleanno e del mio Battesimo, il 16 aprile, - precisava il Papa nell’omelia per la Messa in occasione del suo 85° compleanno - la liturgia della Chiesa ha posto tre segnavia che mi indicano dove porta la strada e che mi aiutano a trovarla. In primo luogo, c’è la memoria di santa Bernadette Soubirous, la veggente di Lourdes; poi, c’è uno dei Santi più particolari della storia della Chiesa, Benedetto Giuseppe Labre; e poi, soprattutto, c’è il fatto che questo giorno è sempre immerso nel Mistero Pasquale, nel Mistero della Croce e della Risurrezione, e nell’anno della mia nascita è stato espresso in modo particolare: era il Sabato Santo, il giorno del silenzio di Dio, dell’apparente assenza, della morte di Dio, ma anche il giorno nel quale si annunciava la Risurrezione”.

Può così chiudere questa piccola antologia un passaggio dell’omelia pronunciata il 14 settembre 2008 a Lourdes:

“è significativo che, al momento della prima apparizione a Bernadette, Maria introduca il suo incontro col segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. È questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza”.